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NICOLA MAROTTA
IL VESCOVO DELLA STORIA E UNA SUA AMICIZIA
ATIPICA
È passato tanto tempo da quando, Wilfried Hagemann nella comunità
di Stapelfeld salutava l'ingresso in chiesa di un vagabondo
comune, incerto nelle vita, come nella fede. Il saluto dell'officiante
veniva rivolto ai parrocchiani con naturalezza: li avvisava
della mia presenza; quelle brave persone ordinate negli
scranni di legno, niente affatto scandalizzati, tutt'assieme,
si giravano contemporaneamente a guardarmi; io non ero imbarazzato
per incoscienza.
Si era nel 1979 ed era il mio secondo viaggio in Germania:
avevo già esposto nel 1977 a Munster per desiderio
dell'allora professore di teologia all'università
di Bochum, Klaus Hemmerle. Ogni suo desiderio veniva realizzato,
come pure una decorazione su una parete di una sala dell'Accademia
di Stapelfeld, 1979.
Vi sono persone che hanno il dono del dare; oggi io, parlando
del mio amico Klaus non voglio dire che restituisco, in
piccola parte, ciò che ricevetti, ma è solo
l'eco di ciò che ha dato che ritorna indietro: ciò
che ricevetti era così illuminante che ha rischiarato
anche il percorso di ritorno, ed è per questo che
mi è facile il cammino a rovescio.
Dipinsi in quella sala una parete di diversi metri quadri
sul tema de "L'Incontro".
Ancora
oggi, a distanza di 24 anni, apprezzo particolarmente una
parte di questo dipinto, ispirato ad una leggenda cristiana
che la tradizione vuole che il pellicano sfami i propri
piccoli col sangue del proprio petto lacerato a colpi di
becco, ma nel mio, il pellicano, è impossibilitato
a covare le proprie uova, perché queste sono ibernate
e sigillate in un cubo trasparente, che ne impedisce il
contatto.
Questa versione tragica raccoglieva, da parte mia, le proteste
degli ambientalisti ed ecologisti di allora e di sempre.
E poi, appena sotto la colonna da me dipinta, un gigantesco
termosifone nero turbava la composizione, sotto gli occhi
divertiti della suora gotica.
Sono un terribile e temibile uomo qualunque, ma, per fortuna,
nella mia vita ho avuto contatti umani straordinari; a volte
li ho vissuti coscienti, altre volte li ho riscoperti elaborando
i ricordi del mio passato.
Fra l'altro, anche quando mi ero reso conto che certi incontri
erano particolarmente importanti sono letteralmente scemato,
senza essere all'altezza del momento: nei riguardi di Klaus
è stato, per buona parte, così. Rievocare
i ricordi si ha l'impressione che sia un materiale che si
autoaggiorna, così come accade tra la somiglianza
e la similitudine.
Una
volta parlai agli amici tedeschi, Klaus, Wilfried e Hans
Peter di un mio grande amore per il pittore Matthias Grünewald
(a sinistra: Matthias Grünewald, Crocefissione -Particolare);
non passò molto che feci un viaggio lungo l'itinerario
delle opere più conosciute di questo grande artista
del '500, e, tra le grandi sorprese, nel breve tempo di
una mattinata e un pomeriggio, visitammo tre musei di tre
città, Freiburg - Basilea - Colmar. A itinerario
concluso, avevamo toccato i vertici di un triangolo equilatero
di tre stati diversi.
Non devo dimenticare che mentre Klaus suggeriva un suo desiderio,
Wilfried era il vero ideatore e interprete, colui che rendeva
attuabile il progetto che mi vedeva al centro, protagonista
di un viaggio o di una mostra.
Sono proprio Wilfried Hagemann e Wolfang Bader gli autori
di una toccante biografia su Klaus Hemmerle "un vescovo
secondo il cuore di Dio" (W. Bader,
W. Hagemann, Klaus Hemmerle. Un vescovo secondo il cuore
di Dio, Città Nuova 2001)
La pittura è come gli scenari dei teatri; tutti sappiamo
che sono artefatti, ma quando gli attori cominciano a recitare,
il palcoscenico diventa vita vera e convincente.
Così è per l'arte: c'è l'impatto, poi
se hai visto molta pittura scattano i parametri di valutazione,
i tuoi innamoramenti passionali o cerebrali, o entrambi.
La presenza di Klaus ad Alghero era già consolidata
da anni; una volta nel mostrarmi i suoi acquerelli, pensando
di motivare culturalmente la sua passione per la pittura,
gli dissi che aveva un che di moderno e che mi ricordavano
cose riconducibili a Klee.
Mi rispose con alcuni riferimenti che attestavano la sua
conoscenza dell'artista svizzero. Con gli anni questi riferimenti
stilistici, come la pittura del periodo africano, divennero
più presenti. Ma, per mia quiete d'animo, mi convinsi
che era solo un'adesione, una curiosità culturale,
un provare a vedere con occhi nuovi la luce e i colori solari
di Alghero.
Quella sua pittura che vediamo
oggi, credo sia poca cosa, rispetto a ciò che appariva
ai suoi occhi, in fase esecutiva; se non lo appagava come
artista, certamente lo gratificava come appassionato cultore,
donandogli certamente gioia.
Qui intendo lo spazio di tempo esecutivo in tutta la sua
componente emozionale dell'operazione del dipingere. In
questo stadio creativo la pittura che noi eseguiamo risulta
come vista sotto un filtro, come una apparizione ideale;
il pittore ottimizza l'immagine rimuovendone le imperfezioni
e le incertezze; riluce il tutto man mano poi che si prosegue
nella sua definizione.
Klaus, forse, dipingeva solo per questi momenti; il resto,
(di ciò che resta), non gli importava.
Caro klaus, vorrei farti qualche
domanda.
D. Klaus com'era per
te vivere con un padre pittore?
R. Hai detto bene pittore e non artista; artista
è una cosa da libri, penso a Vermeer: visse poco,
dipinse per un gruppo di commercianti e qualche appassionato
d'arte. Lui ha fatto il pittore, la storia lo decretò
artista.
D. Klaus perché hai sentito il desiderio di
dipingere?
R. Perché misteriose forze ereditarie, da
semi crebbero come piante occupando piacevolmente i miei
spazi interiori. Quando vivevo con mio padre pittore, non
presi mai i colori e pennelli, e poi papà era sempre
fuori casa per lavoro, però prendevo lezione di pianoforte
da uno zio musicista. Ho preso a dipingere dopo la morte
di papà, mi ritrovavo nelle sue meditazioni, nei
suoi gesti, senza averli mai cercati: a volte, mi sentivo
lui, lo accettavo. Ecco perché dipingevo, per stare
insieme a lui solo come l'amore può fare. Era come
se gli dicessi: padre come farò a ritrovare la strada
che ci ha divisi?
Era un uomo che amava la vita, la famiglia, la libertà:
dovette affrontare difficoltà di una guerra non sua;
viveva in un momento sbagliato nella seconda guerra mondiale:
era un pacifista.
D. Klaus, io credo di saper leggere di te solo le
cose che riguardano la pittura, mentre il tuo universo si
espande in Cristo. Sei stato sacerdote, teologo, professore
universitario, focolarino, scrittore e vescovo. Che cosa
è valso di più, se così si può
dire?
R. Quanto era bella Freiburg! I moti della vita sono
tanti: ognuno sa amare per le cose a cui è portato.
Freiburg, è il monumento di se stesso: Ho portato
con me quella immagine di città tersa, da miniatura
medievale: i suoi palazzi sembrano dipinti da bambini, come
nelle favole. Come pure la genialità tecnica e costruttiva
della cattedrale: è un sogno lungo quanto l'uomo.
Freiburg!
D. Klaus, penso alla
tua vita straordinaria.
R. Macchè, solamente accorgersi di vivere
è straordinario.
D. Klaus, questa terribile cosa della vita che è
la morte.
R. Già !.. Potrei dirti tante cose, ma sei
tu che scrivi!
Klaus, mi ha voluto bene, un
bene come di riflesso; mi vedeva, forse vagamente in un
suo specchio, in cui io prendevo le sembianze del padre
pittore.
Questa mia congettura mi piace, perché mi fa riflettere
sul fatto che, se è vera, vorrebbe dire che esisterebbe
una tipologia professionale, come dire, fabbro, falegname,
pittore; potendo leggere tutto questo dal di fuori sarebbe
come vedere dei rituali di comportamento tra persone di
uno stesso lavoro, e per ciò sarebbero simili i modi
di fare. E sarebbe questa la similitudine che Klaus forse
vedeva in me, e che gli piaceva tanto.
Attingere ai propri ricordi per raccontarli è sempre
stato un arbitrio sulla fedeltà delle testimonianze.
Accade che una chiave ti consente l'ingresso in un non luogo,
dove si formano i pensieri, dove si accendono le idee, dove
si illuminano le intuizioni; un posto in cui oggi si sa
poco o niente.
L'uomo si è costruito nella sua evoluzione una mappa
genetica, e, oggi, non siamo in grado di vederne le future
proiezioni; questa vita che è memoria capace di evocare
se stessa, fermando il tempo, come successione di eventi,
ha la capacità di migliorare il proprio futuro. Mi
piacerebbe che la morte non fosse diversa dalla vita e che
avesse le stesse evoluzioni e che la sua memoria potesse
evocare se stessa, per raccogliere dati e vederne gli sviluppi
e lo stadio in cui ci si trova, come accade per la vita.
Un percorso parallelo, per sapere di più sulle distanze
che ci separano.
Si dice che chi ha fede sa già.
Klaus Hemmerle è un volto che abbiamo visto per tanti
anni per Alghero e dintorni, insieme a due o tre amici,
a ridosso della primavera da circa trent'anni. Il grande
Wilfried Hagemann, e, per ultimo, si era unito Peter Klasvogt,
ritornavano ogni anno per sentire gli stessi umori inalterati
nei secoli delle terre, ancor prima dei Nuragici, dei Fenicio-
Punici e dei Romani.
Quando passeggiano tra loro e ti trovi
nei pressi, a sentirli parlare sembrano una nazione.
Klaus
era vescovo di Aquisgrana, morì il 23 gennaio 1994.
Le sue spoglie riposano dietro un marmo inciso con i suoi
dati anagrafici e il suo titolo; ti si stringe il cuore
saperlo riposto: ma mi si riaprì quando io, e mio
figlio Felice insieme, visitando lo storico Duomo (quello
di Carlo Magno), in questo stesso, onorammo le sue spoglie.
Alghero, Febbraio 2003
Nicola Marotta, pittore
Klause Hemmerle
"Vorrei che ognuno di noi avesse
quattro chiavi. Una chiave per la porta che dà sul
retro: il Signore viene, dove e come non lo sappiamo. Viene
in coloro che non hanno il coraggio di accostarsi alla grande
porta maestra. Una chiave per la porta che dà verso
l'interno: il Signore ci è più intimo del
più profondo dell'anima nostra. Da lì egli
entra nella casa della nostra vita.
Una chiave per la porta di comunicazione che è stata
murata, ricoperta con l'intonaco, quella che dà su
ciò che ci sta accanto: in coloro che ci sono più
prossimi, che sono anche coloro che più ci sono estranei,
il Signore bussa alla nostra porta. Una chiave per la porta
principale, il portale: su quella soglia Gesù, con
Maria e Giuseppe furono respinti. Non esitiamo a lasciarLo
entrare nella nostra casa, nella nostra vita, nel nostro
mondo! Sapremo essere, oggi, la sua Betlemme?"
Klaus Hemmerle (1929
- 1994), Vescovo Aquisgrana
N. Marotta, Il Vescovo della storia e una sua amicizia
atipica, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.1 Marzo-Giugno 2003,
-ISSN 1594-669X
URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/7.htm
Der Bischof in der Geschichte
und eine untypische Freundschaft mit ihm
von Nicola Matotta. Ich bin nun ein schreckerregender
und zugleich furchtsamer Mensch, eigentlich ein "Jedermann",
aber zum Glück, habe ich in meinem Leben außerordentliche
menschliche Kontakte finden dürfen. Manchmal habe ich
sie ganz bewusst miterlebt, andere Male habe ich sie jetzt
erst aufgedeckt, indem ich die Erinnerungen meiner Vergangenheit
aufarbeitete.
Trad. in lingua tedesca a cura di Wilfried Hagemann