MINSTRELS
(1)
da C. Debussy
Ritornello, rimbalzi
tra le vetrate d'afa dell'estate.
Acre groppo di note soffocate,
riso che non esplode
ma trapunge le ore vuote
e lo suonano tre avanzi di baccanale
vestiti di ritagli di giornali,
con istrumenti mai veduti,
simili a strani imbuti
che si gonfiano a volte e poi s'afflosciano.
Musica senza rumore
che nasce dalle strade,
s'innalza a stento e ricade,
e si colora di tinte
ora scarlatte ora biade,
e inumidisce gli occhi, così che il mondo
si vede come socchiudendo gli occhi
nuotar nel biondo.
Scatta ripiomba sfuma,
poi riappare
soffocata e lontana: si consuma.
Non s'ode quasi, si respira.
Bruci
tu pure tra le lastre dell'estate,
cuore che ti smarrisci !Ed ora incauto
provi le ignote note sul tuo flauto.
"Acre
groppo di note soffocate, riso che non esplode
"
Debussy, grande innovatore
Debussy
può essere considerato il primo musicista d'avanguardia
del Novecento, padre della musica moderna per le sue innovazioni.
Pierre Boulez sostiene che, come la poesia moderna ha le
radici in certi poemi di Baudelaire, così si può
dire con fondatezza che la musica moderna si sveglia nell'Après-midi
d'un faune. (2) A partire dal momento in cui comparve la
musica di Debussy, la storia della musica compì un
notevole cambio di rotta. Sin dai primi anni del Conservatorio,
il giovane Debussy era risultato insofferente verso le regole
dell'armonia tradizionale. La rivoluzione da lui attuata
non fu fine a se stessa, era un mezzo per perseguire gli
ideali della sua estetica : "Ce que je voudrais faire,
c'est quelque chose de plus épars, de plus divisé,
de plus délié, de plus impalpable, quelque
chose d'inorganique et pourtant d'ordonné dans le
fond" (3).
Le innovazioni strettamente tecniche, come l'uso degli intervalli
dissonanti, di accordi non legati tra loro, delle scale
pentatoniche ed esatonali, fecero sentire la sua musica
particolarmente acre e assolutamente nuova. Solo per portare
un esempio, Debussy fa un largo uso dell'intervallo di seconda,
che dà all'orecchio quasi una sensazione di rumore,
come ha sottolineato Jankélévitch in uno dei
suoi studi su Debussy, introducendo nella sua analisi l'idea
che il musicista faccia spesso "uso della violenza
per annientare l'espressione" (4). Ma quando ascoltiamo
la sua musica "ecco che le vene sono prese da suoni
avvolti a spira come i viticci che nascono dal tralcio della
vite e c'è chi passando li coglie teneri come sono
e quanto più ne assapora l'asprezza più gli
piace" (5).
"Debussy, tu travesti le tue violenze travolgenti da
leggerezze, da delicatezze inaudite
" (6)
In realtà la missione di Debussy è quella
di liberare la musica da regole sintattiche e procedimenti
di sviluppo prestabiliti. Il musicista dichiarerà,
dopo la presentazione del Prélude à l'Après-midi
d'un faune: "Rassicuratevi, l'opera è proprio
costruita; ma invano cercherete le colonne - io infatti
le ho tolte
" Secondo Debussy la musica non corrisponde
ad alcuna teoria, ma "il piacere è la regola".
Egli propugna l'"uso di un modo instabile", di
"accordi incompleti, fluttuanti, in modo che, sfumando
il tono, si possa sempre finire dove si vuole, uscire e
rientrare dalla porta che si preferisce". L'uso di
scale per toni interi e di tonalità lontane, gli
consente di far stare la musica in una sospensione continua;
l'orecchio, che non sente il semitono, sta spesso in uno
stato d'indecisione ed incertezza, ma d'infinita libertà,
per l'immaginazione, di poter balzare da una parte all'altra,
perché per Debussy "la musica è una cosa
libera, che è dappertutto
ma soprattutto non
è sulla carta". E per finire dove vuole lui,
egli presta una grandissima attenzione al timbro dei diversi
strumenti. Nelle epoche precedenti, i principi formali non
avevano rapporto con il timbro. In Debussy il timbro condiziona
in larga misura i valori formali, in quanto ogni strumento
ha una sua voce diversa che suscita diverse immagini nella
mente di chi ascolta. "La tua orchestra descrive i
timbri come degli assoluti, non come mezzi materiali. In
maniera eminentemente magico-evocativa e non meramente,
ordinariamente narrativa. (
) è per questo che
per te, e non per altri, il coefficiente di presenza di
un flauto o di una celesta, di un oboe o di un trombone,
siano rilevanti tanto, quanto le note che costoro fanno
udire." (7) Per questo motivo, da una parte Debussy
"pulisce" l'orchestra da eccessivi raddoppiamenti
e abbinamenti di strumenti, dall'altra, introduce nuove
componenti come la celesta, le campane, le arpe, la cassa
rullante, il tamburello, le castagnette, i cimbali antichi,
per evocare, con il loro timbro particolare e inconfondibile,
un'idea, un luogo, un'atmosfera precisa. "I musicisti
non sanno più scomporre il suono, darlo puro. Io
mi sforzo di usare ogni timbro allo stato puro (
)
Abbiamo imparato troppo a mescolare i timbri (
) In
questo Wagner è andato molto lontano. Egli lega,
per esempio, la maggior parte degli strumenti a due a due
o a tre a tre. Il colmo del genere è Strauss, che
ha buttato tutto all'aria. Unisce il trombone al flauto
(
) Invece, io mi sforzo di conservare ad ogni timbro
la sua purezza, di metterlo al suo vero posto. L'orchestra
di Strauss (
) è un'orchestra cocktail."
(8) Oltre al timbro, un altro elemento innovativo ed essenziale
nella musica di Debussy è l'Arabesco, sottile combinazione
di elementi floreali e geometrici, che lo stesso compositore
definiva "divino". La flessibile curva
dell'arabesco, caro anche a Baudelaire che lo definiva il
più spirituale dei disegni e il più
ideale , è "una figura che in modo supremo
non sviluppa secondo la tecnica del racconto o della rappresentazione,
bensì si staglia secondo la modalità dell'affresco
ornamentale su una superficie in moto, senza descrivere,
senza concludere un epilogo, in un lieto fine, ma assumendo
un valore puramente istantaneo" (9).
Jankélévitch mette a confronto certi motivi
melodici di Debussy con un fenomeno botanico, il geotropismo
(10), cioè l'influenza della forza di gravità
sull'orientamento di foglie e radici; si parla di geotropismo
positivo e negativo, l'uno usato per indicare l'attrazione
verso un centro di gravità, l'altro indica la tendenza
degli steli a crescere allontanandosi dal centro della terra.
(Lo studioso applica il confronto con questo fenomeno anche
al significato simbolico dei motivi floreali e vegetali
dell'Art Nouveau e la relazione con le linee fluttuanti
della capigliatura femminile.) Gli arabeschi di Debussy
ricalcherebbero il fenomeno: in salita, creando un senso
di sradicamento dato dalla sovrapposizione di accordi perfetti,
ognuno dei quali relativo a una tonalità differente,
che non danno continuità e un discorso musicale razionale,
ma si limitano ad esistere nello spazio. In discesa, l'arabesco
debussiano simboleggia un sentimento di spavento e di fuga,
di caduta, oppure di languore, in particolare sensuale;
"cette inclinaison pudique vers le bas est une des
marques les plus caractéristiques de la phrase debussyste"
(11). Debussy credeva nella forza magica dell'arabesco,
simbolo carico di mistero e sensualità. Il fascino
provato per questo elemento orientaleggiante era lo stesso
che si era destato in lui quando ebbe modo di sentire le
musiche indonesiane di Bali e Giava. In queste isole si
praticava un'armonia impostata su due scale distinte: <pelog>
e <slendro> , entrambe pentatoniche, ma la prima (detta
femminile) presenta una terza maggiore, mentre la seconda
(detta maschile) una terza minore. Gli strumenti usati sono
idiofoni (gong, metallofoni, xilofoni) e, non essendo nota
la modulazione, la costruzione melodica risulta estremamente
semplice, mentre grande importanza è attribuita al
timbro. La genuinità di queste musiche, la loro semplicità
e spontaneità affascinarono Debussy che mai volle
piegarsi a seguire la artificiosa tradizione conservatrice,
e non volle mai accettare analisi ed etichettamenti della
propria opera.
"Bisogna cercare la disciplina nella libertà
e non nelle formule di una filosofia diventata caduca e
buona solo per i deboli. Non ascoltare i consigli di nessuno,
se non quelli del vento che passa e ci racconta la storia
del mondo." (12) Si potrebbe dare un'idea del metodo
compositivo di Debussy prendendo a prestito una dichiarazione
di Cézanne: "je travaille sur le motif"
; il motivo è disegno generatore o simbolo, come
esso proceda per assumere una forma, è una questione
talmente intima, che qualsiasi specie di analisi formale
è destinata all'insuccesso (13).
La rivoluzione di Debussy investì anche il teatro
musicale: la sua opera Pelléas et Mélisande
(14) fu un evento senza precedenti e un capolavoro che non
avrebbe avuto imitatori. La prima dell'opera scandalizzò
il pubblico parigino (15)16. Lo sviluppo conseguente di
situazioni narrative e musicali, era sostituito dalla giustapposizione
di momenti emozionali isolati. Non più arie e pezzi
chiusi, ma un declamato melodico sostenuto da un'orchestra
di inusitata ricchezza timbrica. Debussy sembra ritornare
agli ideali del 'recitar cantando' dai quali erano nati
il melodramma di Monteverdi e le opere di Lully o Rameau,
e che furono riteorizzati verso la metà del '700
da J.J.Rousseau. Debussy andò più in là
dell'abolizione degli schemi operistici : abolì anche
la drammaturgia tradizionale servendosi del testo del poeta
simbolista Maeterlinck. I cinque atti dell'opera (disposizione
che allude ai cinque atti tradizionali della tragedia in
versi di Corneille e Racine) consistono in vari episodi
che, pur appartenendo ad una stessa vicenda, non ne espongono
lo sviluppo ma ne colgono solo alcuni momenti, collegati
tra loro da interludi tra ciascun atto. Come nel Giardino
dei ciliegi di Cechov (uscito due anni dopo la prima rappresentazione
del Pelléas) si assiste a una vicenda immobile, in
cui ciascun personaggio è più incline a parlare
con se stesso e con i propri ricordi; non c'è trama,
divenire, svolgersi. In Pelléas et Mélisande
più che una costruzione di vicende si ha la creazione
di atmosfere: la scena è dominata da gesti, espressioni,
silenzi e si vede il dissolversi delle figure e delle situazioni.
"Credo che non potrò mai rinchiudere la mia
musica in uno stampo troppo preciso (
) non parlo della
forma musicale, ma parlo semplicemente dal punto di vista
letterario. Amerò sempre più una cosa in cui,
in un modo o nell'altro, l'azione sarà sacrificata
all'espressione lungamente perseguita dei sentimenti dell'anima.
Mi sembra che in questo caso la musica possa divenire più
umana, più vissuta, e che si possano approfondire
e raffinare i mezzi d'espressione." (15)
Debussy assieme a Maeterlinck avvolge di atmosfere brumose
personaggi alla ricerca di un destino a loro stessi ignoto.
Il musicista ha in odio i romantici, specialmente Wagner18,
e nel Pelléas vuole comunicare un messaggio artistico
che, anziché incitare all'azione eroica (come nel
romanticismo) insegni a non discutere e subire la sorte.
Antiteticamente al Tristano e Isotta di Wagner, in Pelléas
ci sono personaggi dalla fragile psicologia; dominano silenzi
là dove le parole avevano incalzato, si nota una
semplicità quasi infantile, là dove la passione
era stata spasmodica, Mélisande muore senza motivo
e in silenzio, là dove un canto straziante aveva
portato trionfalmente alla morte. A differenza delle opere
liriche romantiche, tutti i sentimenti e le emozioni si
vivono più intimamente e misteriosamente, ma l'intimità,
sentita fortemente anche da parte dei romantici, rimane
segreta, celata. "I romantici, in musica, esprimevano
l'interiore. Qui, nessuna espressione. Tu, se lo vuoi, 'imprimi
l'esteriore'. Questo sguardo sul reale ha un'innocenza qualitativamente
aurorale, nuova, del tutto particolare. Le tue 'raffigurazioni'
sono un'oggettiva 'realtà'. Tu 'tiri dentro quello
che è fuori': mentre loro, incuranti dello zaffiro
del cielo e dello scintillare del mare, senza guardare riflessi
nello stagno (
) 'premevano fuori quello che avevano
dentro'." (16)
Debussy era contrario a qualsiasi sfoggio del proprio io
e quindi offriva al pubblico confidenze impersonali sotto
forma di evocazioni, pitture sfumate, tratti delicati. Ecco
'il riso che non esplode': non c'è la smodata ostentazione
dei sentimenti, in quasi tutte le sue opere non c'è
un messaggio palese, non c'è tempo per assumere uno
stato d'animo particolare, subito siamo richiamati da un
altro. Nella Sérénade interrompue, uno dei
24 Preludi per pianoforte, appena stiamo per abbandonarci
a ciò che può suscitare in noi l'idea di una
serenata, la musica si interrompe, come quando ci risvegliamo
improvvisamente durante un sogno. Ma anche ascoltando le
altre opere si ha un senso di aspettativa delusa : "l'orecchio
ingenuo resta teso per tutto il pezzo in attesa del 'culmine';
tutto sembra un preambolo, un preludiare che precede l'effettiva
realizzazione musicale, 'l'epodo' che non arriva. L'orecchio
deve orientarsi diversamente per comprendere esattamente
Debussy, per intenderlo non come un processo di stasi seguite
da risoluzioni, ma come vicinanze di colori e superfici"
(17).
Dopo aver accennato ad alcune innovazioni riscontrabili
nell'opera di Debussy, la riflessione che ne segue è
che nel suo voler andare avanti, nel voler superare la tradizione,
è come se volesse attingere paradossalmente al passato.
Il passato dell'opera, delle musiche di popoli primitivi,
il passato che si perde nella notte dei tempi: quello del
mito, che ritroviamo in maniera evidente o per evocazione,
in gran parte delle sue composizioni. "Tante persone
oneste credono che la musica sia nata ieri, mentre essa
ha un passato di cui si dovrebbero rimuovere le ceneri:
vi si troverebbe quella fiamma inestinguibile alla quale
il nostro presente dovrà sempre una parte del suo
splendore (
) Dobbiamo ritornare alla formula teatrale
degli antichi Greci. Dobbiamo ritrovare la tragedia, e arricchire
la sua cornice musicale primitiva con le risorse infinite
dell'orchestra moderna e con le innumerevoli voci del coro.
(
) Preziosi insegnamenti si possono trovare negli
spettacoli realizzati dai principi giavanesi, in cui la
seduzione imperiosa del linguaggio senza parole che emana
dalla Pantomima, raggiunge quasi l'assoluto, col suo procedere
per atti e non per formule. L'aver voluto limitare il nostro
teatro ai soli elementi intelligibili è la causa
della sua miseria." (18)
"Debussy in un'unica iride sa compiere il miracolo
di saldare antiche memorie e verità presente del
dato sensibile senz'ombra di inciampi né interruzioni."
(19)
"Musica
senza rumore che nasce dalle strade, s'innalza a stento
e
ricade (...) Scatta ripiomba sfuma, poi riappare soffocata
e lontana: si consuma..."
Debussy e il silenzio
La
musica di Debussy giunge alle nostre orecchie in maniera
delicata, senza rumore, e lievemente ci lascia il silenzio.
Jarocinski parla della sua musica come una musica transdiscorsiva:
"La musica non comincia e non finisce. Emerge dal silenzio,
si impone senza preliminari, in medias res, poi, interrompendo
il suo corso, continua a tessere la sua trama nel nostro
sogno" (20). L'uso del silenzio è un'altra delle
grandi innovazioni della musica debussiana. "Debussy
cerca di afferrare l'istante liminale a partire dal quale
il silenzio diventa musica" (21). Il silenzio è
per Debussy una struttura musicale di pari importanza del
suono, come per Mallarmé lo erano gli spazi bianchi
in luogo di parole, congiunzioni e segni di interpunzione.
Ancora Jankélévitch studia la funzione del
silenzio nella musica di Debussy: "Quando la parola
è impotente ad esprimere, quando le parole ci mancano,
quando l'ambiguità infinita del senso rifiuta di
essere contenuta nel linguaggio, allora è tempo di
cantare; allora, nel silenzio delle parole, gli oboi d'amore
delle Gigues tristes e la divina musica di Parfums de la
nuit innalzano la voce per dire, nessuno sa come, quello
che essi soltanto sanno dire, e per sussurrare all'orecchio
della nostra anima le cose indicibili" (22).
"La musica testimonia il fatto che l'essenziale in
tutte le cose è NON SO CHE (charme) d'inafferrabile
e d'ineffabile; essa rafforza in noi la convinzione che,
ecco, la cosa più importante del mondo è proprio
quella che non si può dire" (23). Si ha quindi
un uso simbolico del silenzio, come allusione all'inesprimibile:
"il silenzio è buon conduttore: trasmette all'uomo
i sottintesi nascosti sotto le cose dispiegate e fa giungere
fino a lui le voci del mistero universale" (24).
Lo stesso Debussy disse: "la musica inizia là
dove la parola è incapace di esprimere, la musica
è destinata all'inesprimibile; vorrei che uscisse
dall'ombra e che, in certi momenti, vi rientrasse, che fosse
sempre discreta" (25). "In Debussy la musica sorge
dal silenzio, come a volerlo provvisoriamente interrompere
o sospendere. L'Isola gioiosa, in quanto isola sonora su
un mare di silenzio, isola di canti e risa e cimbali risonanti,
non poteva essere che una chimera debussyana perché
per Debussy appunto il giubilo costituisce un innesto in
pieno non-essere, una parentesi del nulla" (26). Il
silenzio si confronta col mistero dell'esistenza. In Pelléas
et Mélisande si fa ben chiara la sottile vicinanza
tra l'esistere, l'essere, e il morire, il non essere. La
preoccupazione di animare questi personaggi da vetrata,
da lanterna magica o da tappezzeria, fa toccare con mano
a Debussy, il vuoto, il nulla della creatura umana, questo
nulla di cui è fatta. "Alla fine del V atto,
l'inconsistente Mélisande dispare in un mormorio:
la quasi inesistente cessa di esistere del tutto (...) Mélisande
si dissolve nel silenzio, come nube e brezza leggera, come
l'alito della notte, l'impalpabile, l'imponderabile Mélisande
si va sfacendo, dissolvendo, annichilendo e ritorna al non
essere" (27).
"Debussy coglie l'ultimo soffio della vita sulla soglia
stessa che separa l'essere dal non essere. I suoi silenzi
e le sue pause vengono talvolta come dall'altra riva"
(28). Per Jankélévitch però non c'è
possibilità di decifrazione di questo mistero: l'inafferrabile
rimane inafferrato, l'inesprimibile non detto e l'invisibile
non visto: "afferrare il mistero che la musica ci fa
intravedere è una scommessa impossibile" (29).
In Philosophie première Jankélévitch
scrive che la musica è come il volto Dio ( un abisso
inattingibile) che non può essere guardato perché
chi lo vede muore. La musica di Debussy vuole essere così:
non spiegata, non decifrata, portatrice di messaggi che
non devono necessariamente essere intesi e il cui "significato
è ancora molto lontano dall'essere esaurito"
(30).
"Sappiate con certezza, che una veridica impressione
di bellezza non dovrebbe provocare altro effetto che il
silenzio!...insomma, siate sincero, vi è mai venuto
in mente di applaudire assistendo al quotidiano , magico
spettacolo del tramonto del sole?" (31) In una lettera
all'amico Chausson, riguardo Pelléas et Mélisande,
Debussy scrive: "sono andato a cercare la musica dietro
tutti i veli che accumula, ne ho riportato qualcosa che
forse piacerà a voi, quanto agli altri non me ne
importa; mi son servito, del tutto spontaneamente, di un
mezzo che mi sembra raro, vale a dire del silenzio (non
ridete) come un mezzo di espressione e forse come del solo
modo di far valere l'emozione di una frase (...) Il silenzio
è una bella cosa e Dio sa che le battute vuote di
Pelléas testimoniano il mio amore per questo tipo
di emozione" (32). La parola in Pelléas et Mélisande
è in funzione del silenzio, un silenzio carico di
significati. In quest'opera si percepisce il tremito con
cui un'anima confida ad un'altra i suoi più cari
segreti, e certe cose non si possono dire ad alta voce perché
a gridarle si sciupano. Uno dei personaggi, il vecchio Arkel,
dice in conclusione, "bisogna parlare a voce bassa.
L'anima umana è silenziosissima". "Nel
1° quadro del III atto, la grande scena tra Pelléas
e Mélisande affacciata alla finestra di una torre
del castello, viene recitata per tutta la sua durata, malgrado
una grandissima tensione emotiva, con un accompagnamento
orchestrale pianissimo.
Wagner, per non citare che lui, qui avrebbe spinto l'orchestra
al delirio, in modo da far sapere a tutti i sentimenti che
agitano gli eroi. Nella scena della fontana Debussy va ancora
più oltre: nel momento in cui Pelléas e Mélisande
si dichiarano il loro amore, l'orchestra, che fin qui suonava
forte, tace, poi riappare con un uscendo dall'ombra pianissimo,
per accompagnare il recitativo (recitativo e non aria, il
che è molto significativo!) di Pelléas"
(33). In quest'opera e in tutte le composizioni per canto
di Debussy, il registro acuto non corrisponde quasi mai
con un'emissione in forte. La massima energia si effonde
nel registro medio-acuto, per poi svanire, anziché
esplodere verso l'acuto, per évaporer. Se si sfogliano
le partiture di tutte le composizioni ci si accorge che
sono costellate di espressioni che rendono il senso di estinzione
della musica: cancellandosi, allontanandosi, svanendo, perdendosi,
indebolendosi, estinto, appena, pianissimo (pp) dolce lontano,
quasi più nulla, pppp (pianissimissimo). "Debussy
giunge alla soglia che dà accesso al niente finale
graduando all'infinito le sfumature dell'impercettibile
e attenuando i decrescendo, sino al punto in cui il quasi-niente
e il niente sembrano divenire indiscernibili" (34).
"Non
s'ode quasi: si respira..."
Debussy simbolista
Debussy parlava spesso del profumo del suono, del fatto
che la musica dovesse esser percepita da tutti i sensi perché
l'ascoltatore potesse meglio immergersi in ciò che
essa poteva evocare e perché potesse lasciare una
scia, una sensazione, come una ventata di profumo. "Les
parfums de la nuit, non si rivolge al senso olfattivo più
di quanto non si rivolga all'immaginazione visiva, ma infonde
in noi un profondo turbamento che fa roteare e vacillare
le immagini, le sensazioni, le qualità; Les sons
et les parfums tournent dans l'air du soir e la 'languida
vertigine' si impadronisce della nostra anima. L'evocazione
è sempre lontana e in qualche modo onirica"
(35).
Quest'immagine sinestetica richiama alla mente la "poetica
delle corrispondenze" di Baudelaire, precursore diretto
del simbolismo, movimento che aleggiava nella Parigi di
fine '800 e a cui la giovinezza e la formazione di Debussy
fu strettamente legata.
E' la Natura un tempio dove a volte viventi
colonne oscuri murmuri si lasciano sfuggire:
tu, smarrito entro selve di simboli, seguire
da mille familiari segreti occhi ti senti.
Come echi lontani e lunghi, che un profondo
e misterioso accordo all'unisono induce,
coro grandioso come la tenebra e la luce,
suoni, colori e odori l'un l'altro si rispondono.
Conosco odori freschi come parvole gote,
teneri come òboi, verdi come giardini;
altri, corrotti e ricchi, attingono remote
espansioni, al di là degli umani
confini
E sono il benzoino, l'ambra, il muschio, l'incenso,
che cantano le estasi dell'anima e del senso.
E' la Natura un tempio dove a volte viventi
colonne oscuri murmuri si lasciano sfuggire:
tu, smarrito entro selve di simboli, seguire
da mille familiari segreti occhi ti senti.
Come echi lontani e lunghi, che un profondo
e misterioso accordo all'unisono induce,
coro grandioso come la tenebra e la luce,
suoni, colori e odori l'un l'altro si rispondono.
Conosco odori freschi come parvole gote,
teneri come òboi, verdi come giardini;
altri, corrotti e ricchi, attingono remote
espansioni, al di là degli umani confini
E sono il benzoino, l'ambra, il muschio, l'incenso,
che cantano le estasi dell'anima e del senso.
Questa
poesia, tratta da I fiori del male (36) è intitolata
Corrispondenze, parola chiave di tutta la poetica baudelairiana:
la realtà appare complessa e impenetrabile, tutte
le cose, i profumi, i colori e i suoni sono simboli che
si corrispondono e si confondono in una profonda mescolanza,
il cui significato va al di là dell'esperienza comune.
La sinestesia olfattiva che domina nei versi finali, si
serve di elementi che naturalmente portano alla mente dei
profumi, ma ancor più efficacemente richiamano essenze
più inconsistenti di altre: il benzoino (detto anche
incenso di Giava) e l'incenso hanno anche una corrispondenza
visiva, il fumo prodotto. I simbolisti prediligevano sostanze
effimere ed evanescenti che sinesteticamente sono evocate
dalle musiche di Debussy.
Alcuni critici hanno parlato, a proposito della poesia di
Mallarmé (altro grande pilastro del simbolismo) e
della musica di Debussy, di fenomenologia del leggero, in
quanto vi si possono individuare una serie di oggetti che
costituiscono una costante nella loro opera; per Mallarmé:
schiuma, anelli di fumo, piume, merletto, ala, ventaglio,
zampilli d'acqua; per Debussy: profumi che volteggiano nell'aria,
riflessi nell'acqua, nuvole, nebbie, foglie, fuochi d'artificio,
lunghi capelli. Gli elementi si fondono nei Trois poémes
de Mallarmé musicati da Debussy nel 1913: Soupir,
placet futile, éventail. Un altro oggetto dall'evanescente
ambiguità, comune ai due artisti è il velo.
La metafora del velo tanto cara ai simbolisti è presente
in Debussy; ricordiamo le frasi del musicista "sono
andato a cercare la musica dietro tutti i veli che accumula"
e "la musica è un sogno a cui son stati tolti
i veli" o i Voiles dei Preludi. Il velo è una
tra le sostanze effimere che Mallarmé elegge a emblema
dell'incorporeo, come "l'arte dei suoni che si apparenta
al merletto in quanto garza, trama intessuta di vuoto";
il velo, come la musica, è "potente mezzo di
evanescenza e volatile svestimento in tratti che si corrispondono,
prossimi al pensiero, per sottrargli, oltre ad abolire il
testo, l'immagine, e gli oggetti con cui entra in contatto
li evapora e poi riannoda, fluttuanti, in uno stato superiore"
(37). Il velo oltre che essere emblema di sostanze effimere
e volatili è un oggetto che consente di vedere ma
nello stesso tempo di non vedere con chiarezza. Si crea
un enigma, che per Jankélévitch è privo
di soluzione, in quanto dietro il velo non c'è una
verità, come quella che intuì Schopenhauer
squarciando il velo di Maya, perchè il fondamento
dell'essere è inconoscibile, l'apparenza rimanda
solo a se stessa (Jankélévitch parla di mistero
tautegorico).
I simbolisti vogliono che lo sguardo sia filtrato dal velo:
l'essenza intima delle cose è nascosta nelle parole
che devono spogliarsi del significato tradizionale e avvalersi
di simboli complessi; la 'poesia pura' (come il suono puro
per Debussy) è il mezzo per ricercare ed esprimere
l'ideale assoluto.
Il velo non vuole essere alzato, perché come disse
Debussy la troppa chiarezza distrugge il sogno.
Quando il musicista frequentava i 'martedì di Mallarmé'
aveva già conosciuto e musicato alcuni versi di Baudelaire
e Verlaine; "i Cinq poemes de Baudelaire (...) mostrano
con estrema chiarezza quali sono i temi che lo attirano,
gli oggetti che corrispondono alla sua sensibilità,
l'atmosfera nella quale egli vede immerse le cose - e dunque
le finalità espressive cui vuole piegare la materia
musicale. Le poesie prescelte evidentemente per la loro
intrinseca carica evocativa (Le balcon, Harmonie du soir,
Le jet d'eau, Recueillement, La mort des amants) sono di
per sé eloquenti; alludono ad un mondo crepuscolare,
quasi silente, fatto di mezze tinte e suoni smorzati, dove
ogni movimento acquista un'andatura felpata, raccolta, intimamente
malinconica" (38).
L'estetica simbolista si sposava con la sua concezione musicale:
"Debussy usa gli accordi come Mallarmé usa le
parole, come specchi che concentrano la luce di cento punti
differenti sul significato esatto, ma rimangono i simboli
del significato, non il significato stesso. Queste strane
armonie (...) non sono affatto la fine, e neppure il punto
di partenza delle intenzioni del compositore, bensì
la trama sulla quale l'immaginazione deve tessere la sua
fantasia" (39).
I simbolisti, d'altro canto, aspiravano alla riscoperta
di una dimensione musicale della parola, come infinita possibilità
di significati, in quanto la musica per la sua asemanticità
consente di svelare e nascondere allo stesso tempo ciò
che esprime. "Io faccio musica, e con tale termine
non intendo riferirmi agli effetti che si possono trarre
dall'avvicinamento eufonico delle parole, questa prima condizione
è fin troppo ovvia; ma all'aldilà magicamente
prodotto da talune disposizioni della parola (...) Fra le
righe e nascosta al primo sguardo, essa risuona in tutta
purezza (...) Musica nel senso greco, che significa in fondo
Idea o ritmo tra rapporti, e in ciò più divina
che nell'espressione pubblica o sinfonica" (40). Il
riferimento mallarméano al modello greco di musica,
è riscontrabile anche a proposito della lingua. Come
ha mostrato Trasybulos Georgiades (41) nella lingua greca
e nelle lingue antiche, la lunghezza delle sillabe
delle parole era rigorosamente prefissata e stabilita, mentre
in quelle moderne le sillabe possono essere brevi o lunghe
a seconda di chi le pronuncia. La fissità delle parole,
nella tragedia greca, faceva si che lo stato affettivo del
recitante non avesse nessuna influenza sulla struttura dei
versi ( apparentemente così oggettivi). La lingua
era indipendente dalla volontà dell'uomo, senza possibilità
di alcun soggettivismo. Mallarmé vide nella lingua
greca la fissità e l'ambiguità delle maschere,
come nella tragedia, dove non si sa mai che volto sia celato
dietro di esse. "Evocare, in un'ombra creata appositamente,
l'oggetto taciuto con parole allusive, mai dirette, che
si riducono ad un silenzio uniforme, comporta un tentativo
prossimo di creare (...) Nominare un oggetto, vuol dire
sopprimere i ¾ del godimento della poesia che è
fatta di un lento divenire: suggerirlo, ecco il sogno. E'
l'uso perfetto di questo mistero che costituisce il simbolo:
evocare a poco a poco un oggetto per mostrare uno stato
d'animo o inversamente, scegliere un oggetto e trarne uno
stato d'animo, attraverso una serie di decifrazioni"
(42). I titoli dei ventiquattro Préludes per pianoforte,
che furono fatti porre da Debussy alla fine e non all'inizio
dei brani, sospesi tra tre puntini, servono più a
velare le intenzioni del compositore che a descrivere delle
immagini, per lasciare libera l'immaginazione dell'ascoltatore.
E' questa la funzione del simbolo, che è "veicolo
sensibile di contenuti spirituali" (43). Il simbolo
è "parola parlante (per distinguere dalla parola
parlata) in cui l'intenzione significante si trova allo
stato nascente (...) L'esistenza si polarizza in un certo
'senso' che non può essere definito da nessun oggetto
naturale" (44). Blanchot ne Le secret du Golem dice
che, al contrario delle allegorie "il simbolo non rappresenta
niente di concreto, non esprime niente, rende solo presente
- rendendo noi presenti in essa - una realtà che
sfugge ad ogni altra presa e sembra sorgere là, prodigiosamente
lontana, come una presenza estranea" (45).
Nell' Art poétique, composta nel 1874 durante il
periodo di reclusione nel carcere di Mons, in Belgio, e
pubblicata nel 1882, Verlaine sostiene che riguardo alla
scelta delle immagini poetiche, questa deve avvenire cercando
di usare al massimo delle possibilità immagini oniriche
o fantastiche allo stato puro, cioè senza mediarle
attraverso l'interpretazione razionale, utilizzandole con
significanti capaci solo di suggerire i possibili significati.
In quest'opera Verlaine auspica l'identificazione della
poesia con la musica: "de la musique avant toute chose",
"la flûte" e "le cor", "de
la musique encore et toujours". Musica e poesia hanno
una matrice comune: il suono. Verlaine chiaramente considera
ogni frase poetica anche una frase musicale, in cui la successione
di fonemi e monemi è scelta in modo da soddisfare
anche un'esigenza acustica.
...Et pour cela
préfère l'impair
plus vague et plus soluble dans l'air
sans rien en lui qui pèse ou qui pose...
Il verso impari consente cesure
asimmetriche "molto più solubili nell'aria".
In Debussy quest'idea si riflette nella costruzione di strutture
musicali asimmetriche. Nelle melodie sui testi di Verlaine,
Debussy preferisce il metro ternario considerato più
"impari" del binario.
...Il faut aussi
que tu n'ailles point
choisir tes mots sans quelque méprise :
rien de plus cher que la chanson grise
où l'indécis au précis se joint...
La scelta delle
parole deve creare un senso di incertezza, di ambiguità,
che suggerisce la possibilità di diverse letture.
La scelta del colore grigio richiama alla mente Whistler
e i suoi 'studi sul grigio' a cui Debussy disse di essersi
ispirato per i Nocturnes. Come nella pittura, anche nella
poesia, ciò significa sfumature di contorni, scorrevolezza
di parole e immagini, effetto ottenibile solo attenendosi
all'evocazione, evitando la descrizione e l'interpretazione.
"C'est des beaux yeux derrière des voiles".
Ecco la metafora del velo !
Si potrebbe dire con Bergson che "la parola dai contorni
ben determinati, la parola brutale (...) schiaccia o per
lo meno ricopre le impressioni delicate e fuggevoli della
nostra coscienza individuale"(46).
...Car nous voulons
la nuance encore
pas la couleur, rien que la nuance !
Oh ! La nuance seule fiancé
le rêve au rêve et la flûte au cor ! ..
[...]
et tout le reste est littérature.
Debussy aspirava
ad un'arte fatta di accenni, di misteriose analogie, perché
l'arte non dice tutto ma, lasciando un alone di indeterminazione
intorno a quanto viene accennato, lascia all'immaginazione
e al sentimento dell'ascoltatore la possibilità -
la libertà - di definirsi, di continuare a risuonare.
Per Debussy nel linguaggio musicale è dicendo di
meno che si dice di più. "L'esperienza dei poeti
simbolisti gli fu infatti di stimolo ad emancipare il suono
dall'astratta convenzionalità, a riscoprirlo nelle
mille voci della natura, a intenderlo come linguaggio del
vento e del mare, come vibrazione di luce, come profumo
di fiori, in virtù delle rivelate 'corrispondenze'
tra le cose visibili e l'assenza intelligibile; schiudendo
il suo animo a una più vasta risonanza del mondo
lo iniziò ad esprimere mediante analogie sonore la
realtà riscoperta. Non la realtà delle apparenze
sensibili, ma una ben più segreta, che solo l'artista
sa cogliere, e di cui il simbolismo aveva avuto la mistica
rivelazione" (47). Non si può certo spiegare
l'opera di Debussy riducendola a combaciare perfettamente
con gli ideali sin qui esposti; il clima culturale della
Parigi di fine '800 era densissimo di nuove brezze tra le
quali il musicista respirò sicuramente a pieni polmoni
anche quella simbolista. "Quando egli era soltanto
uno di noi, la sua musica destava risonanze sconosciute
e svelava nel più profondo di noi stessi l'esigenza
di un lirismo che lui solo poteva soddisfare.
Ciò che la generazione simbolista soprattutto cercava
con passione e inquietudine: luce, sonorità, colore,
espressione dell'anima, brivido del mistero - lui lo realizzava
quasi senza esitazioni e, si direbbe, senza sforzo (...)
Noi ne scorgevamo la novità. Ma sapevamo allora ciò
che abbiamo compreso poi, che il fascino di quella musica
era destinato a non morire mai più (...) che di tutte
le opere del nostro tempo, era quella la più sicura
di sopravvivere?" (48)
"E
si colora di tinte, ora scarlatte ora biade..."
Debussy impressionista?
Debussy viene spesso chiamato musicista impressionista.
Il linguaggio pittorico si adatta perfettamente alle sue
musiche e al suo modo di comporre per cui frequentemente
si parla di 'macchie sonore', data soprattutto la tecnica
di giustapposizione di accordi e la non chiara linea di
un disegno musicale. I primi debussysti parlavano della
sua musica usando termini come: 'mezze tinte', 'colore riflesso',
'colorazione pallida crepuscolare diffusa di penombre sottomarine',
'colorazione iridescente, evanescente, fosforescente' (49).
La ricerca del suono puro ricalca la tecnica dell'uso dei
soli colori puri della tavolozza degli impressionisti. Debussy
usa il timbro come questi usano il colore. Nella sua musica
non c'è necessariamente un discorso logico che conduce
l'andamento del brano, come nella pittura impressionista
manca il disegno, la linea marcata. Debussy e gli impressionisti
colgono le impressioni offerte dal mondo esterno, e le riproducono
prima che intervenga l'intelletto a riordinarle. Il musicista
Erik Satie, amico di Debussy, descrivendo il loro modo di
comporre, dichiarò: "perché non avremmo
dovuto servirci degli stessi metodi di Monet, di Cézanne,
di Toulouse-Lautrec, e così via?" (50) Le aggregazioni
sonore presenti nel secondo libro delle Images per pianoforte,
solo per fare uno tra i tanti esempi possibili, consentono
la riflessione di Vuillermoz che traccia una linea di confronto
con le tecniche impressioniste: "Cloches à travers
les feuilles, Et la lune descend sur le temple qui fut ,
Poissons d'or - questi titoli che propongono alla nostra
immaginazione argomenti precisi si applicano, in realtà,
a studi tecnici molto approfonditi, corrispondenti ai procedimenti
'divisionisti' dei pittori. Debussy intraprende qui una
dimostrazione quasi scientifica della struttura impressionista,
soprattutto nel suo primo quadro (...) Quello che il musicista
vuole captare è il cammino nell'aria delle onde sonore,
che s'incontrano dispiegando i loro ventagli, si scontrano,
si fondono, diventano iridescenti attraverso i loro contatti,
e vaporizzano poesia e sogno. Le campane delle cattedrali
vibratili debbono avere la loro parte in questa orchestrazione
fremente di cui la sordina del fogliame decompone e dissemina
le sfumature più fini. Ed è utilizzando abilmente
la gamma per toni, che Debussy è riuscito a realizzare
quest'analisi spettrale del suono che è quasi un'esperienza
da laboratorio e che rimane, da un capo all'altro, uno stupefacente
incantesimo musicale" (51).
Un altro tratto comune tra il musicista e i pittori impressionisti
è l'uso della luce e dell'ombra, il cui gioco permea
interamente il Pelléas et Mélisande e che
incarna il principio di Monet secondo il quale "le
personnage principale d'un tableau, c'est la lumière"
e la stessa ombra non è che una luce di un'altra
qualità e di un altro valore. Scrive Jankélévitch:
"come l'impressionismo, dissolvendo la polarità
manichea di ombra e luce (negativo e positivo) non ammette
che macchie di colore, vibrazione solari e l'innumerevole
varietà delle sfumature, così gli accordi
debussyani formano una sfilata di atmosfere tutte equivalenti,
tutte ugualmente superficiali o ugualmente profonde a seconda
dell'aspetto sotto il quale le si considera". Infine
non si può ignorare l'accostamento tra la pittura
'en plein air' e la musica che "predilige gli spazi
aperti" (52). I pittori impressionisti lasciarono lo
studio per osservare la realtà e coglierne fedelmente
la verità, rappresentando quello che l'artista vede,
non quello che sa. Baudelaire scrisse a proposito degli
studi impressionisti: "questi studi, così rapidamente
e fedelmente schizzati da quanto vi è di più
incostante e di più inafferrabile nella forma e nel
colore, dalle onde e dalle nuvole, portano sempre scritto
in margine la data, l'ora e il vento: così per esempio,
8 ottobre, mezzogiorno, vento di Nord-Ovest" (53).
Del legame con la natura che fu fortissimo per Debussy e
che si riflette nella sua musica si parlerà in seguito,
per ora basti leggere alcune dichiarazioni del musicista
come "preferisco le poche note del flauto di un pastore
egizio, che collabora al paesaggio e sente delle armonie
che i vostri trattati ignorano... I musicisti ascoltano
soltanto la musica scritta da abili mani, mai quella che
è inscritta nella natura. Assistere alla nascita
del giorno è più utile che ascoltare la Sinfonia
Pastorale" (54). Il termine impressionismo è
stato applicato per la prima volta alla musica di Debussy
nel rapporto del segretario dell'Accademia di belle arti,
alla fine del 1887. Esso, usato in senso peggiorativo, riguardava
la suite in due parti Printemps, per coro femminile a bocca
chiusa e orchestra: "Il signor Debussy non pecca sicuramente
né di piattezza né di banalità. Proprio
al contrario, ha una tendenza spiccata, anzi, troppo spiccata,
alla ricerca della stranezza. Si riconosce in lui un senso
del colore musicale la cui esagerazione gli fa facilmente
dimenticare l'importanza della precisione del disegno e
della forma. Sarebbe molto auspicabile che egli stesse in
guardia contro questo vago impressionismo che è uno
dei più pericolosi nemici della verità nelle
opere d'arte" (55). In realtà Debussy temeva
che l'interpretazione iconografica della sua musica, ne
avrebbe distrutto proprio la sostanza musicale: "io
tento di fare altro, un certo modo di intendere la realtà,
cosa che gli imbecilli definiscono impressionismo".
Ci sono stati sin dai tempi in cui Debussy ancora viveva,
e ci sono ancora, molti critici che sostenevano l'identità
della sua musica con la tecnica impressionista. Per anni
si è disputato intorno alla scelta di collocare il
musicista tra impressionismo e simbolismo.
Egli sembra aver risposto in maniere precorritrice a questa
controversia: "alcuni uomini avevano cercato, gli uni
nella poesia, gli altri nella pittura (a malapena aggiunsi
qualche musicista) di scuotere la vecchia polvere delle
tradizioni, con l'unico risultato di esser trattati da simbolisti
o da impressionisti: termini comodi per disprezzare i propri
simili" (56). Debussy fu influenzato da vari movimenti
artistici che animavano la cultura parigina del suo tempo.
L'allusione simbolica e l'impressione furono le influenze
più determinanti che lo guidarono verso una nuova
concezione della composizione e verso una nuova dimensione
del tempo musicale; quando però si accorse che anch'esse
rischiavano di diventare nuove etichette intese sbarazzarsene
e così, alla fine della sua vita, lo vediamo applicarsi
a forme pure: Études e Sonate. "I Préludes
per pianoforte sono il momento della massima concentrazione
del suo impressionismo musicale e ne rappresentano al tempo
stesso il superamento: le immagini evocate sono effimere
come il ricordo di un sogno e la loro realtà ectoplasmatica
si dissolve nelle impalpabili sfumature cromatiche del suono
allo stato puro" (57). Assieme a La Mer, che inaugurò
una nuova fase rispetto alle precedenti composizioni per
orchestra, i Preludi consistono nell'invenzione di strutture
musicali inedite, strettamente legate non tanto alle immagini
dichiarate nei titoli, quanto alle sensazioni fondamentali
che tali immagini evocano e che corrispondono a un'idea
musicale generatrice della composizione e della sua struttura;
i titoli non vogliono rappresentare evidentemente quello
che evidenziano, ma piuttosto offrire una chiave per comprendere
l'idea musicale di fondo.
L'ambiguità che si può riscontrare nelle appartenenze
a determinati orientamenti culturali è quella che
sottende tutta l'opera di Debussy (come vedremo), che non
risponde mai a un credo definito, se non a quello del sogno
e della libertà.
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(1)
E. Montale, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1990. Nel
marzo 1916 nel Teatro Carlo Felice di Genova ci fu un concerto
del violoncellista André Hekking e del pianista Luigi
La Volpe, che eseguirono Les collines d'Anacapri e Minstrels
di Debussy. Montale era presente a quel concerto, e lì
ebbe l'ispirazione per la poesia riportata sopra, che presenta
lo stesso titolo del brano pianistico del musicista francese
a cui è esplicitamente dedicata. La poesia, scritta
nel 1923 per gli Ossi di seppia, e intitolata originariamente
Musica sognata, nel 1962 fu inserita da Montale in una plaquette
intitolata Satura, per poi essere definitivamente reintegrata
negli Ossi di seppia, quando nel 1980 la Mondadori propose
al poeta di edire in un unico volume l'intera sua opera
poetica.
(2) P.Boulez, Relevés d'apprenti, Seuil, Paris 1966
[ed. it. Punti di riferimento, Einaudi, Torino 1984].
(3) R. Paoli, Debussy, Sansoni, Firenze 1951. p. 170.
(4) V. Jankélévitch, La Musique et l'Ineffable
[ed. it. La musica e l'ineffabile, a cura di E. Lisciani-Petrini,
Bompiani, Milano 1998. p. 35].
(5) G. D'Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine
del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire,
Mondadori, Milano 1935. pp. 423-424
(6) P. Castaldi "A Claude Debussy" in "All'ombra
delle fanciulle in fiore: la musica in Francia nell'età
di Proust", Monfalcone: teatro comunale, 1987. p. 328
(7) Ibidem, p. 333
(8) Debussy: colloquio del 17-12-1908 con V. Segalen
(9) E. Lisciani-Petrini, Il suono incrinato, Einaudi, Torino
2001 . p. 60
(10) V. Jankélévitch, Debussy et le mystere,
Editions de la Baconniére, Neuchatel 1949
(11) Ibidem
(12) Debussy, Monsieur Croche antidilettante, trad. e note
di Luigi Cortese con uno scritto di Pierre Boulez, Saggi
e documenti del '900 SE SRL, Milano 2000. p. 15
(13) Boulez in "Relevès d'apprenti" parla
di una <triplice connessione alla radice di ogni modernità>,
in questo caso tra Debussy, Mallarmè e Cézanne
(14) Debussy: Lettera a Vasnier del 4-06-1885
(15) Debussy doveva essere wagneriano per andare oltre Wagner;
egli ebbe a dichiarare: "Dopo qualche anno di pellegrinaggio
appassionato a Bayreuth, cominciai a dubitare della formula
wagneriana (
) senza negare il genio di Wagner si può
dire ch'egli abbia messo un punto finale alla musica del
suo tempo, un po' come Victor Hugo inglobò tutta
la poesia anteriore. Bisognava dunque cercare dopo (après)
Wagner e non secondo (d'après) Wagner".
(16) P. Castaldi "A Claude Debussy
" cit.
pp. 325-26
(17) Th.W.Adorno,Philosophie der neuen Musik, Mohr, Tübingen
1949 [ed. It. Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino
1975. p. 183].
(18) Debussy "Monsieur Croche
" cit. p. 66
(19) P. Castaldi "A Claude Debussy
" cit.
p. 310
(20) S. Jarocinski, Debussy.Impressionisme et symbolisme
[ed. it. Debussy. Impressionismo e simbolismo, trad. di
Maria Grazia d'Alessandro, La Nuova Italia, Firenze 1999.
p. 66].
(21) V. Jankélévitch, "La musica e l'ineffabile
",
cit. p. 122
(22) V. Jankélévitch, Il Debussy di Stefan
Jarocinski, prefazione a "Debussy impressionismo e
simbolismo
", cit. p. XV
(23) V. Jankélévitch e Berlowitz, Quelque
part dans l'inachevé, Gallimard, Paris 1978. p. 247
(24) V. Jankélévitch, "La musica e l'ineffabile
",
cit. p. 113
(25) E. Lockspeiser, Debussy His life and mind [ed. It.
Debussy La vita e l'opera, trad. di Domenico de' Paoli,
Rusconi, Milano 1983]
(26) V. Jankélévitch, "La musica
",
cit. p. 115.
(27) Ibidem, pp. 114-123
(28) S. Jarocinski, "Debussy...", cit. p. 175
(29) V. Jankélévitch e Berlowitz, "Quelque
part..." cit. p. 248
(30) V. Jankélèvitch, "Debussy et le
mystere", cit.
(31) Debussy, "Monsieur Croche...", cit. p. 11
(32) E. Lockspeiser, "Debussy
", cit.
(33) S. Jarocinski, "Debussy...", cit. p. 153
(34) V. Jankélévitch, "La musica e l'ineffabile
",
cit. p. 122
(35) S. Jarocinski, "Debussy
", cit.
(36) C. Baudelaire, Les fleurs du mal [ed. it. I fiori del
male, trad. di G. Bufalino, Mondadori, Milano 1983] (37)
S. Mallarmé, Oeuvres complètes, édition
établie et annotée par Henri Mondor et Jean
Aubry, Gallimard, Paris 1998.
(38) E. Lisciani- Petrini, "Il suono incrinato
",
cit. p. 43.
(39) M. T. E. Clark, A modern french composer, Claude Debussy,
Newcastle upon tyme, 1908 (conferenza), in S. Jarocinski,
"Debussy
", cit. p. 66.
(40) S. Mallarmé, lettera a E. Gosse, [cfr. Mallarmé
e la musica di Francesca Magnani, in "Poesia e musica
nella Francia di fine '800, Quaderni di M/R 26, Edizioni
Unicopli, Comune di Carpi-Teatro Comunale 1987-88. p. 255].
(41) Trasybulos Georgiades, Musik und Rythmus bei den Griechen.
Zum Rusprung der abendländischen Musik, Hamburg 1985
[cfr. S. Jarocinski, "Debussy...", cit. p. 39].
(42) S. Mallarmé, risposta all'inchiesta di Jules
Huret sull'evoluzione letteraria [cfr. S. Jarocinski, "Debussy
",
cit. p.38].
(43) E. Cassirer, Das Symbolproblem und seine Stellug im
System der Philosophie, "Zeitschrift für Ästhetik"
1927, vol. XXI [cfr. S. Jarocinski, "Debussy
",
cit. p. 27].
(44) M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la
perception [ed. it. Fenomenologia della percezione, trad.
e appendice bibliografica a cura di Andrea Bonomi, Il Saggiatore,
Milano 1965. p. 269].
(45) M. Blanchot, "Le secret du Golem" "N.R.F."
nº 29, 1955 [cfr. S. Jarocinski, "Debussy
",
cit. p. 29].
(46) H. Bergson, Essai sur les données immediates
de la conscience [ed. it.Saggio sui dati immediati della
coscienza, Paravia, Torino 1963].
(47) Magnani, Le frontiere della musica (da Monteverdi a
Schoenberg), Ricciardi, Milano· Napoli 1957. p. 152
(48) Maurice Denis. Programma del festival Debussy, organizzato
in occasione dell'erezione dei monumenti a Parigi e St-Germain,
17/06/1932 [cfr. F. Lesure, Debussy, gli anni del Simbolismo,
trad. di Carlo Gazzelli, E. D. T., Torino 1994. p. 235].
(49) G. Setaccioli, Debussy è un innovatore?, Edizione
"Musica", Roma 1910. p. 9
(50) E. Satie, Ecrits, a cura di Ornella Volta, Parigi,
1977
(51) E. Vuillermoz, Claude Debussy [cfr. S. Jarocinski,
"Debussy
", cit.]
(52) Debussy, "Monsieur Croche...", cit. pp. 49-51.
(53) Baudelaire, cfr. G. Setaccioli, "Debussy
",
cit. p. 21.
(54) Debussy, "Monsieur Croche
", cit. p.
14.
(55) S. Jarocinski, "Debussy
", cit. p. 14.
(56) Debussy, "Monsieur Croche...", cit. p. 14
(57) Roland Manuel, "Debussy, Achille-Claude"
in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei
Musicisti, Le Biografie, vol. II, UTET, Torino 1985. p.
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