"In questo periodo storico,
nell'arte, è forse più importante la trasmissione
extrasensoriale, mentale, perché viaggia al di sopra,
e con più significati, della trasmissione sensoriale.
Perché è un veicolo di conoscenza, di creatività,
di opportunità" (Antonella Sbrilli (1), "Storia
dell'arte in codice binario")
L'arte visiva attraversa oggi
una profonda crisi di identità che mette alle corde
un concetto già di per sé ambiguo, metamorfico,
racchiudente una pluralità di significati non necessariamente
concordanti, un concetto che muta in continuazione sfuggendo
ad una definizione univoca, come l'araba fenice morto e
risorto dalle sue ceneri parecchie volte, nel secolo scorso,
sotto la spinta innovatrice delle avanguardie europee.
E' una crisi che ha radici lontane, nel concettualismo,
nell'arte comportamentale, nella land art, la body art ed
in altri movimenti internazionali (ad esempio Hard Edge
Abstraction, Pattern Painting, Post Paintery Abstraction
o Astrattismo post-pittorico) di impronta intellettualistica
marcatamente elitaria, che si diffondono a partire dagli
anni '60, quando pare che lo sperimentalismo abbia sfondato
ogni limite e l'Astrattismo, portato alle conseguenze estreme,
si sia svuotato di ogni significato.
Si è andata da allora progressivamente definendo
una frattura tra individui che parlano linguaggi incomprensibili
l'uno all'altro, gli artisti ed il loro pubblico, con uno
scollamento tra mondo dell'arte e realtà sociale
che oggi, sotto molti aspetti, rende l'arte estranea all'uomo
al quale non è più in grado di dare risposte,
o "almeno non nella lingua che egli è disposto
a capire".
Eppure mai come oggi l'arte ha avuto libertà di esprimersi
e mezzi per farsi conoscere, mai come oggi l'arte è
stata tanto presente nelle nostre vite, almeno quantitativamente,
e mai come oggi è stata inutile: probabilmente ha
ragione Alessandro Tempi (2) quando dice che "L'arte
è come la tecnologia: oltre un certo limite, essa
si impadronisce dei bisogni che l'hanno fatta nascere e
non li serve più, ma al contrario se ne serve per
continuare ad esistere solo per se stessa." (All that
art - Le soglie dell'arte).
Pur nella confusione linguistica che ci circonda, è
facile capire che in realtà ciò che oggi va
messo in discussione non è l'arte, ma il criterio
di giudizio con il quale affrontarla, che necessita di una
revisione radicale anche alla luce dei mutamenti introdotti
dall'avvento delle tecnologie digitali, che hanno prodotto
nuovi linguaggi artistici ed operato una rivoluzione dei
mezzi espressivi di portata epocale.
L'elettronica è infatti in grado di produrre, attraverso
la creazione e la manipolazione delle immagini digitali,
una sorta di "pensiero visivo", così lo
definisce Paolo Rosa (3), straordinariamente flessibile,
capace di spaziare entro limiti incredibilmente vasti, amplificando
a dismisura l'area dell'invenzione e della creatività,
che è quella entro la quale nasce l'opera d'arte.
Poiché in arte l'importanza di ogni risultato si
conosce a posteriori, ogni giudizio attuale sull'arte digitale
è necessariamente indeterminato e prematuro, non
si sbaglia, comunque, affermando che il fenomeno è
destinato a creare una nuova estetica con forti e profonde
innovazioni in campo figurativo.
Le tecnologie digitali, infatti, non costituiscono una semplice
sostituzione di mezzi attualmente superati per svolgere
determinati compiti, ma hanno un tale potenziale innovativo
da produrre un sostanziale mutamento di ciò che verrà
prodotto, modificando non solo il mezzo, ma anche la sostanza
dell'arte.
La differenza fondamentale fra strumenti tradizionali (il
pennello, il carboncino o la matita), frutto di una tecnologia
molto semplice ad impronta artigianale, e i nuovi mezzi
digitali, è costituita sostanzialmente dal fatto
che questi ultimi possiedono una loro "intelligenza",
che si attiva attraverso l'applicazione di programmi di
funzionamento anche molto complessi, con i quali l'utente,
in questo caso l'artista digitale, si deve relazionare:
non è necessario "conoscere" i segreti
del programma, basta saperlo "usare".
Questo comportamento, la capacità di utilizzare la
tecnologia e mettersi in relazione con lo strumento tecnologico,
esprimono un nuovo modo di vedere il mondo, un nuovo modo
di parametrarsi con la realtà, che è tipico
della moderna società e non coinvolge solo l'arte
visiva: come dice Paolo Rosa: " Credo che i nuovi mezzi
a nostra disposizione costituiscano proprio un sistema di
pensiero in grado di indicare gli attuali modi utilizzati
dagli uomini per vedere il mondo: oggi vediamo in una nuova
maniera. Probabilmente è proprio per tale motivo
che risulta giusto ed utile coniugare l'esperienza artistica
con le nuove tecnologie: l'arte e la poesia possono trarre
numerosi orientamenti dal suddetto "sistema di pensiero".
Lo sperimentalismo che ha caratterizzato tutte le avanguardie
del '900 pare quindi destinato ad esasperarsi oltre ogni
limite dal momento che la tecnica computerizzata consente
di attuare con estrema facilità contaminazioni culturali
e formali tra linguaggi diversi, di produrre un'arte di
frontiera, sempre al limite tra finzione e realtà,
in un immenso spazio telematico in cui la mente sconfina
facilmente tra passato e futuro ed attinge a sensazioni
ed emozioni mai sperimentate prima.
Una delle caratteristiche principali delle nuove tecnologie
digitali è la loro base visiva, poiché esse
pongono al centro della comunicazione e della elaborazione
l'immagine (come fanno il cinema o la televisione), e non
il testo, così come l'arte visiva pone alla base
della sua comunicazione il guardare ed quindi percepire
ed elaborare l'immagine attraverso la vista.
In realtà la visione è una percezione del
mondo che va ben oltre l'esperienza sensoriale, visto che
la fisiologia e la neurologia moderne hanno dimostrato che,
inteso come fenomeno fisiologico concernente la struttura
anatomico-funzionale dell'occhio, l'atto della visione è
molto più complesso di quanto non lo sia il funzionamento
dello strumento deputato, risultato di un processo neuro-fisiologico
che coinvolge in maniera massiccia estese strutture cerebrali
(particolarmente significativi sul tema sono gli studi del
neurobiologo Semir Zeki (4)e le sue teorie sulla neuroestetica).
La visione è quindi un processo attivo nel quale
si producono costruzioni mentali collegate alle sensazioni
visive anatomiche e costituisce una complessa forma di apprendimento
nella quale è possibile mettere in atto uno dei metodi
cognitivi a cui l'uomo ricorre più volentieri, perché
innato e poco difficoltoso, il metodo senso-motorio, secondo
il quale, sulla scorta delle informazioni visive, si interagisce
con la realtà adattandola e modulandola, in un processo
combinato con la percezione sensoriale al di fuori della
presa di coscienza.
E' il metodo che ognuno di noi ha messo in atto nella prima
infanzia, è quello che istintivamente tenteremo di
usare tutte le volte che ci sarà possibile farlo.
Le nuove tecnologie, proprio in virtù della loro
base visiva, non fanno altro che facilitare ed ampliare
le possibilità di applicazione del metodo senso-motorio,
estendendo la percezione visiva ad oggetti non fisici e
neanche necessariamente esistenti, in tutti i campi della
conoscenza e, a maggior ragione, in quel campo in cui la
percezione e l'elaborazione visiva giocano un ruolo fondamentale
ed imprescindibile, l'arte visiva.
Se le nuove tecnologie, quindi, si appoggiano ad una base
cognitiva primaria ed immediata che siamo portati ad utilizzare
elettivamente (il metodo senso-motorio), se sono in grado
di riprodurre il "sistema di pensiero" attraverso
il quale l'uomo moderno si relaziona con il mondo, è
lecito ritenere che possano coadiuvare in modo ottimale
anche l'esplicitazione del "pensiero artistico",
addirittura favorendo l'espressione e le comprensione dell'opera
d'arte visiva: in tal modo non decreterebbero la fine dell'arte,
ma semplicemente la fine del concetto di arte al quale sino
ad oggi abbiamo fatto riferimento e, nel nome di un comune,
nuovo sistema di pensiero, opererebbero una riconnessione
tra arte e società, che finalmente ritornerebbero
a parlare lo stesso linguaggio .
Un discorso a parte, più limitatamente tecnico, si
potrebbe fare sulla stampa digitale, sull'applicazione,
cioè, delle nuove tecnologie alla riproduzione di
opere d'arte (digitali e non).
Kevin Haas (5)che si occupa specificamente dell'argomento
tecniche di stampa e digital imaging, in un suo articolo
("Stampe, immagini e tecnologia") le definisce
due aree distinte e contrastanti, " l'una è
tattile e fisicamente laboriosa, l'altro immobile e spesso
immateriale" espresso nel gergo asettico del computer,
competenze di due ambiti diversi nei quali si scorge riflesso
lo stesso rapporto dicotomico che attualmente esiste tra
arte tradizionale ed arte digitale.
Ma è possibile un'arte digitale?
Nella misura in cui le nuove tecnologie ci spingono a mutare
la nostra indagine nei confronti della realtà e a
pensare il mondo e l'arte in un modo nuovo, prendendo coscienza
dei mutamenti senza costruire a priori inesistenti conflittualità
tra forme diverse di rappresentazione, sì, un'arte
digitale è possibile, anche se può voler dire
addentrarsi in un territorio sconosciuto del quale non possediamo
la mappa
In tal caso è facile il ricorso allo stereotipo,
all'espediente retorico come rassicurante sostitutivo di
una conoscenza ancora carente: questo spiegherebbe, per
citare due soli esempi di una casistica piuttosto ampia,
la tendenza non giustificata ad identificare la tecnica
digitale con l'opera d'arte astratta, aniconica, facendo
coincidere concetto e tecnica per un'arte che diventa contenuto
ed espressione di se stessa, e spiegherebbe anche il preconcetto
secondo il quale l'enorme potenziamento del potere comunicazionale
dell'opera d'arte prodotta digitalmente dovrebbe necessariamente
abbassarne il valore culturale.
La indispensabile maturazione linguistica dei nuovi mezzi
digitali è la via per attenuarne quella componente
eversiva che ha posto in discussione le certezze estetiche
dell'arte senza sostituirle con criteri certi, e allora
l'arte digitale potrà divenire il segno privilegiato
di una contemporaneità che nulla ha di certo.
Non so se o quando le pareti delle case o delle gallerie
ospiteranno, invece di quadri, monitor su cui i collezionisti
alterneranno la propria raccolta di files, se e come si
possa attribuire un valore commerciale ad un'opera di net-art,
che altro non è che codice informatico, come può
essere conservata, come se ne può fruire, che fine
farà il concetto di esclusività per qualcosa
che può essere copiato molto facilmente, il concetto
di proprietà per qualcosa di astratto e dematerializzato,
ma la modernità è tensione, curiosità,
aspirazione in grado di trasformare un momento di cambiamento
in un momento di crescita e di rinnovamento, è, per
citare Bruno Zevi (6), una coscienza che "fa della
crisi un valore". Prima o poi anche l'arte digitale
avrà il suo?
[1] Antonella Sbrilli
http://w3.uniroma1.it/dsa/LF/Sbrilli/WebCattedraSbrilli/antonella.html
[2] Alessandro Tempi
http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/alepat/Index.htm
[3] Paolo Rosa
http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=447
[4] Semir Zeki
http://www.icn.ucl.ac.uk/members/Zeki89/
[5] Kevin Haas
http://www-db.stanford.edu/~haas/resume.html
[6] Bruno Zevi
http://www.vitruvio.ch/arc/historians/zevi.htm
Vilma Torselli è
nata a Genova, città in cui ha vissuto fino al conseguimento
della maturità classica.Trasferitasi a Milano, ha
frequentato la facoltà di architettura del Politecnico,
dove si è laureata, sotto la docenza di nomi storici
dell'architettura italiana, quali Ernesto N. Rogers e Ludovico
Barbiano di Belgioioso, dello studio B.B.P.R., Franco Albini,
Franca Helg, Vittorio Gregotti, Vittoriano Viganò.
Ha scelto la libera professione occupandosi di urbanistica
e progettazione architettonica, con particolare predilezione
per l'edilizia residenziale e l'architettura d'interni.
Da sempre appassionata d'arte, attualmente si occupa dell'Associazione
Culturale Arte&Arte e di Artonweb, galleria virtuale
d'arte visiva. Sempre sul web si occupa di architettura
con la rubrica "De
re aedificatoria", raccolta di Studi e Saggi
dedicati al mondo Architettura. E' presente su Antithesi,
Giornale di Critica dell'Architettura diretto da Sandro
Lazier e Paolo G.L. Ferrara, con diversi commenti ai testi
di P. Ferrara e S. Lazier. Su SuperEva cura la rubrica di
Arte
Moderna
|