giornalediconfine.net

 

 

 

Giuseppe Marcone, Mirò: appunti delocalizzati a proposito di una nuova medianità aprospettica degli spazi

Giuseppe Marcone, Mirò: appunti delocalizzati a proposito di una nuova medianità aprospettica degli spazi.
Incursione III: Il senso della prospettiva geometrica. Il contro-senso di un nuovo spazio.
IncursioneIV: L'Enigma. Sub-questione epistemologica, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.2 Luglio-Ottobre 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_2/5.htm

 

Le prime due incursioni (http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/19.htm), che costituiscono la prima parte di un percorso di scavo estetico in tre momenti, hanno ripercorso il rapporto di Mirò con il linguaggio tradizionale ed il surrealismo come estraniazione per poi addentrarsi nella questione contenuto-forma. Attraverso le altre due Incursioni, che qui presento, si tenterà di evidenziare la non scontata tridimensionalità della pittura dell'artista catalano, una pittura che aveva 'sentito' nuovi spazi come nuove relazioni di cose, nuovi coinvolgimenti sensoriali che accelerano e decelerano non su piani sghembi, ma su di un nuovo coinvolgimento percettivo.

Incursione III

IL SENSO DELLA PROSPETTIVA GEOMETRICA
IL CONTRO-SENSO DI UN NUOVO SPAZIO

Le figure diventeranno metafore, le parole si connetteranno in intrecci di linee di una ricercata casualità, la dimensione onirica riproporrà l'osservazione minuziosa dei coinvolgenti paesaggi multidirezionali e "multisensoriali"….Saranno questi alcuni degli elementi della continua metamorfosi [1] di forme nella attività di Mirò; un gioco instancabile che qui non andiamo riassumendo in una prospettiva rigidamente diacronica che risulterebbe forse scolastica. Tracciamo anche noi una linea per squarciare la superficie tradizionale, e per saccheggiare di ogni esperienza-esperimento dell'artista catalano, quello che significa per una nuova 'archetipizzazione' della dimensione spaziale.
I surrealisti in generale avevano colto il portentoso valore di medium della pittura; quindi manipolare la tecnica ha significato tirare spesso per la maglia l'osservatore, chiamarlo alla comprensione di un nuovo tipo di creazione, chiamarlo anche alla comprensione di un passato di pittura "da museo" incapace di rompere i vetri che segregavano lo spettatore in fila. Lo scossone, lo shock di cui tanto si parla ci interessa proprio in questa dimensione di costruttiva empatia con l'osservatore.
Per cercare di capire il senso della pittura-strumento, ed in esso il senso della prospettiva classica come tecnica di coinvolgimento, abbiamo tratto alcuni spunti da uno dei pensatori più originali del nostro tempo, ovvero il pensatore che per eccellenza si è fermato sulla riflessione della potenza del medium nella nostra società [2], ossia il discusso M. McLuhan.
Secondo quest'ultimo la prospettiva tradizionale è legata non solo alla geometrizzazione della visione, ma anche ad una specifica relazione statico-quantitativa dei sensi. Nella prospettiva la vista assume il carattere di dominio e di controllo percettivo; da questo punto di partenza bisogna arrischiarsi a penetrare un senso della valenza prospettica delle figure, un senso che ci faccia rendere conto della non scontata tridimensionalità che la pittura stessa di Mirò mette in questione.
Ecco come comincia ad essere mesta in questione la sensorialità: "Il grande vantaggio di studiare lo spazio nelle arti è che le arti offrono una straordinaria gamma di situazioni sensoriali per l'esercizio della percezione. Per esempio, non viene mai comunemente capito che la vista è l'unico senso che crea l'illusione di spazi uniformi e connessi" [3]. Il nostro spazio nasce in una cultura della parola scritta nella quale l'uomo percepisce la connessione degli spazi e lo spazio stesso come un contenitore di oggetti; qui l'astrazione di una prospettiva spaziale tradizionale salta tutta fuori.
Infatti questo verrà specificato: "La costante crescita della cultura visiva contribuì direttamente ad un senso di alienazione. Il pensiero si distacca dalle cose al fine di riflettere su di esse….Uno dei paradossi dell'intensa accentuazione dell'esperienza visiva è che produce la frammentazione. E' paradossale perché il metodo visivo, da sé, isolatamente, genera uno spazio uniforme continuo e connesso" [4] Resta comunque che la vista ha questo rapido potere di separazione e collocazione che dipende dalla supremazia prospettica cui abbiamo accennato all'inizio. Nona caso McLuhan insiste: "La prospettiva in sé è un tipo di percezione che per la sua stessa natura tende allo specialismo e alla frammentazione. Insiste sul singolo punto di vista e ci coinvolge automaticamente in un singolo spazio" [5], e questo avviene sia nello spazio che nel tempo, i due contenitori newtoniani anche dell'esperienza pittorica e linguistica [6].
Ma ora veniamo al punto più importante: tale elemento come costituisce un 'senso', ossia come struttura la relazione con lo spettatore?
Il punto di fuga classico della prospettiva era nel quadro, era sulla tela. "Con la fuga prospettica venne l'illusione che lo spazio fosse un continuo tra lo spettatore e la situazione artistica. Lo spettatore diventa parte delle linee di forza che trovano il loro fulcro nel punto di fuga" [7]. E qui ritorna la frammentazione ad un livello superiore; infatti viene sancito il dualismo tra le spettatore e l'attore che è sulla superficie del quadro, dualismo appunto geometrico, 'cartesiano'. La forma di coinvolgimento unica è quella dell'opera come specchio, nella quale il dualismo continua darsi per inteso.
Ed in fondo è proprio questo l'ultima forza della prospettiva scavata oltre il senso comune: "La scoperta della posizione fissa dell'esperienza visiva, e cioè della prospettiva, costringe lo spettatore ad una visione periferica…Questo dualismo tra centro e margine trovò un parallelo nella divisione tra soggetto ed oggetto. E' solo la prospettiva che permette una indagine spassionata e una mancanza di coinvolgimento nel mondo dell'esperienza" [8].
Comincia così a farsi più chiaro il dominio che l'uomo instaura dal suo punto di vista nel quadro e sul quadro; la prospettiva controlla e non si abbandona: "La visione, come nostro solo obiettivo e senso a sé stante, nella sua primaria definizione, scoraggia l'immedesimazione" [9].
A questa stessa questione si collega il problema della illusione tridimensionale: "Nell'arte occidentale europea, l'illusione tridimensionale della profondità deriva dalla separazione dell'elmento meramente visuale dagli altri" [10].
Posto questo parallelo possiamo schiarire l'enigmaticità del controsenso, termine generico per indicare una nuova idea di spazio che comincia a farsi largo nel linguaggio astratto. Il nostro sguardo non dovrà essere più lo sguardo dell'analiticità; se "sotto l'impatto della prospettiva quanto è visto e quanto è conosciuto si equivalgono, con notevole perdita della vita sensoriale" [11], la nuova raffigurazione deve coinvolgere la sensorialità, ed abbiamo cominciato a vederlo, in modo differente.
Inoltre se la prospettiva è conoscenza, si pone già a priori come uno scandaglio pronto a frantumare l'enigma.
Quando parliamo di enigma per la pittura metafisica o per Magritte, noi ci riferiamo infatti ad una riflessione sulla spazialità che è non più cristallizzazione del dualismo, ma quesito, domanda….domanda ancora senza risposta, domanda che aleggia nell'occhio come il senso supremo sul palcoscenico del nostro frammentario punto di vista (che Magritte mette in scena con piena lucidità gnoseologica, che visualizzarono in una unica vibrazione sensoriale Dalì e Bunuel con l'ochio tagliato). Sulla dimensione pittorica comincia a trasferirsi l'interrogativo sulle superfici e sulla comunicazione linguistica che investivano i dipinti della serie dei nomi senza referente, o degli oggetti scavati oltre il nome, come "Questo non è una pipa", epigrafe leggibile a strati posta proprio sotto la raffigurazione della nostra pipa. E domanda oltre lo scritto, ironica meraviglia, incantata tradizione.
Magritte come la pittura astratta che si interroga sul cambiamento della tradizione, riprende il suo occhio in mano; resta da capire come lo vedrà, ossia quanto l'enigma non si impigli nella tradizione.
Lo stesso discorso di tipo generale si può fare per la metafisica, proprio in legame alla sperimentazione."…severa malinconia e geometrismo lirico di spazi deserti, solitarie architetture porticate, piccole stazioni con orologio, alte torri e ciminiere; netto contrasto fra parti illuminate e lunghe ombre portate; enigmatica sospensione della dimensione temporale; presenza immobile e silenziosa di personaggi soli, statue e ombre di misteriose figure; stranianti accostamenti […]I temi filosofici di fondo che si ritrovano in questi quadri riguardano il problema, il mistero, l'enigma dell'identità e dell'esistenza dell'uomo, della sua solitudine del mondo, dei suoi limiti e del suo desiderio d'infinito, del suo essere nello spazio e nel tempo"; qui interviene la questione percettiva perché ciò significa: "il problema e il mistero inquietante del senso della realtà e delle sue categorie strutturali; una realtà che sfugge alla stabilità e alle certezze della rappresentazione oggettiva, in cui le cose e l'uomo stesso si trovano come sospesi e straniati in una enigmatica e obliqua dimensione scollata dal rassicurante gioco di relazioni istituito dalla logica normale" [12]. E quale sarebbe questa logica se non quella del distacco conoscitivo?
Sappiamo del rapporto amore-odio tra surrealismo e metafisica, ma sappiamo anche bene che lo straniamento è una distanziazione che impone una riflessione su se stessa; insomma il silenzio e l'immobilità non sono il figurarsi di un linguaggio che ci pone dinanzi ai contenitori dello spazio-tempo classici? La stessa idea si ritrova nelle geometrie sghembe [13]; questo vuol dire "l'invenzione di un inedito modo di vedere il già visto attraverso un distacco contemplativo (una meditazione visiva)…".
Siamo proprio davanti al palco magrittiano su cui vedere la scena dell'occhio che vede, dell'occhio che non si può più accontentare dell'arte-specchio. Lo sghembo è il bilico da grande equilibrista tra tradizione e nuovo linguaggio. Siamo dinanzi alla riflessione sulla essenza della pittura [14] che si amplia in problema conoscitivo.
Così siamo forse riusciti a dare più forza alla archetipicità del linguaggio di Mirò; Magritte aveva lasciato l'interrogativo su dove andassero le parole rispetto alle superfici dipinte [15], i metafisici avevano lasciato spazi vuoti nella crisi della rappresentazione, e molti surrealisti avevano mescolato le parole alla pittura indicando la necessità di una rimescolamento delle carte sensoriali sul tavolo della tela. 'Mirò aveva creato un linguaggio personale', significa anche questo: aveva 'sentito' nuovi spazi che sono nuove relazioni di cose, nuovi coinvolgimenti sensoriali che accelerano e decelerano non su piani sghembi, ma su di un nuovo coinvolgimento percettivo. Il significato che cade nella forma moltiplica i nuovi spazi sulla superficie consapevole del coinvolgimento bidimensionale;
" Se l'illusione tridimensionale della profondità ha dato prova d'essere un cul-de-sac di un singolo tempo e spazio, la bidimensionalità caratterizza molti spazi in un tempo a più livelli" [16] Nuova potenza del linguaggio di Mirò se ne riusciamo ad arricchire il significato come contro-senso di un senso radicato nella rappresentazione.
Il coinvolgimento dello spettatore diventa necessariamente peculiare pur se è una esigenza di tutte le esperienze del surrealismo. Oltre l'immobilità, la prospettiva disorientante, lo straniamento decontestualizzante, "le connessioni disconnesse" [17], si vengono a creare delle connessioni casuali che fanno spazio in quanto sono spazio. Il frutto del caricamento della linea, da Cezanne in poi qui si coglie maturo e sempre in moto [18].
Non si pone più la questione prettamente visiva del dualismo soggetto-oggetto, reale-apparente; la astrazione della unicità del punto di vista abbandona la strada al realismo di un nuovo coinvolgimento.
Ma qui attraverso il primitivismo di Mirò, ed il coinvolgimento tattile dello spazio a mosaico, termini di riflessione proprio per McLuhan, abbiamo lanciato il ponte più importante verso il problema epistemologico.
Sarà opportuno lasciare il ponte per gettarsi nel mare del tema.

Incursione IV

L'ENIGMA
Sub-Questione Epistemologica

Abbiamo cominciato già a familiarizzare con il problema, con la sospensione dell'enigma, e ne abbiamo visto balenare il disvelante contro-senso nella poetica surrealista. Il più grande teorico surrealista illuminava in modo sconcertante la metaforica conoscitiva del movimento con alcune importanti parole: " E' la potenza dell'illusione che permette di vedere quello che si vuole vedere. E come sappiamo, non esiste un solo modo di vedere" scrive Breton.
L' "occhio dell'artista" diventa il protagonista creativo annullandosi nel vortice di percezioni complesse, abbandonandosi a quel vagheggiato automatismo tanto controverso per artisti come Mirò.
Certo, perché la creazione di un linguaggio originale implica invece un grande controllo artistico, mentre resta senza dubbio quell'abbandono dell'occhio che in relazione al senso di spazio che siam venuti definendo moltiplica esponenzialmente la sua pregnanza.
Andiamo oltre l'enigma magrittiano: il codice realistico, i contenuti 'strani', e quindi il problema della tradizione considerato nel primo capitolo, sono nell'enigma pittorico la scoperta 'meridiana' della fine dell'occhio dominatore. Lì però la vista resta ancora creatrice, gioca sui palchetti che sono i punti di vista nella pittura magrittiana: "L'arte aveva preso visione del mondo e lo aveva tradotto in pittura; ma come si poteva guardare la visione?" [19] Che problema è se non come vedere l'occhio tra le mani dell'uomo? Che questione ci richiama alla mente se non quella di uno scuotimento della vista dal suo dominio geometrico supposto onnisciente? La mano tocca l'occhio, esplode un nuovo coinvolgimento sensoriale che prelude a spazi tattili, a nuove superfici, come negli oggetto-collage di Miro'.
"L'occhio che vede è a sua volta visto; l'artista stesso non guarda la realtà contingente ma la visione che si compone nel suo occhio; questo è sospeso nel vuoto, sostenuto da una mano senza corpo e la realtà che lo circonda è insieme sensata ed insensata, continua e discontinua, ma ha una sua giustificazione logica nella consistenza della vision." [20].
La visione si carica di emozioni di vario tipo che ne annullano la impressionistica neutralità, che ne svellono le radici assetate a fondo sul terreno della mimesi [21].
"Non esiste una profondità, non esiste una prospettiva. Non esistono delle distanze, esistono invece dei punti di vista […]La superficie è visibile, lo spazio è intuibile: buia caverna potenziale che si spalanca misteriosamente tra noi e la nostra immagine di cui siamo la proiezione" [22].
La rappresentazione gioca tra logico ed illogico, gioca ma lo fa con la sua interna crisi, con la sua emorragica fenditura; "…è sufficiente guardare la visione, de-scrivere le sue crisi, il suo ictus, le sue continuità e discontinuità, le intercapedini, i pieni ed i vuoti" [23].
Il problema della superficie e della bidimensionalità in rapporto alla tridimensionlaità qui si esplica come "tormento visivo" [24].
D'altra parte immaginiamo la stessa tecnica del frottage posta in voga da alcuni surrealisti [25]: essa nasceva dall'idea di rappresentare uno spazio sorto dalle ceneri della struttura della visione pittorica prospettica. Bisognava dipingere ciò che i colori creavano sulle superfici degli occhi chiusi; è l'estrema potenza provocatorio-evocativa del massimo contro-senso rispetto alla pittoricità tradizionale!
La pittura si svela come mezzo, come grande medium.
Per McLuhan ricordiamo che il medium è una estensione sensoriale che si precisa ma può anche essere sconvolta dalla interazione con altri contesti sensoriali. Nella pittura astratta sta cambiando proprio il tipo di coinvolgimento.
Il dualismo soggetto-oggetto è diventato una fenditura sulla quale non è più possibile il ponte della immedesimazione, tanto meno quello della neutralità mimetica [26]
Nuovi paradigmi epistemologici nascono dal roteare dei sensi in processo, dalle loro metamorfosi ed improvvise immobilità.
Rivediamo l'idea del contenuto che precipita nella forma in Miro': che significa in questa nuova radura problematica? Evidentemente significa la scomparsa dell'interesse ad analizzare ciò che c'è da una parte e dall'altra della fenditura; non interessa cioè la mistica del soggetto, né la distinzione troppo dualista tra apparenza e realtà, tra visione ed essenza.
Questa divisione era ancora troppo tridimensionale ed avrebbe chiuso le porte ad un nuovo coinvolgimento.
L'archetipo di Miro' assorbe questi sensi e li esprime in codice personale [27].
Scriveva McLuhan nelle epigrafi del suo dialogo spaziale: "Spregio della frammentazione sensoriale visiva. Unità sensoriale iconica usata come stimolo esplorativo della nuova epoca" [28]
Ma è l'eco di un'altra importante epigrafe che scuote il coinvolgimento dello spettatore nella pittura dell'artista catalano, fattore di capitale importanza laddove il problema è un ridislocamento della questione soggetto-oggetto e dell'idea che abbiamo visto di arte-specchio:
"La pittura come fonte di luce catapulta il lettore nel punto di fuga" [29], il lettore non sarà più lettore, non seguirà più le linee narrative, ma quelle multisensoriali e multitemporali del primitivismo medievale.
"Il vedente vive abitualmente in un mondo di continuità, connessione e prospettiva. Prende per scontato di avere un punto di vista, semplicemente arrestando i propri movimenti e assumendo un'unica posizione, a cui si riferisce talvolta come la posizione corretta. In opposizione […] il mondo del tatto rifiuta le linee narrative come pure le linee melodiche" [30].
Si cominciano a spalancare le porte al senso di ciò in rapporto alla edificazione materiale e tridimensionale, ossia si apre il senso di quello spazio a mosaico che ad esempio Mumford vagheggiava per la città [31].
La rappresentazione si fonda sulla vista, sulla sua uniformità di connessioni, e paradossalmente ciò esclude il coinvolgimento [32]. Lo spazio a mosaico è quello che si fa seguire, si fa vivere ma non si fa dominare in un monosensoriale abbraccio euclideo.
"L'arte astratta segnò la fine dello spazio visivo" [33].


[1] Il termine metamorfosi si collega ad un'altra esperienza tipicamente surrealista, sia propriamente pittorica, sia letteraria. Ne è un esempio la pittura di Andrè Masson, che risolve il processo matamorfico in una barocca esplosione di oggetti, in una deformata disarticolazione della forma superata dal debordare della materia. Proprio la presenza così forte della materia, crea un perenne atmosfera di movimento bloccato. Torneremo sulla idea di movimento colto in un solo istante per indicarne un residuo di vecchia tradizione geometrica meno presente nel linguaggio di Mirò che sotto questo punto di vista si presenta più estraneato e innovativo.
Infatti Miro' scriverà: " L'immobilità mi colpisce…", ossia è l'immobilità a dare l'impulso della tensione mentale alla ricerca. La stessa immobilità meridiana, era quella che farà riflettere la pittura metafisica sulla prospettiva caricata di nuovi segni enigmatici. Il movimento tridimensionale è ancora troppo prospettico, ne nascerà un altro.
Cfr. R.LUBAR- C. GREEN, MIRO', op. cit. p.9.
Per la metafisica cfr. F.POLI, LA METAFISICA, 1989, Bari, Edizioni Laterza; p.175, dove le considerazioni sullo spazio vuoto ci riportano alla mente alcune parole ancora di Miro': "Nei miei quadri si trovano spesso forme minuscole in vasti spazi vuoti". La prospettiva disorienta in entrambe queste nuove mitologie, dato che curiosamente anche Poli definisce il linguaggio della metafisica come nuova mitologia. Sullo spazio c'è evidentemente molto da riflettere.
Su Masson cfr. M. RAGOZZINO, SURREALISMO, op. cit. p. 13.
[2] Cfr. M. Mc LUHAN, GLI STRUMENTI DEL COMUNICARE, 1967, Milano, Il Saggiatore. In questo testo è contenuta la celebre frase secondo la quale "Il medium è il messaggio".
Cogliamo l'occasione per chiarire che il riferimento al pensatore canadese vale soprattutto per quanto egli scrive in relazione allo spazio in poesia come in pittura. Non vogliamo sostenere che le sue tesi provocatorie siano sempre condivisibili, ma senz'altro l'uso della sua terminologia dirompente ci è sembrato molto fecondo nell'interpretazione di queste nuove ricerche spaziali che qui sembrano aver luogo.
McLuhan analizza l'ambiente e i linguaggi di percezione dell'ambiente stesso, e mescola alla sua analisi filosofico-tecnica, anche osservazioni di urbanistica, richiamandosi alla grande lezione di L. Mumford.
Quindi utilizziamo le sue idee anche se non specificamente riferite alle correnti pittoriche cui ci riferiamo. Il discorso del superamento, o del tentativo di superare la prospettiva, intendiamo porlo in una dimensione ambientale.
Cfr. L. MUMFORD, LA CULTURA DELLE CITTA', 1999, Torino, Edizioni di Comunità.
[3] M. Mc LUHAN, IL PUNTO DI FUGA- Lo SPAZIO IN POESIA E PITTURA, 1968, Milano, Sugarco; p.21.
[4] Ivi, p.27.
[5]Ivi, p.29.
[6] Il duplice piano di pittura e poesia segnala come per il surrealismo la tensione del problema conoscitivo passasse attraverso lo straniamento, infatti straniamento era senz'altro l'unire le parole alla linea; anche se di qui a creare un nuovo linguaggio radicato 'mitologicamente' ci vorrà ancora qualche passo.
[7] M. Mc LUHAN, IL PUNTO DI FUGA- Lo SPAZIO IN POESIA E PITTURA, op. cit. p.28.
[8] Ivi, p.36.
[9] Ivi, p.95.
[10] Ivi, p.73.
[11] Ivi, p.91.
[12] F. POLI, LA METAFISICA, op. cit. p.101-102.
[13] Ivi, p.147.
[14] Ivi, p.157. Comincia anche qui a trasparire la problematicità del rapporto tra rappresentazione ed oggetto.
[15] Il filosofo strutturalista M. Foucault è stato autore di una lunga analisi di questo problema a partire dalla famosa raffigurazione magrittiana. Quello che mette soprattutto in evidenza è la possibilità di riflettere su strutture conoscitive e linguistiche che tali raffigurazioni offrono.
[16] M. Mc LUHAN, IL PUNTO DI FUGA- Lo SPAZIO IN POESIA E PITTURA, op. cit. p.73.
[17] R.LUBAR-C.GREEN, MIRO', op. cit. Cfr. p. 23 e p.37.
[18] E' opportuno sottolineare l'importanza che in tutti i testi analizzati viene attribuita al maestro Cezanne, il quale evidentemente rappresenta un primo punto di rottura con il prospettivismo realistico della ricerca impressionista. Ricerca importante, come sottolinea McLuhan, in quanto ha portato alla ribalta il ruolo della luce come 'punto di vista', come estremo distacco per la più perfetta mimesi neutralizzante della natura; con Cezanne è la linea a cominciare a cercare suoi spazi.
Cfr. M. Mc LUHAN, IL PUNTO DI FUGA- Lo SPAZIO IN POESIA E PITTURA, op. cit. p.38
Cfr. F.POLI, LA METAFISICA, op. cit. p. 132 e p.146.
[19] G.CORTENOVA, MAGRITTE, op. cit. p.14.
[20] Ibidem.
[21] Si pensi alla tela magrittiana 'Il Paesaggio Interiore', dove il quadro nel quadro esprime la crisi della rappresentazione sulla superficie.
[22] G.CORTENOVA, MAGRITTE, op. cit. p.16.
[23] Ivi, p.17.
[24] ivi, p.27.
[25] Pare che tale idea risalisse al romantico C. D. Friederich il quale sosteneva l'importanza di saper dipingere nell'abbandono delle immagini derivante dal tenere gli occhi chiusi. Era comunque un modo di scomodarsi dalla poltrona prospettica, alla stessa stregua degli altri giochi surrealisti.
[26] Cfr. G.CORTENOVA, MAGRITTE, op. cit. p.33 in cui traspare la paradossale esigenza di una essenza formale ormai impossibile nelle certezze rovesciato della neutralità della prospettiva.
Si veda come si ripresenta il problema in F. POLI, LA METAFISICA, op. cit. pp. 157-158.La ricerca dell'essenza è ancora più evidentemente legata ad una matrice 'letteraria' analitica e lineare.
[27] M. MCLUHAN, IL PUNTO DI FUGA, op. cit. p.118."Il dilemma della cultura visiva è già presente in un crescente senso di divisione fra apparenza e realtà".
Cfr. F. POLI, LA METAFISICA, op. cit. p.84.La crisi della rappresentazione nella metafisica sembra volgere verso il tentativo da parte del soggetto di annullarsi nell'immobilità dell'oggetto.
[28] M. MCLUHAN, IL PUNTO DI FUGA, op. cit. p. 159.
[29] Ivi, p.199.
[30] Ivi, p.239.
[31] Cfr. L.MUMFORD, LA CULTURA DELLE CITTA', op. cit. Abbiamo letto l'utopia urbanistica di Mumford proprio sulla base della espressione della necessità di non pianificare la città sulla base di una distaccata e visiva percezione di dominio prospettico. Qui dalle drammatiche descrizioni della inabitabilità, emerge la necessità di una minore astrazione del coinvolgimento dei sensi umano.
Grande lezione, indipendentemente dalle critiche innumerevoli mosse in temi di merito sul libro.
[32] M. MCLUHAN, IL PUNTO DI FUGA, op. cit. p. 257-258.
[33] M. MCLUHAN, IL PUNTO DI FUGA, op. cit. p. 207.