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ALESSANDRA PIGLIARU, "IL FOTOGRAMMA DI DIO. Note su cinema di I. Bergman"

 

A. Pigliaru, Il Fotogramma di Dio. Note sul cinema di Ingmar Bergman, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.1 Marzo-Giugno 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/11.htm

 

La convinzione profonda dalla quale muove la nostra analisi è la seguente: Ingmar Bergman può essere considerato un importante e raffinato "pensatore", non un "semplice" intellettuale capace di attenti ma sterili esercizi di stile; Bergman è riuscito a mostrare e rendere "visibile" il proprio travaglio interiore portandolo, nella trama cinematografica, a universale modo di percepire l'esistenza. E' vero che un film non si dà allo stesso modo di un libro né, tanto meno, di una pièce teatrale, ed è altrettanto vero che si deve usare cautela quando ciò che precede la parola è l'immagine, ma Ingmar Bergman (definito da Godard "cineasta dell'istante") sembra cogliere ciò che di oscuro sta dietro e dentro le cose. Gli splendidi dialoghi curati anche quando la risposta è (o sembra) assente, il silenzio che è sempre un "dire di più", l'espressione di un viso che tace ma si auto-osserva all'interno, sono piccole parti di un "tutto" organico. La cura della fotografia è (nella maggior parte dei film a cui si vuol fare riferimento) di Sven Nykvist: la scelta è molto chiara e netta, rendere giustizia alla "natura del cinema" cioè il primato dell'immagine sulla parola e sulla sceneggiatura (che troppo spesso sembra essere l'unica cosa presa in considerazione). La maestria di Bergman sta nell'essere riuscito a produrre nel film (all'interno del quale mai niente è casuale) una perfetta coesione tra forma e contenuto: ciò comporta che il significato sia "presente" o nel modo in cui i fotogrammi si susseguono o nel porre l'attenzione su un'inquadratura specifica nella quale più che l'evidenza delle cose se ne può trovare la "cifra". La puntuale introspezione alla quale sono sottoposti i protagonisti Bergmaniani ci richiama alla mente quello che della vita e della filosofia dovrebbe essere (ma non è quasi mai) la continua ricerca: l'incessante cammino volto alla chiarificazione dell'esistenza e il modo più congruo per farlo, il tentativo di trovare un senso intrinseco all'esistenza del singolo che si configura come ricerca di Verità; l'esito di tale ricerca sembra non riesca mai a soddisfare o a raggiungere risultati rassicuranti; anzi l'esistenza singolare giunge quasi sempre ad un empasse, un limite invalicabile, all'interno di un più alto piano razionale "scricchiolante". I punti fermi, le certezze individuali passano al setaccio di mirabili analisi fino al completo dissolvimento. Si è parlato di possibili attinenze tra il cinema scandinavo (si pensi a Dreyer o al più recente Lars von Trier) e il pensiero di Kierkegaard. Da un certo punto di vista, lo si riscontra pienamente: la fede che diventa problematizzazione esistenziale, i tre "stadi" dell'esistenza umana e addirittura il concetto di angoscia. Sebbene il problema della fede sia evidente nel cinema di Bergman, la conciliazione con Dio non appaga, non affranca il singolo dall'angoscia. Dio per Bergman rimane l'assolutamente Altro, è pura trascendenza; Dio "scioglie" il suo rapporto col singolo abbandonandolo a se stesso senza alcuna possibilità di riscatto; anche quando in Come in uno specchio (1961) (1) sembra dare una lettura "romantica", in realtà Dio non partecipa al dolore umano, non rischiara l'esistenza individuale, al contrario si nasconde, viene meno proprio sulla soglia del suo rivelarsi. La porta socchiusa dietro cui Karin è sicura che si manifesterà Dio rappresenta il preludio al parossismo: Dio non arriverà a salvarla, emerge al suo posto solo un'ombra (quella del padre) e, nella sua mente, un enorme ragno. E' stato dichiarato e poi smentito dallo stesso Bergman che Come in uno specchio fosse il primo della sua trilogia di Kammerspiel: "Come in uno specchio: la certezza conquistata. Luci d'inverno: certezza messa a nudo. Il silenzio -silenzio di Dio- la copia in negativo". Nel 1990, durante un'intervista rilasciata ad Olivier Assayas (2) sostiene la rottura tra Come in uno specchio, Luci d'inverno (3) (1963) e Il silenzio (4) (1963) (rispettivamente secondo e terzo film della presunta trilogia); egli definisce inoltre l'opera del '61 sentimentale. La domanda che allora ci poniamo è: Perché? Forse perché alla fine della pellicola, David parlando di Dio afferma: "Non possiamo sapere se l'amore dimostri l'esistenza di Dio oppure se l'amore è Dio stesso (…)Il mio vuoto e la mia disperazione trovano sostegno in questo pensiero" e Minus gli risponde: "Allora Karin è circondata da Dio perché noi l'amiamo". Nonostante le parole apparentemente convincenti: ancora una volta nell'immagine sta il senso
(quadro 1)
.
Nel quadro Minus e David non si guardano nemmeno; dietro di loro una finestra rigorosamente chiusa ad indicare il fallimento delle loro esistenze fugaci per il mancato "incontro"; la finestra, che fa da sfondo a quasi tutte le inquadrature del film, solo poche volte risulta aperta; spesso è aperta verso il mare ma l'unica che ode e vede al di là è Karin, folle con poche speranze di guarigione; Karin vive in due mondi e ciò che la dilania è che non può sceglierne nemmeno uno; come davanti ad uno specchio, Karin si perde nel riflesso di se stessa che, in quanto riflesso, è sempre e già l'Altro e lo Stesso (5), lo smembramento dell' io. L'unico vero amore di cui trapela la nostalgia è forse quello del ventre materno, di cui metafora è non solo l'acqua ma anche la cavità di una barca abbandonata sulla spiaggia dove Karin si rifugia (in preda al delirio) tra il buio abbandonandosi sul fondo bagnato
(quadro 2). Dio non risulta essere amore dunque ma spettatore della tragedia umana; l'esistenza viene percepita dal singolo come "essere-in-situazione"; lo spaesamento individuale misto al sentirsi prigionieri viene ben rappresentato dalla posizione della cinepresa quando David dice alla figlia Karin:- Si traccia un magico cerchio intorno a noi escludendo tutto ciò che può compromettere i nostri intenti ma, quando la vita spezza il cerchio, questi intenti si rivelano meschini e insignificanti. Così tracciamo subito un nuovo cerchio, un nuovo riparo
(quadro 3).
La luce forte del sole che quasi acceca oltre ad avere un evidente importanza filosofica, per ora risulta essere funzionale solo alla "disposizione" della cinepresa. E' da rilevare nel fotogramma la separazione netta tra luce e ombra; David e Karin sono immersi nel buio che simboleggia la discesa negli inferi, il cadere, ciò che sfugge alla logica e alla luce della ragione: la follia per l'appunto; una regione indistinta quella della follia senza una demarcazione precisa; il confine labile tra ragione e follia si evince dall'inquadratura; è necessario scendere fino agli inferi del dolore altrui per comprenderlo e condividerlo; avere il coraggio di calarsi nell'Altro e per l'Altro. Le sagome dei due personaggi stanno tra le due "regioni"; tuttavia si noti come nel fotogramma la "regione luminosa" abbia una forma quasi geometrica; il buio circonda e avvolge; il singolo si erge ma resta in bilico, a metà tra luce e ombra. Come in uno specchio risulta essere portatore della sofferenza individuale che, come un grido inaudito, si leva contro l'insensatezza della condizione umana; si intravede ciò che Bergman svilupperà nelle sue opere successive: la solitudine radicale del singolo dinanzi al nulla; tuttavia per ora quella porta, intesa come soglia, come limite, rimane socchiusa; l'uomo bergmaniano non è ancora marionetta senz'anima.
Lo squarcio dell'individuo si fa più doloroso: in Luci d'inverno Dio continua a tacere e la morte si rivela un evento assurdo, incomprensibile; "Perché bisogna vivere?" chiede Jonas ma Tomas, pastore di una piccola cittadina, non risponde; lo guarda ma sta in silenzio. Jonas si suicida e forse lo avrebbe fatto ugualmente qualsiasi cosa gli avesse risposto Tomas. Ma la prima domanda che la filosofia dovrebbe porsi, pensava Albert Camus, non è se la vita valga la pena di essere vissuta? Camus è netto a riguardo: rinunciare alla vita è smettere di lottare, è far morire uno dei due termini che danno vita all'Assurdo. Invece è la rivolta esistenziale quella a cui si dovrebbe auspicare: "Mi rivolto, dunque sono!" esordisce Camus ne L'uomo in rivolta appunto. Tuttavia i protagonisti di Luci d'inverno non riescono a scegliere la rivolta, sembra quasi che non siano ancora maturi, che non abbiano superato la "frattura" tra loro stessi e la vita. L'assenza di Dio paradossalmente rappresentata da un pastore che non perde la fede bensì non l'ha mai avuta, acquista una connotazione negativa: "Padre perché mi hai abbandonato?" ripete più volte Tomas; ma, ci si potrebbe domandare, Dio c'è mai stato? O forse per Tomas si trattava di un Dio antropomorfico, qualcosa di consolatorio ma di assolutamente privato, quasi una sostituzione del mancato rapporto con l'Altro. Anche l'amore di Marta per Tomas è una sconfitta; la relazione non salva dalla solitudine ontologica e lo sguardo altrui (nonostante sia uno sguardo d'amore) non coglie niente più di quello che non sia già "evidente" dall'inquadratura in questione (quadro 4).
Marta non coglie ciò che Tomas nasconde a se stesso; il nascondersi è nello sguardo basso di Tomas una incolmabile distanza (che non è il nulla, si badi bene); Tomas è ignoto a se stesso e il meccanismo è inconsapevole; non servono maschere o finzioni perché è il fondamento stesso dell'essere che viene meno: il singolo frana e si perde. Bergman prosegue con la sua ricerca e se già in Luci d'inverno sceglie il volto in primo-piano come un "bucare" la pellicola, nel '66 con Persona (6) supera sé stesso in quadri che passano repentinamente da volto primo-piano intensivo a volto primo-piano riflessivo. "Ci troviamo davanti a un volto intensivo ogni volta che i tratti sfuggono al contorno, si mettono a lavorare per conto loro, e formano una serie autonoma che tende verso un limite e varca una soglia (…) Siamo davanti a un volto riflessivo o che riflette fintanto che i tratti stanno raggruppati sotto il dominio di un pensiero fisso o tremendo, ma inalterabile e senza divenire, in qualche modo eterno" (7). Persona è la maschera: insieme velamento e svelamento del singolo. Attraverso il volto primo-piano Bergman porta l'attenzione sull'immagine-affezione, fa in modo che l'immagine straripi il tempo e lo spazio: "brucia l'icona" (8). Il volto dunque è muto e raramente ha occhi; in altre parole non è importante che si riferisca all'Altro: guarda la cinepresa che diventa uno specchio. Ha ragione Deleuze quando osserva che non è importante stabilire se in Persona si tratti di due personaggi distinti o di uno solo che si sdoppia; non si recupera il senso del film ricostruendo l'ambigua relazione che si instaura tra Alma ed Elisabet ma, lo si rintraccia piuttosto, di nuovo e sempre, nei fotogrammi. L'inquadratura cambia, si amplifica nel volto senza interrompere bruscamente la sequenza del film; più che di interruzioni si potrebbe parlare di una vera e propria opera di "violenza fisica" sulla pellicola che viene tagliata, strappata, bruciata e fatta risorgere come se nulla fosse accaduto. Lo sfondo quasi scompare per lasciare il posto allo spazio neutro da cui emerge il volto primo-piano (quadro 5).
Il carattere di sospensione che si scorge nel quadro è chiaramente voluto. Lo specchiarsi nella cinepresa di Elisabet e Alma dà l'idea di come il volto sia per Bergman "pars pro toto"; sineddoche del disfacimento del singolo (che non è disfacimento del volto come pensa invece Deleuze), il volto bergmaniano rappresenta il passaggio tra volto primo-piano intensivo e volto primo-piano riflessivo. La verità del volto sta dunque nel suo passare, che è già un "non è più" e un "non ancora"


Il carattere di sospensione del volto non comporta la mancanza di individuazione ma semplicemente l'istantaneità dell'apparizione. Rispetto ai film sopra citati, in Persona il grido di dolore del singolo è stretto nella morsa del silenzio: per questo è più incisivo. Il prender fuoco di alcuni fotogrammi (vedi sopra) è da intendersi metaforicamente come un irrefrenabile desiderio di annientamento esistenziale. Non ci si chiede più se Dio possa o debba assistere alle vicende umane perché Dio ormai è scomparso; è scomparso per lasciare il posto alla preminenza del volto? In Bergman si assiste alla neutralizzazione dello sfondo dalla quale è visibile il primo-piano ma sarebbe azzardato accampare una simile ipotesi. Si può tuttavia leggere il cambiamento di inquadratura come una differente riflessione che il singolo fa su se stesso. Si pensi al quadro 1: i personaggi sono immobili ma il loro sguardo è lontano dalla cinepresa; hanno per così dire necessità di un sfondo-significato nel quale situarsi (la finestra chiusa, la luce bassa). Ora rapidamente si veda il quadro 4: si noti come l'inutile tentativo di Marta di tirare a sé Tomas naufraghi nella sottrazione dello sguardo di quest ultimo. Ecco che nel quadro 5 la riflessione non è più un atto conoscitivo individuale ma risulta essere esito di una nuova consapevolezza. La frontalità del volto non ha bisogno di altro e dell'Altro. Il volto stesso diviene soglia e al tempo stesso limite invalicabile. La soglia rappresentava un'apertura-verso ed era sempre nell'Altro-da-sé. Ora il limite è nel volto stesso che immobile passa. E dunque Dio forse viene meno "attraverso" il volto, dissolvendosi nel fondo bianco. Per proseguire ci serviremo di Alma che dice:"Tutta questa angoscia che ci portiamo appresso, i nostri sogni traditi, la crudeltà inspiegabile, l'angoscia di estinguerci, il doloroso renderci conto delle nostre condizioni terrene hanno lentamente cristallizzato la nostra speranza in una salvezza ultra-terrena". La speranza in un mondo che non sia questo non esiste più.
Nel '73 con Sussurri e grida (9) la direzione dello sguardo muta; il singolo contempla se stesso e l'Altro; lo osserva attraverso uno sguardo neutro. Ciò che prima era riposto in Dio ora è custodito nel singolo. Il dettaglio è quello che conta (quadro 7).
Il dettaglio del volto ora risulta essere centrale e il primo-piano diventa "divisione". Il volto viene celato volutamente; con Sussurri e grida siamo nella dimensione del "segreto": Bergman riesce a rappresentare il non-detto; quello che conta non è il volto ma il volgere lo sguardo verso. La parzialità, intesa come impossiblità di cogliere la trascendenza, è legata alla finitudine del singolo. Il fondamento dell'uomo è il segreto. La parte del singolo che rimane nascosta, segreta, non è conoscibile da Altri, è un "sovrapporre". Il volto di Anna che compare nel fotogramma è un punto nodale: tagliata a metà e velata. La sovrapposizione di un telo bianco è da considerarsi come la visibilità del neutro; il nascondimento esalta la direzionalità dello sguardo. La contemplazione di se stessi è da intendersi come consapevolezza del proprio non poter essere ciò che si è. Il rosso dentro cui affonda l'intero film è il colore dell'interiorità
(quadro 8).
Il quadro porta alla conclusione della riflessione fin qui imbastita; il singolo proietta se stesso; si guarda allo specchio ma non si vede, non vede l'Altro, lo spia ma gli rimane sconosciuto; il riflesso è riflesso dell'esistenza del singolo; la frantumazione dell'individuo è conseguenza della completa smaterializzazione di qualsiasi fondamento; del fuoco dei fotogrammi di Persona qui rimane solo la cenere. Il singolo precipita e viene assorbito dallo sfondo. Dio appare solo come immagine sbiadita di un'immagine fasulla.


(1) Säsom i en spegel (Come in uno specchio). Produzione, distribuzione: Svensk Filmindustri; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Sven Nykvist; musica: Erik Nordgren (estratti da Bach, eseguiti da Erling Blöndal Bengtsson); assistente alla regia: Lenn Hjortzberg; montaggio: Ulla Ryghe; prima: 16/10/1961 Röda Kvarn, Fontanen; origine: Svezia; durata: 89'. Interpreti: Harriet Andersson (Karin), Max von Sydow (Martin), Gunnar Björnstrand (David), Lars Passgärd (Minus). Trama: è la storia di Karin (giovane donna affetta da malattia mentale), Martin (marito di Karin), Minus (fratello di Karin) e David (padre di Minus e Karin). La convivenza dei quattro, in un'isoletta del Mar Baltico, fa emergere vecchi rancori irrisolti. Uno dei massimi capolavori sulla "descrizione" della follia.
(2) Cfr. O. Assayas, S. Björkman, Conversazione con Ingmar Bergman, Lindau, Torino 1994, cit. p. 56.
(3) Nattvardsgästerna (Luci d'inverno). Produzione, distribuzione: Svensk Filmindustri; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Sven Nykvist; musica: estratti da salmi svedesi; assistente alla regia: Lenn Hjortzberg, Vilgot Sjöman; montaggio: Ulla Ryghe; prima: 11/02/1963 Röda Kvarn, Fontanen; origine: Svezia; durata: 80'. Interpreti: Gunnar Björnstrand (Tomas Ericsson), Max von Sydow (Jonas Persson), Gunner Lindblom (Karin Persson), Ingrid Thulin (Marta Lundberg), Allan Edwall (Algot Frövik), olof Thunberg (Fredrik Blom), Elsa ebbesen-Thornblad (la vedova), Kolbjorn Knudsen (Aronsson), Tor Borong (Johan Akerblom), Bertha Sannell (Anna Appelblad), eddie Axberg (Johan Strand), Lars-Owe Carlberg (il procuratore distrettuale), e in ruoli minori Johan Olafs, Ingmari Hjort, Stefan Larsson, Lars-Olof Andersson e Christer Ohman. Trama: è la storia di Tomas, pastore in una piccola cittadina svedese; Mrta, maestria innamorata perdutamente di Tomas, non riuscirà ad essere ricambiata pienamente. La vicenda si snoda, attraverso micro-eventi, come cammino spirituale di Tomas alla fine del quale apparirà la consapevolezza di una fede svuotata di senso.
(4) Tystnaden (Il silenzio). Produzione, distribuzione: Svensk Filmindustri; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Sven Nykvist; musica: Ivan Rendilen, R. Mersey, Bach (Goldberg Variations); montaggio: Ulla Ryghe; prima: 23/09/1963 Röda Kvarn, Fontanen; origine: Svezia; durata: 95'. Interpreti: Gunner Lindblom (Anna), Ingrid Thulin (Ester), Jörgen Lindström (Johan), Hakan Jahnberg (il cameriere), "Eduardinis" (i nani), Birger Malmsten (l'uomo del bar), e in ruoli minori Eduardo Gutierrez, Lissi Alando, Leif Forstenberg, Nils Waldt, Biger Lesander, Eskil Kalling, K. A: Bergman, Olof Widgren.
(5) Cfr A. Tagliapietra, La metafora dello specchio, Feltrinelli, Milano 1991, cit. p. 59.
(6) Persona. Produzione, distribuzione: Svensk Filmindustri; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Sven Nykvist; musica: Lars Johan Werle; montaggio: Ulla Ryghe; prima: 18/10/1966; origine: Svezia; durata '84. Interpreti: Bibi Andersson (Alma), Liv Ullman (Elisabet Vogler), Margaretha Krook (dottoressa), Gunnar Bjornstrand (signor Vogler), Jorgen Lindstrom (bambino). Trama: Elisabet, caduta in uno strano mutismo alla fine di una sua rappresentazione dell'Elettra, viene confortata dalle cure di Alma, infermiera un po' "fuori dalle righe". Il film è la storia del loro incontro e della loro amicizia. Splendida rappresentazione del "riconoscimento" nell'Altro.
(7) G. Deleuze, L'immagine-movimento, Ubulibri, Milano 2002, cit. pp. 111, 112.
(8) Ibidem, cit. p. 123.
(9) Viskningar och rop (Sussurri e grida). Produzione: Cinematograph, Filminstitutet, Liv Ullmann, Ingrid Thulin, Harriet Andersson, Sven Nykvist; distribuzione: Svensk Filmindustri; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Sven Nykvist; musica: Chopin, Bach; montaggio: Siv Lundgren; prima: 5/3/1973 Spelgen; origine: Svezia; durata: '91. Interpreti: Liv Ullmann (Maria), Ingrid Thulin (Karin), Harriet Andersson (Agnes), Kari Sylwan (Anna), e in ruoli minori: Anders Ek, Inga Gill, Erland Josephson, Henning Moritzen, Georg Ahlin, Linn Ullmann, Rosanna Mariano, Lena Bergman. Trama: è la storia di Agnes, malata terminale, e della sua sofferenza avvertita unicamente da Anna. Karin e Maria, sorelle di Anna, scostanti e infelici, assistono alla malattia di Agnes come spettatrici inerti. Racconto di esperienze mutilate, il film risulta essere un punto di arrivo dell'opera bergmaniana.

* Le immagini sono tratte dai film:
Come in uno specchio (Svezia 1961), Produzione Twentieth Century Fox Home Entertainment 1997; Luci d'inverno (Svezia 1962), Produzione Twentieth Century Fox Home Entertainment 1996; Persona (Svezia 1966), Produzione Twentieth Century Fox Home Entertainment 1997;Sussurri e grida (Svezia 1972), Produzione Twentieth Century Fox Home Entertainment 1997;