Sognando
in technicolor
di Christian
Soddu
Il
fatto è che puoi starci attento finché vuoi,
puoi sforzarti di non fare il minimo rumore, ma questa fottuta
porta sembra viva, è così, pare che respiri,
che ti senta arrivare, e dopo che hai armeggiato llleeeentamente
con quel mazzo di chiavi, dopo tutto quell'inevitabile clicchettìo,
scatti e controscatti per aprire, la spingi appena ed ecco
che HEEEEEEEEEEEE
ti rimprovera così, gemendo
nel cuore della notte, finché non entri e la richiudi,
piano, altri scatti e controscatti, e il ruvido scivolare
freddo della catenella. E sì che abiti in un decentissimo
appartamento di un decente condominio, di quelli con l'amministratore
e tutto il resto, mica in una vecchia bicocca di campagna
dove le porte possono stridere quanto pare a loro, tanto
la casa è grande e figurarsi se qualcuno le sente
nella zona notte, cento metri quadri più in là,
o più su, dove tutti dormono a quest'ora. Insomma,
questo è proprio un condominio con tutti i crismi.
Non manca il giardino, un rettangolo verde su cui s'accaniscono
le sventagliate intermittenti dell'annaffiatore automatico,
e quando varchi il portone senti quella rassicurante frescura
lucida e silenziosa dell'androne, senti tacchi e voci riecheggiare
e perdersi tra i pianerottoli sulla soglia di tante esistenze
estranee, e l'ascensore che s'anima con un improvviso singulto
e il bottone che diventa giallo. Senti tutte queste cose,
ma non a quest'ora, quando tutti dormono. Non che sia così
tardi, a dir la verità. È sabato sera, o domenica
mattina, insomma sono le tre e sei già a casa, con
le tasche gonfie e appesantite dai ritagli d'un sabato sera
come tanti. Appena entrato le svuoti e uno sciame di nomi,
frasi smozzicate e spiccioli di resto, cappotti al guardaroba
e ore che tentano di star dietro a lancette troppo veloci
volteggia per un attimo nell'ingresso e subito si dissolve
tra le ombre pastello dell'appartamento addormentato, senza
lasciare nulla, se non un vuoto che domani, senz'altro domani,
riuscirai in qualche modo a colmare.
In
realtà, le cose erano molto diverse prima. Cos'è
cambiato? Qualcosa certamente, perché, a pensarci
adesso, tutto era così bello. Eri bello tu, mentre
ti ostinavi a lisciare all'indietro un ciuffo di capelli
che ti ricadeva hollywoodianamente sulla fronte. Era bello
il modo in cui tua madre ti fissava in sere come quella.
Lo specchio dell'anta dell'armadio ne restituiva il volto
sereno e un po' trasognato; lei che alle tue spalle ti cingeva
in un abbraccio gentile, interferendo col rito della pettinatura
e assestando timidi, sapienti strattoni al nodo della cravatta.
Ricordi come ti sembrava profonda e distante, allora, la
voce di tuo padre.
Tuo padre compare d'un tratto nella camera: "È
un tre bottoni" dice, e tu non lo vedi ma lo senti
che guarda il tre bottoni che hai indosso. "L'ultimo
bottone va tenuto slacciato" e se ne va, invisibile
com'è entrato esce, lasciando nella camera una carezza
di bonaria nostalgia che non ti arriva, non colma la distanza,
che è rimasta, così che ora puoi guardarci
dentro e scorgervi tante cose lontane e perdute e sprecate.
Ma più d'ogni altra cosa vedi com'eri bello, di quella
bellezza un po' irruenta ma aggraziata che sempre riluce
da un diciannovenne in estatica attesa.
Poi, il ricciuto ciuffo castano stava finalmente su.
La cravatta sistemata, con un nodo piuttosto blando ad ammiccare
una ricercata noncuranza. Ti piaceva così. Certo,
Cary Grant non avrebbe mai annodato la cravatta a quel modo.
A te piace Cary Grant, è uno dei tuoi tanti assurdi
idoli. Non puoi farci niente, ti piace quello stile così
rassicurante - datato, direbbero in molti - e nessuno porta
lo smoking come lui. L'epitome dell'eleganza è Cary
Grant in smoking che se la spassa con Grace Kelly tra gli
scintillanti saloni del Carlton, a Cannes
ed è
meglio che i tuoi amici non lo sappiano.
Dopo pranzo avevi evidentemente rivisto Caccia al Ladro
in cerca d'ispirazioni al sapor francese, di qualche battuta
da attingere a quella sceneggiatura brillante nella speranza
di poterla sfoggiare, opportunamente riadattata, durante
la festa di quella sera, casomai fossi incappato per un
inaudito colpo di fortuna in qualcuno di interessante; si,
insomma
una col corpo da squillo, vestita da squillo
e con corrispettive abitudini, ma dotata di parola, nonché
sufficientemente intellettuale da apprezzare una citazione
ma non tanto da sapere che si tratta di una citazione.
Come gracchiava quel citofono! Un graffio inatteso, quasi
doloroso nel silenzio di casa, e tu sobbalzavi ogni volta
che ti sorprendeva. In sere come quella il citofono chiamava
e tu dovevi scendere. A domani, bacio, divertiti
STA'
ATTENTO, ma tu già aprivi la porta e affrontavi il
freddo del pianerottolo, fendendo l'aria immobile con un
moto d'impazienza. Prima che le porte dell'ascensore ti
nascondessero dietro un riflesso metallico, ciocche riottose
di capelli sfuggivano alla stretta del gel multivitaminico
al pantenolo riequilibrante nutriente ai polimeri attivi
di cheratina, fissaggio medio effetto ondulato con brio,
quello che non aggredisce il cuoio capelluto e coccola i
capelli, li accudisce e li comprende, sussurra loro che
sono al sicuro e tutto andrà bene. Dopo tutto quel
lavoro di toeletta, vanificato così, ti prendeva
un accesso di panico e sfiducia. Pensavi allora che non
avresti mai incontrato la tua Miss Stevens di Caccia al
Ladro; che non ti sarebbe mai accaduto di scorgere laggiù,
al culmine del ricevimento, vicino al palco dell'orchestra,
un profilo preraffaellita e poi, arrancando educatamente
tra la folla per raggiungerla, di scoprire pian piano una
figura radiosa, fasciata in una delle creazioni premio Oscar
di Edith Head
Presentarti a lei che si volta e ti
guarda, e tu sicuro, fingendo di non precipitare innanzi
a quella sorpresa di viso, a quella disposizione inconcepibilmente
perfetta di lineamenti. Poi, se solo i capelli ti fossero
rimasti a posto, avreste potuto iniziare una sofisticata
conversazione a base di sofisticati doppi sensi, finché
tra voi sarebbe stato tutto un frinire di battute spumeggianti,
uno di quei dialoghi perfetti che scattano come meccanismi
a orologeria, e come da copione le avresti detto: "Miss
Stevens?
", e lei "si, Mr. Bearns?",
e tu "sapete a cosa penso?", e lei "a cosa?",
e tu "a voi!", mentre l'inquadratura stringe sul
vostro gioco di sguardi e
fine della scena. Perfetta,
buona la prima!
Ti pare adesso che l'ultimo sguardo dei tuoi genitori fermi
sulla soglia fosse per l'elegante abito scuro. Era importante,
piuttosto impegnativo, un costoso involucro a preservare
la fragranza di quell'energia ballerina che ancora scrutava
a destra e a sinistra, alla ricerca di nuovi spazi da conquistare.
Anni
dopo, i tasti del pianoforte di Bill Evans picchiettano
morbidi, come una pioggerella sottile che rimbalza dappertutto
nella tua stanza, e ad un tratto, sul finire di Here's that
rainy day il basso si dilegua, si spegne il crepitare soffuso
della batteria, e il pianoforte resta solo e si fa rapido,
la melodia s'arriccia su se stessa e si disfa in uno scroscio
di note a sorpresa, e prima che nella camera torni la calma,
come una coreografia evocata dall'assolo rivedi il lembo
del cappotto che tracciava una virgola nell'aria luminosa
e artificiale dell'ascensore, prima che le porte metalliche
si chiudessero del tutto, lasciando fuori alcuni frammenti
scintillanti di un sogno vago, al quale s'aggrappavano quelle
serate lontane. Qualcosa era così risparmiato alla
frenesia famelica della festa, dei ciaocomestai e dei brindisi
che tintinnano freddi a scandire con gioia convenzionale
il ritmo di voci garrule, e restava a galleggiare lì,
sul pianerottolo, prigioniero del rimpianto sorridente di
tua madre che, lentamente, s'appoggiava alla maniglia e
richiudeva l'uscio. E sai che allora, dietro la porta chiusa,
uno sfarfallìo d'ingialliti fotogrammi del passato
doveva avvolgerla per un attimo, mentre si voltava e raggiungeva
tuo padre in soggiorno.
Erano tutti laureati o laureandi, nessuno che avesse la
vostra età. Alcuni, i veri invitati, erano lì
per festeggiare la laurea in medicina del cugino di Nuccio.
Molti erano lì per bere e per conoscere (possibilmente
in senso biblico) gente nuova. Tutti festeggiavano perché
si era ad una festa, per il fatto di essere laureandi o
laureati, perché era notte e la settimana stava finendo.
Tu e i tuoi amici, al primo anno di università, festeggiavate
il semplice fatto di trovarvi lì, senza conoscere
quasi nessuno, decisi ad inserirvi in un circolo nuovo ed
esclusivo, quello degli over ventiquattro, con ragazze che,
ne eravate certi, sarebbero state colte da un irresistibile
impulso protettivo, materno, con l'ineluttabile corollario
di sviluppi erotici, al solo vedervi aggirare teneramente
isolati, freschi e un po' spaesati tra la folla sconosciuta.
L'errore, il primo dei tanti che avreste commesso nel corso
della serata, fu quello di arrivare troppo presto.
"Ma non c'è nessuno!" si lamenta
Pietro. "Sicuri che non abbiamo sbagliato locale?".
A mezzanotte la discoteca è ancora vuota, e a gettare
uno sguardo rapido e indifferente al vostro ingresso sono
solo il buttafuori e cinque o sei sfigati che ciondolano
tra la pista da ballo e il bancone del bar, incerti se sprecare
subito la prima delle due consumazioni. Più avanti,
vedi un gruppetto tutto incravattato nel quale individui
il neo dottore.
"Ecco Marco. Signori
andiamo a rendere omaggio".
Seguite Nuccio, che vi precede fiducioso. Innesti il sorriso
automatico, ma non è sufficiente a infonderti sicurezza
nella sala grande e così vuota. Non l'avevi mai vista
così, mai prima delle due del mattino, quando le
colonne rivestite di specchi e le pareti a mosaico dei due
piani si sono già sfaldate in un filare indistinto
di volti luccicanti, parole a mezz'aria e luci artificiali
che vorticano tutt'intorno. A quell'ora, l'orchestra che
sempre zufoleggia nei tuoi sogni intrisi di jazz e martini
si è già arresa ai ritmi altrettanto inverosimili
d'una cacofonia isterica domata a stento dal dj
ma
adesso! Adesso è tutto così lindo e spazioso.
Adesso è più facile immaginare di attraversare
la scena in leggerezza
Congratulazioni!
Ciao
bello, auguroni
vivere in leggerezza
Già,
la specializzazione
Civediamodopo
ok?, con l'invulnerabilità
in doppiopetto del William Holden di Sabrina,
un master,
un master è sempre la cosa migliore, CIAAAOO
Quella soave adeguatezza, ecco cosa vorresti, mentre volteggi
come un'ape annoiata tra i grappoli di gente convenuta qui,
sulla scintillante superficie del salone di
casa Harlan?!
Magari in occasione del ricevimento offerto dal papà
avvocato o senatore per la sua bambina adorata, che stasera
celebra il suo fidanzamento col giovane e brillante Wentworth,
figlio di Carter Wentworth
I Wentworth & Wentworth
di Boston, per intenderci
cinguettavano con ammirazione
e invidia le damigelle della corte di lei non appena trapelò
la notizia. O forse, che so, le elezioni sono vicine, e
gli invitati hanno tutti nomi made in Philadelphia: c'è
il deputato Kravis che parla con quella sua cugina, moglie
del re del legname del Vermont, ed ecco il giudice Astor
e il dottor Fleming, che agitano in aria i loro sigari panciuti
e pontificano sulla nuova legge in materia sanitaria, o
si palleggiano l'ultimo pettegolezzo che aleggiava ieri
sul green del Country Club, e tutti quei Fairchild, che
trascorrono il tempo ad escogitar pretesti per pronunciare
il proprio nome, e hai idea che si sdilinquiscano ad arrotolarselo
sulla lingua e stiracchiarne le vocali, spremendone sempre
nuove, stillanti gocce di english breakfast tea. In questo
ricevimento da sophisticated comedy - starring Audrey Hepburn
- ci sei anche tu, e naturalmente, da buon figlio del New
England, sei munito di biglietto da visita recante impresso
un cognome WASP, ben protetto nell'autorevole abbraccio
tra almeno due iniziali e uno JR. come strascico finale.
Sono così comodi e caldi gli stereotipi, quando decidi
di indossarli.
Nuccio è il più deluso ma fa finta di
niente. Dovrà pazientare ancora per mezz'ora prima
che la gente cominci ad arrivare e a riempire la pista finché,
mimetizzato tra la ressa ondeggiante, troverà il
coraggio di approcciare la solita dozzina di ragazze. Pietro
ha la sua Sara, che è a casa con l'influenza, quindi
potrebbe starsene tranquillo ma, ora che tutti si dimenano
stretti, allunga ugualmente l'occhio, e non solo, alla volta
dei glutei inguainati in lembi di stoffa nera, docili al
richiamo dell'immancabile latino americano. Massi è
utile come al solito: si esibisce immediatamente nel suo
brevettato ballo-del-vogatore-isterico creando il vuoto
attorno a sé
uno spazio, nel quale noialtri
possiamo incunearci. Ma ora, gente, anzi ragazze, tornate
a farvi sotto
non restate così lontani! Cristo,
la smetti di contorcerti come un ossesso?! Massi la smette,
e ora sembra quasi una persona normale. Speriamo non inizi
a ridere.
Sei al bar da circa mezz'ora. Durante questa mezz'ora
hai praticamente dimenticato il motivo del tuo startene
qui, spalla a spalla con questo spiritosissimo energumeno
tutto umido e azzimato che, mentre si fa versare rivoli
di Cubalibre in una lunga fila di bicchieri da distribuire
all'orda di amici che scalpita più indietro, ringhiando
e schiacciandoti contro il bordo del bancone, si sforza
di strappare uno straccio di sorriso alla barista. La barista
è un concentrato di pura, implacabile efficienza,
uno di quegli esseri glacialmente tesi nel fare ciò
che fanno, e nel farlo il più rapidamente possibile,
i cui gesti, l'intera loro figura, assumono un'impersonalità
vaga e spigolosa, che già hai avuto modo di osservare
nei controllori dei tram e negli impiegati delle poste.
Cosicché, quando ti strappa di mano il biglietto
della consumazione lanciadoti uno sguardo carico di fretta
e di ombretto fucsia, capisci che si sta rivolgendo finalmente
a te, e sei colto di sorpresa: fino a un attimo prima eri
assorto sulla tua camicia nuova, tutta bagnata sul davanti
per esserti appoggiato al bancone umido e freddo e, quel
che è peggio (e mi riesce difficile immaginare qualcosa
di peggio di una Cerruti 1881 in misto seta infradiciata),
non ricordi più quel che dovevi ordinare per gli
altri.
"Un Martini Bianco con ghiaccio e limone!" gridi,
ma sei coperto da Ricky Martin che è partito a razzo,
con un attacco che farebbe ballare pure i sassi, e tutti
iniziano a saltare impazziti e tu salti con loro, ne va
della tua vita, e ad un tratto siete tutti in un unico,
enorme shaker che vibra e sussulta a volume colossale
Evidentemente la barista sa leggere le labbra, o le spietate
condizioni di lavoro hanno affinato in lei nuove, sublimi
capacità sensoriali. Fatto sta che ti ha capito,
la vedi che prende la bottiglia giusta dal ripiano e hai
solo pochi secondi ancora per urlare le altre ordinazioni.
Non sai che fare, hai paura che la barista dagli occhi fucsia
si arrabbi sul serio. Già ti squadra con sospetto:
ha capito che le farai perdere tempo. Sei tentato di prendere
il tuo martini e andartene, lasciando all'asciutto quei
tre, che chissà dove diavolo sono finiti
"OOOH, rettifica generale, Cubalibre per tutti!".
Guardi con gratitudine Nuccio che ti ha appena fatto sordo
ad un orecchio. Come sia riuscito a farsi strada fino a
raggiungerti non lo sai proprio, ma sai per esperienza di
non possedere la sua misteriosa abilità nel fendere
le folle festanti, aprirsi varchi e spostarsi spedito anche
nella calca più frenetica e impenetrabile. A differenza
di te, lui non impiega quarti d'ora di dolente urgenza per
raggiungere la toilette, invariabilmente dall'altra parte
del locale, e se tocca a lui fare la fila al bar, te lo
rivedi spuntare davanti con la birra che hai chiesto in
men che non si dica. Sospetti sia tutta questione di compatibilità
tra elementi. Qui dove siamo, lui è come un pesce
nell'acqua; di più, un ruscello subacqueo che scivola
sinuoso e senza intoppi nel dedalo di correnti e flutti
marini. E come lui tantissimi altri
tutti, hai il
sospetto. Tranne te. Tu non bevi Cubalibre, né vodka
alla pesca o Malibù, perché da quando hai
visto Colazione da Tiffany bevi solo martini, preferibilmente
bianco (anche se talvolta, sull'onda dell'ennesima visione
de Il Padre della Sposa, con Spencer Tracy che alla festa
di fidanzamento di Liz Taylor s'arrabatta a mescolare decine
di martini a cui tutti preferiscono il bourbon, ti lanci
in nuove, ardite esperienze, e vincendo la tua innata repulsione
per le olive osi un Martini Dry, un Manhattan, o un Americano).
Tu hai bisogno di fermarti di tanto in tanto per riprendere
fiato e riemergere dalla miscela di corpi, nacchere e schitarrate
elettriche che si dimena agli ordini di Ricky Martin. Solo
una boccata d'aria, magari più frequentemente di
quanto sia necessario agli altri, dopodiché puoi
tornare sotto e ricominciare tranquillamente a divertirti.
Perché ti diverti, eccome! Quasi sempre almeno. È
solo che
ecco, hai trascorso il pomeriggio acciambellato
sul divano a seguire come ipnotizzato le schermaglie tra
Grace Kelly-Frances Stevens e Cary Grant-John Robie in Caccia
al Ladro e, come al solito, è accaduta una cosa strana.
Perché lo sai, lo sai bene che è tutto made
in Hollywood, che quei centosette minuti di pellicola in
technicolor sono come una brochure ingenua e plastificata,
ma la consapevolezza non intacca l'illusione, la bellezza
delle riprese aeree del paesaggio, punteggiato dalle chiazze
pallide delle ville che paiono sul punto di rotolar giù
dalla roccia a picco sul mare. Ma tutto dovrebbe svanire
dopo che si estrae la videocassetta dal videoregistratore,
giusto?!
E invece, nella tua testa, a portarti alla festa di stasera
non è stata la Clio di Nuccio ma la Cadillac convertibile
di Miss Stevens, splendida con gli interni color crema che
la fanno somigliare ad una coppa di gelato mentre scivola
lungo i tornanti della Moyen Corniche, sullo sfondo blu
e rosa che abbraccia Montecarlo. Il martini non c'entra
niente purtroppo: il bicchiere è ancora pieno. Dev'essere
un romanticismo patologico imputabile a qualche pro-pro-pro-zia;
una sorta di Jane Austen in cuffietta, divoratrice di tè
e romanzi, vissuta chissà dove a cavallo tra Sette
e Ottocento.
Pro zia in cuffietta? Tè e romanzi? Ma che vai a
fantasticare?!
Non è colpa mia, sono malato,
ve l'ho detto.
"Che hai detto?" grida Pietro.
"Ha detto che ha i seni eburnei". Massi mi guarda
strizzando gli occhi, gualcito sul divanetto come un soprabito
dimenticato da qualcuno. "Hai detto così, no?!".
"O, almeno, eburneo è quel che del seno risulta
visibile, e non è poco
Ma guardala!" dici,
e la guardi, la guardate che si dondola lenta e sensuale
poco più in là sulla pista, con gli occhi
chiusi e i capelli che disegnano onde fulve sul suo viso,
stagliandosi a intervalli frenetici in figure irreali e
come sospese nelle raffiche di luce stroboscopica. Che sia
lei? Chissà, potrebbe anche essere.
"E che significa?" insiste Pietro.
"Che cavolo vuol dire eburnei?" fa Massi, che
ha tutta l'aria di divertirsi nel suo ruolo d'interprete.
"Vuol dire d'avorio, color dell'avorio. Bianco insomma.
Cioè
lo so che l'avorio non è proprio
bianco, ma d'un bianco giallastro
".
Massi strizza ancor più gli occhi, nello sforzo di
risorgere dalla postura etilica:
"E allora?".
"Allora niente. Eburneo si usa comunque per indicare
qualcosa di bianco, di pallido, di puro".
"Questo è matto!". L'impressione di un'ostilità
vaga ti arriva attraverso la confusa voce di Pietro, smerigliata
dall'alcool e dal fumo di sigaretta
Che sia lei? Non
riesci a fare a meno di fissarla
"Che cazzo! E perché non dici bianco piuttosto
che edurneo?!".
Finisci d'un sorso ciò che resta del martini, e ti
fai scivolare in bocca il cubetto di ghiaccio, che ti fa
un male cane ai denti mentre lo mastichi pian piano. Cary
Grant non l'avrebbe mai fatto. Ma Cary Grant non se ne starebbe
nemmeno seduto su questo cubo di stoffa sfondato, d'un orribile
arancione, a parlare di niente e ad assorbire le ondate
di luce elettrica che pulsano in questa nebbia berciante
"Edurmeooo!
Edurmio un accidenti!"
Questa nebbia che si gonfia nel frastuono. Adesso vai; adesso
ti alzi e vai a ballare vicino a lei, Miss Stevens
"E dì bianco perdio! Bianco, non
"
"Stai zitto!" urli, e la gola ti duole. "Dico
eburneo piuttosto che bianco, se mi va, perché esiste
tutt'un vocabolario ricco e articolato, traboccante sinonimi
e simpatici arcaismi, che sarebbe un peccato lasciare inutilizzato
"
"E tu lo conosci tutto, vero?!".
"No
ma che c'entra?! Se conosci una bella parola,
perché limitarsi a leggerla soltanto, senza infilarla
mai in una conversazione?".
"Non è questo il punto!". Una vampata di
rosso accende il volto contratto di Pietro.
"Perché quando parli con noi te ne esci sempre
con adurneo invece di bianco? Bianche, ha le tette bianche
che le esplodono dalla scollatura, non i seni eburnei!".
Incredibile, l'ha azzeccata finalmente. "Se è
per questo, ti dirò che oltre ad essere eburnei i
suoi seni sono anche ubertosi".
"Cazzo
umbertosi!".
"No, quello era un calciatore".
"Era Albertosi, deficiente!", ti sibila addosso
Massi, sadico.
"Vabbè, comunque
U-b-e-r-t-o-siiii, ossia
fecondi, opulenti, floridi, generosi, caro il mio futuro
commercialista".
"Ma parla come mangi!".
"STATE URLANDO!" urla Massi, "Diamoci una
calmata eh?!".
"Parla come mangi?! Mio dio
ma sei un pozzo di
saggezza popolare" e prima di continuare già
ti odi, "Dove l'hai letta questa? Letta, ma che dico!
L'avrai mutuata dalla tradizione orale dei tuoi remoti antenati
Tutti accoccolati attorno al focolare, la sera, a confabulare
e istruirvi a vicenda, e a far la gioia di sociologi e intellettuali
apologeti del bel tempo che fu e delle radici che affondano
nella nuda terra genuina
".
"E tu?
Che non fai niente da mattina fino a sera
se non leggere o guardare film, buttato sul divano
".
"Almeno io so leggere
".
"Ecco dov'eravate finiti! Che ci fate qui seduti?".
Non ci credi, non ci puoi credere
"Stavamo discutendo".
Non ci vuoi credere, perché non è giusto,
ecco!
"Bravo Massimo! Così si fa ad una
festa
comunque questa è Laura".
Ma stava ballando fino a un secondo fa, l'hai vista! Come
ha fatto Nuccio a
così in fretta
Laura - lo dichiara lei stessa con una certa solennità
- è gemelli ascendente leone, studia giurisprudenza
e va a lezione di danza funky due volte la settimana. Ma
tutte queste rivelazioni, insieme a tanti altri particolari
della sua vita privata, ti cadranno addosso soltanto nelle
settimane successive, quando Laura sarà già
entrata a far parte integrante del vostro gruppo con la
qualifica di ragazza part time di Nuccio. Al momento, non
sei in grado di assorbire alcuna informazione che vada al
di là di un semplice nome composto da più
di due sillabe. Non sai se imputare l'improvviso stordimento
che ti si è franto addosso come un'onda alla romantica
delusione o al martini. Ad ogni modo, dopo esserti presentato
come George Peppard, ti alzi a fatica e ti allontani non
sai dove
a ballare, si! Hanno messo su gli Articolo
31. Voglio una lurida!
oh oh
Datemi una luridaaa
ti muovi sugli scatti dell'hip hop, adeguatamente spavaldo
come tutti gli altri, e sei tentato di bussare alla gabbia
di vetro per chiedere al dj se ha My funny Valentine nella
versione classica di Chet Baker, perché ti è
venuta improvvisamente voglia di un lento, con tutto che
tu i lenti non li sai ballare (non sai ballare niente a
dir la verità, ma sei molto volenteroso
), ma
solo la voce caramellosa di Chet Baker ti sembra intonata
alla nostalgia che provi adesso, la nostalgia impossibile
di un tempo che nemmeno conosci, che non hai vissuto. Ma
come si fa?! "Sono un uomo da anni Cinquanta, io!
No, sei un uomo di anni Cinquanta"
Sorridi divertito
mentre il solito, ormai rituale botta e risposta tra te
e Nuccio ti balena in mente, guizzando tra i mucchi di pensieri
sfilacciati.
Ogni tanto te lo chiedi. Come si fa ad amare un mondo tanto
fuori dal presente? E non ti rispondi mai, perché
credi sia utile per se stessi capire cosa ci piace, ma superfluo
e forse stupido voler sapere a tutti i costi il perché.
A te piacciono i film di Billy Wilder, anzi, l'intera epopea
della commedia hollywoodiana, da Accadde una notte a Harry
ti presento Sally. Ami le tinte pastello e quelle scenografie
fatte di interni borghesi e ovattati, con gli angoli verdeggianti
di basse piante ornamentali. Ti piace passeggiare nelle
notti estive lungo le vie del tuo quartiere, costeggiando
cancelletti e citofoni, e segreti angoli di prato che galleggiano
come conigli attoniti nel pallido alone di quelle lampade
a forma di globo, affogate tra i cespugli ben curati
e tante altre cose banali di cui a qualcuno, ho il sospetto,
non fregherà granché. Quindi, in fondo, non
c'è da stupirsi se uno così, persino a diciannove
anni, persino all'interno di una discoteca, si perde dietro
il sogno di un facilissimo mondo di arguzia, maliziosa intelligenza
e allusioni a erotiche promesse irraggiungibili se non dopo
i titoli di coda. E in questa dimensione in cui tutto va
come dovrebbe andare, con gli intoppi che servono solo a
far impennare ancor più gioiosamente la vicenda verso
il lieto fine, il tuo Cary Grant va
tu vai, anche
se naturalmente lei domani dovrà partire (per studiare
a Parigi? Ma sì, come Sabrina!), e l'orchestra soffierà
e busserà una April in Paris soffice soffice: per
lei, che domani andrà via, incontro al tiepido abbraccio
della primavera francese, finché il sospirato, castissimo
bacio non si poserà sull'ultima inquadratura.
Anni
dopo, adesso lo sai, non è cambiato molto. Stai per
sposarti e fai un lavoro che non ha niente a che fare con
ciò che hai studiato all'università. Stasera
c'è una festa
Non è cambiato molto perché, sebbene per poco
tempo ancora, hai sempre la tua stanza, dove al momento
c'è Frank Sinatra che dallo stereo canta I haven't
time to be a millionaire. Ma Sinatra lo era, milionario;
tu no, e hai accantonato soltanto di recente la certezza
di diventarlo.
Stasera c'è una festa, comunque. Come al solito non
hai molta voglia di andarci e, allo stesso tempo, non vedi
l'ora di essere lì, vestito di tutto punto. Indosserai
una camicia nuova e cercherai di non fumare. Starai con
gente alla quale vuoi bene. Ma c'è ancora tempo,
potrai iniziare a vestirti con comodo verso le nove, dopo
una doccia e una cena veloce. Poi il citofono chiamerà
col suo finto din don nasale, e salirete tutti a bordo della
147 di Nuccio, perché avete deciso che non vale la
pena che ognuno prenda la sua macchina. E poi vi piace un
sacco fare a botte e spintonarvi nel sedile posteriore,
e tormentare chi di voi ha vinto la battaglia per sedersi
davanti accanto al guidatore. Intanto, visto che è
sabato pomeriggio e non devi lavorare, e visto che i tuoi
sono fuori, puoi trascorrere un paio d'ore tranquillo sul
divano. Hai finalmente trovato Caccia al Ladro in DVD, e
non stai più nella pelle
perché hai
l'impressione che insieme agli amici, alla tua Laura (sì
proprio lei!), insieme ai vividi e isolati frammenti di
un sogno sui quali le tue giornate incespicano di continuo,
Caccia al Ladro sia ciò che conta.
Caccia
al Ladro - To Catch a Thief, USA 1955, colore, 107', di
Alfred Hitchcock, con Cary Grant, Grace Kelly, Charles Vanel,
Jessy Royce Landis, Brigitte Auber, sceneggiatura di John
Michael Hayes, da un romanzo di David Dodge, Paramount Pictures
Corp., All right reserved -
"Non
pasticciarmi il vetro! Rimane il segno, quante volte te
lo devo dire?!", ma la liscia superficie appannata
è troppo invitante per dar retta alle proteste di
Nuccio, e continui a scarabocchiare con l'indice. Lungo
la strada Pietro, il solido e affidabile Pietro, ride e
ride mentre Massi fischietta la musica de Il Padrino. Vola
il nome d'una ragazza nuova all'interno dell'auto nuova
- dev'essere Nuccio - e tutti guardate il filare di luci
natalizie che continuano ad ammiccare sulla via, gettando
secchiate di luce giallo-verde sulle facciate dei palazzi
e sull'asfalto bagnato, sospese oltre il divagare stanco
e nervoso di qualche rara auto diretta verso casa, mentre
anche noi rientriamo. La festa è stata bella: per
un po' resta con voi, in un ronzio che si gonfia nelle orecchie
ovattate, negli occhi arrossati dal sonno e dal fumo.
Mezzo assopito sul sedile posteriore, stai ripensando alla
festa, col gomito di Massi piantato nelle costole e la fronte
che sobbalza lieve sul vetro freddo e appannato, mentre
la macchina sibila ruvida sull'acciottolato del Centro.
La pioggia scorre lungo il finestrino, catturando brevi
bagliori gocciolanti che muoiono e rinascono fragili, fuori,
nel languore della notte agghindata a festa. Alla fine gli
occhi si chiudono sul finestrino umido, su quest'acquario
buio di città.
Bella festa, davvero
A tratti, quando stanco di ballare
ti fermavi e andavi al bar per bere qualcosa, o tra una
parola e l'altra scambiata confusamente con qualcuno che
affermava di conoscerti, potevi udire le sonnolente zampate
del contrabbasso che carezzavano l'aria, i fiati incalzanti
che sospingevano in alto l'animata bolla di sapone chiassosa
e sgargiante, un pianoforte agile
Arrivi a casa, con le tasche ricolme dei ritagli d'un sabato
sera come tanti.
Non è cambiato molto. Meno male.
Christian Soddu
Labirinto
di Sonia Zampini
Era
già verso sera.
La luce riversa illuminava l'imbrunire. D'inverno.
In inverno la luce sottende i pensieri, quel chiarore nebuloso
sa parlarci dell'incerto, e da soli, lontani dalla reale
contingenza delle cose, ciò che pensiamo sembra essere
ciò che è.
Come dicevo era già verso sera, quando
l'immagine riflessa di me..
, mi guardava da quel piccolo
oggetto di voluttà femminile. Lo specchio sul tavolo,
dove io stavo assistendo alla discesa della sera.
Voltandomi intorno era buio.
E' sera.
Quasi in segno di umana stanchezza, chiusi gli occhi a me,
lo specchio chiuse me stessa alla mia vista.
Questo era l'ultimo ricordo.
La multiformità cangiante del reale si chiude a
noi stessi, e noi apriamo i nostri occhi alla vista oscura
delle cose.
Ho riscoperto la fatica psicologica della corsa. Eppure
il mio respiro è immobile.
Ho nuotato in un mare profondo. Eppure le mie vesti sono
asciutte.
Ho assaporato il brivido della discesa, il vento che gela
la pelle, l'aria che smorza il respiro, l'audacia della
corsa. Eppure sono ferma.
Ricordo pensieri stanchi di esser pensati, parole stanche
di esser dette
.
Ricordo parole il cui solo suono mi commuove, gesti in cui
la delicatezza del tatto mi ha marchiato a vita
.
Ricordo sorrisi inconsapevoli e risate rumorose, ricordo
il rumore, lì dove più c'è n'era lì
dove più si aveva la sensazione di esistere.
Ricordo l'odore della pelle rischiarata al sole. Il suo
odore sui vestiti. Tutte le parole urlate con ira, e tutte
quelle sottaciute con dolcezza
..
Ricordo le mie responsabilità, le mie divagazioni,
la mia insofferenza, la mia voglia di scappare lontano,
e poi ricordo il dolore. Le immagini mi massacrano.
Il pianto mi ostruisce le vie d'uscita.
Non c'è molta differenza tra l'essere qui e non esserci.
Ma poi so che presto cercherò di provare ancora emozione.
Lo spero.
L'emozione serve a controllare e a guidarci in questo labirinto,
le cui uniche forme sono quelle del ricordo, dove la miglior
linea tracciata è quella che si stacca da noi e ci
porta sin nel cuore di ciò che ci circonda, lì
dove è il marcio e il sereno, il profano e il sacro.
Lì dove le parole dette e mai più ascoltate
ci asciugano le lacrime e ci sospingono verso l'eterno.
Ho riaperto gli occhi.
Ho riaperto gli occhi a me stessa e alla mia immagine riflessa
nello specchio. Così ho guardato la notte fuori la
mia finestra e ho pensato che domani, già alle prime
luci del sole, la città e tutto ciò che mi
circonda avranno le forme di un nuovo labirinto. Ma io so,
che non avrò paura. Perché questa notte ho
viaggiato in me.
Consapevole. Riapro gli occhi al mondo.
Sonia Zampini
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