Marea palpitante,
marea piena di corpi,
di ossa mormoranti, di sangue, di polveri squamose,
di luci frantumate, di conchiglie di stelle,
santa marea che raduni i corpi.
Marea profonda, astri girevoli, schiuma,
carne,
specchi dove si riflettono gli angeli,
fumi, fumi dalle volute strane
dove trascorrono specchi di orizzonti erranti.
marea spirituale, marea intessuta di carne,
ricomponi tra noi la dispersione dei corpi,
marea vivente, o tu che la cenere incomparabile
dei mondi passati attraversa con le sue favole,
formicolante di mondi rinascenti senza sosta
riplasma con le tue mani la sabbia friabile
trafiggici con le tue criniere di sangue.
(Antonin Artaud - agosto 1922)
Il desiderio si aggira nelle
obliquità del soggetto, nel sospetto di uno sguardo
in tralice. Attende su una soglia di sapere dove andare
e nel frattempo riflette il suo ghigno beffardo allo specchio.
Scriveva Sartre: "Che la realtà umana sia mancanza
basterebbe a provarlo l'esistenza del desiderio come fatto
umano
Perché il desiderio sia desiderio a se
stesso, bisogna che sia mancanza, ma non una mancanza-oggetto,
una mancanza subita
bisogna che sia la sua propria
mancanza di
Il desiderio è mancanza d'essere,
è sollecitato nel suo più intimo essere dall'essere
di cui è desiderio. Così testimonia l'esistenza
di una mancanza nell'essere della realtà umana"
(Sartre 1943, 132) Per Sartre la perdita di se stessi e
la negazione della propria autosussistenza, resta ancorata
ad una certa idea esistenzialista per la quale il per-se
si configura come ricerca di una presunta autenticità.
Nonostante la denuncia di una mancanza d'essere infatti,
l' analisi è pur sempre volta verso l'esistenza alla
quale si dà una dignita filosofica imprescindibile;
dunque il tentativo è pur sempre quello nostalgico
del ripristino di ciò che si è perduto. Blanchot
individua invece una fessura: il linguaggio porta in seno
la decostruzione del soggetto. Infatti "il potere di
parlare è legato
alla mia assenza d'essere.
Mi chiamo ed è come se pronunciassi il mio canto
funebre, mi separassi da me stesso, non sono più
la mia presenza né la mia realtà, ma una presenza
oggettiva, impersonale, quella del mio nome che mi supera
e la cui immobilità di sasso ha esattamente per me
la funzione di una pietra tombale sospesa nel vuoto. Quando
parlo, nego l'esistenza di ciò che dico, nego anche
l'esistenza di chi parla; la mia parola, se rivela l'essere
nella sua inesistenza, afferma di questa rivelazione che
essa è stata prodotta partendo dalla non esistenza
di chi la fa, del suo potere di allontanarsi da se stesso,
di essere altro che il suo essere." (Blanchot 1983,
29). L'assenza d'essere di cui parla Blanchot è molto
simile a quella che Lacan chiamava manque-a-être,
spazio nel quale e per il quale sorge il desiderio. "Il
desiderio si produce nell'aldilà della domanda perché,
articolando la vita del soggetto alle sue condizioni, essa
ne sfronda il bisogno; ma esso si scava anche nel suo aldiqua
perché, domanda incondizionata della presenza e dell'assenza,
essa evoca la mancanza ad essere
In questa aporia incarnata
il desiderio si afferma come condizione assoluta" (Lacan
1974, 625) Il desiderio è un rinvio come del resto
lo è il soggetto. Il rinvio costante è la
caratteristica dell'inconsistenza e dello sgretolamento
originario del soggetto che si illude di essere ciò
che è già e sempre in Altro.
L'architettura del desiderio prende forma in Lacan attraverso
delle disorganicità. Il soggetto rapsodico è
ravvisato nel "corpo-in-frammenti
[che] si mostra
regolarmente nei sogni...Allora esso appare nella forma
di membra disgiunte e degli organi raffigurati in esoscopia,
che mettono ali e s'armano per le persecuzioni intestine"
(Lacan 1974, 91) Prosegue pertinentemente Lacan raffigurando
il corpo come i quadri di Bosch. Il corpo-in-frammenti è
la disintegrazione di qualcosa che ha smesso di svolgere
la propria funzione, la saturazione e la trasformazione
di un soggetto che non controlla se stesso. Per questo verso
il desiderio, che è pur sempre desiderio del soggetto,
è una spinta incessante di cui l'appagamento sarà
solo virtuale. Il desiderio è incontenibile tensione
che sorge e si fa spazio nel grembo di una ancestrale separazione
della quale il soggetto subisce la condanna. Il sentiero
del desiderio sembra essere quello contrassegnato dalla
formazione e dallo sviluppo del soggetto. Si tratta tuttavia
di un soggetto che sfugge al riconoscimento e delega, suo
malgrado, l'Altro nell'adesione a sé. La trasmutazione
del soggetto produce una difficoltà primaria: se
il soggetto è soggetto del desiderio allora dove
si dirige il desiderio? Verso un oggetto indefinito che
è continua sostituzione. Il "voler avere qualcosa
in cambio" è una scusa, è il tentativo
bulimico di supplire e riempire un fondo già e sempre
bucato. Il nutrimento effettivo del desiderio è dunque
nel ribaltamento del rapporto desiderante-desiderato, in
cui il desiderato non viene posseduto ma solo ascoltato
in attesa. Il desiderio si fa spazio. Rompe gli argini deboli
di un soggetto fasullo e straripa Altrove.
L'Altrove è un luogo di contaminazioni fluttuanti.
"Il desiderio
non si definisce attraverso nessuna
mancanza essenziale
è proprio così tutte
le volte che si pensa il desiderio come un ponte tra il
soggetto e un oggetto: il soggetto non può essere
altro che sfaldato, e l'oggetto perduto in partenza
Ci
pareva che il desiderio fosse un processo, e che dispiegasse
un piano di consistenza, un campo di immanenza
Il desiderio
non è dunque interno a un soggetto, come non tende
neanche verso un oggetto: è invece strettamente immanente
a un piano a cui non preesiste, un piano che deve essere
costruito, dove si emettono delle particelle, dove si coniugano
dei flussi. C'è desiderio solo in quanto c'è
dispiegamento di un tale campo, propagazione di tali flussi,
emissione di tali particelle. Lungi dal presupporre un soggetto,
il desiderio può essere colto solo nel punto in cui
qualcuno non cerca o non coglie più un oggetto così
come non si coglie come soggetto
Il piano di consistenza
o di immanenza, il corpo senza organi, comporta dei vuoti
e dei deserti. Ma questi fanno <pienamente> parte
del desiderio, ben lungi dall'approfondire una qualsiasi
mancanza
già il deserto è un corpo senza
organi che non è mai stato contrario alle tribù
che lo percorrono, il vuoto non è mai stato contrario
alle particelle che vi si agitano" (Deleuze 1998, 93-94)
Il piano di consistenza su cui dovrebbero incontarsi tutti
i CsO è una radura scivolosa e deserta che partecipa
dei CsO. "Il Corpo senza Organi non lo si raggiunge,
non si può raggiungere, non si finisce mai di accedervi,
è un limite
Su di esso dormiamo, vegliamo, combattiamo,
vinciamo e siamo vinti, cerchiamo il nostro posto, conosciamo
le nostre inaudite felicità e le nostre favolose
cadute" (Deleuze-Guattari 1996, 227). E' attraverso
la perdita della soggettivazione e delle significazioni
che si arriva alla verità del corpo: un groviglio
di energie e sinergie, una molteplicità materiale
e alchemica di organi spogliati della loro stessa densità.
Un corpo che per Deleuze come per Artaud si apparterrà
nel momento della sua completa esautorazione. "L'uomo
è malato perché è mal costruito. Bisogna
decidersi a metterlo a nudo per grattargli via questa piattola
che lo rode mortalmente, dio, e con dio i suoi organi, Legatemi
pure se volete, ma non c'è nulla che sia più
inutile di un organo. Quando gli avrete fatto un corpo senza
organi, l'avrete liberato da tutti gli automatismi e restituito
alla sua libertà. Allora gli reinsegnerete a danzare
alla rovescia come nel delirio del bal musette e questo
rovescio sarà il suo vero dritto" (Artaud 2001,
53) La vita è "disseminazione
semenza radio-fisica
di magia, di cui nessuno da che mondo è mondo ha
potuto dire cosa fosse" (Artaud 1995, 29). Il corpo
senza organi è la liberazione del soggetto dalla
reclusione di un'anatomia "di cui dio è l'unico
responsabile certo" (IVI). Questo lazzaretto di atomi
conficcati in un corpo di cui nemmeno noi siamo proprietari,
deve essere, secondo Artaud, distrutto. La distruzione del
corpo è feconda, la dissacrazione molto più
sacra di un certo ordine prestabilito. Qualunque principio
unificante lascia il posto al Caos su cui poggiano il soggetto
e le sue false rappresentazioni; e il Caos è de-centramento,
elettricità che scorre e si disperde lungo i filamenti
del soggetto. "Sento sgretolarsi il terreno sotto il
mio pensiero e sono portato a considerare i termini che
adopero senza l'appoggio del loro senso intrinseco, del
loro substratum personale. Meglio ancora, il punto che sembra
collegare questo substratum alla mia vita mi diventa di
colpo stranamante sensibile e virtuale" (Artaud 1966,
58-59). Lo sgretolamento del pensiero è una sottrazione,
un'erosione dell'origine che non permette al soggetto di
avere possesso di ciò che dice. Il linguaggio inteso
come struttura organizzante è fuorviante, non appartiene
al soggetto ma è cospiratore. Il linguaggio tiene
in ostaggio il soggetto che pare libero solo nell'inespressione.
Il linguaggio è espressione di un corpo sotto dittatura.
Il soggetto è suddito di se stesso e altresì
di una sottrazione originaria di cui denuncia senza sosta
la presenza. E' il vuoto a diventare eloquente, non è
l'essere che manca a se stesso per cui bisogna cercare incessantemente
una conciliazione. La frattura è originaria e l'origine
probabilmente una farsa. La rivolta della carne è
il corpo senza organi e il desiderio ne percorre le fenditure
senza tregua, impietoso.
APPENDICE. L'ECO DEL DESIDERIO
DI EULALIA [1]
"Ci sono sguardi d'amore
e sguardi di desiderio. L'amore è povertà,
carenza. E' attesa che l'altro corpo percorra uno spazio
e, colmando un vuoto, incontri. Nell'incontro non c'è
fruizione di un corpo, ma accoglimento di un dono
Il
desiderio, invece, non conosce incontri, non riduce la propria
soggettività per creare quello spazio indispensabile
all'apparizione della soggettività altrui. Il desiderio
conosce solo la saturazione per possesso. Nel suo sguardo
non ci sono le tracce di un'attesa, ma la smaniosa concupiscenza
di incontrare nell'altro solo se stesso" (Galimberti
1983, 105)
Lo specchio è il rifrangersi
dell'immagine, di se stessa, di un mondo perduto e mai posseduto,
di un desiderio insoddisfatto che ha il suono e il peso
lieve di un soffio
la mancanza di essere si fa sublime
visione e suggestione poetica. Eulalia resta rapita dall'immagine
incantata ed edulcorata di un uomo che sorge dalla superficie
dello specchio
una presenza gratuita forse o la metafora
del perduto amore, di un amore nostalgico che non ha tratti
fiammeggianti ma solo sbiaditi dal tempo. E' così
che il desiderio di Eulalia verso chi non alza neanche il
capo per guardarla, trasmuta alchemicamente in nostalgia
Si
può avere nostalgia di qualcosa che non si è
mai avuto; soprattutto, la nostalgia non chiede niente in
cambio e non brucia verso il futuro, non è rivolta
principalmente verso un oggetto erotico. Tuttavia non ci
troviamo nella frattura che la struttura della lingua porta
in seno ma nella potenza nullificatrice e a-topica del silenzio.
Il silenzio è l'immagine che ancora non si è
fatta corpo, è un precedere la forma. L'immagine
muta che abita lo specchio di Eulalia è l'incontro
che non ha bisogno del corpo per sopravvivere, è
la gratuità della visione che non pretende niente
in cambio ma solo di essere accolta.
[1] Il
riferimento è al testo di Paola Capriolo La Grande
Eulalia. La trama non è essenziale, ciò che
interessa sono le suggestioni tratte dal testo funzionali
al nostro discorso.
Riferimenti bibliografici
- M. Blanchot
1983 Da Kafka a Kafka, Feltrinelli, Milano
- J.P. Sartre
1943 L' essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano
- J. Lacan
1974 Scritti, Einaudi, Torino (2 voll.)
- G. Deleuze
1996 (Deleuze-Guattari) Millepiani, Cooper Castelvecchi,
Roma
1998 Conversazioni, Ombre Corte, Verona
- A. Artaud
1966 Frammenti di un diario d'inferno in Al paese
dei Tarahumara, Adelphi, Milano
1995 Storia vissuta di Artaud-Momo, Edizioni L'obliquo,
Brescia
2001 Per farla finita col giudizio di dio, Stampa
alternativa, Roma
- U.Galimberti
1983 Il Corpo, Feltrinelli, Milano
- P. Capriolo
1988 La Grande Eulalia, Feltrinelli, Milano
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