La proibizione dell'incesto,
scrive Lévi-Strauss nella sua opera Le strutture
elementari della parentela, "costituisce... il passo
fondamentale grazie al quale, per il quale, e soprattutto
nel quale, si compie il passaggio dalla natura alla cultura.
In un certo senso essa appartiene alla natura, giacché
costituisce una condizione generale della cultura: di conseguenza
non bisogna meravigliarsi che essa ritenga dalla natura
il suo carattere formale, ossia l'universalità. Ma
in un certo altro senso essa è già la cultura
che agisce e impone la propria regola in seno a fenomeni
che inizialmente non dipendono da lei" (Lévi-Strauss
1984, 67). La proibizione dell'incesto costituisce dunque
il legame che unisce l'esistenza biologica dell'uomo con
la sua esistenza sociale: prima che tale "unione"
abbia luogo (ma, specifica Lévi-Strauss, "si
tratta piuttosto di una trasformazione o di un passaggio")
"la cultura non è ancora data; con il suo verificarsi,
la natura cessa di esistere nell'uomo come regno sovrano.
La proibizione dell'incesto è il processo attraverso
il quale la natura supera se stessa: accende la scintilla
sotto la cui azione si forma una struttura di tipo nuovo,
e più complesso, che si sovrappone, integrandole,
alle strutture più semplici della vita psichica,
così come queste ultime si sovrappongono, integrandole,
alle strutture più semplici della vita animale. Essa
opera, e di per se stessa costituisce, l'avvento di un nuovo
ordine" (ibid.).
La proibizione dell'incesto va dunque intesa come prescrizione,
ordine. Infatti "considerata come una interdizione,
la proibizione dell'incesto si limita ad affermare, in un
settore essenziale per la sopravvivenza del gruppo, la preminenza
del sociale sul naturale, del collettivo sull'individuale,
dell'organizzazione sull'arbitrio. Ma già a questo
punto dell'analisi la regola, in apparenza negativa, ha
generato il suo converso: infatti ogni interdizione è,
contemporaneamente e sotto un altro rapporto, una prescrizione"
(ibid., 91). Ciò significa che il contenuto della
proibizione non si esaurisce nel fatto stesso della proibizione
(non si limita cioè alla proibizione): questa "viene
stabilita soltanto per garantire e fondare, direttamente
o indirettamente, immediatamente o mediatamente, uno scambio"
(ibid., 99). Alla proibizione dell'incesto corrisponde dunque
l'esogamia [1], ma questa
è innanzittutto scambio: "in qualunque sua forma
(...) è lo scambio, e sempre lo scambio, che risulta
essere la base fondamentale e comune di tutte le modalità
dell'istituto matrimoniale. Se queste modalità sono
tutte assumibili sotto la generale denominazione di esogamia
(l'endogamia infatti... non si oppone all'esogamia, ma la
presuppone), ciò può farsi a condizione di
riconoscere, dietro l'espressione superficialmente negativa
della regola di esogamia, la finalità cui essa tende
con la proibizione del matrimonio nei gradi proibiti, e
che è quella di assicurare la circolazione totale
e continua di quei beni per eccellenza che il gruppo possiede
e che sono le sue mogli e le sue figlie" (ibid., 614).
A base della proibizione dell'incesto vi è dunque
innanzittutto lo scambio (regolato) come prima condizione
di esistenza della società. Ciò significa
che "l'esogamia ha un valore assai più positivo
che negativo, perchè afferma l'esistenza sociale
altrui, e proibisce il matrimonio endogamico solo per introdurre
e prescrivere il matrimonio con un gruppo diverso dalla
famiglia biologica; e non certo perchè al matrimonio
consanguineo si attribuisca una pericolosità biologica,
ma perchè da un matrimonio esogamico risulta un beneficio
sociale" (ibid., 616). Si può funque affermare
senza esagerazione che l'esogamia "costituisce l'archetipo
di tutte le altre manifestazioni a base di reciprocità,
e fornisce la regola fondamentale ed immutabile che assicura
l'esistenza del gruppo come gruppo" (ibid.).
La proibizione dell'incesto dunque "non è tanto
una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la
figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri
la madre, la sorella o la figlia" (ibid., 617). Di
conseguenza non è lo stato di società che
ha reso necessarie le regole della parentela: "sono
esse stesse lo stato di società che rimaneggia le
relazioni biologiche ed i sentimenti naturali, impone loro
di inserirsi entro strutture che li implicano assieme ad
altri, e li obbliga a superare i loro caratteri originari"
(ibid., 628; corsivo mio).
Tuttavia le strutture della parentela, che rappresentano
la forma realizzata della fondamentale prescrizione esogamica,
della proibizione dell'incesto, non corrispondono affatto
ad un sistema di obblighi o comandamenti dei quali si è
consci e che implicano una possibilità di scelta.
Rappresentano piuttosto, anche nella loro forma complessa,
l'inconscia percezione di fondo della realtà da parte
degli individui. Il divieto dell'incesto s'impone sotto
forma di legge simbolica, cioè attraverso l'ordine
simbolico rappresentato dalla lingua - ordine nel quale
ogni unità percettiva è funzionalmente inserita
come significante ed è percio determinabile solo
in maniera differenziale [2].
Con la società - in quanto cultura, cioè superamento
dello stato di natura - la percezione è dunque incondizionatamente
e definitivamente mediata dalla lingua. In tal senso "ogni
cultura può venir considerata come un insieme di
sistemi simbolici, dove la lingua, le regole matrimoniali,
i rapporti economici, l'arte, la scienza e la religione
occupano il primo posto" (Lévi-Strauss 1950,
XIX).
La simbolizzazione della realtà [3],
che rende possibile lo scambio - la comunicazione - come
atto sociale fondamentale rendendo così l'animale
umano un essere sociale, è profondamente radicato
nell'apparato psichico di ogni singolo individuo: essa costituisce
l'apparato psichico. Tale strutturazione non è tuttavia,
come vorrebbe il mito dell'origine, accaduto una volta per
tutte, ma accade piuttosto sempre e di nuovo in ogni singolo
bambino: ogni singolo bambino è assoggettato alla
"lunga marcia forzata che trasforma delle larve di
mammiferi in bambini umani, in soggetti" (Althusser
1977a, 19).
Attraverso la spiegazione lévi-straussiana della
funzione universale della proibizione dell'incesto si è
in grado di valutare, come scrive Pierre Bruno, "gli
effetti rigeneranti" che l'antropologia strutturale
ha esercitato "sulla comprensione del complesso di
Edipo. Essa ha fornito la cauzione scientifica grazie alla
quale doveva essere esorcizzato uno dei demoni ideologici
della psicoanalisi: il biologismo. Se i sistemi di parentela
sono sistemi simbolici il cui funzionamento è comandato
da una struttura inconscia, è a questo livello di
ordine simbolico che deve essere compresa la posizione (mise
en place) del complesso di Edipo" (Bruno 1975, 153;
1973, 162), che è appunto ciò che Lacan ha
cercato di fare.
Secondo Lacan l'istanza della legge, nella quale si fondono
l'alleanza e la parentela, è ciò che ci permette
di dire "perché i motivi dell'inconscio si limitano
- punto su cui Freud si è dichiarato sin dall'inizio
e su cui non ha mai deflettuto - al desiderio sessuale.
Infatti è essenzialmente sul legame sessuale, e per
il fatto di ordinarlo alla legge delle alleanze preferenziali
e delle relazioni interdette, che poggia la prima combinatoria
degli scambi di donne tra le schiatte nominali, per sviluppare
in uno scambio di beni gratuiti e di parole maestre il commercio
fondamentale e il discorso concreto che fanno da supporto
alle società umane" (Lacan 1974, 424).
Tuttavia l'ingresso del bambino nell'ordine culturale -
l'assimilazione dell'ordine simbolico che segue alla fase
edipica - presuppone altre esperienze decisive di vita.
Innanzittutto il sorgere dell'istanza immaginaria attraverso
ciò che Lacan chiama fase dello specchio, ovvero
la prima scoperta dell'interità del proprio corpo
attraverso l'immagine speculare [4].
"La funzione dello stadio dello specchio - scrive Lacan
- si presenta... secondo noi come un caso particolare della
funzione dell'imago, che è quella di stabilire una
relazione dell'organismo con la sua realtà, - o,
come si dice, dell'Innenwelt con l'Umwelt [5].
"Ma nell'uomo questa relazione con la natura - prosegue
Lacan - è alterata da una certa deiscenza dell'organismo
nel suo seno, da una Discordia primordiale tradita dai segni
di disagio e dall'incoordinazione motoria dei mesi neonatali"
(Lacan 1974, 90).
Un primo superamento di questa impotenza da parte del bambino
è determinata per l'appunto dall'immagine speculare
esterna. Si viene così a formare una prima articolazione
dell'io (moi) [6]. Ma
questo io si forma nel momento in cui il bambino scopre
la sua unità, fisicamente non ancora vissuta, al
di fuori, in un altro (l'imago). Il bambino, dopo i primi
tentennamenti, si rifiuta di vedere nell'immagine speculare
un immagine rispecchiata e separata da lui. Egli si confonde
con la sua immagine esteriore e assume l'imagine che gli
sta di fronte come io e quasi come Io ideale. L'immagine,
infatti, appare come un'unità, e questa unità
speculare, scoperta ma non ancora vissuta, viene accolta
in una sorta di "traffichio giubilatorio" (ibid.,
88) come una conquista. Viene così a stabilirsi un
rapporto con se stesso e con il mondo circostante che conduce
il bambino ad un forte transitivismo, superato solo più
tardi, nella fase edipica, attraverso l'assimilazione dell'ordine
simbolico [7].
Si può dunque comprendere lo stadio dello specchio
"come una identificazione nel pieno senso che l'analisi
dà a questo termine: cioè come la trasformazione
prodotta nel soggetto quando assume un'immagine" (ibid.,
88). La forma che costituisce l'io diviene dunque "il
ceppo delle identificazioni secondarie" (ibid.) e informa
le successive fasi di vita: "ma l'importante è
che questa forma situa l'istanza dell'io (moi), prima ancora
della sua determinazione sociale, in una linea di finzione,
per sempre irriducibile per il solo individuo, - o piuttosto,
che raggiungerà solo asintoticamente il divenire
del soggetto, quale che sia il successo delle sintesi dialettiche
con cui deve risolvere in quanto io (je) la sua discordanza
con la propria realtà" (ibid., 88s.).
Dal momento in cui il soggetto scopre un suo io - ciò
che più tardi chiamerà il suo io (soggetto
dell'enunciato) - attraverso l'altro, avrà sempre
bisogno dell'altro per poter intendere l'io quando dice
io. A partire dallo stadio dello specchio, se il soggetto
dirà io (je), non dirà il suo proprio io (che
in realtà non esiste), ma l'io che egli ha da essere
e che egli è effettivamente: una "identità
alienante", scrive Lacan (1974, 91). Il soggetto riconoscerà
nell'altro il suo io, per cui disconoscerà l'altro
in quanto tale. In questo senso nasce nello stadio dello
specchio "il disconoscimento cronico di sé"
(Rifflet-Lemaire 1970, 294) [8].
"Il fatto è che la forma totale del corpo grazie
a cui il soggetto precorre in un miraggio la maturazione
della propria potenza, gli è data soltanto come Gestalt,
cioè in un'esteriorità in cui questa forma
è certamente più costituente che costituita"
(ibid., 89). Questa Gestalt - "la cui pregnanza va
considerata come legata alla specie, benché ne sia
ancora misconoscibile lo stile motorio" - simbolizza
"la permanenza mentale dell'io (je) e al tempo stesso
ne prefigura la destinazione alienante: ed è anche
gravida delle corrispondenze che uniscono l'io (je) con
la statua in cui l'uomo si proietta, con i fantasmi che
lo dominano, ed infine con l'automa in cui tende a compiersi
in un ambiguo rapporto il mondo di sua fabbricazione"
(Lacan 1966, 95). Lo stadio dello specchio colloca insomma
l'io (moi) una volta per tutte - ma innanzittutto formalmente
- al di fuori dell'individuo e l'io (je) in una linea di
finzione [9] (il je è
insomma la specifica realizzazione dell'alterità
del moi rispetto all'individuo, la varianza di un invarianza
fondamentale: l'io come identificazione).
La possibiltà di un rapporto immediato - potremmo
anche dire, anticipando la fase si assimilazione dell'ordine
simbolico, ateorico - con il "proprio" io o con
la realtà in generale (esteriore ed interiore) viene
esclusa definitivamente: da qui sorge ciò che i lacaniani
usavano chiamare l'opacità del reale [10].
Essa è inevitabile in quanto non poggia sulla specificità
della formazione sociale, quanto sulle modalità necessarie
attraverso le quali l'uomo diviene tale. Lo stadio dello
specchio prepara in tal senso il passaggio definitivo dalla
natura alla cultura: esso costituisce il presupposto generale
dell'assoggettamento (cioè del divenir soggetto)
[11]. E' il puro rapporto
immaginario, la struttura che più tardi, dopo l'assimilazione
dell'ordine simbolico, verrà "riempita"
dalle differenti immagini (o figure immaginifiche) che verranno
ascritte all'individuo (rendendolo soggetto). Ciò
che il soggetto ha da essere, l'altro, ciò che egli
non sa di essere, viene fornito dall'ordine simbolico. Questo
è ciò che assegna al soggetto le "immagini"
con le quali esso ha da identificarsi e nelle quali viene
a riconoscersi.
"L'intervento di un terzo - il padre, la legge, il
simbolo - informa l'immaginario, altrimenti votato al caos;
il linguaggio sovrano abbatte la torre di Babele dove ciascuno,
sentendo solo il suono della propria voce, si condanna al
solipsismo della follia" (Pontalis 1956, 176). Con
l'Edipo interviene dunque un terzo che spezza il rapporto
duale immaginario: il "padre", che, separando
il bambino dalla madre, separa il bambino da se stesso,
dal suo godimento (jouissance) pieno. Il bambino vive questa
separazione come una castrazione: egli viene derubato dell'onnipotenza
della fase narcisistica [12].
Di conseguenza egli vede nel terzo (nel padre) un nemico
ed una minaccia, l'istanza insomma che proibisce il precedente
rapporto con la propria madre, cioè la piena soddisfazione
dei propri desideri. Facendo questo tale istanza interviene
sotto forma di legge: "è grazie al Nome-del-Padre
che l'uomo non resta legato al servizio sessuale della madre,
che l'aggressione contro il Padre sta a principio della
Legge, e che la Legge è al servizio del desiderio
che istituisce con la proibizione dell'incesto" (Lacan
1974, 856).
Da tale proibizione sorge dunque una mancanza che costituisce
il desiderio. Infatti attraverso la castrazione (la separazione
dalla madre) viene a mancare l'oggetto di identificazione
assoluta, viene a mancare l'io. In tale vuoto, che è
un patire dato che in esso sorge un desiderio non più
e non ancora soddisfatto, interviene l'ordine simbolico.
Questo, dopo che l'esclusiva identificazione singolare è
andata definitivamente perduta, fornisce le identificazioni
attraverso cui il soggetto cercherà più tardi,
come uomo o come donna, di soddisfare i propri desideri.
"La crisi dell'Edipo è determinante per la stessa
maturazione sessuale (...) è... l'assunzione della
castrazione a creare la mancanza per cui il desiderio si
istituisce. Il desiderio è desiderio di desiderio,
desiderio dell'Altro..., cioè sottomesso alla Legge"
(ibid.). Il desiderio è dunque legato indissolubilmente
alla Legge, tanto nel senso che è la Legge ad istituirlo,
quanto in quello che esso può cercare la soddisfazione
solo nell'ambito delle regole prescritte. "La funzione
del padre reale non è quella di contrapporre il desiderio
alla legge..., quanto di accordare l'una all'altro"
(Safouan 1974, 138; cfr. Lacan 1974, 828).
Ma come vive in effetti il bambino la presenza di un terzo
come castrazione? Come assimila la proibizione (la Legge)?
E soprattutto: come esperisce ogni bambino sempre e di nuovo
il complesso di Edipo? La risposta a tali domande ci conduce
alla specificità della versione lacaniana della psicanalisi:
la Legge viene trasmessa attraverso la lingua.
Come sappiamo Freud ha fornito una spiegazione filogenetica,
nel momento in cui, con una prudenza non eccessiva, ha affermato
che la castrazione ha effettivamente avuto luogo nelle fasi
iniziali della cultura umana: un evento trasmesso quindi
filogeneticamente, in differenti varianti, attraverso i
fantasmi originari.
Freud ricorre così ad un mito - ciò che invece
tanto Lévi-Strauss quanto Lacan, nei loro rispettivi
campi d'indagine, intendono evitare [13].
Entrambi gli autori identificano piuttosto nella lingua
l'istanza universale che trasmette l'ordine culturale (il
divieto dell'incesto): "il linguaggio con la sua struttura
preesiste all'ingresso che ogni soggetto fa in esso a un
certo momento del suo sviluppo mentale. (...) Il soggetto,
se può apparire servo del linguaggio, lo è
ancor più di un discorso nel movimento universale
del quale il suo posto è già iscritto alla
sua nascita, non foss'altro che nella forma del nome proprio.
"Il riferimento all'esperienza della comunità
come sostanza di questo discorso non risolve nulla. Poiché
questa esperienza riceve la dimensione che le è essenziale
dalla tradizione instaurata da tale discorso. Questa tradizione,
ben prima che vi si iscriva il dramma storico, fonda le
strutture elementari della cultura. E queste stesse strutture
rivelano un ordine degli scambi che, foss'anche inconscio,
è inconcepibile al di fuori delle permutazioni che
il linguaggio autorizza" (Lacan 1974, 490) [14].
Ma come può la lingua trasmettere l'ordine simbolico,
il sistema della parentela?
Scrive De Saussure che "nella lingua non vi sono se
non differenze" (1991, 145). Assimilando la lingua,
il bambino assimila le differenze che essa veicola: è
la lingua che trasmette il sistema della parentela. "Questo
è tuo padre!": in tal modo non viene solo nominata
una figura con cui il bambino ha abitualmente a che fare.
Nel contempo viene indicata (detta, enunciata) la differenza
con le figure diversamente nominate con le quali un qualcosa
è ammesso oppure no: sorge così un sistema
nel quale ogni figura ha la sua collocazione. La denominazione
differenzia: ciò che in una cultura risulta indifferenziato,
in un altra può essere strutturato in opposti. Il
sistema delle differenze, trasmesso comunque in primo luogo
attraverso la lingua, costituisce un'immagine della realtà
che si sostituisce alla realtà nella percezione che
abbiamo di essa (è la lingua insomma che organizza
la nostra percezione del reale). Che conseguenze ha tutto
ciò per il psichico?
La lingua struttura l'apparato psichico: produce l'inconscio.
Infatti essa è strutturata in modo tale da rendere
impossibile il contatto con la realtà (con la realtà
esterna ed interna): la lingua infatti - ovvero l'immagine
della realtà che si sostituisce alla realtà
nella percezione che abbiamo di essa - continua ad obbedire
alle proprie regole di funzionamento. Ciò significa
che noi percepiamo la realtà attraverso un sistema
chiuso, che è reale - direi materiale - ma non è
la realtà che esso enuncia. L'apparato psichico è
"rinchiuso" in questo sistema. Come avviene tutto
ciò?
Analizziamo il concetto di pulsione: la pulsione, che è
di origine somatica, agisce nel psichico (dunque nel soggetto)
attraverso i suoi rappresentanti: i rappresentanti ideativi
(Vorstellungsrepräsentanten). Non si tratta tuttavia
di una rappresentanza diretta, come se ad ogni singola pulsione
corrisponda un singolo rappresentante. I rappresentanti
delle pulsioni (con il loro importo d'affetto) sono piuttosto
inseriti in quel sistema chiuso che relativizza fortemente
la loro funzione rappresentativa, nel senso che si rapportano
con ciò che rappresentano solo nella loro sistematicità:
questa sistematicità è appunto la struttura
linguistica in quanto ordine di significanti. Il significato
(in termini più corretti la significazione o il referente)
del rappresentante si perde nella rete dei significanti
della struttura linguistica che il bambino assimila: sorge
una cesura tra significazione e significante che rimuove
la significazione e non la fa emergere: La significazione
del significante può essere recuperata eventualmente
solo indirettamente (per metafora o metonimia) attraverso
la rete dei significanti e delle sue regole di funzionamento
(talking cure). Il desiderio diventa un significante, mentre
la ricerca della sua soddisfazione è una ricerca
senza fine del significante "giusto" che, tuttavia,
viene sempre mancato.
Ricapitolando brevemente: il bambino viene separato dalla
madre. Questo produce una mancanza che non sarà più
possibile colmare (ciò che Lacan chiama manque-a-être).
Da questa mancanza, che è causata in ultima analisi
dal linguaggio che spezza il rapporto immediato con se stesso
e con la madre (e frammenta così la pienezza), sorge
il desiderio come domanda. Il desiderio si articola dunque
attraverso ciò che lo ha determinato, si articola
come lingua, vale a dire attraverso quelle operazioni che
la lingua rende possibile e che costituiscono la lingua:
la metafora e la metonimia, o, in altri termini, l'asse
verticale della selezione e quello orizzontale della combinazione.
In fondo uno spostamento (un rinvio, una Verschiebung) senza
fine: "il dramma del soggetto nel verbo è quello
di mettere alla prova la sua mancanza ad essere" (Lacan
1974, 651) [15].
La rimozione originaria, da cui sorge l'inconscio, deriva
dunque dalla struttura della lingua. Il bambino, sottomesso
alla lingua, diventa soggetto. Infatti la significazione
dei rappresentanti delle pulsioni va "perduta"
nel momento in cui essi sono presi nella rete di significanti:
ciò nonostante continuano ad agire - mediante la
lingua - come rappresentanti di pulsioni [16].
La lingua che parla il soggetto è in ultima analisi
determinata dalle significazioni rimosse (impropriamente
potremmo dire "dimenticate"): vale a dire determinata
dall'inconscio, dall'Altro (è l'Altro in quanto ha
il suo posto al di fuori dell'io dell'enunciazione che esso
tuttavia determina). E' l'Altro che parla, non l'io dell'enunciato.
"L'effetto di linguaggio è la causa introdotta
nel soggetto. Grazie a tale effetto egli non è causa
di se stesso, ma porta in sé il verme della causa
che lo scinde. Perchè la sua causa è il significante
senza il quale non ci sarebbe alcun soggetto nel reale.
Ma questo soggetto è ciò che il significante
rappresenta, e il significante non sa rappresentare niente
che per un altro significante: cui si riduce allora il soggetto
che ascolta" (Lacan 1974, 838) [17].
L'effetto principale dell'assoggettamento, ovvero dell'assimilazione
della lingua da parte dell'individuo, è dunque il
decentramento del soggetto rispetto all'io che parla: la
scissione (Spaltung) dell'io, come viene definita da Freud
(e refente, fenditura, da Lacan). "Penso dove non sono,
dunque sono dove non penso (...). Ciò che si deve
dire è: non sono, là dove sono il trastullo
del mio pensiero; penso a ciò che sono, là
dove non penso di pensare" (ibid., 512s.).
Non si tratta quindi di "sapere se parlo di me in modo
conforme a ciò che sono, ma se, quando ne parlo,
sono lo stesso di colui che parla" (ibid., 512). Di
conseguenza "l'enunciato non dovrà mai essere
preso in quanto tale, ma come un enigma, un rebus dentro
cui il soggetto si nasconde" (Rifflet-Lemaire 1972,
103).
La lingua ha dunque un effetto illusorio - un effetto che
Althusser più tardi definirà ideologico. Esso
consiste nel fatto che il soggetto crede di parlare, mentre
invece è la lingua (e l'ordine simbolico in essa
strutturato) che parla: parla l'inconscio, dal momento che
il soggetto è costituito a seguito della sottomissione
alla lingua che suscita l'inconscio. Ma dal momento che
l'inconscio parla attraverso il soggetto ed essendo il soggetto
proprio questo parlare, sorge nel soggetto l'illusione di
essere l'origine del parlare ed effettivo soggetto dell'enunciazione:
immagina di essere autonomo. Ciò significa che la
sottomissione, attraverso la lingua, all'ordine simbolico
che costituisce il soggetto, costituisce anche l'illusione
della sua autonomia, dato che la lingua non rende la sottomissione
percepibile [18].
L'accesso della significazione al significante è
bloccato (sbarrato), per quanto il significante continui
a venir trattato come una significazione ed in effetti è
l'unico possibile accesso (potremmo meglio dire: l'unico
accesso pensabile) ad essa. Sorge da ciò l'illusione
di "dire" una significazione mentre si "dice"
invece il significante (si dirà forse ciò
che si vorrà coscientemente dire, ma ciò che
si vuol dire, e che si è detto, non corrisponde a
ciò che si dice). Se dunque il soggetto parla, parla
l'io che egli immagina di essere: ma ciò che egli
immagina di essere è stabilito nell'ordine simbolico.
Chi parla è allora l'io (significante) della lingua
(dell'ordine simbolico).
Il soggetto è l'io della lingua. In tal senso possiamo
dire con Lacan "che il soggetto non si confonde con
l'individuo" (Lacan 1991, 11) e che esso è "decentrato
rispetto all'individuo" (ibid., 12), oppure con Althusser
che gli individui sono "'astratti' rispetto ai soggetti
che sono sempre-già" (Althusser 1977b, 113).
Ma se il soggetto è l'io della lingua, l'io (je)
è il soggetto della parole. Nella parole il rapporto
immaginario sorto con lo stadio dello specchio s'interseca
con l'ordine simbolico: l'Altro fornisce le identificazioni
che formano l'io - le immagini speculari dove viene trasposto
l'io (moi) dell'individuo divenuto soggetto: il luogo dove
l'io si riconosce come soggetto e come tale viene riconosciuto.
[1] "Abbiamo
infatti affermato - scrive Lévi-Strauss - che la
proibizione dell'incesto e l'esogamia costituiscono regole
sostanzialmente identiche, differenziate tra loro soltanto
da una caratteristica secondaria, e cioè dal fatto
che la reciprocità, pur presente in ambedue i casi,
è disorganica nel primo, ed è invece organizzata
nel secondo" (ibid., 112).
[2] Infatti "fa parte della natura del significante
introdurre con la differenziazione, l'ordine; e, a dire
il vero, lo stesso concetto di ordine non è concepibile,
a rigore, al di fuori del concetto di significante"
(Safouan 1974, 41).
[3] In tale costruzione la simbolizzazione della realtà
- vale a dire l'ordine simbolico come mediazione necessaria
tra percezione e realtà - è transtorica. Non
è transtorico invece lo specifico ordine simbolico
delle differenti formazioni sociali.
[4] Si dovrebbe qui assumere lo "specchio" come
una metafora, che da una parte illustra un'esperienza decisiva
vissuta dal bambino, ma che dall'altra può generare
degli equivoci. Si tratta in realtà di un processo
relativamente lungo (compreso tra il sesto e il diciottesomo
mese di vita) nel quale l'Io del bambino comincia a costituirsi
attraverso l'immagine del suo simile con il quale egli interagisce.
Prima di questa fase il bambino si esperisce come frammentato,
non essendo in grado di coordinare i suoi movimenti e le
sue percezioni sensoriali. E' ciò che Freud definisce
"impotenza motoria" (Freud 1951, 107). Lo stadio
dello specchio corrisponde solo in parte al passaggio, descritto
da Freud, dall'autoerotismo al narcisismo (primario). La
concettualizzazione di questo stadio è un contributo
originale di Lacan. Una fonte importante è costituita
- oltre che naturalmente dai risultati delle varie ricerche
psicanalitiche - dalle ricerche di Henri Wallon (cfr. Ogilvie
1988, 100s.). Wallon fu tra gli anni Trenta e Quaranta uno
dei più influenti psicologi francesi (soprattutto
nel campo della psicologia infantile) ed esponente importante
del partito comunista. Durante gli anni Quaranta si avvicinò
all'approccio pavloviano.
[5] Lacan riprende qui la terminologia del biologo Jakob
von Uexküll (cfr. Ogilvie 1988, 68).
[6] E' necessario distinguere tra io (moi) ed io(je). Il
primo è l'io dell'enunciazione (cioè lo spazio
nel quale si produce l'enunciato); il secondo è l'io
dell'enunciato, ciò che l'enunciatore dice di essere.
Il je non coincide con l'io dell'enunciazione (in altri
termini, chi effettivamente parla non è l'enunciatore;
chi viene esplicitamente inteso - ad esempio nelle frasi
in seconda o terza persona - non è chi viene enunciato
come soggetto della frase; più in generale: ciò
che si enuncia non è ciò che effettivamente
si dice ed anzi quanto si enuncia può nascondere
quanto si dice). D'altra parte, come vedremo meglio in seguito,
l'io dell'enunciazione non coincide con l'individuo se non
nel senso che quell'io gli è dato da un'identificazione.
[7] Si tratta di una ristrutturazione del rapporto transitivista
attraverso l'ordine simbolico. E' estremamente importante
il modo in cui avviene tale ristrutturazione. Nella schizofrenia
ad esempio il rapporto transitivista continua ad essere
quello predominante.
[8] Nella versione italiana dell'opera di Rifflet-Lemaire
si traduce erroneamente - e si tratta di un errore piuttosto
grave - l'originale méconnaisance con "ignoranza"
(Rifflet-Lemaire 1972, 222). Preferiamo quindi citare direttamente
dall'originale.
[9] Finzione non nel senso che il soggetto non sarà
se stesso, giacché non vi è un se stesso che
precede (tanto sul piano ontologico quanto su quello cronologico)
ciò che si viene ad essere. Finzione piuttosto, nel
senso che l'io (moi) assume come suo (come "je")
ciò che in realtà gli viene assegnato (dalla
cultura, dalla lingua, dall'ordine simbolico). Non v'è
dunque alcun pensiero "critico" a fondamento del
concetto lacaniano di alienazione (il termine è in
verità fourviante): non vi è un essere precostituito
che diventa altro da sé, ma un essere che si costituisce
esclusivamente attraverso ciò che gli proviene "dall'esterno".
[10] Scrive Miller che lo stesso adattamento del soggetto
alla realtà non è affatto "naturale":
l'adattamento "non potrebbe dunque venir pensato secondo
i modelli che valgono per il mondo animale, esso avviene
attraverso l'intervento di un sistema correttore" (Miller
1968, 98). Tale opacità del reale - vale a dire l'opacità
della percezione della realtà - si completa a seguito
dell'assimilazione dell'ordine simbolico. Con lo stadio
dello specchio essa viene soltanto introdotta, in quanto
con esso emerge la struttura (la Gestalt, dice Lacan) che
rende possibile la costituzione dell'io solo attraverso
le identificazioni. Un rapporto corretto, non immaginario
può seguire solo ad una disarticolazione scientifica
dell'ordine simbolico. Anche le scienze della natura devono,
secondo il modello lacaniano, attraversare la mediazione
simbolica se vogliono raggiungere (almeno asintoticamente)
la conoscenza. Ciò nonostante la conoscenza non può
venir intesa come aedequatio rei. Come si vede, ciò
ci riconduce alla epistemologia althusseriana. In effetti
potremmo equiparare il concetto (althusseriano) di oggetto
della conoscenza con quello di significante - così
come esso viene inteso innanzittutto dalla linguistica strutturale
e quindi dalla psicanalisi lacaniana. Secondo Martel l'epistemologia
althusseriana deriva interamente da Lacan (più esattamente:
dalla "antropologia lacaniana", cfr. Martel 1984,
13, 43). Ciò ci pare in verità eccessivo:
un parallelismo, che nella linea Duhem-Cavaillès-Bachelard-Canguilhem
raggiunge anche Foucault, viene forzatamente trasformato
in un rapporto di derivazione.
[11] "In questo punto di congiunzione tra la natura
e la cultura, che l'antropologia dei giorni nostri (1949,
SG) scruta ostinatamente, solo la psicanalisi riconosce
quel nodo di servitù immaginaria che l'amore deve
sempre ridisfare o tagliare" (Lacan 1974, 94).
[12] La psicanalisi chiama "fallo" la perdita
dell'essere-pienamente-soddisfatto, il separato. Safouan
scrive che "l'edipo non è in fondo che una forma
culturale tra le altre, anch'esse possibili purché
svolgano la medesima funzione, che è la provocazione
della funzione della castrazione nel psichico" (Safouan
1974, 124).
[13] Lévi-Strauss critica l'approccio di Freud in
Totem e tabù e contrappone ad esso il procedimento
esplicativo specifico della situazione analitica: "non
si sottolineerà mai abbastanza che, approfondendo
la struttura dei conflitti di cui il malato è teatro
per rifarne la storia e giungere così alla situazione
iniziale intorno alla quale si sono organizzati tutti gli
sviluppi succesivi, egli segue un cammino inverso a quello
della teoria, così come Totem e tabù ce la
presenta. Nel primo caso si risale dall'esperienza ai miti,
e dai miti alle strutture; nel secondo si inventa un mito
per spiegare i fatti: in breve, si procede come il malato,
invece di interpretarlo" (Lévi-Strauss 1984,
630s.).
[14] La sessualità, in quanto conseguenza dell'Edipo,
si ripartisce, dopo il sorgere dell'organizzazione delle
pulsioni parziali sotto il primato delle zone genitali,
nel modo seguente: "dal lato del vivente in quanto
essere preso nella parola, in quanto non può in fondo
mai accadervi tutt'intero, in quell'aldiqua della soglia
che tuttavia non è né un dentro né
un fuori, non c'è accesso all'Altro del sesso opposto
se non per la via delle pulsioni cosiddette parziali, in
cui il soggetto cerca un oggetto che gli sostituisca quella
perdita di vita che è la sua di essere sessuato.
"Dal lato dell'altro, luogo in cui la parola si verifica
incontrando lo scambio dei significanti, gli ideali cui
dànno supporto, le strutture elementari della parentela,
la metafora del padre come principio della separazione,
la divisione sempre riaperta nel soggetto della sua primitiva
alienazione, da questo lato soltanto e per le vie che abbiamo
appena detto, devono instaurarsi l'ordine e la norma che
dicono al soggetto che cosa si deve fare come uomo o donna"
(ibid., 853).
[15] "fatto di cui lo psicoanalista - prosegue Lacan
- potrebbe e dovrebbe precisare certi momenti, mentre allo
psicologo, con i suoi questionari e le sue registrazioni,
questi momenti non appariranno tanto presto, almeno non
prima che un film sia riuscito a cogliere la struttura della
colpa come costitutiva del gioco degli scacchi" (ibid.).
[16] "Ciò che non viene 'nominato', non esiste
nella 'realtà' umana. Ciò non le impedisce
tuttavia di produrre in quanto reale i suoi effetti: i sintomi,
le allucinazioni" (Ogilvie 1988, 117).
[17] "Accordare al significante questa priorità
sul soggetto, per noi è tener conto dell'esperienza
apertaci da Freud, e cioè che il significante gioca
e vince, se così possiamo dire, prima che il soggetto
ne sia avvertito, a tal punto che nel gioco del Witz, il
motto di spirito, ad esempio, esso sorprende il soggetto"
(ibid., 843).
[18] Solo la scienza può scoprire lo sbarramento
tra significazione e significante, senza tuttavia rimuoverlo,
senza poter dunque fornire alla significazione, alla cosa,
il suo significante (che è in fondo la ricerca della
lingua perfetta).
Per quanto riguarda il soggetto: essere cosciente del proprio
inconscio non significa dissolvere l'inconscio ed innalzarsi
ad origine del proprio agire: significa piuttosto conoscere
la propria sottomissione all'ordine simbolico: una conoscenza
che non potrà mai essere evidente.
Riferimenti bibliografici
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- (1972) Introduzione a Jacques Lacan. Roma
SAFOUAN, M.
- (1974) Études sur l'Oedipe. Paris
Sebastiano Ghisu
insegna filosofia del linguaggio presso la Facoltà
di scienze politiche dell'Università degli studi di
Sassari. Ha svolto attività di ricerca presso la Freie
Universität di Berlino, dove ha conseguito il dottorato.
Ha collaborato alla rivista Das Argument ed è
stato membro della redazione del Dizionario storico-critico
del marxismo (Historisch-kritisches Wörterbuch des
Marxismus) sotto la direzione di W.F. Haug (per tale dizionario
ha redatto la voce Entfremdungsdiskussion). Le sue
ricerche si sono mosse fondamentalmente 1. nell'ambito della
teoria del soggetto, nell'individuazione delle modalità
e dei meccanismi (linguistici e cognitivi) attraverso cui
il soggetto è stato rappresentato al nostro sguardo
come ovvietà o fatto originario; 2. al confine tra
filosofia del linguaggio ed epistemologia, nell'analisi del
rapporto tra meccanismi di funzionamento della lingua (intesa
in senso lato come sistema segnico) e meccanismi di produzione
della conoscenza. Tra i suoi lavori: Georg Simmel: l'ideologia
dell'individualità, Cagliari 1991; Althusser
e la psicanalisi, Cagliari 1991; Ewigkeit des Unbewußten
- Ewigkeit der Ideologie, Hamburg 1995; Gli articoli:
Dialogo, scienze e verità. Una critica alla teoria
della verità di Jürgen Habermas. In: Atque,
Aprile 1997; Il paradosso della soggettività. Il
concetto di discontinuità nell'opera di Michel Foucault.
In: Iride, Agosto 2000. Ha inoltre curato la parte
relativa alla figura di Platone in: Filosofie nel Tempo,
a cura di Giorgio Penzo, Milano, 2001. |