Antonio Pigliaru, Professore
Ordinario alla cattedra di Dottrina dello Stato presso la
facoltà di Giurisprudenza dell'Università
di Sassari, fino al 1969, anno della sua morte prematura.
Attorno a lui si raccoglievano un gruppo di discepoli e
colleghi che costituivano un cenacolo di cultura e di vita.
Tra i discepoli vi era Angiolina A. destinataria della "Lunga
lettera", che qui viene presentata, scritta in occasione
del suo primo incarico dell'insegnamento di Storia e filosofia
in un liceo cittadino. Da una semplice intenzione augurale,
d'incoraggiamento con qualche utile consiglio, il biglietto
si snoda in vari e diversi momenti che esprimono una intensa
riflessione su cosa è la filosofia, ma più
ancora, che cosa è la scuola e cosa vuol dire insegnare.
La lettera si articola attraverso 26 punti, che non vogliono
essere assolutamente concludenti, sono il frutto spontaneo
del "comporsi dei pensieri". Questo scritto, di
indubbio valore didattico, è significativo della
fine sensibilità pedagogica del nostro autore. In
questa edizione a stampa la piccola modifica del titolo
originale, con l'aggiunta di quel "lettera a una professoressa"
che fa da sottotitolo, vogliono essere un omaggio neppure
mimetizzato a uno dei maestri che Pigliaru volle scegliersi
nel corso della sua vita e del suo magistero.
La "lunga lettera" si apre così "La
scuola, come comunicazione di verità e di pensiero
all'altra anima è un vero conforto. Il conforto vero
è sempre nella vita che si dà e si riceve
dalle altre persone. Questa deve essere la radice del conforto
che dà la scuola".
La lettera è un esempio di semplicità, comunicativa,
allo stesso tempo, di temi di grande attualità e
complessità.
Il rischio di facili giochi intellettualistici, facili retoriche
sono rischi che Pigliaru è conscio di incorrere.
Per lui vale la pena correrli. Il risultato, per chi ha
avuto modo di leggere le sue opere e conoscere il suo concreto
operare, è senz'altro al di là di ogni semplicistica
retorica. Non si tratta di uno scritto destinato al pubblico,
si tratta di un messaggio diretto da un'anima verso un'altra
anima, nella privatezza del loro rapporto, con tutto ciò
che questo massimamente comporta. Di un docente ad una discente
che sta per diventare docente. Siamo, quasi proiettati,
nel vivo del processo educativo. E' l'esempio concreto di
quanto il suo dire sia un dire che è già un
fare. Un fare pienamente operativo. Non siamo di fronte
ad un'astratta riflessione, ma ad una proficua esperienza
riflessiva su argomenti di non facile e semplice trattazione,
ma più ancora, di un non facile cimento, come quello
della scuola e del rapporto docente-discente. Modello di
una concreta testimonianza educativa.
Il dialogo di Pigliaru con l'altro è un dialogo sempre
aperto verso l'altro, per l'altro. Aperto alla sua critica,
alla sua libera riflessione, anzi vivo stimolo di riflessione
per l'altro. Non è un dialogo concludente, conclusivo,
non è un insieme di ricette preconfezionate e preordinate.
E' "indicare" un percorso, una via. Compito del
filosofo è "indicare", proporre, non imporre.
Lasciare che l'altro, nella sua completa libertà
e autonomia, scelga e arricchisca quel percorso in quanto
suo. Il proporsi di Pigliaru è un proporsi con umiltà,
da intendersi come coscienza e consapevolezza dei propri
limiti in quanto uomo. Consapevolezza propria di un'autentica
onestà intellettuale. Un atteggiamento mentale la
cui posizione verso l'altro è sempre non di un più
ad un meno, ma di un meno ad un di più.
Sua profonda convinzione è che la monedina dell'alma
se pierde si no se da.
L'altro è responsabilità e impegno nel dovere,
impegno come responsabilità, responsabilità
che è dovere all'impegno.
Queste impostazioni di pensiero, di pensiero in quanto vita,
vita operante che è pensiero sono presenti in ogni
riga.
L'invito che Pigliaru rivolge,
di cui è stato sempre esempio - questa lettera ne
è testimonianza - è quello a una costruzione
della scuola sempre più a misura d'uomo. Non di un
uomo semplicisticamente e naturalisticamente posto, ma di
un uomo, di una persona come attività, che è
atto partecipativo verso l'altro. Nel contesto della lettera
il luogo dove s'incontra l'altro (l'altro nei termini sopra
spiegati) è la scuola. La scuola che è e non
può non essere che dello scolaro, per lo scolaro.
Lo scolaro è attesa che ci attende
perché
è da attendere.
Centrale nella scuola è il rapporto tra docente e
discente, un rapporto dialetticamente inteso.
L'antiteticità dei ruoli è solo apparente,
anzi un rapporto basato sull'antiteticità dei ruoli
è propria dell'inautenticità del rapporto.
Un rapporto auspicabilmente basato sull'apertura.
L'insegnante, dalla sua iniziale posizione privilegiata,
deve essere dono, donarsi all'altro, votarsi all'altro,
questo, attraverso un metodo, oltre che di studio, attuato
principalmente con l'esempio, esempio come esemplarità
dell'azione, propria dell'arte d'un fare che non deve essere,
solo un dire (magari un bel dire).
"La scuola siamo noi stessi: è quale noi la
facciamo, anzi quale noi ci facciamo". La scuola come
luogo dell'amore. L'insegnante come amante che ama ma che
non pretende d'essere amato, deve solo amare. L'insegnamento
principale da impartire all'alunno è quello d'esser
amato, per amare. Amare la vita, amare il prossimo, amare
la verità. Un amore non retoricamente inteso, ma
inteso come impegno e disciplina, che è impegno per
il prossimo. L'esempio fattivo è l'insegnamento come
atto d'amore, come offerta di un amore.
Nonostante ciò che s'insegna, spesso, appaia lontano
dalla realtà della vita, realtà che è
lo scolaro, oltre a ciò che si insegna conta come
lo si insegna, il modo come lo si insegna. Senz'altro un
modo è quello all'insegna dell'amore. E' un buon
modo che dà uno strumento potente per acquisire ciò
che si studia
nell'amare ciò che si studia.
Pigliaru sottolinea la necessità di una didattica
critica, apertamente e criticamente concreta, contro quella
"presupposta, in quanto astratta e meccanica".
"Disciplina" e "sorveglianza" contro
l'improvvisazione e la ricerca di facili parole volte solo
a strappare un applauso.
Tutto ciò che per lo scolaro appare obbligo in realtà
è diritto, un diritto a cui deve assolvere il dovere
dell'insegnante. L'insegnante, in una scuola burocraticamente
organizzata, deve fare il primo gesto, quel gesto, la prima
mossa. Lui indirizza il gioco, il gioco che è il
gioco della vita, con delle vite, vite che sono vita iniziale
da vivere.
L'insegnante non deve essere altro che l'"umilissimo"
"servitor" del suo scolaro. L'insegnante deve
essere comprensione, comprensione di un fanciullo che è
attività, attività creativa e creatrice.
Il suo è un invito ad un impegno nella vita. Vita
che è impegno, dovere, responsabilità, prima
che verso la nostra, oltre a questa s'intende, verso il
nostro prossimo.
La filosofia? La filosofia è vita e pensiero, è
vita di pensiero che riflette su se stessa, per meglio comprendersi.
Per "capire e guarire" la vita. La filosofia come
impegno alla verità, impegno di verità, per
la verità, verità che è la vita come
verità, nella verità della vita. In questo
"sforzo epico" il filosofo ha una sola ambizione,
quella "d'esser uomo".
Queste devono essere direttive in base alle quali l'insegnante
deve guidarsi per guidare, deve insegnare e imparare esso
stesso, deve dare che è un donarsi, per insegnare
a dare e donarsi. Tutto questo all'insegna, appunto, sempre
dell'amore, della disciplina, dell'impegno, del dovere,
della verità, della responsabilità, della
vigilanza, dell'apertura critica e autocritica, della fatica.
Siamo di fronte ad un circolo? solo in apparenza vizioso,
è un circolo che è a spirale, perché
è crescita, progresso e arricchimento.
Ma è in quest'ottica che la dualità apparente
maestro-scolaro si unifica, i due si fanno uno, e la scuola
diviene così realmente scuola d'entrambi. Il contrasto
apparente è destinato a svanire, quando il maestro
si fa vero maestro, e lo scolaro vero scolaro.
Attenzione questa unificazione non è da intendersi
in una omologante unificazione, ma l'unificazione è
unificazione di un processo, quello educativo. Le differenze
permangono, ma non in quanto maestro e scolaro, ma in quanto
persone, attività creative e creatrici.
Questa lettera sarà senz'altro
di grande stimolo, che è anche un incoraggiamento,
per tutti coloro, che si sono cimentati, che vorranno cimentarsi
nella non facile via dell'insegnamento. Certo non sarà
disutile anche per noi discenti (tutti, comunque, lo siamo)
partecipi di tale esperienza, al fine d'esserne pienamente
e consapevolmente partecipativi. In quanto discenti primi
protagonisti della scuola, primariamente interessati a ciò
che si dice e si fa nella scuola.
Le riflessioni di Pigliaru sulla scuola non si lasciano
senz'altro limitare e non si limitano ad un discorso esclusivo
per la scuola. E' una riflessione che s'inscrive in quella
più ampia dell'uomo, della persona, che è
impegno di costruzione e partecipazione attiva di un vero
regnum hominis, che è perenne edificazione, edificazione
in meglio, come progressivo arricchimento del cuore e conquista
di sé, come attività, pensiero, come libertà
e buona volontà.
La scuola, come processo educativo, è indubbiamente
momento preminente, costitutivo e istitutivo di tale sviluppo
integrale dell'umanità stessa dell'uomo.
Che cos'è la filosofia?
che cos'è insegnarla? chi è il filosofo? Che
cos'è la scuola? Rispondere a tali domande, quindi,
è riflettere sull'uomo, sull'uomo come persona. Per
una puntuale e precisa spiegazione di ciò che ci
suggerisce il nostro autore rimando alla viva lettura delle
sue parole.
Quel che ho fin qua scritto è senz'altro limitativo
e non esaustivo di ciò che la lettera ha da dirci,
e principalmente lascia dire.
Da porre in particolare rilievo
non solo gli aspetti contenutistici, anche quelli grafici
del presente libro. Viene pubblicata, a fronte del dattiloscritto
in forma digitale, la lettera scritta di pugno da Antonio
Pigliaru.
Questa veste grafica ci dà la possibilità
di cogliere dal vivo della sua scrittura un altro aspetto
della figura del nostro autore, non solo ciò che
scrive, ma come lo scrive. Aspetti ormai sempre meno presenti
in una scrittura maggiormente legata ad una tastiera
sempre più spersonalizzante.
Antonio Pigliaru,
Per un primo giorno di scuola. Lettera a una professoressa,
Iniziative culturali, Sassari 2002
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