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Maria Francesca Cuccu
La "musica sognata" di Claude Debussy

 

M. F. Cuccu, La "musica sognata" di Claude Debussy, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.3 Novembre-Febbraio 2003/2004, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_3/5.htm

 

MINSTRELS (1)
da C. Debussy

Ritornello, rimbalzi
tra le vetrate d'afa dell'estate.

Acre groppo di note soffocate,
riso che non esplode
ma trapunge le ore vuote
e lo suonano tre avanzi di baccanale
vestiti di ritagli di giornali,
con istrumenti mai veduti,
simili a strani imbuti
che si gonfiano a volte e poi s'afflosciano.

Musica senza rumore
che nasce dalle strade,
s'innalza a stento e ricade,
e si colora di tinte
ora scarlatte ora biade,
e inumidisce gli occhi, così che il mondo
si vede come socchiudendo gli occhi
nuotar nel biondo.

Scatta ripiomba sfuma,
poi riappare
soffocata e lontana: si consuma.
Non s'ode quasi, si respira.
Bruci
tu pure tra le lastre dell'estate,
cuore che ti smarrisci !Ed ora incauto
provi le ignote note sul tuo flauto.

 

"Acre groppo di note soffocate, riso che non esplode…"
Debussy, grande innovatore

Debussy può essere considerato il primo musicista d'avanguardia del Novecento, padre della musica moderna per le sue innovazioni. Pierre Boulez sostiene che, come la poesia moderna ha le radici in certi poemi di Baudelaire, così si può dire con fondatezza che la musica moderna si sveglia nell'Après-midi d'un faune. (2) A partire dal momento in cui comparve la musica di Debussy, la storia della musica compì un notevole cambio di rotta. Sin dai primi anni del Conservatorio, il giovane Debussy era risultato insofferente verso le regole dell'armonia tradizionale. La rivoluzione da lui attuata non fu fine a se stessa, era un mezzo per perseguire gli ideali della sua estetica : "Ce que je voudrais faire, c'est quelque chose de plus épars, de plus divisé, de plus délié, de plus impalpable, quelque chose d'inorganique et pourtant d'ordonné dans le fond" (3).
Le innovazioni strettamente tecniche, come l'uso degli intervalli dissonanti, di accordi non legati tra loro, delle scale pentatoniche ed esatonali, fecero sentire la sua musica particolarmente acre e assolutamente nuova. Solo per portare un esempio, Debussy fa un largo uso dell'intervallo di seconda, che dà all'orecchio quasi una sensazione di rumore, come ha sottolineato Jankélévitch in uno dei suoi studi su Debussy, introducendo nella sua analisi l'idea che il musicista faccia spesso "uso della violenza per annientare l'espressione" (4). Ma quando ascoltiamo la sua musica "ecco che le vene sono prese da suoni avvolti a spira come i viticci che nascono dal tralcio della vite e c'è chi passando li coglie teneri come sono e quanto più ne assapora l'asprezza più gli piace" (5).
"Debussy, tu travesti le tue violenze travolgenti da leggerezze, da delicatezze inaudite…" (6)
In realtà la missione di Debussy è quella di liberare la musica da regole sintattiche e procedimenti di sviluppo prestabiliti. Il musicista dichiarerà, dopo la presentazione del Prélude à l'Après-midi d'un faune: "Rassicuratevi, l'opera è proprio costruita; ma invano cercherete le colonne - io infatti le ho tolte…" Secondo Debussy la musica non corrisponde ad alcuna teoria, ma "il piacere è la regola".
Egli propugna l'"uso di un modo instabile", di "accordi incompleti, fluttuanti, in modo che, sfumando il tono, si possa sempre finire dove si vuole, uscire e rientrare dalla porta che si preferisce". L'uso di scale per toni interi e di tonalità lontane, gli consente di far stare la musica in una sospensione continua; l'orecchio, che non sente il semitono, sta spesso in uno stato d'indecisione ed incertezza, ma d'infinita libertà, per l'immaginazione, di poter balzare da una parte all'altra, perché per Debussy "la musica è una cosa libera, che è dappertutto…ma soprattutto non è sulla carta". E per finire dove vuole lui, egli presta una grandissima attenzione al timbro dei diversi strumenti. Nelle epoche precedenti, i principi formali non avevano rapporto con il timbro. In Debussy il timbro condiziona in larga misura i valori formali, in quanto ogni strumento ha una sua voce diversa che suscita diverse immagini nella mente di chi ascolta. "La tua orchestra descrive i timbri come degli assoluti, non come mezzi materiali. In maniera eminentemente magico-evocativa e non meramente, ordinariamente narrativa. (…) è per questo che per te, e non per altri, il coefficiente di presenza di un flauto o di una celesta, di un oboe o di un trombone, siano rilevanti tanto, quanto le note che costoro fanno udire." (7) Per questo motivo, da una parte Debussy "pulisce" l'orchestra da eccessivi raddoppiamenti e abbinamenti di strumenti, dall'altra, introduce nuove componenti come la celesta, le campane, le arpe, la cassa rullante, il tamburello, le castagnette, i cimbali antichi, per evocare, con il loro timbro particolare e inconfondibile, un'idea, un luogo, un'atmosfera precisa. "I musicisti non sanno più scomporre il suono, darlo puro. Io mi sforzo di usare ogni timbro allo stato puro (…) Abbiamo imparato troppo a mescolare i timbri (…) In questo Wagner è andato molto lontano. Egli lega, per esempio, la maggior parte degli strumenti a due a due o a tre a tre. Il colmo del genere è Strauss, che ha buttato tutto all'aria. Unisce il trombone al flauto (…) Invece, io mi sforzo di conservare ad ogni timbro la sua purezza, di metterlo al suo vero posto. L'orchestra di Strauss (…) è un'orchestra cocktail." (8) Oltre al timbro, un altro elemento innovativo ed essenziale nella musica di Debussy è l'Arabesco, sottile combinazione di elementi floreali e geometrici, che lo stesso compositore definiva "divino". La ‹flessibile curva› dell'arabesco, caro anche a Baudelaire che lo definiva ‹il più spirituale dei disegni› e il ‹più ideale› , è "una figura che in modo supremo non sviluppa secondo la tecnica del racconto o della rappresentazione, bensì si staglia secondo la modalità dell'affresco ornamentale su una superficie in moto, senza descrivere, senza concludere un epilogo, in un lieto fine, ma assumendo un valore puramente istantaneo" (9).
Jankélévitch mette a confronto certi motivi melodici di Debussy con un fenomeno botanico, il geotropismo (10), cioè l'influenza della forza di gravità sull'orientamento di foglie e radici; si parla di geotropismo positivo e negativo, l'uno usato per indicare l'attrazione verso un centro di gravità, l'altro indica la tendenza degli steli a crescere allontanandosi dal centro della terra. (Lo studioso applica il confronto con questo fenomeno anche al significato simbolico dei motivi floreali e vegetali dell'Art Nouveau e la relazione con le linee fluttuanti della capigliatura femminile.) Gli arabeschi di Debussy ricalcherebbero il fenomeno: in salita, creando un senso di sradicamento dato dalla sovrapposizione di accordi perfetti, ognuno dei quali relativo a una tonalità differente, che non danno continuità e un discorso musicale razionale, ma si limitano ad esistere nello spazio. In discesa, l'arabesco debussiano simboleggia un sentimento di spavento e di fuga, di caduta, oppure di languore, in particolare sensuale; "cette inclinaison pudique vers le bas est une des marques les plus caractéristiques de la phrase debussyste" (11). Debussy credeva nella forza magica dell'arabesco, simbolo carico di mistero e sensualità. Il fascino provato per questo elemento orientaleggiante era lo stesso che si era destato in lui quando ebbe modo di sentire le musiche indonesiane di Bali e Giava. In queste isole si praticava un'armonia impostata su due scale distinte: <pelog> e <slendro> , entrambe pentatoniche, ma la prima (detta femminile) presenta una terza maggiore, mentre la seconda (detta maschile) una terza minore. Gli strumenti usati sono idiofoni (gong, metallofoni, xilofoni) e, non essendo nota la modulazione, la costruzione melodica risulta estremamente semplice, mentre grande importanza è attribuita al timbro. La genuinità di queste musiche, la loro semplicità e spontaneità affascinarono Debussy che mai volle piegarsi a seguire la artificiosa tradizione conservatrice, e non volle mai accettare analisi ed etichettamenti della propria opera.
"Bisogna cercare la disciplina nella libertà e non nelle formule di una filosofia diventata caduca e buona solo per i deboli. Non ascoltare i consigli di nessuno, se non quelli del vento che passa e ci racconta la storia del mondo." (12) Si potrebbe dare un'idea del metodo compositivo di Debussy prendendo a prestito una dichiarazione di Cézanne: "je travaille sur le motif" ; il motivo è disegno generatore o simbolo, come esso proceda per assumere una forma, è una questione talmente intima, che qualsiasi specie di analisi formale è destinata all'insuccesso (13).
La rivoluzione di Debussy investì anche il teatro musicale: la sua opera Pelléas et Mélisande (14) fu un evento senza precedenti e un capolavoro che non avrebbe avuto imitatori. La prima dell'opera scandalizzò il pubblico parigino (15)16. Lo sviluppo conseguente di situazioni narrative e musicali, era sostituito dalla giustapposizione di momenti emozionali isolati. Non più arie e pezzi chiusi, ma un declamato melodico sostenuto da un'orchestra di inusitata ricchezza timbrica. Debussy sembra ritornare agli ideali del 'recitar cantando' dai quali erano nati il melodramma di Monteverdi e le opere di Lully o Rameau, e che furono riteorizzati verso la metà del '700 da J.J.Rousseau. Debussy andò più in là dell'abolizione degli schemi operistici : abolì anche la drammaturgia tradizionale servendosi del testo del poeta simbolista Maeterlinck. I cinque atti dell'opera (disposizione che allude ai cinque atti tradizionali della tragedia in versi di Corneille e Racine) consistono in vari episodi che, pur appartenendo ad una stessa vicenda, non ne espongono lo sviluppo ma ne colgono solo alcuni momenti, collegati tra loro da interludi tra ciascun atto. Come nel Giardino dei ciliegi di Cechov (uscito due anni dopo la prima rappresentazione del Pelléas) si assiste a una vicenda immobile, in cui ciascun personaggio è più incline a parlare con se stesso e con i propri ricordi; non c'è trama, divenire, svolgersi. In Pelléas et Mélisande più che una costruzione di vicende si ha la creazione di atmosfere: la scena è dominata da gesti, espressioni, silenzi e si vede il dissolversi delle figure e delle situazioni. "Credo che non potrò mai rinchiudere la mia musica in uno stampo troppo preciso (…) non parlo della forma musicale, ma parlo semplicemente dal punto di vista letterario. Amerò sempre più una cosa in cui, in un modo o nell'altro, l'azione sarà sacrificata all'espressione lungamente perseguita dei sentimenti dell'anima. Mi sembra che in questo caso la musica possa divenire più umana, più vissuta, e che si possano approfondire e raffinare i mezzi d'espressione." (15)
Debussy assieme a Maeterlinck avvolge di atmosfere brumose personaggi alla ricerca di un destino a loro stessi ignoto. Il musicista ha in odio i romantici, specialmente Wagner18, e nel Pelléas vuole comunicare un messaggio artistico che, anziché incitare all'azione eroica (come nel romanticismo) insegni a non discutere e subire la sorte. Antiteticamente al Tristano e Isotta di Wagner, in Pelléas ci sono personaggi dalla fragile psicologia; dominano silenzi là dove le parole avevano incalzato, si nota una semplicità quasi infantile, là dove la passione era stata spasmodica, Mélisande muore senza motivo e in silenzio, là dove un canto straziante aveva portato trionfalmente alla morte. A differenza delle opere liriche romantiche, tutti i sentimenti e le emozioni si vivono più intimamente e misteriosamente, ma l'intimità, sentita fortemente anche da parte dei romantici, rimane segreta, celata. "I romantici, in musica, esprimevano l'interiore. Qui, nessuna espressione. Tu, se lo vuoi, 'imprimi l'esteriore'. Questo sguardo sul reale ha un'innocenza qualitativamente aurorale, nuova, del tutto particolare. Le tue 'raffigurazioni' sono un'oggettiva 'realtà'. Tu 'tiri dentro quello che è fuori': mentre loro, incuranti dello zaffiro del cielo e dello scintillare del mare, senza guardare riflessi nello stagno (…) 'premevano fuori quello che avevano dentro'." (16)
Debussy era contrario a qualsiasi sfoggio del proprio io e quindi offriva al pubblico confidenze impersonali sotto forma di evocazioni, pitture sfumate, tratti delicati. Ecco 'il riso che non esplode': non c'è la smodata ostentazione dei sentimenti, in quasi tutte le sue opere non c'è un messaggio palese, non c'è tempo per assumere uno stato d'animo particolare, subito siamo richiamati da un altro. Nella Sérénade interrompue, uno dei 24 Preludi per pianoforte, appena stiamo per abbandonarci a ciò che può suscitare in noi l'idea di una serenata, la musica si interrompe, come quando ci risvegliamo improvvisamente durante un sogno. Ma anche ascoltando le altre opere si ha un senso di aspettativa delusa : "l'orecchio ingenuo resta teso per tutto il pezzo in attesa del 'culmine'; tutto sembra un preambolo, un preludiare che precede l'effettiva realizzazione musicale, 'l'epodo' che non arriva. L'orecchio deve orientarsi diversamente per comprendere esattamente Debussy, per intenderlo non come un processo di stasi seguite da risoluzioni, ma come vicinanze di colori e superfici" (17).
Dopo aver accennato ad alcune innovazioni riscontrabili nell'opera di Debussy, la riflessione che ne segue è che nel suo voler andare avanti, nel voler superare la tradizione, è come se volesse attingere paradossalmente al passato. Il passato dell'opera, delle musiche di popoli primitivi, il passato che si perde nella notte dei tempi: quello del mito, che ritroviamo in maniera evidente o per evocazione, in gran parte delle sue composizioni. "Tante persone oneste credono che la musica sia nata ieri, mentre essa ha un passato di cui si dovrebbero rimuovere le ceneri: vi si troverebbe quella fiamma inestinguibile alla quale il nostro presente dovrà sempre una parte del suo splendore (…) Dobbiamo ritornare alla formula teatrale degli antichi Greci. Dobbiamo ritrovare la tragedia, e arricchire la sua cornice musicale primitiva con le risorse infinite dell'orchestra moderna e con le innumerevoli voci del coro. (…) Preziosi insegnamenti si possono trovare negli spettacoli realizzati dai principi giavanesi, in cui la seduzione imperiosa del linguaggio senza parole che emana dalla Pantomima, raggiunge quasi l'assoluto, col suo procedere per atti e non per formule. L'aver voluto limitare il nostro teatro ai soli elementi intelligibili è la causa della sua miseria." (18)
"Debussy in un'unica iride sa compiere il miracolo di saldare antiche memorie e verità presente del dato sensibile senz'ombra di inciampi né interruzioni." (19)

"Musica senza rumore che nasce dalle strade, s'innalza a stento e
ricade (...) Scatta ripiomba sfuma, poi riappare soffocata
e lontana: si consuma..."

Debussy e il silenzio

La musica di Debussy giunge alle nostre orecchie in maniera delicata, senza rumore, e lievemente ci lascia il silenzio. Jarocinski parla della sua musica come una musica transdiscorsiva: "La musica non comincia e non finisce. Emerge dal silenzio, si impone senza preliminari, in medias res, poi, interrompendo il suo corso, continua a tessere la sua trama nel nostro sogno" (20). L'uso del silenzio è un'altra delle grandi innovazioni della musica debussiana. "Debussy cerca di afferrare l'istante liminale a partire dal quale il silenzio diventa musica" (21). Il silenzio è per Debussy una struttura musicale di pari importanza del suono, come per Mallarmé lo erano gli spazi bianchi in luogo di parole, congiunzioni e segni di interpunzione. Ancora Jankélévitch studia la funzione del silenzio nella musica di Debussy: "Quando la parola è impotente ad esprimere, quando le parole ci mancano, quando l'ambiguità infinita del senso rifiuta di essere contenuta nel linguaggio, allora è tempo di cantare; allora, nel silenzio delle parole, gli oboi d'amore delle Gigues tristes e la divina musica di Parfums de la nuit innalzano la voce per dire, nessuno sa come, quello che essi soltanto sanno dire, e per sussurrare all'orecchio della nostra anima le cose indicibili" (22).
"La musica testimonia il fatto che l'essenziale in tutte le cose è NON SO CHE (charme) d'inafferrabile e d'ineffabile; essa rafforza in noi la convinzione che, ecco, la cosa più importante del mondo è proprio quella che non si può dire" (23). Si ha quindi un uso simbolico del silenzio, come allusione all'inesprimibile: "il silenzio è buon conduttore: trasmette all'uomo i sottintesi nascosti sotto le cose dispiegate e fa giungere fino a lui le voci del mistero universale" (24).
Lo stesso Debussy disse: "la musica inizia là dove la parola è incapace di esprimere, la musica è destinata all'inesprimibile; vorrei che uscisse dall'ombra e che, in certi momenti, vi rientrasse, che fosse sempre discreta" (25). "In Debussy la musica sorge dal silenzio, come a volerlo provvisoriamente interrompere o sospendere. L'Isola gioiosa, in quanto isola sonora su un mare di silenzio, isola di canti e risa e cimbali risonanti, non poteva essere che una chimera debussyana perché per Debussy appunto il giubilo costituisce un innesto in pieno non-essere, una parentesi del nulla" (26). Il silenzio si confronta col mistero dell'esistenza. In Pelléas et Mélisande si fa ben chiara la sottile vicinanza tra l'esistere, l'essere, e il morire, il non essere. La preoccupazione di animare questi personaggi da vetrata, da lanterna magica o da tappezzeria, fa toccare con mano a Debussy, il vuoto, il nulla della creatura umana, questo nulla di cui è fatta. "Alla fine del V atto, l'inconsistente Mélisande dispare in un mormorio: la quasi inesistente cessa di esistere del tutto (...) Mélisande si dissolve nel silenzio, come nube e brezza leggera, come l'alito della notte, l'impalpabile, l'imponderabile Mélisande si va sfacendo, dissolvendo, annichilendo e ritorna al non essere" (27).
"Debussy coglie l'ultimo soffio della vita sulla soglia stessa che separa l'essere dal non essere. I suoi silenzi e le sue pause vengono talvolta come dall'altra riva" (28). Per Jankélévitch però non c'è possibilità di decifrazione di questo mistero: l'inafferrabile rimane inafferrato, l'inesprimibile non detto e l'invisibile non visto: "afferrare il mistero che la musica ci fa intravedere è una scommessa impossibile" (29). In Philosophie première Jankélévitch scrive che la musica è come il volto Dio ( un abisso inattingibile) che non può essere guardato perché chi lo vede muore. La musica di Debussy vuole essere così: non spiegata, non decifrata, portatrice di messaggi che non devono necessariamente essere intesi e il cui "significato è ancora molto lontano dall'essere esaurito" (30).
"Sappiate con certezza, che una veridica impressione di bellezza non dovrebbe provocare altro effetto che il silenzio!...insomma, siate sincero, vi è mai venuto in mente di applaudire assistendo al quotidiano , magico spettacolo del tramonto del sole?" (31) In una lettera all'amico Chausson, riguardo Pelléas et Mélisande, Debussy scrive: "sono andato a cercare la musica dietro tutti i veli che accumula, ne ho riportato qualcosa che forse piacerà a voi, quanto agli altri non me ne importa; mi son servito, del tutto spontaneamente, di un mezzo che mi sembra raro, vale a dire del silenzio (non ridete) come un mezzo di espressione e forse come del solo modo di far valere l'emozione di una frase (...) Il silenzio è una bella cosa e Dio sa che le battute vuote di Pelléas testimoniano il mio amore per questo tipo di emozione" (32). La parola in Pelléas et Mélisande è in funzione del silenzio, un silenzio carico di significati. In quest'opera si percepisce il tremito con cui un'anima confida ad un'altra i suoi più cari segreti, e certe cose non si possono dire ad alta voce perché a gridarle si sciupano. Uno dei personaggi, il vecchio Arkel, dice in conclusione, "bisogna parlare a voce bassa. L'anima umana è silenziosissima". "Nel 1° quadro del III atto, la grande scena tra Pelléas e Mélisande affacciata alla finestra di una torre del castello, viene recitata per tutta la sua durata, malgrado una grandissima tensione emotiva, con un accompagnamento orchestrale pianissimo.
Wagner, per non citare che lui, qui avrebbe spinto l'orchestra al delirio, in modo da far sapere a tutti i sentimenti che agitano gli eroi. Nella scena della fontana Debussy va ancora più oltre: nel momento in cui Pelléas e Mélisande si dichiarano il loro amore, l'orchestra, che fin qui suonava forte, tace, poi riappare con un uscendo dall'ombra pianissimo, per accompagnare il recitativo (recitativo e non aria, il che è molto significativo!) di Pelléas" (33). In quest'opera e in tutte le composizioni per canto di Debussy, il registro acuto non corrisponde quasi mai con un'emissione in forte. La massima energia si effonde nel registro medio-acuto, per poi svanire, anziché esplodere verso l'acuto, per évaporer. Se si sfogliano le partiture di tutte le composizioni ci si accorge che sono costellate di espressioni che rendono il senso di estinzione della musica: cancellandosi, allontanandosi, svanendo, perdendosi, indebolendosi, estinto, appena, pianissimo (pp) dolce lontano, quasi più nulla, pppp (pianissimissimo). "Debussy giunge alla soglia che dà accesso al niente finale graduando all'infinito le sfumature dell'impercettibile e attenuando i decrescendo, sino al punto in cui il quasi-niente e il niente sembrano divenire indiscernibili" (34).

"Non s'ode quasi: si respira..."
Debussy simbolista


Debussy parlava spesso del profumo del suono, del fatto che la musica dovesse esser percepita da tutti i sensi perché l'ascoltatore potesse meglio immergersi in ciò che essa poteva evocare e perché potesse lasciare una scia, una sensazione, come una ventata di profumo. "Les parfums de la nuit, non si rivolge al senso olfattivo più di quanto non si rivolga all'immaginazione visiva, ma infonde in noi un profondo turbamento che fa roteare e vacillare le immagini, le sensazioni, le qualità; Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir e la 'languida vertigine' si impadronisce della nostra anima. L'evocazione è sempre lontana e in qualche modo onirica" (35).
Quest'immagine sinestetica richiama alla mente la "poetica delle corrispondenze" di Baudelaire, precursore diretto del simbolismo, movimento che aleggiava nella Parigi di fine '800 e a cui la giovinezza e la formazione di Debussy fu strettamente legata.

E' la Natura un tempio dove a volte viventi
colonne oscuri murmuri si lasciano sfuggire:
tu, smarrito entro selve di simboli, seguire
da mille familiari segreti occhi ti senti.

Come echi lontani e lunghi, che un profondo
e misterioso accordo all'unisono induce,
coro grandioso come la tenebra e la luce,
suoni, colori e odori l'un l'altro si rispondono.

Conosco odori freschi come parvole gote,
teneri come òboi, verdi come giardini;
altri, corrotti e ricchi, attingono remote

espansioni, al di là degli umani confini…
E sono il benzoino, l'ambra, il muschio, l'incenso,
che cantano le estasi dell'anima e del senso.

E' la Natura un tempio dove a volte viventi
colonne oscuri murmuri si lasciano sfuggire:
tu, smarrito entro selve di simboli, seguire
da mille familiari segreti occhi ti senti.

Come echi lontani e lunghi, che un profondo
e misterioso accordo all'unisono induce,
coro grandioso come la tenebra e la luce,
suoni, colori e odori l'un l'altro si rispondono.

Conosco odori freschi come parvole gote,
teneri come òboi, verdi come giardini;
altri, corrotti e ricchi, attingono remote

espansioni, al di là degli umani confini…
E sono il benzoino, l'ambra, il muschio, l'incenso,
che cantano le estasi dell'anima e del senso.

Questa poesia, tratta da I fiori del male (36) è intitolata Corrispondenze, parola chiave di tutta la poetica baudelairiana: la realtà appare complessa e impenetrabile, tutte le cose, i profumi, i colori e i suoni sono simboli che si corrispondono e si confondono in una profonda mescolanza, il cui significato va al di là dell'esperienza comune. La sinestesia olfattiva che domina nei versi finali, si serve di elementi che naturalmente portano alla mente dei profumi, ma ancor più efficacemente richiamano essenze più inconsistenti di altre: il benzoino (detto anche incenso di Giava) e l'incenso hanno anche una corrispondenza visiva, il fumo prodotto. I simbolisti prediligevano sostanze effimere ed evanescenti che sinesteticamente sono evocate dalle musiche di Debussy.
Alcuni critici hanno parlato, a proposito della poesia di Mallarmé (altro grande pilastro del simbolismo) e della musica di Debussy, di fenomenologia del leggero, in quanto vi si possono individuare una serie di oggetti che costituiscono una costante nella loro opera; per Mallarmé: schiuma, anelli di fumo, piume, merletto, ala, ventaglio, zampilli d'acqua; per Debussy: profumi che volteggiano nell'aria, riflessi nell'acqua, nuvole, nebbie, foglie, fuochi d'artificio, lunghi capelli. Gli elementi si fondono nei Trois poémes de Mallarmé musicati da Debussy nel 1913: Soupir, placet futile, éventail. Un altro oggetto dall'evanescente ambiguità, comune ai due artisti è il velo. La metafora del velo tanto cara ai simbolisti è presente in Debussy; ricordiamo le frasi del musicista "sono andato a cercare la musica dietro tutti i veli che accumula" e "la musica è un sogno a cui son stati tolti i veli" o i Voiles dei Preludi. Il velo è una tra le sostanze effimere che Mallarmé elegge a emblema dell'incorporeo, come "l'arte dei suoni che si apparenta al merletto in quanto garza, trama intessuta di vuoto"; il velo, come la musica, è "potente mezzo di evanescenza e volatile svestimento in tratti che si corrispondono, prossimi al pensiero, per sottrargli, oltre ad abolire il testo, l'immagine, e gli oggetti con cui entra in contatto li evapora e poi riannoda, fluttuanti, in uno stato superiore" (37). Il velo oltre che essere emblema di sostanze effimere e volatili è un oggetto che consente di vedere ma nello stesso tempo di non vedere con chiarezza. Si crea un enigma, che per Jankélévitch è privo di soluzione, in quanto dietro il velo non c'è una verità, come quella che intuì Schopenhauer squarciando il velo di Maya, perchè il fondamento dell'essere è inconoscibile, l'apparenza rimanda solo a se stessa (Jankélévitch parla di mistero tautegorico).
I simbolisti vogliono che lo sguardo sia filtrato dal velo: l'essenza intima delle cose è nascosta nelle parole che devono spogliarsi del significato tradizionale e avvalersi di simboli complessi; la 'poesia pura' (come il suono puro per Debussy) è il mezzo per ricercare ed esprimere l'ideale assoluto.
Il velo non vuole essere alzato, perché come disse Debussy la troppa chiarezza distrugge il sogno.
Quando il musicista frequentava i 'martedì di Mallarmé' aveva già conosciuto e musicato alcuni versi di Baudelaire e Verlaine; "i Cinq poemes de Baudelaire (...) mostrano con estrema chiarezza quali sono i temi che lo attirano, gli oggetti che corrispondono alla sua sensibilità, l'atmosfera nella quale egli vede immerse le cose - e dunque le finalità espressive cui vuole piegare la materia musicale. Le poesie prescelte evidentemente per la loro intrinseca carica evocativa (Le balcon, Harmonie du soir, Le jet d'eau, Recueillement, La mort des amants) sono di per sé eloquenti; alludono ad un mondo crepuscolare, quasi silente, fatto di mezze tinte e suoni smorzati, dove ogni movimento acquista un'andatura felpata, raccolta, intimamente malinconica" (38).
L'estetica simbolista si sposava con la sua concezione musicale: "Debussy usa gli accordi come Mallarmé usa le parole, come specchi che concentrano la luce di cento punti differenti sul significato esatto, ma rimangono i simboli del significato, non il significato stesso. Queste strane armonie (...) non sono affatto la fine, e neppure il punto di partenza delle intenzioni del compositore, bensì la trama sulla quale l'immaginazione deve tessere la sua fantasia" (39).
I simbolisti, d'altro canto, aspiravano alla riscoperta di una dimensione musicale della parola, come infinita possibilità di significati, in quanto la musica per la sua asemanticità consente di svelare e nascondere allo stesso tempo ciò che esprime. "Io faccio musica, e con tale termine non intendo riferirmi agli effetti che si possono trarre dall'avvicinamento eufonico delle parole, questa prima condizione è fin troppo ovvia; ma all'aldilà magicamente prodotto da talune disposizioni della parola (...) Fra le righe e nascosta al primo sguardo, essa risuona in tutta purezza (...) Musica nel senso greco, che significa in fondo Idea o ritmo tra rapporti, e in ciò più divina che nell'espressione pubblica o sinfonica" (40). Il riferimento mallarméano al modello greco di musica, è riscontrabile anche a proposito della lingua. Come ha mostrato Trasybulos Georgiades (41) nella lingua greca e nelle lingue antiche, la lunghezza delle sillabe
delle parole era rigorosamente prefissata e stabilita, mentre in quelle moderne le sillabe possono essere brevi o lunghe a seconda di chi le pronuncia. La fissità delle parole, nella tragedia greca, faceva si che lo stato affettivo del recitante non avesse nessuna influenza sulla struttura dei versi ( apparentemente così oggettivi). La lingua era indipendente dalla volontà dell'uomo, senza possibilità di alcun soggettivismo. Mallarmé vide nella lingua greca la fissità e l'ambiguità delle maschere, come nella tragedia, dove non si sa mai che volto sia celato dietro di esse. "Evocare, in un'ombra creata appositamente, l'oggetto taciuto con parole allusive, mai dirette, che si riducono ad un silenzio uniforme, comporta un tentativo prossimo di creare (...) Nominare un oggetto, vuol dire sopprimere i ¾ del godimento della poesia che è fatta di un lento divenire: suggerirlo, ecco il sogno. E' l'uso perfetto di questo mistero che costituisce il simbolo: evocare a poco a poco un oggetto per mostrare uno stato d'animo o inversamente, scegliere un oggetto e trarne uno stato d'animo, attraverso una serie di decifrazioni" (42). I titoli dei ventiquattro Préludes per pianoforte, che furono fatti porre da Debussy alla fine e non all'inizio dei brani, sospesi tra tre puntini, servono più a velare le intenzioni del compositore che a descrivere delle immagini, per lasciare libera l'immaginazione dell'ascoltatore. E' questa la funzione del simbolo, che è "veicolo sensibile di contenuti spirituali" (43). Il simbolo è "parola parlante (per distinguere dalla parola parlata) in cui l'intenzione significante si trova allo stato nascente (...) L'esistenza si polarizza in un certo 'senso' che non può essere definito da nessun oggetto naturale" (44). Blanchot ne Le secret du Golem dice che, al contrario delle allegorie "il simbolo non rappresenta niente di concreto, non esprime niente, rende solo presente - rendendo noi presenti in essa - una realtà che sfugge ad ogni altra presa e sembra sorgere là, prodigiosamente lontana, come una presenza estranea" (45).
Nell' Art poétique, composta nel 1874 durante il periodo di reclusione nel carcere di Mons, in Belgio, e pubblicata nel 1882, Verlaine sostiene che riguardo alla scelta delle immagini poetiche, questa deve avvenire cercando di usare al massimo delle possibilità immagini oniriche o fantastiche allo stato puro, cioè senza mediarle attraverso l'interpretazione razionale, utilizzandole con significanti capaci solo di suggerire i possibili significati. In quest'opera Verlaine auspica l'identificazione della poesia con la musica: "de la musique avant toute chose", "la flûte" e "le cor", "de la musique encore et toujours". Musica e poesia hanno una matrice comune: il suono. Verlaine chiaramente considera ogni frase poetica anche una frase musicale, in cui la successione di fonemi e monemi è scelta in modo da soddisfare anche un'esigenza acustica.

...Et pour cela préfère l'impair
plus vague et plus soluble dans l'air
sans rien en lui qui pèse ou qui pose...

Il verso impari consente cesure asimmetriche "molto più solubili nell'aria". In Debussy quest'idea si riflette nella costruzione di strutture musicali asimmetriche. Nelle melodie sui testi di Verlaine, Debussy preferisce il metro ternario considerato più "impari" del binario.

...Il faut aussi que tu n'ailles point
choisir tes mots sans quelque méprise :
rien de plus cher que la chanson grise
où l'indécis au précis se joint...

La scelta delle parole deve creare un senso di incertezza, di ambiguità, che suggerisce la possibilità di diverse letture. La scelta del colore grigio richiama alla mente Whistler e i suoi 'studi sul grigio' a cui Debussy disse di essersi ispirato per i Nocturnes. Come nella pittura, anche nella poesia, ciò significa sfumature di contorni, scorrevolezza di parole e immagini, effetto ottenibile solo attenendosi all'evocazione, evitando la descrizione e l'interpretazione.
"C'est des beaux yeux derrière des voiles". Ecco la metafora del velo !
Si potrebbe dire con Bergson che "la parola dai contorni ben determinati, la parola brutale (...) schiaccia o per lo meno ricopre le impressioni delicate e fuggevoli della nostra coscienza individuale"(46).

...Car nous voulons la nuance encore
pas la couleur, rien que la nuance !
Oh ! La nuance seule fiancé
le rêve au rêve et la flûte au cor ! ..
[...]
et tout le reste est littérature.

Debussy aspirava ad un'arte fatta di accenni, di misteriose analogie, perché l'arte non dice tutto ma, lasciando un alone di indeterminazione intorno a quanto viene accennato, lascia all'immaginazione e al sentimento dell'ascoltatore la possibilità - la libertà - di definirsi, di continuare a risuonare. Per Debussy nel linguaggio musicale è dicendo di meno che si dice di più. "L'esperienza dei poeti simbolisti gli fu infatti di stimolo ad emancipare il suono dall'astratta convenzionalità, a riscoprirlo nelle mille voci della natura, a intenderlo come linguaggio del vento e del mare, come vibrazione di luce, come profumo di fiori, in virtù delle rivelate 'corrispondenze' tra le cose visibili e l'assenza intelligibile; schiudendo il suo animo a una più vasta risonanza del mondo lo iniziò ad esprimere mediante analogie sonore la realtà riscoperta. Non la realtà delle apparenze sensibili, ma una ben più segreta, che solo l'artista sa cogliere, e di cui il simbolismo aveva avuto la mistica rivelazione" (47). Non si può certo spiegare l'opera di Debussy riducendola a combaciare perfettamente con gli ideali sin qui esposti; il clima culturale della Parigi di fine '800 era densissimo di nuove brezze tra le quali il musicista respirò sicuramente a pieni polmoni anche quella simbolista. "Quando egli era soltanto uno di noi, la sua musica destava risonanze sconosciute e svelava nel più profondo di noi stessi l'esigenza di un lirismo che lui solo poteva soddisfare.
Ciò che la generazione simbolista soprattutto cercava con passione e inquietudine: luce, sonorità, colore, espressione dell'anima, brivido del mistero - lui lo realizzava quasi senza esitazioni e, si direbbe, senza sforzo (...) Noi ne scorgevamo la novità. Ma sapevamo allora ciò che abbiamo compreso poi, che il fascino di quella musica era destinato a non morire mai più (...) che di tutte le opere del nostro tempo, era quella la più sicura di sopravvivere?" (48)

"E si colora di tinte, ora scarlatte ora biade..."
Debussy impressionista?


Debussy viene spesso chiamato musicista impressionista. Il linguaggio pittorico si adatta perfettamente alle sue musiche e al suo modo di comporre per cui frequentemente si parla di 'macchie sonore', data soprattutto la tecnica di giustapposizione di accordi e la non chiara linea di un disegno musicale. I primi debussysti parlavano della sua musica usando termini come: 'mezze tinte', 'colore riflesso', 'colorazione pallida crepuscolare diffusa di penombre sottomarine', 'colorazione iridescente, evanescente, fosforescente' (49). La ricerca del suono puro ricalca la tecnica dell'uso dei soli colori puri della tavolozza degli impressionisti. Debussy usa il timbro come questi usano il colore. Nella sua musica non c'è necessariamente un discorso logico che conduce l'andamento del brano, come nella pittura impressionista manca il disegno, la linea marcata. Debussy e gli impressionisti colgono le impressioni offerte dal mondo esterno, e le riproducono prima che intervenga l'intelletto a riordinarle. Il musicista Erik Satie, amico di Debussy, descrivendo il loro modo di comporre, dichiarò: "perché non avremmo dovuto servirci degli stessi metodi di Monet, di Cézanne, di Toulouse-Lautrec, e così via?" (50) Le aggregazioni sonore presenti nel secondo libro delle Images per pianoforte, solo per fare uno tra i tanti esempi possibili, consentono la riflessione di Vuillermoz che traccia una linea di confronto con le tecniche impressioniste: "Cloches à travers les feuilles, Et la lune descend sur le temple qui fut , Poissons d'or - questi titoli che propongono alla nostra immaginazione argomenti precisi si applicano, in realtà, a studi tecnici molto approfonditi, corrispondenti ai procedimenti 'divisionisti' dei pittori. Debussy intraprende qui una dimostrazione quasi scientifica della struttura impressionista, soprattutto nel suo primo quadro (...) Quello che il musicista vuole captare è il cammino nell'aria delle onde sonore, che s'incontrano dispiegando i loro ventagli, si scontrano, si fondono, diventano iridescenti attraverso i loro contatti, e vaporizzano poesia e sogno. Le campane delle cattedrali vibratili debbono avere la loro parte in questa orchestrazione fremente di cui la sordina del fogliame decompone e dissemina le sfumature più fini. Ed è utilizzando abilmente la gamma per toni, che Debussy è riuscito a realizzare quest'analisi spettrale del suono che è quasi un'esperienza da laboratorio e che rimane, da un capo all'altro, uno stupefacente incantesimo musicale" (51).
Un altro tratto comune tra il musicista e i pittori impressionisti è l'uso della luce e dell'ombra, il cui gioco permea interamente il Pelléas et Mélisande e che incarna il principio di Monet secondo il quale "le personnage principale d'un tableau, c'est la lumière" e la stessa ombra non è che una luce di un'altra qualità e di un altro valore. Scrive Jankélévitch: "come l'impressionismo, dissolvendo la polarità manichea di ombra e luce (negativo e positivo) non ammette che macchie di colore, vibrazione solari e l'innumerevole varietà delle sfumature, così gli accordi debussyani formano una sfilata di atmosfere tutte equivalenti, tutte ugualmente superficiali o ugualmente profonde a seconda dell'aspetto sotto il quale le si considera". Infine non si può ignorare l'accostamento tra la pittura 'en plein air' e la musica che "predilige gli spazi aperti" (52). I pittori impressionisti lasciarono lo studio per osservare la realtà e coglierne fedelmente la verità, rappresentando quello che l'artista vede, non quello che sa. Baudelaire scrisse a proposito degli studi impressionisti: "questi studi, così rapidamente e fedelmente schizzati da quanto vi è di più incostante e di più inafferrabile nella forma e nel colore, dalle onde e dalle nuvole, portano sempre scritto in margine la data, l'ora e il vento: così per esempio, 8 ottobre, mezzogiorno, vento di Nord-Ovest" (53). Del legame con la natura che fu fortissimo per Debussy e che si riflette nella sua musica si parlerà in seguito, per ora basti leggere alcune dichiarazioni del musicista come "preferisco le poche note del flauto di un pastore egizio, che collabora al paesaggio e sente delle armonie che i vostri trattati ignorano... I musicisti ascoltano soltanto la musica scritta da abili mani, mai quella che è inscritta nella natura. Assistere alla nascita del giorno è più utile che ascoltare la Sinfonia Pastorale" (54). Il termine impressionismo è stato applicato per la prima volta alla musica di Debussy nel rapporto del segretario dell'Accademia di belle arti, alla fine del 1887. Esso, usato in senso peggiorativo, riguardava la suite in due parti Printemps, per coro femminile a bocca chiusa e orchestra: "Il signor Debussy non pecca sicuramente né di piattezza né di banalità. Proprio al contrario, ha una tendenza spiccata, anzi, troppo spiccata, alla ricerca della stranezza. Si riconosce in lui un senso del colore musicale la cui esagerazione gli fa facilmente dimenticare l'importanza della precisione del disegno e della forma. Sarebbe molto auspicabile che egli stesse in guardia contro questo vago impressionismo che è uno dei più pericolosi nemici della verità nelle opere d'arte" (55). In realtà Debussy temeva che l'interpretazione iconografica della sua musica, ne avrebbe distrutto proprio la sostanza musicale: "io tento di fare altro, un certo modo di intendere la realtà, cosa che gli imbecilli definiscono impressionismo". Ci sono stati sin dai tempi in cui Debussy ancora viveva, e ci sono ancora, molti critici che sostenevano l'identità della sua musica con la tecnica impressionista. Per anni si è disputato intorno alla scelta di collocare il musicista tra impressionismo e simbolismo.
Egli sembra aver risposto in maniere precorritrice a questa controversia: "alcuni uomini avevano cercato, gli uni nella poesia, gli altri nella pittura (a malapena aggiunsi qualche musicista) di scuotere la vecchia polvere delle tradizioni, con l'unico risultato di esser trattati da simbolisti o da impressionisti: termini comodi per disprezzare i propri simili" (56). Debussy fu influenzato da vari movimenti artistici che animavano la cultura parigina del suo tempo. L'allusione simbolica e l'impressione furono le influenze più determinanti che lo guidarono verso una nuova concezione della composizione e verso una nuova dimensione del tempo musicale; quando però si accorse che anch'esse rischiavano di diventare nuove etichette intese sbarazzarsene e così, alla fine della sua vita, lo vediamo applicarsi a forme pure: Études e Sonate. "I Préludes per pianoforte sono il momento della massima concentrazione del suo impressionismo musicale e ne rappresentano al tempo stesso il superamento: le immagini evocate sono effimere come il ricordo di un sogno e la loro realtà ectoplasmatica si dissolve nelle impalpabili sfumature cromatiche del suono allo stato puro" (57). Assieme a La Mer, che inaugurò una nuova fase rispetto alle precedenti composizioni per orchestra, i Preludi consistono nell'invenzione di strutture musicali inedite, strettamente legate non tanto alle immagini dichiarate nei titoli, quanto alle sensazioni fondamentali che tali immagini evocano e che corrispondono a un'idea musicale generatrice della composizione e della sua struttura; i titoli non vogliono rappresentare evidentemente quello che evidenziano, ma piuttosto offrire una chiave per comprendere l'idea musicale di fondo.
L'ambiguità che si può riscontrare nelle appartenenze a determinati orientamenti culturali è quella che sottende tutta l'opera di Debussy (come vedremo), che non risponde mai a un credo definito, se non a quello del sogno e della libertà.

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(1) E. Montale, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1990. Nel marzo 1916 nel Teatro Carlo Felice di Genova ci fu un concerto del violoncellista André Hekking e del pianista Luigi La Volpe, che eseguirono Les collines d'Anacapri e Minstrels di Debussy. Montale era presente a quel concerto, e lì ebbe l'ispirazione per la poesia riportata sopra, che presenta lo stesso titolo del brano pianistico del musicista francese a cui è esplicitamente dedicata. La poesia, scritta nel 1923 per gli Ossi di seppia, e intitolata originariamente Musica sognata, nel 1962 fu inserita da Montale in una plaquette intitolata Satura, per poi essere definitivamente reintegrata negli Ossi di seppia, quando nel 1980 la Mondadori propose al poeta di edire in un unico volume l'intera sua opera poetica.
(2) P.Boulez, Relevés d'apprenti, Seuil, Paris 1966 [ed. it. Punti di riferimento, Einaudi, Torino 1984].
(3) R. Paoli, Debussy, Sansoni, Firenze 1951. p. 170.
(4) V. Jankélévitch, La Musique et l'Ineffable [ed. it. La musica e l'ineffabile, a cura di E. Lisciani-Petrini, Bompiani, Milano 1998. p. 35].
(5) G. D'Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire, Mondadori, Milano 1935. pp. 423-424
(6) P. Castaldi "A Claude Debussy" in "All'ombra delle fanciulle in fiore: la musica in Francia nell'età di Proust", Monfalcone: teatro comunale, 1987. p. 328
(7) Ibidem, p. 333
(8) Debussy: colloquio del 17-12-1908 con V. Segalen
(9) E. Lisciani-Petrini, Il suono incrinato, Einaudi, Torino 2001 . p. 60
(10) V. Jankélévitch, Debussy et le mystere, Editions de la Baconniére, Neuchatel 1949
(11) Ibidem
(12) Debussy, Monsieur Croche antidilettante, trad. e note di Luigi Cortese con uno scritto di Pierre Boulez, Saggi e documenti del '900 SE SRL, Milano 2000. p. 15
(13) Boulez in "Relevès d'apprenti" parla di una <triplice connessione alla radice di ogni modernità>, in questo caso tra Debussy, Mallarmè e Cézanne
(14) Debussy: Lettera a Vasnier del 4-06-1885
(15) Debussy doveva essere wagneriano per andare oltre Wagner; egli ebbe a dichiarare: "Dopo qualche anno di pellegrinaggio appassionato a Bayreuth, cominciai a dubitare della formula wagneriana (…) senza negare il genio di Wagner si può dire ch'egli abbia messo un punto finale alla musica del suo tempo, un po' come Victor Hugo inglobò tutta la poesia anteriore. Bisognava dunque cercare dopo (après) Wagner e non secondo (d'après) Wagner".
(16) P. Castaldi "A Claude Debussy…" cit. pp. 325-26
(17) Th.W.Adorno,Philosophie der neuen Musik, Mohr, Tübingen 1949 [ed. It. Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino 1975. p. 183].
(18) Debussy "Monsieur Croche…" cit. p. 66
(19) P. Castaldi "A Claude Debussy…" cit. p. 310
(20) S. Jarocinski, Debussy.Impressionisme et symbolisme [ed. it. Debussy. Impressionismo e simbolismo, trad. di Maria Grazia d'Alessandro, La Nuova Italia, Firenze 1999. p. 66].
(21) V. Jankélévitch, "La musica e l'ineffabile…", cit. p. 122
(22) V. Jankélévitch, Il Debussy di Stefan Jarocinski, prefazione a "Debussy impressionismo e simbolismo…", cit. p. XV
(23) V. Jankélévitch e Berlowitz, Quelque part dans l'inachevé, Gallimard, Paris 1978. p. 247
(24) V. Jankélévitch, "La musica e l'ineffabile…", cit. p. 113
(25) E. Lockspeiser, Debussy His life and mind [ed. It. Debussy La vita e l'opera, trad. di Domenico de' Paoli, Rusconi, Milano 1983]
(26) V. Jankélévitch, "La musica…", cit. p. 115.
(27) Ibidem, pp. 114-123
(28) S. Jarocinski, "Debussy...", cit. p. 175
(29) V. Jankélévitch e Berlowitz, "Quelque part..." cit. p. 248
(30) V. Jankélèvitch, "Debussy et le mystere", cit.
(31) Debussy, "Monsieur Croche...", cit. p. 11
(32) E. Lockspeiser, "Debussy…", cit.
(33) S. Jarocinski, "Debussy...", cit. p. 153
(34) V. Jankélévitch, "La musica e l'ineffabile…", cit. p. 122
(35) S. Jarocinski, "Debussy…", cit.
(36) C. Baudelaire, Les fleurs du mal [ed. it. I fiori del male, trad. di G. Bufalino, Mondadori, Milano 1983] (37) S. Mallarmé, Oeuvres complètes, édition établie et annotée par Henri Mondor et Jean Aubry, Gallimard, Paris 1998.
(38) E. Lisciani- Petrini, "Il suono incrinato…", cit. p. 43.
(39) M. T. E. Clark, A modern french composer, Claude Debussy, Newcastle upon tyme, 1908 (conferenza), in S. Jarocinski, "Debussy…", cit. p. 66.
(40) S. Mallarmé, lettera a E. Gosse, [cfr. Mallarmé e la musica di Francesca Magnani, in "Poesia e musica nella Francia di fine '800, Quaderni di M/R 26, Edizioni Unicopli, Comune di Carpi-Teatro Comunale 1987-88. p. 255].
(41) Trasybulos Georgiades, Musik und Rythmus bei den Griechen. Zum Rusprung der abendländischen Musik, Hamburg 1985 [cfr. S. Jarocinski, "Debussy...", cit. p. 39].
(42) S. Mallarmé, risposta all'inchiesta di Jules Huret sull'evoluzione letteraria [cfr. S. Jarocinski, "Debussy…", cit. p.38].
(43) E. Cassirer, Das Symbolproblem und seine Stellug im System der Philosophie, "Zeitschrift für Ästhetik" 1927, vol. XXI [cfr. S. Jarocinski, "Debussy…", cit. p. 27].
(44) M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception [ed. it. Fenomenologia della percezione, trad. e appendice bibliografica a cura di Andrea Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1965. p. 269].
(45) M. Blanchot, "Le secret du Golem" "N.R.F." nº 29, 1955 [cfr. S. Jarocinski, "Debussy…", cit. p. 29].
(46) H. Bergson, Essai sur les données immediates de la conscience [ed. it.Saggio sui dati immediati della coscienza, Paravia, Torino 1963].
(47) Magnani, Le frontiere della musica (da Monteverdi a Schoenberg), Ricciardi, Milano· Napoli 1957. p. 152
(48) Maurice Denis. Programma del festival Debussy, organizzato in occasione dell'erezione dei monumenti a Parigi e St-Germain, 17/06/1932 [cfr. F. Lesure, Debussy, gli anni del Simbolismo, trad. di Carlo Gazzelli, E. D. T., Torino 1994. p. 235].
(49) G. Setaccioli, Debussy è un innovatore?, Edizione "Musica", Roma 1910. p. 9
(50) E. Satie, Ecrits, a cura di Ornella Volta, Parigi, 1977
(51) E. Vuillermoz, Claude Debussy [cfr. S. Jarocinski, "Debussy…", cit.]
(52) Debussy, "Monsieur Croche...", cit. pp. 49-51.
(53) Baudelaire, cfr. G. Setaccioli, "Debussy…", cit. p. 21.
(54) Debussy, "Monsieur Croche…", cit. p. 14.
(55) S. Jarocinski, "Debussy…", cit. p. 14.
(56) Debussy, "Monsieur Croche...", cit. p. 14
(57) Roland Manuel, "Debussy, Achille-Claude" in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, Le Biografie, vol. II, UTET, Torino 1985. p. 4