Un accorto gioco di parole che
racchiude il senso del breve testo di Umberto Curi edito
da Raffaello Cortina. Di fronte ad uno schermo cinematografico
impariamo e ragioniamo. Se il cinema racconta, allora l'opera
cinematografica è filosofia.
Umberto Curi affronta il rapporto cinema -filosofia a partire
da un classico del pensiero occidentale per mostrare la
natura filosofica delle opere cinematografiche. Il presupposto
dal quale l'autore muove è che il cinema sia la "moderna
reincarnazione del mythos classico" (U.
Curi, Lo schermo del pensiero. Cinema e Filosofia, Raffaello
Cortina Editore, Milano 2000. I numeri che seguono le citazioni
indicano le pagine di quest'edizione).
Il testo che accompagna l'autore attraverso le storie, o
fabulae raccontate dal grande schermo, è la Poetica
di Aristotele. Tralasciando espressamente le dispute secolari
su questo classico del pensiero, l'autore utilizza il testo
dello Stagirita come un nuovo strumento di indagine filosofica
a partire dai film nei quali l'elemento del mythos, della
trama ha un ruolo preponderante rispetto agli altri aspetti
dell'opera. Aspetti, che, tuttavia, nel cinema non possono
essere considerati secondari o marginali.
L'autore è, dunque, consapevole di lasciare fuori
da questa analisi parte della produzione cinematografica:
per esempio, quella prevalentemente orientata all'innovazione
linguistica (pp. 27, 28). Si trova inoltre costretto dai
limiti di tale presupposto a non considerare nella rassegna
film che, pur avendo alla base storie, sono oscurati da
altri elementi quali la preponderanza dello spettacolo scenico
o dalla musica. Ecco perché questo piccolo vademecum
per filosofia nel cinema o, meglio, di filosofia che nasce
dal cinema, non può e non vuole essere, come si legge
nell'introduzione, catalogato tra le opere di critica cinematografica.
Umberto Curi sostiene che "il cinema altro non è
che filosofia" (p. 30). Seguendo per l'appunto la Poetica
di Aristotele bisogna considerare la tragedia come forma
di poesia che si caratterizza per l'imitazione, nello specifico
ciò che si imita è l'azione dell'uomo (Aristotele,
Poetica, pag.9, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1999.
"Nell'uomo fin dall'infanzia, è innato l'imitare:
in questo differisce dagli altri animali, perché
è il più imitativo e mediante imitazione opera
le prime conoscenze Continuando lo Stagirita ci dice che
"guardare le immagini diletta per il seguente motivo,
perché capita di apprendere contemplando (
)
la tragedia è, dunque, imitazione di un'azione elevata
e conclusa, dotata di grandezza, con parola piacevole separatamente
per ciascun aspetto nelle sue parti, di persone che agiscono
e non tramite narrazione, la quale tramite pietà
e paura porta a compimento la catarsi di tali passioni..").
L'analisi di Curi si fonda, dunque, sul seguente ragionamento:
se la tragedia è imitazione e l'imitazione porta
alla conoscenza, allora anche il cinema, o almeno quella
parte di esso, laddove l'elemento racconto è prevalente,
è anch'esso filosofia perché attraverso la
mimesis permette di manthanein e sylloghizestai, ovvero
di imparare e di ragionare. Curi, dunque, parte da Aristotele
per sostenere l'idea che il cinema come narratore moderno
del mythos sollecita il pensiero, attraverso il diletto
procurato dall'imitazione di uomini che agiscono. E non
solo. Il rapporto cinema e filosofia è intrecciato
in modo più saldo. Le trame dei racconti ben strutturati,
ovvero intrecciati secondo relazioni di verosimiglianza,
dalle quali scaturisce un imprevisto-necessario fanno sì
che il racconto risulti thaumaston (Aristotele,
Ibidem, pag.25: "Poiché, però,, l'imitazione
rigurda non solo un'azione conclusa, ma anche eventi che
suscitano paura e pietà, ciò si verifica in
particolare[e maggiormente] quando questi si realizzano
contro l'aspettativa, gli uni attraverso gli altri: così
si otterrà il meraviglioso, più che se si
verificasse da sé o per caso, perché anche
tra gli eventi casuali sembrano più meravigliosi
quanti appaiono essersi realizzati quasi appositamente
").
E la meraviglia e lo stupore altro non sono, a partire da
Aristotele e Platone, che il principio del filosofare.
Umberto Curi analizza le opere in base ai paradigmi della
Poetica non per emettere giudizi di valore in base allo
schema bello/brutto, ma utilizza il presupposto filosofico
per cui la mimesis dà conoscenza per far emergere
dalle trame dei film alcune delle più famose e dibattute
problematiche filosofiche.
Ecco come si possono interpretare alcuni film seguendo questo
metodo.
Adele H di François Truffaut è il racconto
del viaggio, ma soprattutto la narrazione di un itinerarium
mentis che porta la protagonista alla ricerca della propria
identità che si conclude con la scoperta narcisistica
che ciò che noi cerchiamo nell'altro altro non è
che noi stessi. "Inutile cercare l'altro. Illusorio
immaginare di poterlo raggiungere in quanto altro (
).
Fondamentalmente in-transitivo è l'amore. Essenzialmente
impossibile il rapporto. Intrinsecamente irrealizzabile
la comunicazione" (pp. 41,42). Adele non riconosce
Pinson perché come Narciso non vede che se stessa
"Pinson altri non è che l'obiettivazione di
un'aspirazione, della ricerca di un amore autentico"
(p. 42).
Il film di Truffaut narra dunque la storia di questo viaggio.
"Ora finalmente è tutto chiaro. Colui che ha
preteso di incarnare l'altro si è dileguato. Adele
comprende ora con chiarezza che cosa l'abbia spinta a tentare
una cosa incredibile, perché abbia avuto la temerarietà
di attraversare il mare, quale palingenesi ella cercasse
nel passare dal vecchio al nuovo mondo. Il viaggio alla
scoperta della natura dell'amore, e quindi di se stessi,
può dirsi terminato. Raggiunto l'obiettivo, reso
esplicito dalla memorabile sequenza nella quale Adele sorpassa
Pinson senza degnarlo di uno sguardo, continuando a guardare
fisso davanti a sé, è possibile intraprendere
l'anabasi." (p. 43)
Se lo spettatore, attraverso la storia di Adele, ragiona
sull'impossibilità dell'amore come rapporto con l'Altro,
Anni di Piombo di Margarethe von Trotta ci fa filosofare
sul rapporto Stato-individuo (p. 58) mentre con Paris, Texas
di Wim Wenders si riflette sul tema comunicazione e potere
(p. 71).
Schindler's List è un racconto di guerra narrato
dall'abile costruttore di fabulae (p. 103) che è
Steven Spielberg. Il capro espiatorio è, invece,
il senso filosofico de La vita è bella di Roberto
Benigni, dove il protagonista Guido, solutore di indovinelli,
incarna il pharmakos che salva i compagni di sventura con
il suo sacrificio (p. 111) come fece Edipo il solutore di
enigmi e salvatore dei mali della sua città.
The Truman show di Peter Weir non sarebbe un attacco alla
televisione come strumento di tecnologia invasiva della
realtà ma un'applicazione del Teorema dell'incompletezza
di Gödel, una messa in scena del "dramma (
)
che scaturisce dallo scacco a cui è esposta ogni
pretesa di ricondurre alla trasparenza di una razionalità
univoca i molti mondi che convivono nel nostro multiverso"
(p. 142).
Il rapporto tra realtà e rappresentazione emerge
anche dalle storie di Sliding doors di Peter Howitt (p.
149) o di Shakespeare in Love di John Madden, nel quale
troviamo la raffigurazione della vita che imita l'arte (p.
158) .
L'amore e il rapporto con l'altro, la comunicazione o la
sua impossibilità, il potere e la guerra, la realtà
e la sua rappresentazione. Temi classici della storia della
filosofia occidentale affrontati con uno strumento non convenzionale.
Con questo approccio, tuttavia non emerge l'aspetto del
cinema come grandioso strumento di fare spettacolo con un
linguaggio non tradizionale, ma viene sottolineata la sua
somiglianza alla rappresentazione teatrale. Non si considera,
dunque, la diversità e specificità del cinema
rispetto ad altre forme di poesia ma si mette in evidenza
l'elemento che lo conserva tra le forme poetiche classiche.
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