Il vecchio fece una pausa, poi
riprese: "Sono dieci anni, ragazzo, che lavoro! Ma
cosa sono dieci brevi anni, quando si tratta di lottare
con la natura? Noi non sappiamo quanto tempo impiegò
il grande Pigmalione per compiere la sola statua che abbia
camminato!" Honoré de Balzac
[1]
Dieci brevi anni della vita
di Mauro Manca
Negli
anni Cinquanta l'arte in Sardegna era ferma da lungo tempo.
L'aiutava a resistere, però, un gruppo di artisti
che, vivendo in un contesto appartato, conservavano una
capacità di riflettere e di "inventare"
che si autorigenerava, producendo ancora una pittura bella
e vigorosa, ispirata alle tematiche profonde della propria
condizione di vita e alla storia dell'isola.
In questo contesto si inserisce l'esperienza di Mauro Manca.
Pur con tutto il suo carisma, egli non è stato come
pittore un caposcuola, un punto di riferimento diretto per
le nuove generazioni di artisti: è stato piuttosto
un direttore di scena, un animatore culturale per coloro
che gli vivevano intorno e che erano capaci di cogliere
il senso della sua lezione. Proprio in quegli anni Cinquanta
egli seppe identificare il suo percorso artistico con quello
della Sardegna stessa; agiva come se si fosse assunto il
difficile compito di aggiornare i registri dell'arte isolana.
Credeva in un'arte europea e insieme nella individualità
della cultura sarda; in un'arte, dunque, che si specchiasse
nelle proprie radici senza citazioni dirette.
L'astrazione è un'elaborazione remota del nostro
pensiero; l'arte nasce dall'individuo, ma per sopravvivere
deve appartenere a tutta la collettività. Pessoa
dice: "Passo e resto come l'universo": l'arte
è l'universo.
Di Mauro Manca nessuno ha forse messo sufficientemente in
luce un progetto "generale", che si è perfezionato
nel tempo a cominciare dal trasferimento a Roma e dal contatto
con i maggiori artisti italiani che operavano nella capitale
e che guardavano alla moderna pittura francese, fino al
suo ritorno in Sardegna come vincitore del premio della
prima, animata Biennale nuorese di pittura e al suo insediamento,
qualche anno dopo, come direttore dell'Istituto d'Arte per
la Sardegna, che aveva sede a Sassari.
Ingresso dell'Istituto
d'Arte di Sassari, oggi
A volte la vita combina le cose
in modo tale che sembrano nate per svolgersi come poi si
sono effettivamente svolte.
Con la sua direzione Mauro Manca farà capire subito
che la scuola non ricerca nell'allievo il grande talento,
come sembra fosse la preoccupazione principale nella precedente
direzione del pur grande Filippo Figari (il mito romantico
della "scoperta" dell'artista eccezionale), ma
che il suo obiettivo era quello di rinnovare il costume
artistico e aggiornare il sistema di relazioni culturali
nell'isola.
I rapporti di Mauro Manca con gli artisti locali, che sono
di grande qualità, furono difficili, a volte irrazionali,
o radicali.
Quando si parlava con lui di arte, la tesi in discussione
non era mai rifiutata da lui né a parole, né
nei gesti, ma il suo disappunto si poteva intuire in un
sottile evanescente senso di rifiuto che gli si leggeva
sul suo viso.
Con i giovani era comprensivo e tollerante, da vero educatore.
Nel luglio del 1959 ricevette l'incarico di dirigere l'Istituto
d'Arte di Sassari, una scuola prestigiosa, un antico laboratorio
di mestiere che chiedeva di essere attualizzato.
In realtà, Mauro Manca aveva ereditato una macchina
gloriosa ma antica: e l'aveva ereditata proprio in un periodo
di massima contraddizione per questo tipo di scuola e per
la sua funzione sociale.
A 34 anni dalla sua morte possiamo affermare che le sue
aspettative di un traghettamento della cultura sarda verso
l'arte moderna si sono realizzate; come del resto lo furono,
al suo tempo, per il fondatore della scuola, il grande pittore
Filippo Figari.
La direzione di Figari diede vita ad una sorta di grande
bottega d'arte, con alla testa il maestro che guidava gli
allievi verso la realizzazione di un'unica opera plurale,
attraverso canoni che il maestro aveva tracciato. Tra questi
allievi Figari selezionava il singolo talento e lo curava
personalmente.
Mauro Manca voleva convertire il valore individuale in valore
collettivo: principi che amareggeranno anche lui negli ultimi
anni della sua vita, quando dovrà mediare la gestione
della scuola con l'organizzazione, appena nata, del nuovo
potere sindacale.
Lui che era stato tra i primi ad aver intuito il cambiamento,
doveva scendere a patti con la base e presiedere il collegio
del personale.
Mauro Manca era un talento naturale. Nel 1938 parte della
sua famiglia si era trasferita a Roma, dove, a contatto
con la pittura romana (che aveva allora ben altri modelli
rispetto a quella sarda), ebbe la prima iniziazione all'arte
europea, segnata dall'onnipresente matrice picassiana (in
tutti i suoi periodi) e cubista.
1. M. Manca,
"Scena di fustigazione"
Il Picasso che scopriva (e che
"imitava") era il Picasso ammorbidito dalla pittura
degli artisti romani. Sotto la loro ala Mauro andava alla
ricerca della propria strada. Roma lo formerà ma
non gli darà l'identità stilistica, che era
invece profondamente radicata nella sua sardità tra
mitologia e modernità, tra arcaismo e contemporaneità.
L'ironico, sconvolgente, veritiero e catartico racconto
breve di Honoré de Balzac "Il capolavoro sconosciuto"
ci offre lo spunto di una riflessione. Il personaggio centrale
del racconto, il maestro Frenhofer, pittore emblematico,
proteso verso la creazione dell'opera d'arte, percorre tutto
l'iter storico temporale dall'ideazione all'esecuzione ed
all'esaltazione, con la conseguente amara delusione, nel
risveglio, di dover constatare che quanto aveva creduto
di aver compiuto in fondo non era altro che il nulla. Si
era illuso di aver domato l'indomabile utopia, musa ispiratrice.
L'opera d'arte non è un luogo fisico ma un luogo
dall'anima, e per questo imprendibile.
Fernando Pessoa, deus ex machina, crea l'eteronimo di Alberto
Caerio, maestro degli eteronomi, Ricardo Reis, Campos, e
altri.
Il paradosso continuerà oltre gli stessi confini
della creazione di Pessoa. Josè Saramago, premio
Nobel 1998, sente una tale fascinazione per Pessoa che in
alcune sue opere si autoelegge quasi eteronomo volontario,
divenendo testimone partecipe di questa avventura fantastica
e virtuale del poeta portoghese: inventa specchi che sanno
guardare i propri riflessi.
Quando accade a Saramago avviene
anche al pittore, che sente il fascino della pittura di
un altro artista e, nel leggerla, la vuole governare e conquistarla.
Quest'amore è la vera
spinta a fare pittura. Oggi l'opera di Mauro Manca ci è
più chiara di ieri: il suo scopo era quello di portare
la cultura sarda a livello europeo.
Nell'agosto 1957 venne premiato nell'importante Biennale
di Nuoro, il "Premio Sardegna", con l'opera "L'ombra
del mare sulla collina": un titolo di parole affabulatorie
che ha portato fortuna a quest'opera, tanto che i sardi
ne hanno fatto simbolicamente l'atto ufficiale dell'ingresso
della loro pittura contemporanea nella moderna pittura europea.
[2. M. Manca,"L'ombra del mare sulla collina",
1957 - cm 84x126]
A premiarlo, tra gli altri, fu Mario Delitala, un artista
della tradizione, illuminato e lungimirante, un nome che
ritornerà spesso nei grandi momenti della storia
della pittura sarda.
L'inseminazione della cultura moderna in un terreno vergine,
operata da Mauro Manca e dal suo "istinto", diede
molti frutti, che hanno arricchito negli anni recenti nuovi
talenti artistici e creato una generazione di nuovi critici.
Mauro Manca dirigerà l'Istituto d'Arte di Sassari
per appena un decennio. In questo breve periodo si realizzerà
il cambiamento, nasceranno le nuove generazioni della futura
arte sarda.
L'alter ego a cui ci rapportiamo e vorremmo somigliare è
un modello creato dalla nostra proiezione ed è sempre
un poco più avanti di noi.
Beninteso, esso consisterà soprattutto in un ideale
di artista a cui rifarsi: in realtà, il vero modello
di pittura sta nella storia dell'arte del passato, e che
è ormai parte della nostra genetica.
Il nostro obiettivo non è quello di eguagliare il
nostro modello, per farne un clone, ma per fagocitarlo,
per sostituirsi interamente ad esso, facendo in modo che
chi ci ha risvegliato nuove passioni non esista più.
[3. M. Manca,"Costruzioni
Materiche ", 1961/'62 - cm 107x85]
Solo quando abbandona il Picasso
visto dal gruppo degli artisti romani Mauro Manca si ritrova
a proporsi in parallelo con essi. Ci riesce, a mio avviso,
intorno agli anni Sessanta, affermando la propria identità
con le opere che si richiamano alle concrezioni dei materiali
sabbiosi attraverso le sedimentazioni dei depositi millenari
della materia inerte.
[4.
M. Manca,"Composizione", 1957 - cm 55x75 / 5.M.
Manca,1961/'62]
.
4 .
.
5
A questo punto chiamo Mauro
Manca per fargli alcune domande, come mi impone la mia rubrica.
Rivedo nella mia memoria un ambiente dell'attuale biblioteca
comunale "Rafael Sari", allora sede staccata dell'Istituto
d'Arte del corallo di Alghero. Siamo insieme per un incarico
didattico, verso il 1968, e gli chiedo - Oggi, dove si trova?
(La mia domanda è fatta dalla profondità della
memoria; il maestro mi risponde attraverso una trasposizione
temporale).
R. Sono là dove lei mi pensa: un luogo come
il mare di Alghero in una soleggiata e ferma atmosfera,
quando si può volare a perdita d'occhio sul mare
piatto, desiderando solo di dissolversi, evaporando per
non essere più.
D. Cos'è stato quel decennio che ha segnato
la svolta dell'Istituto d'Arte di Sassari?
R. Vede, ciò che ho realizzato doveva essere
fatto così; ci sono dei momenti in cui si è
strumento di un processo evolutivo quasi naturale. Ma la
vera rivoluzione l'hanno vissuta i giovani insegnanti, e
soprattutto gli allievi; pensi a quelli che sono entrati
con l'ultimo Figari, che sono stati traghettati verso i
tempi nuovi dall'amico Tavolara e infine sono diventati
protagonisti del mio disegno di rinnovamento.
D. Maestro, oggi i nuovi giovani hanno diversi orientamenti
e c'è l'avvento delle nuove tecnologie per fare arte
(il computer, per esempio). Lei, che cosa ne pensa?
R. Le nuove stagioni servono a rinnovare i cicli
vitali, esattamente come feci io ai miei tempi. E' sintomatico
un fatto: il mio avvento ha saldato degli anelli che mancavano
nella catena della continuità stilistica; il mio
è stato un periodo di rottura perché c'era
stata una frattura. La società nell'isola era in
ritardo. Oggi invece, grazie a me, i giovani possono vivere
la loro continuità, e sperimentare un'evoluzione
naturale: insomma, fare l'arte del proprio tempo.
Chiariamo: non è che in Sardegna negli anni '50 -'60
non ci fossero artisti professionalmente informati, quello
che mancava era il rapporto di scambio con la cultura del
popolo: ci voleva una svolta istituzionale che andava realizzata
attraverso i giovani; la differenza è che io ai tanti
giovani di allora diedi una fede, un'ideologia; e loro,
a loro volta, divennero divulgatori e creatori di nuovi
orientamenti.
Tra operatori e fruitori è nato un nuovo modello
di vita e di consumo: si pensi al nostro artigianato, che
oggi è apprezzato in tutto il mondo.
I nuovi giovani, grazie anche a quanto abbiamo fatto in
un recente passato, possiedono una serie di opzioni di percorso
e hanno le carte in regola per le nuove sperimentazioni.
D. La sua pittura è stata una ricerca molto
sofferta. Oggi la sua arte la si deve considerare classica,
perché si esprimeva, anche se con materiali ibridi,
alla maniera e con strumenti ancora tradizionali. Cosa ne
pensa?
R. Nel bene e nel male tutta la mia opera è
raccolta e conosciuta. Per chi fa arte è come andare
nudi sotto gli occhi del mondo, ma vado fiero per le opere
degli anni Sessanta eseguite con sabbie e smalti: sono il
mio periodo più proficuo e portano il mio segno più
sardo e insieme più europeo. Hanno la tensione giusta
per coloro che vogliono cogliere la bellezza dell'equilibrio
creativo, e ne è stato capito il contenuto; molte
mie opere sono degnamente esposte in importanti luoghi pubblici.
Ho raggiunto questo grado di qualità mettendo a frutto
tutte le esperienze fatte nel tempo: si dice che in ogni
quadro del passato vi sia una proiezione per quello del
futuro.
[6. M. Manca,"La torre",
1949 - cm 60x43]
D. La Sua terra riconosce
la qualità della Sua pittura e il ruolo fondamentale
che ha svolto per il progresso dell'arte in Sardegna.
R. Le cose importanti non siamo noi a deciderle.
E poi non sono stato mai solo; ho avuto tanti collaboratori
che mi affiancavano, veri talenti artistici.
La cultura sarda ha legato al mio nome il periodo della
svolta e dell'aggiornamento dell'arte moderna in Sardegna;
certo che mi appaga, ma ho risposto ad un richiamo culturale
che era sotto gli occhi di tutti.
Anche Mario Delitala fu scelto per testimoniare profeticamente
sulla vita di Costantino Nivola e, in parte, anche sulla
mia per i miei due grandi appuntamenti: il premio della
Provincia di Nuoro e l'incarico della direzione dell'Istituto
d'Arte di Sassari.
Confesso che nel momento cruciale mi sono ribellato al destino
che mi aveva concesso solo una vita breve, ma faceva anch'essa
parte dello stesso "pacchetto".
Quando si è in auge ci si crede eterni, e così
sono volati i miei anni migliori: sono grato, comunque,
per quanto ho ricevuto dalla vita, compreso il libero arbitrio.
Mauro Manca nasce a Cagliari il 23 dicembre 1913, muore
a Sassari il 22 febbraio 1969.
Alghero, Luglio 2003
Nicola Marotta, Pittore
Note
Ringrazio il Professore Manlio Brigaglia
per i suoi preziosi suggerimenti.
[1] Il brano è tratto da "Il
capolavoro sconosciuto" di Honoré de Balzac.
La foto ( particolare ) di Mauro Manca
è tratta dal catalogo della mostra "Per Mauro
Manca", Palazzo Ducale, Sassari 1999.
Le immagini (1, 2, 3, 4, 5, 6) )delle opere di Mauro Manca
sono tratte dalla monografia della mostra retrospettiva
organizzata dalla Provincia di Sassari nel 1978 e dalla
monografia del 1994 di Marco Magnani e Giuliana Altea, Edizione
Ilisso.
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