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L'esistenza
di un rapporto molto stretto fra arte e pubblicità
è a questo punto indiscutibile. Sia nel passato che
nel presente ci sono stati artisti che hanno lavorato per
la pubblicità e con la pubblicità nelle loro
opere d'arte; oltre a ciò si assiste nel contemporaneo
alla presenza di pubblicità, sia sotto forma di spot
che su carta stampata, che sono entrate a far parte della
sfera artistica al punto che alcune di esse, oltre ai famosi
manifesti tra cui quelli di Lautrec e Depero, sono state
esposte in musei tra i quali il Louvre, ad esempio, che
ospita una collezione di manifesti stampati della campagna
"Esselunga" prodotta dalla famosa agenzia Armando
Testa. Questi casi, assieme al fenomeno di pubblicità
che diventano miti, denotano la derivazione di questa disciplina
dall'arte nonostante la sua finalità sia quella di
far vendere ciò che propone sia esso un prodotto
od un servizio; parlare di diretta derivazione è
forse un poco azzardato ma in questo caso sta a significare
il fatto che la maggior parte dei creativi di un tempo sono
stati artisti famosi e la pubblicità nelle sue prime
espressioni si è servita dei registri propri dell'arte
visiva.
Osservando ad esempio i primi manifesti del periodo francese
delle Affiches, noteremo subito la preponderanza delle decorazioni
grafico-illustrative sulla parte tipografica e come le immagini
sinuose e piacevoli, quali erano i gusti del periodo, catturino
immediatamente la nostra attenzione. Questo fatto è
sottolineato nel testo di Elio Grazioli, Arte e Pubblicità,
con l'esempio dell'attività di Manet nel campo della
pubblicità; egli, infatti, cominciò nelle
sue opere d'arte a considerare il pubblico come spettatore,
costruendo le immagini dal punto di vista dello spettatore.
Questo era già un grande primo passo nella considerazione
dell'osservatore come fruitore finale dell'opera, inoltre
l'artista francese già celebre per aver dato avvio
a quella che era chiamata "pittura della modernità"
per i temi trattati, si misurò con i segni del cambiamento
realizzando una réclame per il libro Les Chats di
Champfleury. Si trattava appunto di un'illustrazione di
gusto "giapponese", com'era in voga all'epoca,
in cui due gatti uno bianco ed uno nero captavano l'attenzione
dell'occhio tramite il contrasto formato dai due colori
e la linea continua e sinuosa che costruiva le due figure;
vi è già in questo lavoro uno dei concetti
base della pubblicità, e vale a dire la cattura dell'attenzione
tramite espedienti grafici e cromatici esaltati dall'omogeneità
dei caratteri tipografici che lasciano il posto più
importante proprio all'illustrazione. Linee dinamiche ed
energicamente sensuali unite a colori essenziali tra i quali
predominano i rossi e i neri, distinguono il lavoro del
più celebre artista - pubblicitario di quel periodo
Henri Tolouse Lautrec; le sue réclame per il Moulin
Rouge sono diventate ormai celebri simboli del binomio arte-pubblicità
ed è importante ricordare come sia stato fruttifero
per lui lo scambio d'esperienze fra le sue due attività
artista da una parte e pubblicitario da un'altra. Infatti,
Lautrec scoprì la tecnica della litografia proprio
grazie all'attività di pubblicitario e la fece rifluire
nella sua produzione artistica ampliando i metodi espressivi.
Con i suoi manifesti, i quali si occupavano di pubblicizzare
spettacoli che avevano come principale attrazione la donna
e la sua sensualità, nasce la funzione della bellezza
femminile nella pubblicità; la spiccata caratteristica
del corpo femminile quale simbolo di bellezza e desiderio,
ha avuto da secoli a questa parte un'importantissima funzione
decorativa e di richiamo per lo sguardo dei passanti e la
porta proprio in questo periodo grazie appunto al lavoro
di Lautrec e dei suoi contemporanei, ad assumere un ruolo
insostituibile in pubblicità. Questo fatto assume
ancora oggi una preponderanza spiazzante sul modo di fare
pubblicità, in cui però denota in molti casi
la mancanza d'idee e costituisce n elemento di tale ridondanza
da produrre spesso la noia dell'osservatore che si vede
proporre il solito messaggio stereotipato ritenuto per questo
dai creatori di sicura pregnanza. Tornando al manifesto,
esso indica nel contesto storico della fase industriale,
la rapidità di fruizione delle immagini; la sua veloce
consumazione da parte del pubblico impone la necessità
di un cambio repentino che alimenta di conseguenza il mercato
della pubblicità e la richiesta di maggior lavoro
da parte degli artisti che vi operano, in pratica esso stesso
è l'emblema della società moderna e della
sua velocità nel produrre oggetti grazie alle innovazioni
tecniche apportate dall'industrializzazione. Assistiamo
così alla presenza sulla scena creativa pubblicitaria,
di moltissimi artisti che producono, in quel periodo, una
serie di messaggi in cui si profilano le basi su cui si
svilupperà in futuro il rapporto tra le due discipline.
In Jules Cheret ad esempio, notiamo le similitudini fra
i suoi manifesti e le opere d'arte di Seurat, il quale assieme
a Lautrec ne era un grandissimo ammiratore soprattutto per
la leggerezza delle forme, la gaiezza delle composizioni,
la sospensione dei personaggi e l'assenza d'ombre; tutti
questi elementi vengono studiati dal pittore il quale va
ricercando gli stessi elementi fra cui anche i contorni
angolosi ed il dinamismo che fa rifluire successivamente
nelle sue opere d'arte. Seurat e Lautrec ammirano Chéret
soprattutto per la sua lontananza dalle ingenuità
diffuse nel suo campo dove il manifesto pubblicitario vuole
spesso rappresentare figure allegre e gioiose ma composte
nei costumi; questo è il punto che differenzia sia
gli elaborati pubblicitari di Chéret che di Lautrec,
i quali prediligono la sguaiatezza delle "chérette",
come venivano chiamate le protagoniste di quei manifesti,
in cui si respira la vera atmosfera da bordello dove effettivamente
si svolgono gli spettacoli pubblicizzati. Il legame con
l'arte moderna e contemporanea, che cerca attraverso l'esasperazione
di certi particolari propri del registro espressivo pubblicitario
una via di critica alla frivolezza della mondanità
moderna, è stata individuata da Grazioli nell'utilizzo
dei colori stridenti e crudi della cromolitografia, la semplificazione
delle forme, il cattivo gusto negli accostamenti, la caricaturizzazione
dei personaggi e la frivolezza che sono assunti da alcuni
artisti come componenti di un contrasto, di una discordanza
e tematizzati come caratteri specifici dell'epoca moderna
e dunque visivamente corrispondenti ad essa, oppure utilizzati
per ottenere nuove tipologie di rese emozionali. Il manifesto
è quindi doppiamente interpretabile, come mezzo pubblicitario
e immagine speculare della società del periodo in
cui vengono esaltate certe caratteristiche attraverso norma
espressive come ad esempio l'appiattimento dei colori e
delle figure in senso bidimensionale che va a scapito di
una maggior descrittività, quella propria delle figure
presenti nelle opere d'arte, per favorirne la comunicatività
immediata. Ma Chéret si rivela comunque meno delirante
rispetto a quello che comunicano i manifesti di Lautrec;
vi è nell'artista francese, la presenza di elementi
descrittivi che assumono una maggior forza ed immediatezza
nel rappresentare la chiassosità di quegli ambienti
che peraltro egli stesso frequentava da tempo in maniera
abitudinaria, e quindi da testimone in prima persona, era
agevolato nella descrizione più sintetica ed efficace.
In queste opere grafiche, si nota come ad un certo livello
espressivo presente nell'immagine illustrata, la parte descrittiva
propria della parola stampata, e quindi della tipografia,
sia messa in secondo piano col solo compito di ricordare
un nome, mentre il resto del messaggio è già
insito nell'organizzazione del sistema della composizione.
Questo è quello che accade al puro livello comunicativo
del manifesto in cui la maggior attenzione è posta
riguardo a quello che è il suo obbiettivo primario,
e quindi portare un messaggio attraverso il quale persuadere
lo spettatore a partecipare all'evento descritto; al di
là di tale scopo, si riconosce nella composizione
la sensibilità di un'artista che ama giustapporre
figure e colori, creare nuove metodologie espressive utilizzando
tagli prospettici e punti di vista inediti. L'altro lato
del rapporto fra arte e pubblicità, può essere
visto in Tolouse Lautrec analizzando il suo iter di produzione
che viene adesso ad arricchirsi dell'utilizzo di tecniche
di stampa acquisite dal mondo pubblicitario e che gli permettono
di moltiplicare i suoi elaborati artistici, aprendogli così
la strada al mercato, in cui emblema della modernità,
la diffusione delle immagini (in questo caso le sue) avviene
secondo metodi commerciali e presuppone una sua capacità
organizzativa e distributiva. Il concetto appena accennato,
avrà ulteriori sviluppi nel periodo della pop-art
e dopo in cui gli artisti si soffermeranno molto su questo
tema. Dopo il periodo d'oro del manifesto, in cui artisti
di calibro elevato fra i quali Pierre Bonnard, Eduard Manet,
ed altri famosi, avviene con l'opera di Leonetto Cappiello,
illustratore italiano, consistente nel manifesto per il
cioccolato Knaus, una rottura che Grazioli definisce "divorzio"
fra arte e pubblicità; il manifesto in questione
segna, infatti, la nascita dell'elemento della riconoscibilità,
dove anche se non vi è nessuna attinenza con il prodotto,
l'immagine grafica funge da suo indicatore, nasce cioè
il manifesto-marchio, fulmineo e memorabile prototipo del
più tardo logotipo. Comincia allora il periodo in
cui le pubblicità non hanno più l'ambizione
fortemente estetica delle prime create da famosi artisti,
si privilegia adesso lo stile spoglio, diretto, la semplicità
delle forme ed i fondi uniti che permettono all'osservatore
la massima leggibilità; la priorità data all'efficacia,
alla chiarezza, alla comunicazione del prodotto ha dato
alla pubblicità il suo linguaggio specifico che si
sgancia dall'arte. Ormai nascono le prime agenzie strutturate,
i pubblicitari si danno delle regole, vi sono i primi periodici
specifici sul tema, non c'è più la dimensione
intuitiva propria del processo artistico che punta più
all'idea occasionale, la sua efficacia è ora misurata,
la sua creazione organizzata. Ecco che allora la pubblicità
entra a far parte della rappresentazione dell'epoca contemporanea
attraverso i collages e i papieres collés di Picasso
e Braque espressione essi stessi del cambiamento in atto,
in cui gli elementi della realtà vengono rappresentati
attraverso un loro frammento che ne fa da referente. Mentre
il cubismo analitico della prima fase scomponeva la figura
disperdendone gli elementi strutturali in diversi piani
visivi fino a rischiare la perdita di riconoscibilità
del soggetto, adesso avviene una condensazione di segni
non scomponibili ed immediatamente riconoscibili volta ad
una volontà di rappresentazione della quotidianità
com'è percepita nella vita comune, e cioè
tramite spezzoni di paesaggi, di oggetti, di informazioni,
tra le quali proprio i manifesti, che fluiscono davanti
all'occhio di chi vive nella società moderna. La
pubblicità con le sue marche ed i suoi prodotti entra
in queste opere dapprima in forma dipinta e successivamente
attraverso il collage che permette la più elevata
riconoscibilità nel minimo segno espressivo; un percorso
mentale quello dei cubisti che ancora oggi si ritrova in
forme di espressione artistica che di volta in volta modificano
i propri registri compositivi lasciando inalterato il concetto
di base. La presenza della pubblicità
si ritrova nelle opere di moltissimi artisti dei più
grandi movimenti storici fra i quali Dadaismo, Bauhaus,
Costruttivismo, Futurismo dalle cui avanguardie artistiche
vengono prodotti nuovi metodi espressivi, i quali a loro
volta rifluiscono nelle creazioni dei pubblicitari che ne
utilizzano gli stili come basi grafiche per la creazione
di manifesti. Di volta in volta celebrativo o contrariato,
il rapporto dell'arte e dei suoi movimenti nei confronti
della pubblicità cambia al mutare delle condizioni
sociali, in cui ad esempio nel caso del Dadaismo, vi è
da parte dell'avanguardia il rifiuto del paradigma comunicativo
proprio del messaggio pubblicitario e lo stravolgimento
del significato dello stesso attraverso la manipolazione
dei suoi stessi registri espressivi. Troviamo chiaramente
questo atteggiamento in un'esponente del movimento suddetto
che, da personaggio piuttosto indecifrabile e non accomunabile
interamente a nessuna corrente artistica o di pensiero,
è stato comunque presente nella cerchia dei dadaisti
con i quali ha collaborato nelle performance del Cabaret
Voltaire, soprattutto in qualità di musicista e paroliere.
Si tratta di Erik Satie, personaggio piuttosto sfuggevole
quanto pienamente riconoscibile nella sua per sona attraverso
gesti come quello di indossare sempre il solito vestito
acquistato in diversi esemplari come un attore da commedia
teatrale; Satie musicista e personaggio dell'avanguardia
utilizza la pubblicità in modo ironico e distruttivo,
annullandone a volte gli scopi attraverso la composizione
di messaggi "negativi" come quelli che apparivano
nelle migliaia di biglietti trovati nella sua casa dopo
la morte, in cui proponeva la vendita di proprietà
immobiliari ("terribile e brutale castello genere gotico
in ghisa") o di centinaia di altri oggetti inesistenti,
tra cui i famosi territori ignoti (Nuova Africa, Plutonia)
ed altri soggetti assurdi. Vi è evidentemente nel
caso di Satie, una volontà di beffare quello che
è l'obbiettivo della pubblicità nelle sue
diverse forme, ovvero un tentativo di attirare l'attenzione
su oggetti e prodotti spesso decantati con lodi quali bellezza,
funzionalità, ecc. che vengono virati in negativo
in questo caso, sconvolgendone il significato ed ottenendo
un effetto contrario a quello normalmente ricercato dalla
pubblicità; nella sua attività anti-pubblicitaria,
rientrano anche le celebri "lettere di scomunica"
che egli spedì a diversi personaggi in vista dell'alta
società parigina del periodo, scuotendo in tal modo
l'opinione pubblica. Egli stesso agisce, in ogni caso, con
degli atti che possono essere giudicati quali forme pubblicitarie
per incrementare la sua notorietà, e fa questo anche
con espedienti tra i quali la sua firma che è rappresentata
spesso da una sorta di marchio o logotipo composto dalle
iniziali del proprio nome elaborate in stile "giapponesizzante",
cosa che secondo alcuni critici deve essere vista in funzione
delle sue preoccupazioni "mediatiche" (O. Volt
in E. Grazioli, 2001 ) . L'attività dei dadaisti
si distingue comunque per la particolarità di questo
modo d'agire in cui, anche attraverso le performances al
Cabaret Voltaire, attraverso trovate che spesso sfociano
nella volgarità più estrema ed in risse chiassose
(peraltro metodi di acquisizione di notorietà) in
cui vi è un affronto alla società e a tutti
coloro che ne seguono le linee direttrici nel comportamento.
A ciò potremmo ricollegare, con un grande salto in
avanti fino al contemporaneo, un'altra azione di mutamento
del significato dei messaggi pubblicitari attraverso la
loro manipolazione in senso negativo, quella portata avanti
da militanti dell'attivismo antiglobalizzatore; uno dei
maggiori esponenti di questo movimento, l'artista newyorchese
Jorge Rodriguez de Gerada, lavora da anni sulla privazione
dello spazio pubblico da parte dei cartelloni pubblicitari.
Tramite azioni in cui strappa brandelli di manifesti egli,
dice, vuole riportare in superficie ciò che c'era
prima che le multinazionali cominciassero a bombardare i
quartieri con le immagini di mondi impossibili per i ragazzi
del ghetto che sentono l'esigenza di uscire dalla situazione
in cui sono per correre all'inseguimento di quei paradisi
da comprare. Riconquistare quindi lo spazio che gli è
stato sottratto e dove i pubblicitari immettono flussi di
immagini a senso unico, alle quali il cittadino non può
rispondere per motivi di mancanza di denaro e che non ha
chiesto di poter vedere. In effetti, come abbiamo già
analizzato, gli Stati Uniti vivono una condizione di tale
libertà per le aziende nel poter comunicare attraverso
la pubblicità, che quasi le istituzioni vere sembrano
essersi ritirate per lasciare spazio alla dominazione di
quei colossi dell'industria la cui comunicazione crea cultura.
Queste interferenze culturali (N. Klein, 2001) si servono
degli stessi canali attraverso i quali, i proprietari delle
grandi ditte produttrici che detengono il potere monetario
per imporre tali messaggi, raggiungono la moltitudine del
pubblico con intento persuasivo; ai livelli più alti
di tali organizzazioni, non si tratta semplicemente di produrre
delle parodie dei messaggi pubblicitari, bensì entrare
nel sistema comunicativo delle aziende ed immettervi i propri
contromessaggi. L'attacco si sviluppa quindi su diversi
livelli, cioè agisce sia a livello finanziario in
quanto è la ditta che ha pagato per il cartellone
o messaggio pubblicitario, sia a livello del simbolo veicolato,
dato che questi "hacker" (pirati) agiscono sul
marchio dell'azienda modificandone il significato e distruggendo
o indebolendo quindi tutti gli sforzi da questa intrapresi
per attribuirgli un significato. Il concetto di base del
détournement come deviazione intesa quale estrapolazione
di immagini, messaggi, oggetti dal loro contesto originario
per creare un nuovo significato, ha radici oltre che nel
Dadaismo anche nel Situazionismo e nel Concettualismo dove
mire degli attivisti erano all'epoca, il mondo dell'arte
e la passività del pubblico di fronte ad esso oltre
che la società capitalista con la sua rigidità
ed il suo conformismo; all'epoca le aziende non si rivelavano
ancora granché interessanti quali obbiettivi da destabilizzare.
Nell'opuscolo intitolato Jamming Culture: Hacking, Slashing
and Sniping in the Empire of the Sign, l'autore Mark Dery
definisce l'interferenza culturale come una combinazione
eclettica di teatro e attivismo, tutto ciò che combina
arte, media, parodia ed atteggiamento da osservatore esterno.
Le azioni di pirateria si attivano attraverso la modificazione
di alcuni cartelloni pubblicitari che va dal ritocco tramite
tecniche di computergrafica, cioè le stesse utilizzate
dai creatori dei cartelli, in modo da far sembrare l'annuncio
realmente uscito con quella composizione utilizzandone quindi
la stessa estetica adottata dall'agenzia pubblicitaria che
lo produce, alla modificazione di esso attraverso l'uso
di colori e vernici applicati con bombolette spray al fine
di apporre messaggi didascalici che ne distruggano il senso
e che rivelino cosa succede in profondità, dietro
la facciata di queste megaditte. I graffiti fatti con vernici
spray, sono considerati messaggi contradditori rispetto
a quello che è espresso nel cartellone, mentre i
manifesti manipolati graficamente, si integrano nel proprio
bersaglio e sono legittimati dall'annuncio stesso. Esempi
di queste attività ci vengono riportati da Naomi
Klein (2001) la quale cita fra gli altri la campagna pubblicitaria
di cartelloni della Apple Computers, i quali raffiguravano
diversi personaggi famosi del presente e del passato accanto
allo slogan "Think Different", che è stata
modificata dagli attivisti interferentisti (in inglese culture
jammers) in maniera piuttosto semplice con la sostituzione
delle fotografie con quelle di altri personaggi tra cui
ad esempio quella di Stalin affiancata dallo slogan alterato
che recita "Think Really Different", oppure la
stessa col Dalai Lama e lo slogan "Think Disillusioned".
Ciò che spinge ulteriormente il diffondersi di questi
culture jammers in tutto il mondo, è senz'altro la
tecnologia oltre che i tradizionali mezzi di comunicazione,
ad esempio, comunicano fra di loro tramite riviste "underground"
e siti internet, come quello forse più famoso che
è Adbusters attivo già da diversi anni, sia
su supporti cartacei che appunto in rete; qui si possono
trovare diversi esempi di opere già compiute e spiegazioni
della filosofia dei gruppi attivisti, nonché la possibilità
di scaricare immagini modificate di loghi e pubblicità
direttamente sul proprio computer, in modo da poter diffondere
così l'ideologia attraverso anche dei simboli come
possono essere appunto le immagini modificate. Adbusters,
come accennato, lavora sulla scena dell'interferenza culturale
già dal 1989 dove ha esordito con la rivista omonima;
successivamente ha esteso la propria attività a quello
che forse è oggi il mezzo più potente per
colpire chirurgicamente i bersagli attraverso strategie
fra le quali vi è addirittura la possibilità
di entrare nelle banche dati e nei siti aziendali di queste
multinazionali e modificarne l'interfaccia ed i contenuti,
rivoltandone l'immagine e portando a galla ciò che
di negativo vi sta dietro. A di là di questi movimenti
antipubblicitari, che si basano perlopiù su ragioni
politiche e sociali, ci sono e ci sono stati artisti che
della pubblicità hanno colto il lato positivo; nel
periodo pop la tendenza è stata quella di evitare
di opporsi al sistema pubblicitario, ma, proprio per la
sua qualità "pop" quindi popolare, ne ha
copiato i metodi ed è entrata in competizione con
essa. In alcuni casi vi è una semplice operazione
di appropriazione di soggetti di campagne pubblicitarie,
come in Roy Lichtenstein che nel suo Ragazza con la palla
del 1961, si appropria della figurazione che era apparsa
in una pubblicità per una stazione sciistica nel
New York Times in quel periodo; semplice furto d'immagine
in questo caso, dove successivamente l'artista appone i
propri metodi di lavoro e ne modifica così la stesura
dei colori, che rende piatti come quelli dei fumetti (altro
campo dal quale è solito prendere spunti) e la linea
del disegno che rende più semplificata. L'opera di
Lichtenstein pone più risalto alla tecnica, che come
nella maggior parte dei suoi elaborati si basa sulla ripetizione
del puntinato tipico della stampa tipografica, ma elaborato
manualmente dipingendolo, rendendo in tal modo una figura
prelevata da materiale d'uso e consumo piuttosto veloci
come un giornale, unica ed irripetibile come tutte le creazioni
eseguite a mano. Vi è quindi una poetica che si discosta
dall'aggressività di interventi più drastici
come quelli che abbiamo osservato in precedenza, Lichtenstein
pone solo in evidenza ciò che ci circonda, e quindi
vi è un rapporto di "uno a uno" (E. Grazioli,
2001) dove l'oggetto rappresentato non assume altre valenze
oltre la propria tanto è vero che le opere portano
lo stesso nome dell'oggetto in esse raffigurato. Altro artista
del quale è impossibile non citare neppure un'opera
parlando di pubblicità, è Andy Warhol, del
quale a proposito di tale rapporto tra le due discipline
vi è talmente tanto da analizzare che è impossibile
in questo caso; mi limiterò quindi ad osservare un
aspetto di una delle sue opere che ne sottolinea la particolarità
proprio a proposito di arte pura ed arte applicata. L'opera
in questione è l'installazione con le Scatole di
Brillo alla Stable Gallery di New York nell'aprile 1964;
qui Warhol aveva disposto un'enorme quantità confezioni
del detersivo Brillo, da lui riprodotte in serigrafia su
scatole di compensato impilate l'una sull'altra e disposte
in modo che fosse difficile passarvi attraverso. Questa
"indiscernibilità" dei prodotti di Warhol
dagli originali delle scatole di sapone, fa emergere la
questione di quale sia allora la vera opera, dove stia il
motivo ultimo per cui possa essere considerata tale. La
risposta è, come sempre, in ogni opinione anche in
quelle contrarie a considerarla un'opera d'arte, vi è
quindi un processo di interrogazione dell'osservatore il
quale è l'unico a darsi una risposta. Importante
è quindi il tema della ripetizione che qui è
duplice nel senso di riproduzione della scatola da parte
dell'artista e riproduzione in serie di tanti pezzi, critica
questa che Warhol rivolge verso il sistema americano in
cui i prodotti sono spesso tutti uguali e sempre uguali
grazie al processo industriale. Ma il filosofo Arthur Danto
vede in quest'operazione anche un altro tipo di rapporto
fra pubblicità ed arte, quello del "trasbordo"
fra arte applicata ed arte pura, dove Warhol opera questo
attraversamento di frontiera fra arte alta (high) e triviale
(low) utilizzando un'immagine (la grafica della scatola
Brillo) che era stata progettata da un designer "artista
espressionista mancato" che si era lanciato nell'arte
commerciale e dove veniva pagato a ore per quello che produceva.
"Warhol fece l'arte a partire da una scatola che il
suo designer aveva separato dall'arte" [A. Danto in
E. Grazioli 2001], con questa definizione il filosofo americano
chiarisce perfettamente il concetto di trasbordo che gli
artisti del passato, tra cui Lautrec, Bonnard e Manet, avevano
effettuato in senso inverso, cioè dall'arte alla
pubblicità. E' proprio in questo senso che si muovono
i creativi pubblicitari del gruppo "Over Ad'Art"
che significa "Arte sulla pubblicità" e
di cui fanno parte personaggi del mondo artistico e pubblicitario.
Partendo dai due concetti di che cos'è l'arte e cos'è
la comunicazione e passando quindi dalle similitudini fra
le due e gli sconfinamenti di una nell'altra e viceversa,
il gruppo O.A.A. ha posto interrogativi a chi fa ed a chi
subisce la pubblicità nel senso che la situazione
contemporanea della pubblicità è piuttosto
scadente, o meglio comunica attraverso metodi impacchettati
e stereotipi che subiamo in continuazione ed accettiamo
come facenti parte del nostro universo immaginario. "C'è
un punto debole nel sistema di comunicazioni dominante di
cui l'artista produttore di immagini pubblicitarie può
approfittare, è questo un meccanismo tanto evoluto
e complesso quanto precario e vulnerabile per una sua fondamentale
natura poiché fa leva sull'acquisizione acritica
del messaggio e sulla ricerca del consenso attraverso l'impiego
di simboli, sigle e forme espressive già acquisiti
dal ricevente" (Over Ad' Art, Milano, 1996). Con queste
parole i creativi dell'O.A.A., sporgono una sorta di denuncia
a quel modo di fare pubblicità in modo antiartistico;
vi è una cattiva informazione alla base veicolata
da cattivi strumenti quali sono i messaggi ingannevoli,
ciò che il gruppo si propone è di sovrapporsi
quali creativi e scombinare il sistema di riferimenti noti,
del senso dell'iconografia dominante modificando il significato
dei significati in modo da costringere i fruitori a riacquistare
il proprio senso critico e obbligarli a leggere i messaggi
pubblicitari senza adagiarsi sul giudizio precostituito.
La sperimentazione in materia è il principio della
loro poetica che riallacciano al lavoro dei Concettualisti
i quali hanno lavorato principalmente appunto sulle idee.
Il fatto che oggi si siano moltiplicati "gli strumenti
del comunicare" significa che il creativo ha più
"arnesi" per lavorare, e lo deve fare a tale scopo.
In un'epoca do ve l'arte si scopre come commistione di scienze,
antropologia, sociologia ed altre innumerevoli discipline
non si può più parlare di "limite disciplinare";
in un'epoca dove si continua a dire che l'arte è
morta ma la si sente ancora parlare siamo più che
mai calati in un humus che ne può modificare in meglio
lo sviluppo e la proliferazione, facendosi "comunicazione
creativa" indifferentemente in arte o in pubblicità.
Non è un caso che uno degli ideatori del gruppo O.A.A.
abbia avuto l'illuminazione ad agire in tal senso dopo un
incontro con Warhol negli anni Ottanta, quel limite già
accennato, scavalcato da lui in un senso e da altri in quello
inverso, è oggi inesistente; il creativo è
artisticamente libero, l'artista è libero creativamente,
entrambi comunicano. Come affermano i teorici di O.A.A.,
prima dell'avvento dell'uomo occidentale, l'arte non è
mai stata autonoma; si è sempre sviluppata al servizio
di qualcosa, sia esso stato una religione, o un'istituzione
governativa. L'arte aveva il compito di mostrare l'invisibile
(Dio) di "sanare le ferite e i conflitti, elevare l'umano
al divino, invocare la discesa del divino.." insomma
comunicava. Dopo il periodo medievale impregnato di religiosità,
essa cambia direzione presentandosi più libera e
gratuita, senza scopo determinato volta al sacro culto della
bellezza; questo in sostanza il percorso che secondo i teorici
di O.A.A. ci ha portato alla dimensione attuale dell'arte
dove non vi è estetica nella comunicazione e dove
non vi è comunicazione nell'arte e a differenza del
decennio a cavallo tre il 1960 e 1970 non si riscontra attualmente
nessuna inquietudine sociale di qualche livello che smuova
dalla situazione di immobilismo culturale (tesi discutibile
forse per il fatto che l'incontro qui trattato è
avvenuto cinque anni fa in cui forse qualcosa è cambiato
e proprio nella comunicazione). F.Scepi relatore del convegno
Over Ad' Art e teorico del movimento, cita l'esempio di
creatività artistica propria di un personaggio poliedrico
come Armando Testa che ha fatto della sua pubblicità
un'arte la cui particolarità è rifluita negli
eredi che hanno preso le redini della sua agenzia continuandone
lo stile e la filosofia creativa; esempio, questo che vuole
essere un emblema di quello che dovrebbero porsi come obbiettivo
i creativi contemporanei. Parlando di contemporaneità,
Scepi accenna all'ottimo lavoro svolto in questo senso dai
creativi della campagna pubblicitaria per "Absolut
Vodka", la quale occupa un posto di rilievo tra i case-history
meglio riusciti del contemporaneo; in questa campagna i
pubblicitari sono arrivati a creare un culto Artistico Pubblicitario
carico di estetica, attraverso la forma della bottiglia
che viene richiamata da vari elementi presenti in soggetti
fotografati dove la bottiglia in quanto oggetto è
totalmente assente ma lasua presenza e particolarità
sono richiamate da altre forme.
Il prodotto pubblicitario in questione è sicuramente
di elevata qualità artistica, e se pure da un lato
i cartelloni su cui è raffigurata possano essere
stati attaccati da organizzazioni quali Adbusters per i
motivi di cui abbiamo già discusso, ciò non
toglie che vi sia dietro un concetto creativo piuttosto
raffinato e di tutto rispetto anche se ciò che veicola
è puramente "l'immagine" della famosa vodka
e nient'altro che quello. Si rivolge quindi ad un pubblico
che tiene conto di significati prettamente estetici e ne
fa il proprio motivo di scelta che riguarda quindi più
una scelta di essere (concetto: sono ciò che compro,
cool, ecc.) che una scelta attuate attraverso le caratteristiche
qualitative. Sullo stesso filone della campagna Absolut,
troviamo la vincitrice del settore "pubblicità
stampata" della scorsa edizione 2000 del Festival Internazionale
della Pubblicità di Cannes; si tratta della campagna
dedicata alla birra Stella Artois, che con un'idea semplice
dai toni di una trasgressione soft, ha creato una serie
di immagini altamente comunicative (e direi in questo caso
più di quelle relative alla summenzionata vodka),
che si avvalgono del concetto base dell'irresistibilità
di tale bevanda che chi la vuol bere è disposto anche
a rovinare oggetti di design, oppure oggetti storici, per
servirsene come cavatappi. Il premio aggiudicatole lo scorso
anno, è, a mio avviso, meritatissimo in quanto la
pulizia di certe immagini che comunicano in modo semplice
e diretto il concetto che si vuole veicolare, senza bisogno
di esagerazioni o di elementi che richiamino l'attenzione
in maniera banale (come ad esempio dei corpi femminili nudi).
A conclusione di questo veloce excursus nel particolare
del rapporto fra arte e pubblicità, vorrei riportare
delle pagine tratte da un sito internet che tratta il tema
in un'altra dimensione e cioè quella degli archetipi
figurativi della nostra cultura, i quali a detta dei teorici
che sostengono questo tipo di studi, si ritrovano nella
pubblicità con grande frequenza, e sono un modo "alternativo"
per darne una lettura in più.
Conclusioni
Questo
viaggio da me intrapreso nel mondo della pubblicità
e nelle relazioni, oserei dire di odio e amore, che questa
ha con l'arte, si è posto dapprima come un'analisi
dei processi che hanno creato nella storia la necessità
di affidarsi a talune attività atte a rendere pubblico
un qualcosa e in seguito come si è sviluppata nel
tempo questa disciplina (la pubblicità) che sin dai
suoi esordi ha avuto contatti con l'arte. Successivamente,
ha assunto una valenza di reportage di quelli che sono i
pensieri e le considerazioni che illustri personaggi del
mondo dell'arte e della letteratura hanno fatto riguardo
ai vari tipi di relazione che si sono instaurati tra arte
e pubblicità durante il loro sviluppo nella storia;
molto spesso mi sono soffermata su argomenti, come la persuasione
occulta, le agenzie e committenze, perché ho ritenuto
opportuno svelare certi aspetti del fare pubblicità
al di là del lato artistico e cioè quell'alveo,
all'interno di questa disciplina, dove risiedono tutte le
pratiche tecniche e sperimentative volte alla ricerca del
consenso. In generale, ho fornito vedute e teorie riguardo
alla pubblicità, dove la maggior preoccupazione che
ho avuto è stata l'informarmi ed informare il lettore
dell'esistenza di certe attività che gravitano attorno
a questa materia comprese le più recenti, forse per
questo più interessanti, correnti di pensiero di
quella fazione che si schiera in opposizione a ciò
che è la pubblicità oggi, ma soprattutto a
quello che ci vuole proporre.
Si è parlato di generazioni di artisti che hanno
lavorato con e/o contro la pubblicità e devo dire
che chi a maggior torto o ragione, tutti hanno avuto dei
validi motivi che li hanno portati allo sviluppo di opere
nelle quali si possono riscontrare le tendenze di pensiero
di ciascuno di loro; per ciò che riguarda gli artisti
contemporanei ed il loro rapporto con la pubblicità,
mi sono attenuta alle fonti più certe dalle quali
ho potuto trarre quella che è la tendenza generale,
in quanto la piuttosto variegata e repentinamente variata,
scena dell'arte contemporanea, propone diverse soluzioni
di rapporto fra le due materie. In genere si nota comunque,
che dalla Pop-generation in avanti, abbiamo assistito ad
uno stretto rapporto tra arte e pubblicità, in cui
vi è una commistione di stili ed iconemi tale che
spesso è difficile cogliere il sottile filo separatore
tra le due. In effetti, il rapporto arte-pubblicità
era stato finora caratterizzato da uno scambio produttivo
fondato sulla capacità dell'arte di produrre "tradizione"
anche sperimentando il nuovo e sulla capacità della
pubblicità di appropriarsi dell'invenzione e di tradurla
in immaginario, di estenderla sul territorio (di pari passo
con gli altri strumenti dell'industria culturale), di moltiplicare
i punti di contatto e contaminazione con il vissuto, a sua
volta reinventando i linguaggi. Nella situazione attuale,
il rapporto fra le due va ribaltato in pubblicità-arte,
nel senso che l'arte "colta" non può più
prescindere dall'estetizzazione che i media e la cultura
di massa in generale hanno capillarmente diffuso nella società,
intervenendo sulla qualità dei consumi personali
- e sul loro valore in immagine - e ponendo in primo piano
il "piacere corporeo della fruizione". Secondo
Franco Speroni (in Il dizionario della Pubblicità,
1994) questo fattore produce anche una necessità
della definizione di nuovi criteri museografici che, specialmente
per l'arte contemporanea, privilegino la sua esplicita finalità
comunicativa rispetto a quella classica di stampo più
contemplativo. In effetti l'arte, come i nuovi media, va
ricercando il contatto col pubblico e l'interazione con
lo spettatore il quale viene reso così partecipe
alla creazione del significato e quindi alla realizzazione
estetica della stessa per mezzo del suo valore comunicativo.
Da questi presupposti si può asserire che il legame
più immediato fra i due fenomeni sta nella constatazione
che entrambi funzionano in presenza di tre componenti: opera-autorefruitore
tra i quali avviene una relazione che si differenzia a dipendenza
del dispositivo considerato. Generalmente nell'arte prevale
il ruolo di regista proprio dell'autore e quindi la centralità
dell'opera; nella pubblicità prevale invece il ruolo
attivo del fruitore e la funzione mediale dell'opera. Il
modo in cui arte e pubblicità si sono miscelate o
hanno scavalcato i propri confini vicendevolmente, lo si
trova nella storia dei loro rapporti dove, per comprenderne
le relazioni, bisogna assumere un punto di vista che colga
i momenti più evidenti di tangenza o confluenza dell'una
nell'altra - come abbiamo osservato nei casi in cui artisti
hanno lavorato in pubblicità e la pubblicità
è entrata nelle opere di artisti -. Nel momento in
cui arte e pubblicità deviano dagli scopi "istituzionali"
che la tradizione storico critica ha loro attribuito, ci
troviamo di fronte ai casi in cui da un lato, il prodotto
dell'arte non è più comprensibile privilegiando
solo l'espressività dell'autore, dall'altro la pubblicità
non è più comprensibile privilegiando solo
l'aspetto informativo del messaggio. Ne deriva che i confini
fra le due discipline si stemperano nel momento comune che
le unisce nella storia della creatività, dove la
definizione del ruolo sociale di chi fa arte e/o pubblicità
assume sempre nuovi parametri fino a fondersi in alcuni
casi. Il punto di dove stiano la pura creatività
e l'artisticità di un'opera e di una campagna pubblicitaria
è senz'altro indefinibile a priori, nel senso che
non esistono parametri ufficiali - e lo abbiamo visto bene
in alcuni casi - per poter analizzare e giudicare un'opera,
sia essa pubblicità o arte; quello che si può
dire in tal caso, e sempre a grandi linee, è che
in quest'analisi è d'obbligo, in primo luogo, tener
conto dei processi culturali e sociali che hanno generato
i presupposti su cui l'opera si basa, secondariamente sopraggiunge
la necessità di farsi realmente critici di fronte
agli elaborati. Il problema della criticità oggettiva
è un argomento secolare, ma al giorno d'oggi è
forse più di matrice economica che filosofica; con
questo voglio dire che, come si vede benissimo leggendo
recensioni su artisti o campagne pubblicitarie, vi è
la tendenza, dove è possibile, a giudicare secondo
un proprio tornaconto. Si tratta comunque solo di una parte
della sfera dei critici, ma è bene sempre tenerne
conto. Tornando al problema del giudizio su un'opera e la
sua validità sul piano artistico, in ultima analisi
ma non per questo meno importante, è necessario valutare
appieno le possibilità espressive offerteci dalla
società in cui viviamo. Nel periodo Bauhaus è
stato definito un concetto poliforme di arte e tutt'oggi
è ancora valido, ma spesso ci troviamo a considerare
alcuni mezzi espressivi troppo obsoleti e quindi non adatti
ai nostri tempi; la mia presa di posizione al riguardo è
semplicemente quella di una persona che accetta ogni forma
d'arte in cui attraverso linguaggi e stili diversi si sia
riusciti ad esporre, a "comunicare" con l'osservatore,
che può sentire di aver "appreso" qualcosa,
sia essa un'emozione o un concetto. Questa mia visione non
vuole essere dogmatica, ma semplicemente penso che solo
in tal modo si possa dire che anche la pubblicità
è una forma d'arte, e lo è appieno quando
creatività, concetto e scopo si incontrano e dove
soprattutto vi sia un uso ponderato di certi elementi, dato
che il suo compito rimane comunque legato ad una sfera più
materiale e meno astratta come può essere quella
dell'arte, se vogliamo, "pura". Trovo comunque
che la situazione ammetta critiche in ambo le direzioni;
il fatto che vi sia una realtà odierna in cui si
noti una scarsa attenzione ai valori estetici in una campagna
pubblicitaria in fase di produzione, è sicuramente
dettato come sostengono alcuni creativi, alla maggiore o
minore elasticità mentale del committente ed alla
sua sensibilità in termini di innovazione linguistica.
Vi è da puntualizzare, però, che spesso costoro
(i pubblicitari) dovrebbero anche ammettere che certi loro
prodotti non sono frutto del massimo della loro potenzialità
creatività anche se il campo d'azione è totalmente
libero da qualsiasi vincolo esterno. Lo stesso si dica per
l'arte: assistiamo, come osservato nel capitolo dedicato
ad arte e società, ad eventi o manifestazioni artistiche
in cui è spesso difficile decifrare il significato
di certe opere ed è vero che oggi siamo tutti più
colti, ma è anche vero che la cultura artistica riguardo
al contemporaneo è poco presente se non poco diffusa.
Le riviste d'arte parlano un linguaggio a tratti comprensibile
solo a coloro che operano nel settore e spesso nelle altre
riviste di carattere culturale più generico, ne accennano
blandamente; diciamo che esiste cripticità nell'arte
e scarsa creatività nella pubblicità - questo
non è inteso in maniera totalitaria bensì
riguarda una buona parte dei casi - dove, dopo anni e anni
di lavoro e sperimentazione si fa fatica a trovare qualcosa
che sia veramente speciale e se vogliamo innovativo. Per
quanto riguarda il lato positivo che possiamo osservare
in qualità di minoranza rispetto alla media, ma piuttosto
particolare per l'importanza che assume a livello di cambiamento,
osserviamo finalmente in questi giorni, un ritorno all'ordine,
alla sottigliezza di linguaggi siano essi artistici o puramente
creativo-pubblicitari - ricordiamo che ormai spesso non
vi è differenza - . Abbiamo esempi di messaggi pubblicitari
che utilizzano un linguaggio sobrio, pulito e diretto che
comunica direttamente con l'osservatore senza sopraffare
i suoi sen si ma invitandolo in un insieme di segni che
producono con grande estetica il significato ultimo; allo
stesso modo osserviamo nell'arte il lavoro di alcuni artisti
che, a guisa di ciò che è appena stato detto
dei creativi, producono delle opere di una bellezza e poetica
così semplici da riscattare, nel loro piccolo, quella
che pare essere la tendenza generalmente riconosciuta riguardo
all'arte contemporanea. A conclusione di queste considerazioni,
mi piace pensare che si possa sempre contare sull'opinione
del fruitore finale, il quale può considerarsi il
più libero da certi condizionamenti e quindi forse
anche più capace di godere appieno della creatività
sia essa artistica o pubblicitaria.
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- Carlo Bertelli, Giuliano Briganti, Antonio Giuliano. L'età
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