Le
prime due incursioni (http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/19.htm),
che costituiscono la prima parte di un percorso
di scavo estetico in tre momenti, hanno ripercorso il rapporto
di Mirò con il linguaggio tradizionale ed il surrealismo
come estraniazione per poi addentrarsi nella questione contenuto-forma.
Attraverso le altre due Incursioni, che qui presento, si
tenterà di evidenziare la non scontata tridimensionalità
della pittura dell'artista catalano, una pittura che aveva
'sentito' nuovi spazi come nuove relazioni di cose, nuovi
coinvolgimenti sensoriali che accelerano e decelerano non
su piani sghembi, ma su di un nuovo coinvolgimento percettivo.
Incursione III
IL SENSO DELLA PROSPETTIVA GEOMETRICA
IL CONTRO-SENSO DI UN NUOVO SPAZIO
Le figure diventeranno metafore,
le parole si connetteranno in intrecci di linee di una ricercata
casualità, la dimensione onirica riproporrà
l'osservazione minuziosa dei coinvolgenti paesaggi multidirezionali
e "multisensoriali"
.Saranno questi alcuni
degli elementi della continua metamorfosi [1]
di forme nella attività di Mirò; un gioco
instancabile che qui non andiamo riassumendo in una prospettiva
rigidamente diacronica che risulterebbe forse scolastica.
Tracciamo anche noi una linea per squarciare la superficie
tradizionale, e per saccheggiare di ogni esperienza-esperimento
dell'artista catalano, quello che significa per una nuova
'archetipizzazione' della dimensione spaziale.
I surrealisti in generale avevano colto il portentoso valore
di medium della pittura; quindi manipolare la tecnica ha
significato tirare spesso per la maglia l'osservatore, chiamarlo
alla comprensione di un nuovo tipo di creazione, chiamarlo
anche alla comprensione di un passato di pittura "da
museo" incapace di rompere i vetri che segregavano
lo spettatore in fila. Lo scossone, lo shock di cui tanto
si parla ci interessa proprio in questa dimensione di costruttiva
empatia con l'osservatore.
Per cercare di capire il senso della pittura-strumento,
ed in esso il senso della prospettiva classica come tecnica
di coinvolgimento, abbiamo tratto alcuni spunti da uno dei
pensatori più originali del nostro tempo, ovvero
il pensatore che per eccellenza si è fermato sulla
riflessione della potenza del medium nella nostra società
[2], ossia il discusso
M. McLuhan.
Secondo quest'ultimo la prospettiva tradizionale è
legata non solo alla geometrizzazione della visione, ma
anche ad una specifica relazione statico-quantitativa dei
sensi. Nella prospettiva la vista assume il carattere di
dominio e di controllo percettivo; da questo punto di partenza
bisogna arrischiarsi a penetrare un senso della valenza
prospettica delle figure, un senso che ci faccia rendere
conto della non scontata tridimensionalità che la
pittura stessa di Mirò mette in questione.
Ecco come comincia ad essere mesta in questione la sensorialità:
"Il grande vantaggio di studiare lo spazio nelle arti
è che le arti offrono una straordinaria gamma di
situazioni sensoriali per l'esercizio della percezione.
Per esempio, non viene mai comunemente capito che la vista
è l'unico senso che crea l'illusione di spazi uniformi
e connessi" [3]. Il nostro spazio
nasce in una cultura della parola scritta nella quale l'uomo
percepisce la connessione degli spazi e lo spazio stesso
come un contenitore di oggetti; qui l'astrazione di una
prospettiva spaziale tradizionale salta tutta fuori.
Infatti questo verrà specificato: "La costante
crescita della cultura visiva contribuì direttamente
ad un senso di alienazione. Il pensiero si distacca dalle
cose al fine di riflettere su di esse
.Uno dei paradossi
dell'intensa accentuazione dell'esperienza visiva è
che produce la frammentazione. E' paradossale perché
il metodo visivo, da sé, isolatamente, genera uno
spazio uniforme continuo e connesso"
[4] Resta comunque che la vista ha questo rapido potere
di separazione e collocazione che dipende dalla supremazia
prospettica cui abbiamo accennato all'inizio. Nona caso
McLuhan insiste: "La prospettiva in sé è
un tipo di percezione che per la sua stessa natura tende
allo specialismo e alla frammentazione. Insiste sul singolo
punto di vista e ci coinvolge automaticamente in un singolo
spazio" [5], e questo
avviene sia nello spazio che nel tempo, i due contenitori
newtoniani anche dell'esperienza pittorica e linguistica
[6].
Ma ora veniamo al punto più importante: tale elemento
come costituisce un 'senso', ossia come struttura la relazione
con lo spettatore?
Il punto di fuga classico della prospettiva era nel quadro,
era sulla tela. "Con la fuga prospettica venne l'illusione
che lo spazio fosse un continuo tra lo spettatore e la situazione
artistica. Lo spettatore diventa parte delle linee di forza
che trovano il loro fulcro nel punto di fuga" [7].
E qui ritorna la frammentazione ad un livello superiore;
infatti viene sancito il dualismo tra le spettatore e l'attore
che è sulla superficie del quadro, dualismo appunto
geometrico, 'cartesiano'. La forma di coinvolgimento unica
è quella dell'opera come specchio, nella quale il
dualismo continua darsi per inteso.
Ed in fondo è proprio questo l'ultima forza della
prospettiva scavata oltre il senso comune: "La scoperta
della posizione fissa dell'esperienza visiva, e cioè
della prospettiva, costringe lo spettatore ad una visione
periferica
Questo dualismo tra centro e margine trovò
un parallelo nella divisione tra soggetto ed oggetto. E'
solo la prospettiva che permette una indagine spassionata
e una mancanza di coinvolgimento nel mondo dell'esperienza"
[8].
Comincia così a farsi più chiaro il dominio
che l'uomo instaura dal suo punto di vista nel quadro e
sul quadro; la prospettiva controlla e non si abbandona:
"La visione, come nostro solo obiettivo e senso a sé
stante, nella sua primaria definizione, scoraggia l'immedesimazione"
[9].
A questa stessa questione si collega il problema della illusione
tridimensionale: "Nell'arte occidentale europea, l'illusione
tridimensionale della profondità deriva dalla separazione
dell'elmento meramente visuale dagli altri" [10].
Posto questo parallelo possiamo schiarire l'enigmaticità
del controsenso, termine generico per indicare una nuova
idea di spazio che comincia a farsi largo nel linguaggio
astratto. Il nostro sguardo non dovrà essere più
lo sguardo dell'analiticità; se "sotto l'impatto
della prospettiva quanto è visto e quanto è
conosciuto si equivalgono, con notevole perdita della vita
sensoriale" [11],
la nuova raffigurazione deve coinvolgere la sensorialità,
ed abbiamo cominciato a vederlo, in modo differente.
Inoltre se la prospettiva è conoscenza, si pone già
a priori come uno scandaglio pronto a frantumare l'enigma.
Quando parliamo di enigma per la pittura metafisica o per
Magritte, noi ci riferiamo infatti ad una riflessione sulla
spazialità che è non più cristallizzazione
del dualismo, ma quesito, domanda
.domanda ancora senza
risposta, domanda che aleggia nell'occhio come il senso
supremo sul palcoscenico del nostro frammentario punto di
vista (che Magritte mette in scena con piena lucidità
gnoseologica, che visualizzarono in una unica vibrazione
sensoriale Dalì e Bunuel con l'ochio tagliato). Sulla
dimensione pittorica comincia a trasferirsi l'interrogativo
sulle superfici e sulla comunicazione linguistica che investivano
i dipinti della serie dei nomi senza referente, o degli
oggetti scavati oltre il nome, come "Questo non è
una pipa", epigrafe leggibile a strati posta proprio
sotto la raffigurazione della nostra pipa. E domanda oltre
lo scritto, ironica meraviglia, incantata tradizione.
Magritte come la pittura astratta che si interroga sul cambiamento
della tradizione, riprende il suo occhio in mano; resta
da capire come lo vedrà, ossia quanto l'enigma non
si impigli nella tradizione.
Lo stesso discorso di tipo generale si può fare per
la metafisica, proprio in legame alla sperimentazione."
severa
malinconia e geometrismo lirico di spazi deserti, solitarie
architetture porticate, piccole stazioni con orologio, alte
torri e ciminiere; netto contrasto fra parti illuminate
e lunghe ombre portate; enigmatica sospensione della dimensione
temporale; presenza immobile e silenziosa di personaggi
soli, statue e ombre di misteriose figure; stranianti accostamenti
[
]I temi filosofici di fondo che si ritrovano in questi
quadri riguardano il problema, il mistero, l'enigma dell'identità
e dell'esistenza dell'uomo, della sua solitudine del mondo,
dei suoi limiti e del suo desiderio d'infinito, del suo
essere nello spazio e nel tempo"; qui interviene la
questione percettiva perché ciò significa:
"il problema e il mistero inquietante del senso della
realtà e delle sue categorie strutturali; una realtà
che sfugge alla stabilità e alle certezze della rappresentazione
oggettiva, in cui le cose e l'uomo stesso si trovano come
sospesi e straniati in una enigmatica e obliqua dimensione
scollata dal rassicurante gioco di relazioni istituito dalla
logica normale" [12]. E quale
sarebbe questa logica se non quella del distacco conoscitivo?
Sappiamo del rapporto amore-odio tra surrealismo e metafisica,
ma sappiamo anche bene che lo straniamento è una
distanziazione che impone una riflessione su se stessa;
insomma il silenzio e l'immobilità non sono il figurarsi
di un linguaggio che ci pone dinanzi ai contenitori dello
spazio-tempo classici? La stessa idea si ritrova nelle geometrie
sghembe [13]; questo vuol
dire "l'invenzione di un inedito modo di vedere il
già visto attraverso un distacco contemplativo (una
meditazione visiva)
".
Siamo proprio davanti al palco magrittiano su cui vedere
la scena dell'occhio che vede, dell'occhio che non si può
più accontentare dell'arte-specchio. Lo sghembo è
il bilico da grande equilibrista tra tradizione e nuovo
linguaggio. Siamo dinanzi alla riflessione sulla essenza
della pittura [14]
che si amplia in problema conoscitivo.
Così siamo forse riusciti a dare più forza
alla archetipicità del linguaggio di Mirò;
Magritte aveva lasciato l'interrogativo su dove andassero
le parole rispetto alle superfici dipinte [15],
i metafisici avevano lasciato spazi vuoti nella crisi della
rappresentazione, e molti surrealisti avevano mescolato
le parole alla pittura indicando la necessità di
una rimescolamento delle carte sensoriali sul tavolo della
tela. 'Mirò aveva creato un linguaggio personale',
significa anche questo: aveva 'sentito' nuovi spazi che
sono nuove relazioni di cose, nuovi coinvolgimenti sensoriali
che accelerano e decelerano non su piani sghembi, ma su
di un nuovo coinvolgimento percettivo. Il significato che
cade nella forma moltiplica i nuovi spazi sulla superficie
consapevole del coinvolgimento bidimensionale;
" Se l'illusione tridimensionale della profondità
ha dato prova d'essere un cul-de-sac di un singolo tempo
e spazio, la bidimensionalità caratterizza molti
spazi in un tempo a più livelli" [16]
Nuova potenza del linguaggio di Mirò se ne riusciamo
ad arricchire il significato come contro-senso di un senso
radicato nella rappresentazione.
Il coinvolgimento dello spettatore diventa necessariamente
peculiare pur se è una esigenza di tutte le esperienze
del surrealismo. Oltre l'immobilità, la prospettiva
disorientante, lo straniamento decontestualizzante, "le
connessioni disconnesse" [17],
si vengono a creare delle connessioni casuali che fanno
spazio in quanto sono spazio. Il frutto del caricamento
della linea, da Cezanne in poi qui si coglie maturo e sempre
in moto [18].
Non si pone più la questione prettamente visiva del
dualismo soggetto-oggetto, reale-apparente; la astrazione
della unicità del punto di vista abbandona la strada
al realismo di un nuovo coinvolgimento.
Ma qui attraverso il primitivismo di Mirò, ed il
coinvolgimento tattile dello spazio a mosaico, termini di
riflessione proprio per McLuhan, abbiamo lanciato il ponte
più importante verso il problema epistemologico.
Sarà opportuno lasciare il ponte per gettarsi nel
mare del tema.
Incursione IV
L'ENIGMA
Sub-Questione Epistemologica
Abbiamo cominciato già
a familiarizzare con il problema, con la sospensione dell'enigma,
e ne abbiamo visto balenare il disvelante contro-senso nella
poetica surrealista. Il più grande teorico surrealista
illuminava in modo sconcertante la metaforica conoscitiva
del movimento con alcune importanti parole: " E' la
potenza dell'illusione che permette di vedere quello che
si vuole vedere. E come sappiamo, non esiste un solo modo
di vedere" scrive Breton.
L' "occhio dell'artista" diventa il protagonista
creativo annullandosi nel vortice di percezioni complesse,
abbandonandosi a quel vagheggiato automatismo tanto controverso
per artisti come Mirò.
Certo, perché la creazione di un linguaggio originale
implica invece un grande controllo artistico, mentre resta
senza dubbio quell'abbandono dell'occhio che in relazione
al senso di spazio che siam venuti definendo moltiplica
esponenzialmente la sua pregnanza.
Andiamo oltre l'enigma magrittiano: il codice realistico,
i contenuti 'strani', e quindi il problema della tradizione
considerato nel primo capitolo, sono nell'enigma pittorico
la scoperta 'meridiana' della fine dell'occhio dominatore.
Lì però la vista resta ancora creatrice, gioca
sui palchetti che sono i punti di vista nella pittura magrittiana:
"L'arte aveva preso visione del mondo e lo aveva tradotto
in pittura; ma come si poteva guardare la visione?"
[19] Che problema è
se non come vedere l'occhio tra le mani dell'uomo? Che questione
ci richiama alla mente se non quella di uno scuotimento
della vista dal suo dominio geometrico supposto onnisciente?
La mano tocca l'occhio, esplode un nuovo coinvolgimento
sensoriale che prelude a spazi tattili, a nuove superfici,
come negli oggetto-collage di Miro'.
"L'occhio che vede è a sua volta visto; l'artista
stesso non guarda la realtà contingente ma la visione
che si compone nel suo occhio; questo è sospeso nel
vuoto, sostenuto da una mano senza corpo e la realtà
che lo circonda è insieme sensata ed insensata, continua
e discontinua, ma ha una sua giustificazione logica nella
consistenza della vision." [20].
La visione si carica di emozioni di vario tipo che ne annullano
la impressionistica neutralità, che ne svellono le
radici assetate a fondo sul terreno della mimesi [21].
"Non esiste una profondità, non esiste una prospettiva.
Non esistono delle distanze, esistono invece dei punti di
vista [
]La superficie è visibile, lo spazio
è intuibile: buia caverna potenziale che si spalanca
misteriosamente tra noi e la nostra immagine di cui siamo
la proiezione" [22].
La rappresentazione gioca tra logico ed illogico, gioca
ma lo fa con la sua interna crisi, con la sua emorragica
fenditura; "
è sufficiente guardare la
visione, de-scrivere le sue crisi, il suo ictus, le sue
continuità e discontinuità, le intercapedini,
i pieni ed i vuoti" [23].
Il problema della superficie e della bidimensionalità
in rapporto alla tridimensionlaità qui si esplica
come "tormento visivo" [24].
D'altra parte immaginiamo la stessa tecnica del frottage
posta in voga da alcuni surrealisti [25]:
essa nasceva dall'idea di rappresentare uno spazio sorto
dalle ceneri della struttura della visione pittorica prospettica.
Bisognava dipingere ciò che i colori creavano sulle
superfici degli occhi chiusi; è l'estrema potenza
provocatorio-evocativa del massimo contro-senso rispetto
alla pittoricità tradizionale!
La pittura si svela come mezzo, come grande medium.
Per McLuhan ricordiamo che il medium è una estensione
sensoriale che si precisa ma può anche essere sconvolta
dalla interazione con altri contesti sensoriali. Nella pittura
astratta sta cambiando proprio il tipo di coinvolgimento.
Il dualismo soggetto-oggetto è diventato una fenditura
sulla quale non è più possibile il ponte della
immedesimazione, tanto meno quello della neutralità
mimetica [26]
Nuovi paradigmi epistemologici nascono dal roteare dei sensi
in processo, dalle loro metamorfosi ed improvvise immobilità.
Rivediamo l'idea del contenuto che precipita nella forma
in Miro': che significa in questa nuova radura problematica?
Evidentemente significa la scomparsa dell'interesse ad analizzare
ciò che c'è da una parte e dall'altra della
fenditura; non interessa cioè la mistica del soggetto,
né la distinzione troppo dualista tra apparenza e
realtà, tra visione ed essenza.
Questa divisione era ancora troppo tridimensionale ed avrebbe
chiuso le porte ad un nuovo coinvolgimento.
L'archetipo di Miro' assorbe questi sensi e li esprime in
codice personale [27].
Scriveva McLuhan nelle epigrafi del suo dialogo spaziale:
"Spregio della frammentazione sensoriale visiva. Unità
sensoriale iconica usata come stimolo esplorativo della
nuova epoca" [28]
Ma è l'eco di un'altra importante epigrafe che scuote
il coinvolgimento dello spettatore nella pittura dell'artista
catalano, fattore di capitale importanza laddove il problema
è un ridislocamento della questione soggetto-oggetto
e dell'idea che abbiamo visto di arte-specchio:
"La pittura come fonte di luce catapulta il lettore
nel punto di fuga" [29],
il lettore non sarà più lettore, non seguirà
più le linee narrative, ma quelle multisensoriali
e multitemporali del primitivismo medievale.
"Il vedente vive abitualmente in un mondo di continuità,
connessione e prospettiva. Prende per scontato di avere
un punto di vista, semplicemente arrestando i propri movimenti
e assumendo un'unica posizione, a cui si riferisce talvolta
come la posizione corretta. In opposizione [
] il mondo
del tatto rifiuta le linee narrative come pure le linee
melodiche" [30].
Si cominciano a spalancare le porte al senso di ciò
in rapporto alla edificazione materiale e tridimensionale,
ossia si apre il senso di quello spazio a mosaico che ad
esempio Mumford vagheggiava per la città [31].
La rappresentazione si fonda sulla vista, sulla sua uniformità
di connessioni, e paradossalmente ciò esclude il
coinvolgimento [32]. Lo spazio a mosaico è quello
che si fa seguire, si fa vivere ma non si fa dominare in
un monosensoriale abbraccio euclideo.
"L'arte astratta segnò la fine dello spazio
visivo" [33].
[1] Il termine
metamorfosi si collega ad un'altra esperienza tipicamente
surrealista, sia propriamente pittorica, sia letteraria.
Ne è un esempio la pittura di Andrè Masson,
che risolve il processo matamorfico in una barocca esplosione
di oggetti, in una deformata disarticolazione della forma
superata dal debordare della materia. Proprio la presenza
così forte della materia, crea un perenne atmosfera
di movimento bloccato. Torneremo sulla idea di movimento
colto in un solo istante per indicarne un residuo di vecchia
tradizione geometrica meno presente nel linguaggio di Mirò
che sotto questo punto di vista si presenta più estraneato
e innovativo.
Infatti Miro' scriverà: " L'immobilità
mi colpisce
", ossia è l'immobilità
a dare l'impulso della tensione mentale alla ricerca. La
stessa immobilità meridiana, era quella che farà
riflettere la pittura metafisica sulla prospettiva caricata
di nuovi segni enigmatici. Il movimento tridimensionale
è ancora troppo prospettico, ne nascerà un
altro.
Cfr. R.LUBAR- C. GREEN, MIRO', op. cit. p.9.
Per la metafisica cfr. F.POLI, LA METAFISICA, 1989, Bari,
Edizioni Laterza; p.175, dove le considerazioni sullo spazio
vuoto ci riportano alla mente alcune parole ancora di Miro':
"Nei miei quadri si trovano spesso forme minuscole
in vasti spazi vuoti". La prospettiva disorienta in
entrambe queste nuove mitologie, dato che curiosamente anche
Poli definisce il linguaggio della metafisica come nuova
mitologia. Sullo spazio c'è evidentemente molto da
riflettere.
Su Masson cfr. M. RAGOZZINO, SURREALISMO, op. cit. p. 13.
[2] Cfr. M. Mc LUHAN, GLI STRUMENTI DEL COMUNICARE, 1967,
Milano, Il Saggiatore. In questo testo è contenuta
la celebre frase secondo la quale "Il medium è
il messaggio".
Cogliamo l'occasione per chiarire che il riferimento al
pensatore canadese vale soprattutto per quanto egli scrive
in relazione allo spazio in poesia come in pittura. Non
vogliamo sostenere che le sue tesi provocatorie siano sempre
condivisibili, ma senz'altro l'uso della sua terminologia
dirompente ci è sembrato molto fecondo nell'interpretazione
di queste nuove ricerche spaziali che qui sembrano aver
luogo.
McLuhan analizza l'ambiente e i linguaggi di percezione
dell'ambiente stesso, e mescola alla sua analisi filosofico-tecnica,
anche osservazioni di urbanistica, richiamandosi alla grande
lezione di L. Mumford.
Quindi utilizziamo le sue idee anche se non specificamente
riferite alle correnti pittoriche cui ci riferiamo. Il discorso
del superamento, o del tentativo di superare la prospettiva,
intendiamo porlo in una dimensione ambientale.
Cfr. L. MUMFORD, LA CULTURA DELLE CITTA', 1999, Torino,
Edizioni di Comunità.
[3] M. Mc LUHAN, IL PUNTO DI FUGA- Lo SPAZIO IN POESIA E
PITTURA, 1968, Milano, Sugarco; p.21.
[4] Ivi, p.27.
[5]Ivi, p.29.
[6] Il duplice piano di pittura e poesia segnala come per
il surrealismo la tensione del problema conoscitivo passasse
attraverso lo straniamento, infatti straniamento era senz'altro
l'unire le parole alla linea; anche se di qui a creare un
nuovo linguaggio radicato 'mitologicamente' ci vorrà
ancora qualche passo.
[7] M. Mc LUHAN, IL PUNTO DI FUGA- Lo SPAZIO IN POESIA E
PITTURA, op. cit. p.28.
[8] Ivi, p.36.
[9] Ivi, p.95.
[10] Ivi, p.73.
[11] Ivi, p.91.
[12] F. POLI, LA METAFISICA, op. cit. p.101-102.
[13] Ivi, p.147.
[14] Ivi, p.157. Comincia anche qui a trasparire la problematicità
del rapporto tra rappresentazione ed oggetto.
[15] Il filosofo strutturalista M. Foucault è stato
autore di una lunga analisi di questo problema a partire
dalla famosa raffigurazione magrittiana. Quello che mette
soprattutto in evidenza è la possibilità di
riflettere su strutture conoscitive e linguistiche che tali
raffigurazioni offrono.
[16] M. Mc LUHAN, IL PUNTO DI FUGA- Lo SPAZIO IN POESIA
E PITTURA, op. cit. p.73.
[17] R.LUBAR-C.GREEN, MIRO', op. cit. Cfr. p. 23 e p.37.
[18] E' opportuno sottolineare l'importanza che in tutti
i testi analizzati viene attribuita al maestro Cezanne,
il quale evidentemente rappresenta un primo punto di rottura
con il prospettivismo realistico della ricerca impressionista.
Ricerca importante, come sottolinea McLuhan, in quanto ha
portato alla ribalta il ruolo della luce come 'punto di
vista', come estremo distacco per la più perfetta
mimesi neutralizzante della natura; con Cezanne è
la linea a cominciare a cercare suoi spazi.
Cfr. M. Mc LUHAN, IL PUNTO DI FUGA- Lo SPAZIO IN POESIA
E PITTURA, op. cit. p.38
Cfr. F.POLI, LA METAFISICA, op. cit. p. 132 e p.146.
[19] G.CORTENOVA, MAGRITTE, op. cit. p.14.
[20] Ibidem.
[21] Si pensi alla tela magrittiana 'Il Paesaggio Interiore',
dove il quadro nel quadro esprime la crisi della rappresentazione
sulla superficie.
[22] G.CORTENOVA, MAGRITTE, op. cit. p.16.
[23] Ivi, p.17.
[24] ivi, p.27.
[25] Pare che tale idea risalisse al romantico C. D. Friederich
il quale sosteneva l'importanza di saper dipingere nell'abbandono
delle immagini derivante dal tenere gli occhi chiusi. Era
comunque un modo di scomodarsi dalla poltrona prospettica,
alla stessa stregua degli altri giochi surrealisti.
[26] Cfr. G.CORTENOVA, MAGRITTE, op. cit. p.33 in cui traspare
la paradossale esigenza di una essenza formale ormai impossibile
nelle certezze rovesciato della neutralità della
prospettiva.
Si veda come si ripresenta il problema in F. POLI, LA METAFISICA,
op. cit. pp. 157-158.La ricerca dell'essenza è ancora
più evidentemente legata ad una matrice 'letteraria'
analitica e lineare.
[27] M. MCLUHAN, IL PUNTO DI FUGA, op. cit. p.118."Il
dilemma della cultura visiva è già presente
in un crescente senso di divisione fra apparenza e realtà".
Cfr. F. POLI, LA METAFISICA, op. cit. p.84.La crisi della
rappresentazione nella metafisica sembra volgere verso il
tentativo da parte del soggetto di annullarsi nell'immobilità
dell'oggetto.
[28] M. MCLUHAN, IL PUNTO DI FUGA, op. cit. p. 159.
[29] Ivi, p.199.
[30] Ivi, p.239.
[31] Cfr. L.MUMFORD, LA CULTURA DELLE CITTA', op. cit. Abbiamo
letto l'utopia urbanistica di Mumford proprio sulla base
della espressione della necessità di non pianificare
la città sulla base di una distaccata e visiva percezione
di dominio prospettico. Qui dalle drammatiche descrizioni
della inabitabilità, emerge la necessità di
una minore astrazione del coinvolgimento dei sensi umano.
Grande lezione, indipendentemente dalle critiche innumerevoli
mosse in temi di merito sul libro.
[32] M. MCLUHAN, IL PUNTO DI FUGA, op. cit. p. 257-258.
[33] M. MCLUHAN, IL PUNTO DI FUGA, op. cit. p. 207.
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