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Nicola Marotta, " L'attesa del simulacro. L'Arte. Dieci brevi anni della vita di Mauro Manca"

 

N. Marotta, L'attesa del simulacro. "L'Arte". Dieci brevi anni della vita di Mauro Manca, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.2 Luglio-Ottobre 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_2/2.htm

 

Il vecchio fece una pausa, poi riprese: "Sono dieci anni, ragazzo, che lavoro! Ma cosa sono dieci brevi anni, quando si tratta di lottare con la natura? Noi non sappiamo quanto tempo impiegò il grande Pigmalione per compiere la sola statua che abbia camminato!" Honoré de Balzac [1]

Dieci brevi anni della vita di Mauro Manca

Negli anni Cinquanta l'arte in Sardegna era ferma da lungo tempo. L'aiutava a resistere, però, un gruppo di artisti che, vivendo in un contesto appartato, conservavano una capacità di riflettere e di "inventare" che si autorigenerava, producendo ancora una pittura bella e vigorosa, ispirata alle tematiche profonde della propria condizione di vita e alla storia dell'isola.
In questo contesto si inserisce l'esperienza di Mauro Manca. Pur con tutto il suo carisma, egli non è stato come pittore un caposcuola, un punto di riferimento diretto per le nuove generazioni di artisti: è stato piuttosto un direttore di scena, un animatore culturale per coloro che gli vivevano intorno e che erano capaci di cogliere il senso della sua lezione. Proprio in quegli anni Cinquanta egli seppe identificare il suo percorso artistico con quello della Sardegna stessa; agiva come se si fosse assunto il difficile compito di aggiornare i registri dell'arte isolana.
Credeva in un'arte europea e insieme nella individualità della cultura sarda; in un'arte, dunque, che si specchiasse nelle proprie radici senza citazioni dirette.
L'astrazione è un'elaborazione remota del nostro pensiero; l'arte nasce dall'individuo, ma per sopravvivere deve appartenere a tutta la collettività. Pessoa dice: "Passo e resto come l'universo": l'arte è l'universo.
Di Mauro Manca nessuno ha forse messo sufficientemente in luce un progetto "generale", che si è perfezionato nel tempo a cominciare dal trasferimento a Roma e dal contatto con i maggiori artisti italiani che operavano nella capitale e che guardavano alla moderna pittura francese, fino al suo ritorno in Sardegna come vincitore del premio della prima, animata Biennale nuorese di pittura e al suo insediamento, qualche anno dopo, come direttore dell'Istituto d'Arte per la Sardegna, che aveva sede a Sassari.

Ingresso dell'Istituto d'Arte di Sassari, oggi

A volte la vita combina le cose in modo tale che sembrano nate per svolgersi come poi si sono effettivamente svolte.
Con la sua direzione Mauro Manca farà capire subito che la scuola non ricerca nell'allievo il grande talento, come sembra fosse la preoccupazione principale nella precedente direzione del pur grande Filippo Figari (il mito romantico della "scoperta" dell'artista eccezionale), ma che il suo obiettivo era quello di rinnovare il costume artistico e aggiornare il sistema di relazioni culturali nell'isola.
I rapporti di Mauro Manca con gli artisti locali, che sono di grande qualità, furono difficili, a volte irrazionali, o radicali.
Quando si parlava con lui di arte, la tesi in discussione non era mai rifiutata da lui né a parole, né nei gesti, ma il suo disappunto si poteva intuire in un sottile evanescente senso di rifiuto che gli si leggeva sul suo viso.
Con i giovani era comprensivo e tollerante, da vero educatore. Nel luglio del 1959 ricevette l'incarico di dirigere l'Istituto d'Arte di Sassari, una scuola prestigiosa, un antico laboratorio di mestiere che chiedeva di essere attualizzato.
In realtà, Mauro Manca aveva ereditato una macchina gloriosa ma antica: e l'aveva ereditata proprio in un periodo di massima contraddizione per questo tipo di scuola e per la sua funzione sociale.
A 34 anni dalla sua morte possiamo affermare che le sue aspettative di un traghettamento della cultura sarda verso l'arte moderna si sono realizzate; come del resto lo furono, al suo tempo, per il fondatore della scuola, il grande pittore Filippo Figari.
La direzione di Figari diede vita ad una sorta di grande bottega d'arte, con alla testa il maestro che guidava gli allievi verso la realizzazione di un'unica opera plurale, attraverso canoni che il maestro aveva tracciato. Tra questi allievi Figari selezionava il singolo talento e lo curava personalmente.
Mauro Manca voleva convertire il valore individuale in valore collettivo: principi che amareggeranno anche lui negli ultimi anni della sua vita, quando dovrà mediare la gestione della scuola con l'organizzazione, appena nata, del nuovo potere sindacale.
Lui che era stato tra i primi ad aver intuito il cambiamento, doveva scendere a patti con la base e presiedere il collegio del personale.
Mauro Manca era un talento naturale. Nel 1938 parte della sua famiglia si era trasferita a Roma, dove, a contatto con la pittura romana (che aveva allora ben altri modelli rispetto a quella sarda), ebbe la prima iniziazione all'arte europea, segnata dall'onnipresente matrice picassiana (in tutti i suoi periodi) e cubista.

1. M. Manca, "Scena di fustigazione"

Il Picasso che scopriva (e che "imitava") era il Picasso ammorbidito dalla pittura degli artisti romani. Sotto la loro ala Mauro andava alla ricerca della propria strada. Roma lo formerà ma non gli darà l'identità stilistica, che era invece profondamente radicata nella sua sardità tra mitologia e modernità, tra arcaismo e contemporaneità. L'ironico, sconvolgente, veritiero e catartico racconto breve di Honoré de Balzac "Il capolavoro sconosciuto" ci offre lo spunto di una riflessione. Il personaggio centrale del racconto, il maestro Frenhofer, pittore emblematico, proteso verso la creazione dell'opera d'arte, percorre tutto l'iter storico temporale dall'ideazione all'esecuzione ed all'esaltazione, con la conseguente amara delusione, nel risveglio, di dover constatare che quanto aveva creduto di aver compiuto in fondo non era altro che il nulla. Si era illuso di aver domato l'indomabile utopia, musa ispiratrice.
L'opera d'arte non è un luogo fisico ma un luogo dall'anima, e per questo imprendibile.
Fernando Pessoa, deus ex machina, crea l'eteronimo di Alberto Caerio, maestro degli eteronomi, Ricardo Reis, Campos, e altri.
Il paradosso continuerà oltre gli stessi confini della creazione di Pessoa. Josè Saramago, premio Nobel 1998, sente una tale fascinazione per Pessoa che in alcune sue opere si autoelegge quasi eteronomo volontario, divenendo testimone partecipe di questa avventura fantastica e virtuale del poeta portoghese: inventa specchi che sanno guardare i propri riflessi.

Quando accade a Saramago avviene anche al pittore, che sente il fascino della pittura di un altro artista e, nel leggerla, la vuole governare e conquistarla.

Quest'amore è la vera spinta a fare pittura. Oggi l'opera di Mauro Manca ci è più chiara di ieri: il suo scopo era quello di portare la cultura sarda a livello europeo.
Nell'agosto 1957 venne premiato nell'importante Biennale di Nuoro, il "Premio Sardegna", con l'opera "L'ombra del mare sulla collina": un titolo di parole affabulatorie che ha portato fortuna a quest'opera, tanto che i sardi ne hanno fatto simbolicamente l'atto ufficiale dell'ingresso della loro pittura contemporanea nella moderna pittura europea.
[2. M. Manca,"L'ombra del mare sulla collina", 1957 - cm 84x126]

A premiarlo, tra gli altri, fu Mario Delitala, un artista della tradizione, illuminato e lungimirante, un nome che ritornerà spesso nei grandi momenti della storia della pittura sarda.
L'inseminazione della cultura moderna in un terreno vergine, operata da Mauro Manca e dal suo "istinto", diede molti frutti, che hanno arricchito negli anni recenti nuovi talenti artistici e creato una generazione di nuovi critici.
Mauro Manca dirigerà l'Istituto d'Arte di Sassari per appena un decennio. In questo breve periodo si realizzerà il cambiamento, nasceranno le nuove generazioni della futura arte sarda.
L'alter ego a cui ci rapportiamo e vorremmo somigliare è un modello creato dalla nostra proiezione ed è sempre un poco più avanti di noi.
Beninteso, esso consisterà soprattutto in un ideale di artista a cui rifarsi: in realtà, il vero modello di pittura sta nella storia dell'arte del passato, e che è ormai parte della nostra genetica.
Il nostro obiettivo non è quello di eguagliare il nostro modello, per farne un clone, ma per fagocitarlo, per sostituirsi interamente ad esso, facendo in modo che chi ci ha risvegliato nuove passioni non esista più.
[3. M. Manca,"Costruzioni Materiche ", 1961/'62 - cm 107x85]

Solo quando abbandona il Picasso visto dal gruppo degli artisti romani Mauro Manca si ritrova a proporsi in parallelo con essi. Ci riesce, a mio avviso, intorno agli anni Sessanta, affermando la propria identità con le opere che si richiamano alle concrezioni dei materiali sabbiosi attraverso le sedimentazioni dei depositi millenari della materia inerte.

[4. M. Manca,"Composizione", 1957 - cm 55x75 / 5.M. Manca,1961/'62]
. 4 . . 5

A questo punto chiamo Mauro Manca per fargli alcune domande, come mi impone la mia rubrica. Rivedo nella mia memoria un ambiente dell'attuale biblioteca comunale "Rafael Sari", allora sede staccata dell'Istituto d'Arte del corallo di Alghero. Siamo insieme per un incarico didattico, verso il 1968, e gli chiedo - Oggi, dove si trova? (La mia domanda è fatta dalla profondità della memoria; il maestro mi risponde attraverso una trasposizione temporale).
R. Sono là dove lei mi pensa: un luogo come il mare di Alghero in una soleggiata e ferma atmosfera, quando si può volare a perdita d'occhio sul mare piatto, desiderando solo di dissolversi, evaporando per non essere più.
D. Cos'è stato quel decennio che ha segnato la svolta dell'Istituto d'Arte di Sassari?
R. Vede, ciò che ho realizzato doveva essere fatto così; ci sono dei momenti in cui si è strumento di un processo evolutivo quasi naturale. Ma la vera rivoluzione l'hanno vissuta i giovani insegnanti, e soprattutto gli allievi; pensi a quelli che sono entrati con l'ultimo Figari, che sono stati traghettati verso i tempi nuovi dall'amico Tavolara e infine sono diventati protagonisti del mio disegno di rinnovamento.
D. Maestro, oggi i nuovi giovani hanno diversi orientamenti e c'è l'avvento delle nuove tecnologie per fare arte (il computer, per esempio). Lei, che cosa ne pensa?
R. Le nuove stagioni servono a rinnovare i cicli vitali, esattamente come feci io ai miei tempi. E' sintomatico un fatto: il mio avvento ha saldato degli anelli che mancavano nella catena della continuità stilistica; il mio è stato un periodo di rottura perché c'era stata una frattura. La società nell'isola era in ritardo. Oggi invece, grazie a me, i giovani possono vivere la loro continuità, e sperimentare un'evoluzione naturale: insomma, fare l'arte del proprio tempo.
Chiariamo: non è che in Sardegna negli anni '50 -'60 non ci fossero artisti professionalmente informati, quello che mancava era il rapporto di scambio con la cultura del popolo: ci voleva una svolta istituzionale che andava realizzata attraverso i giovani; la differenza è che io ai tanti giovani di allora diedi una fede, un'ideologia; e loro, a loro volta, divennero divulgatori e creatori di nuovi orientamenti.
Tra operatori e fruitori è nato un nuovo modello di vita e di consumo: si pensi al nostro artigianato, che oggi è apprezzato in tutto il mondo.
I nuovi giovani, grazie anche a quanto abbiamo fatto in un recente passato, possiedono una serie di opzioni di percorso e hanno le carte in regola per le nuove sperimentazioni.
D. La sua pittura è stata una ricerca molto sofferta. Oggi la sua arte la si deve considerare classica, perché si esprimeva, anche se con materiali ibridi, alla maniera e con strumenti ancora tradizionali. Cosa ne pensa?
R. Nel bene e nel male tutta la mia opera è raccolta e conosciuta. Per chi fa arte è come andare nudi sotto gli occhi del mondo, ma vado fiero per le opere degli anni Sessanta eseguite con sabbie e smalti: sono il mio periodo più proficuo e portano il mio segno più sardo e insieme più europeo. Hanno la tensione giusta per coloro che vogliono cogliere la bellezza dell'equilibrio creativo, e ne è stato capito il contenuto; molte mie opere sono degnamente esposte in importanti luoghi pubblici.
Ho raggiunto questo grado di qualità mettendo a frutto tutte le esperienze fatte nel tempo: si dice che in ogni quadro del passato vi sia una proiezione per quello del futuro.
[6. M. Manca,"La torre", 1949 - cm 60x43]

D. La Sua terra riconosce la qualità della Sua pittura e il ruolo fondamentale che ha svolto per il progresso dell'arte in Sardegna.
R. Le cose importanti non siamo noi a deciderle. E poi non sono stato mai solo; ho avuto tanti collaboratori che mi affiancavano, veri talenti artistici.
La cultura sarda ha legato al mio nome il periodo della svolta e dell'aggiornamento dell'arte moderna in Sardegna; certo che mi appaga, ma ho risposto ad un richiamo culturale che era sotto gli occhi di tutti.
Anche Mario Delitala fu scelto per testimoniare profeticamente sulla vita di Costantino Nivola e, in parte, anche sulla mia per i miei due grandi appuntamenti: il premio della Provincia di Nuoro e l'incarico della direzione dell'Istituto d'Arte di Sassari.
Confesso che nel momento cruciale mi sono ribellato al destino che mi aveva concesso solo una vita breve, ma faceva anch'essa parte dello stesso "pacchetto".
Quando si è in auge ci si crede eterni, e così sono volati i miei anni migliori: sono grato, comunque, per quanto ho ricevuto dalla vita, compreso il libero arbitrio.
Mauro Manca nasce a Cagliari il 23 dicembre 1913, muore a Sassari il 22 febbraio 1969.


Alghero, Luglio 2003

Nicola Marotta, Pittore


Note
Ringrazio il Professore Manlio Brigaglia per i suoi preziosi suggerimenti.

[1] Il brano è tratto da "Il capolavoro sconosciuto" di Honoré de Balzac.

La foto ( particolare ) di Mauro Manca è tratta dal catalogo della mostra "Per Mauro Manca", Palazzo Ducale, Sassari 1999.

Le immagini (1, 2, 3, 4, 5, 6) )delle opere di Mauro Manca sono tratte dalla monografia della mostra retrospettiva organizzata dalla Provincia di Sassari nel 1978 e dalla monografia del 1994 di Marco Magnani e Giuliana Altea, Edizione Ilisso.