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Luciana Andreani, Arte e Pubblicità

 

Luciana Andreani, Arte e Pubblicità, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.3 Novembre-Giugno 2003/2004, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_3/9.htm

 

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L'esistenza di un rapporto molto stretto fra arte e pubblicità è a questo punto indiscutibile. Sia nel passato che nel presente ci sono stati artisti che hanno lavorato per la pubblicità e con la pubblicità nelle loro opere d'arte; oltre a ciò si assiste nel contemporaneo alla presenza di pubblicità, sia sotto forma di spot che su carta stampata, che sono entrate a far parte della sfera artistica al punto che alcune di esse, oltre ai famosi manifesti tra cui quelli di Lautrec e Depero, sono state esposte in musei tra i quali il Louvre, ad esempio, che ospita una collezione di manifesti stampati della campagna "Esselunga" prodotta dalla famosa agenzia Armando Testa. Questi casi, assieme al fenomeno di pubblicità che diventano miti, denotano la derivazione di questa disciplina dall'arte nonostante la sua finalità sia quella di far vendere ciò che propone sia esso un prodotto od un servizio; parlare di diretta derivazione è forse un poco azzardato ma in questo caso sta a significare il fatto che la maggior parte dei creativi di un tempo sono stati artisti famosi e la pubblicità nelle sue prime espressioni si è servita dei registri propri dell'arte visiva.
Osservando ad esempio i primi manifesti del periodo francese delle Affiches, noteremo subito la preponderanza delle decorazioni grafico-illustrative sulla parte tipografica e come le immagini sinuose e piacevoli, quali erano i gusti del periodo, catturino immediatamente la nostra attenzione. Questo fatto è sottolineato nel testo di Elio Grazioli, Arte e Pubblicità, con l'esempio dell'attività di Manet nel campo della pubblicità; egli, infatti, cominciò nelle sue opere d'arte a considerare il pubblico come spettatore, costruendo le immagini dal punto di vista dello spettatore. Questo era già un grande primo passo nella considerazione dell'osservatore come fruitore finale dell'opera, inoltre l'artista francese già celebre per aver dato avvio a quella che era chiamata "pittura della modernità" per i temi trattati, si misurò con i segni del cambiamento realizzando una réclame per il libro Les Chats di Champfleury. Si trattava appunto di un'illustrazione di gusto "giapponese", com'era in voga all'epoca, in cui due gatti uno bianco ed uno nero captavano l'attenzione dell'occhio tramite il contrasto formato dai due colori e la linea continua e sinuosa che costruiva le due figure; vi è già in questo lavoro uno dei concetti base della pubblicità, e vale a dire la cattura dell'attenzione tramite espedienti grafici e cromatici esaltati dall'omogeneità dei caratteri tipografici che lasciano il posto più importante proprio all'illustrazione. Linee dinamiche ed energicamente sensuali unite a colori essenziali tra i quali predominano i rossi e i neri, distinguono il lavoro del più celebre artista - pubblicitario di quel periodo Henri Tolouse Lautrec; le sue réclame per il Moulin Rouge sono diventate ormai celebri simboli del binomio arte-pubblicità ed è importante ricordare come sia stato fruttifero per lui lo scambio d'esperienze fra le sue due attività artista da una parte e pubblicitario da un'altra. Infatti, Lautrec scoprì la tecnica della litografia proprio grazie all'attività di pubblicitario e la fece rifluire nella sua produzione artistica ampliando i metodi espressivi. Con i suoi manifesti, i quali si occupavano di pubblicizzare spettacoli che avevano come principale attrazione la donna e la sua sensualità, nasce la funzione della bellezza femminile nella pubblicità; la spiccata caratteristica del corpo femminile quale simbolo di bellezza e desiderio, ha avuto da secoli a questa parte un'importantissima funzione decorativa e di richiamo per lo sguardo dei passanti e la porta proprio in questo periodo grazie appunto al lavoro di Lautrec e dei suoi contemporanei, ad assumere un ruolo insostituibile in pubblicità. Questo fatto assume ancora oggi una preponderanza spiazzante sul modo di fare pubblicità, in cui però denota in molti casi la mancanza d'idee e costituisce n elemento di tale ridondanza da produrre spesso la noia dell'osservatore che si vede proporre il solito messaggio stereotipato ritenuto per questo dai creatori di sicura pregnanza. Tornando al manifesto, esso indica nel contesto storico della fase industriale, la rapidità di fruizione delle immagini; la sua veloce consumazione da parte del pubblico impone la necessità di un cambio repentino che alimenta di conseguenza il mercato della pubblicità e la richiesta di maggior lavoro da parte degli artisti che vi operano, in pratica esso stesso è l'emblema della società moderna e della sua velocità nel produrre oggetti grazie alle innovazioni tecniche apportate dall'industrializzazione. Assistiamo così alla presenza sulla scena creativa pubblicitaria, di moltissimi artisti che producono, in quel periodo, una serie di messaggi in cui si profilano le basi su cui si svilupperà in futuro il rapporto tra le due discipline. In Jules Cheret ad esempio, notiamo le similitudini fra i suoi manifesti e le opere d'arte di Seurat, il quale assieme a Lautrec ne era un grandissimo ammiratore soprattutto per la leggerezza delle forme, la gaiezza delle composizioni, la sospensione dei personaggi e l'assenza d'ombre; tutti questi elementi vengono studiati dal pittore il quale va ricercando gli stessi elementi fra cui anche i contorni angolosi ed il dinamismo che fa rifluire successivamente nelle sue opere d'arte. Seurat e Lautrec ammirano Chéret soprattutto per la sua lontananza dalle ingenuità diffuse nel suo campo dove il manifesto pubblicitario vuole spesso rappresentare figure allegre e gioiose ma composte nei costumi; questo è il punto che differenzia sia gli elaborati pubblicitari di Chéret che di Lautrec, i quali prediligono la sguaiatezza delle "chérette", come venivano chiamate le protagoniste di quei manifesti, in cui si respira la vera atmosfera da bordello dove effettivamente si svolgono gli spettacoli pubblicizzati. Il legame con l'arte moderna e contemporanea, che cerca attraverso l'esasperazione di certi particolari propri del registro espressivo pubblicitario una via di critica alla frivolezza della mondanità moderna, è stata individuata da Grazioli nell'utilizzo dei colori stridenti e crudi della cromolitografia, la semplificazione delle forme, il cattivo gusto negli accostamenti, la caricaturizzazione dei personaggi e la frivolezza che sono assunti da alcuni artisti come componenti di un contrasto, di una discordanza e tematizzati come caratteri specifici dell'epoca moderna e dunque visivamente corrispondenti ad essa, oppure utilizzati per ottenere nuove tipologie di rese emozionali. Il manifesto è quindi doppiamente interpretabile, come mezzo pubblicitario e immagine speculare della società del periodo in cui vengono esaltate certe caratteristiche attraverso norma espressive come ad esempio l'appiattimento dei colori e delle figure in senso bidimensionale che va a scapito di una maggior descrittività, quella propria delle figure presenti nelle opere d'arte, per favorirne la comunicatività immediata. Ma Chéret si rivela comunque meno delirante rispetto a quello che comunicano i manifesti di Lautrec; vi è nell'artista francese, la presenza di elementi descrittivi che assumono una maggior forza ed immediatezza nel rappresentare la chiassosità di quegli ambienti che peraltro egli stesso frequentava da tempo in maniera abitudinaria, e quindi da testimone in prima persona, era agevolato nella descrizione più sintetica ed efficace. In queste opere grafiche, si nota come ad un certo livello espressivo presente nell'immagine illustrata, la parte descrittiva propria della parola stampata, e quindi della tipografia, sia messa in secondo piano col solo compito di ricordare un nome, mentre il resto del messaggio è già insito nell'organizzazione del sistema della composizione. Questo è quello che accade al puro livello comunicativo del manifesto in cui la maggior attenzione è posta riguardo a quello che è il suo obbiettivo primario, e quindi portare un messaggio attraverso il quale persuadere lo spettatore a partecipare all'evento descritto; al di là di tale scopo, si riconosce nella composizione la sensibilità di un'artista che ama giustapporre figure e colori, creare nuove metodologie espressive utilizzando tagli prospettici e punti di vista inediti. L'altro lato del rapporto fra arte e pubblicità, può essere visto in Tolouse Lautrec analizzando il suo iter di produzione che viene adesso ad arricchirsi dell'utilizzo di tecniche di stampa acquisite dal mondo pubblicitario e che gli permettono di moltiplicare i suoi elaborati artistici, aprendogli così la strada al mercato, in cui emblema della modernità, la diffusione delle immagini (in questo caso le sue) avviene secondo metodi commerciali e presuppone una sua capacità organizzativa e distributiva. Il concetto appena accennato, avrà ulteriori sviluppi nel periodo della pop-art e dopo in cui gli artisti si soffermeranno molto su questo tema. Dopo il periodo d'oro del manifesto, in cui artisti di calibro elevato fra i quali Pierre Bonnard, Eduard Manet, ed altri famosi, avviene con l'opera di Leonetto Cappiello, illustratore italiano, consistente nel manifesto per il cioccolato Knaus, una rottura che Grazioli definisce "divorzio" fra arte e pubblicità; il manifesto in questione segna, infatti, la nascita dell'elemento della riconoscibilità, dove anche se non vi è nessuna attinenza con il prodotto, l'immagine grafica funge da suo indicatore, nasce cioè il manifesto-marchio, fulmineo e memorabile prototipo del più tardo logotipo. Comincia allora il periodo in cui le pubblicità non hanno più l'ambizione fortemente estetica delle prime create da famosi artisti, si privilegia adesso lo stile spoglio, diretto, la semplicità delle forme ed i fondi uniti che permettono all'osservatore la massima leggibilità; la priorità data all'efficacia, alla chiarezza, alla comunicazione del prodotto ha dato alla pubblicità il suo linguaggio specifico che si sgancia dall'arte. Ormai nascono le prime agenzie strutturate, i pubblicitari si danno delle regole, vi sono i primi periodici specifici sul tema, non c'è più la dimensione intuitiva propria del processo artistico che punta più all'idea occasionale, la sua efficacia è ora misurata, la sua creazione organizzata. Ecco che allora la pubblicità entra a far parte della rappresentazione dell'epoca contemporanea attraverso i collages e i papieres collés di Picasso e Braque espressione essi stessi del cambiamento in atto, in cui gli elementi della realtà vengono rappresentati attraverso un loro frammento che ne fa da referente. Mentre il cubismo analitico della prima fase scomponeva la figura disperdendone gli elementi strutturali in diversi piani visivi fino a rischiare la perdita di riconoscibilità del soggetto, adesso avviene una condensazione di segni non scomponibili ed immediatamente riconoscibili volta ad una volontà di rappresentazione della quotidianità com'è percepita nella vita comune, e cioè tramite spezzoni di paesaggi, di oggetti, di informazioni, tra le quali proprio i manifesti, che fluiscono davanti all'occhio di chi vive nella società moderna. La pubblicità con le sue marche ed i suoi prodotti entra in queste opere dapprima in forma dipinta e successivamente attraverso il collage che permette la più elevata riconoscibilità nel minimo segno espressivo; un percorso mentale quello dei cubisti che ancora oggi si ritrova in forme di espressione artistica che di volta in volta modificano i propri registri compositivi lasciando inalterato il concetto di base.
La presenza della pubblicità si ritrova nelle opere di moltissimi artisti dei più grandi movimenti storici fra i quali Dadaismo, Bauhaus, Costruttivismo, Futurismo dalle cui avanguardie artistiche vengono prodotti nuovi metodi espressivi, i quali a loro volta rifluiscono nelle creazioni dei pubblicitari che ne utilizzano gli stili come basi grafiche per la creazione di manifesti. Di volta in volta celebrativo o contrariato, il rapporto dell'arte e dei suoi movimenti nei confronti della pubblicità cambia al mutare delle condizioni sociali, in cui ad esempio nel caso del Dadaismo, vi è da parte dell'avanguardia il rifiuto del paradigma comunicativo proprio del messaggio pubblicitario e lo stravolgimento del significato dello stesso attraverso la manipolazione dei suoi stessi registri espressivi. Troviamo chiaramente questo atteggiamento in un'esponente del movimento suddetto che, da personaggio piuttosto indecifrabile e non accomunabile interamente a nessuna corrente artistica o di pensiero, è stato comunque presente nella cerchia dei dadaisti con i quali ha collaborato nelle performance del Cabaret Voltaire, soprattutto in qualità di musicista e paroliere. Si tratta di Erik Satie, personaggio piuttosto sfuggevole quanto pienamente riconoscibile nella sua per sona attraverso gesti come quello di indossare sempre il solito vestito acquistato in diversi esemplari come un attore da commedia teatrale; Satie musicista e personaggio dell'avanguardia utilizza la pubblicità in modo ironico e distruttivo, annullandone a volte gli scopi attraverso la composizione di messaggi "negativi" come quelli che apparivano nelle migliaia di biglietti trovati nella sua casa dopo la morte, in cui proponeva la vendita di proprietà immobiliari ("terribile e brutale castello genere gotico in ghisa") o di centinaia di altri oggetti inesistenti, tra cui i famosi territori ignoti (Nuova Africa, Plutonia) ed altri soggetti assurdi. Vi è evidentemente nel caso di Satie, una volontà di beffare quello che è l'obbiettivo della pubblicità nelle sue diverse forme, ovvero un tentativo di attirare l'attenzione su oggetti e prodotti spesso decantati con lodi quali bellezza, funzionalità, ecc. che vengono virati in negativo in questo caso, sconvolgendone il significato ed ottenendo un effetto contrario a quello normalmente ricercato dalla pubblicità; nella sua attività anti-pubblicitaria, rientrano anche le celebri "lettere di scomunica" che egli spedì a diversi personaggi in vista dell'alta società parigina del periodo, scuotendo in tal modo l'opinione pubblica. Egli stesso agisce, in ogni caso, con degli atti che possono essere giudicati quali forme pubblicitarie per incrementare la sua notorietà, e fa questo anche con espedienti tra i quali la sua firma che è rappresentata spesso da una sorta di marchio o logotipo composto dalle iniziali del proprio nome elaborate in stile "giapponesizzante", cosa che secondo alcuni critici deve essere vista in funzione delle sue preoccupazioni "mediatiche" (O. Volt in E. Grazioli, 2001 ) . L'attività dei dadaisti si distingue comunque per la particolarità di questo modo d'agire in cui, anche attraverso le performances al Cabaret Voltaire, attraverso trovate che spesso sfociano nella volgarità più estrema ed in risse chiassose (peraltro metodi di acquisizione di notorietà) in cui vi è un affronto alla società e a tutti coloro che ne seguono le linee direttrici nel comportamento. A ciò potremmo ricollegare, con un grande salto in avanti fino al contemporaneo, un'altra azione di mutamento del significato dei messaggi pubblicitari attraverso la loro manipolazione in senso negativo, quella portata avanti da militanti dell'attivismo antiglobalizzatore; uno dei maggiori esponenti di questo movimento, l'artista newyorchese Jorge Rodriguez de Gerada, lavora da anni sulla privazione dello spazio pubblico da parte dei cartelloni pubblicitari. Tramite azioni in cui strappa brandelli di manifesti egli, dice, vuole riportare in superficie ciò che c'era prima che le multinazionali cominciassero a bombardare i quartieri con le immagini di mondi impossibili per i ragazzi del ghetto che sentono l'esigenza di uscire dalla situazione in cui sono per correre all'inseguimento di quei paradisi da comprare. Riconquistare quindi lo spazio che gli è stato sottratto e dove i pubblicitari immettono flussi di immagini a senso unico, alle quali il cittadino non può rispondere per motivi di mancanza di denaro e che non ha chiesto di poter vedere. In effetti, come abbiamo già analizzato, gli Stati Uniti vivono una condizione di tale libertà per le aziende nel poter comunicare attraverso la pubblicità, che quasi le istituzioni vere sembrano essersi ritirate per lasciare spazio alla dominazione di quei colossi dell'industria la cui comunicazione crea cultura. Queste interferenze culturali (N. Klein, 2001) si servono degli stessi canali attraverso i quali, i proprietari delle grandi ditte produttrici che detengono il potere monetario per imporre tali messaggi, raggiungono la moltitudine del pubblico con intento persuasivo; ai livelli più alti di tali organizzazioni, non si tratta semplicemente di produrre delle parodie dei messaggi pubblicitari, bensì entrare nel sistema comunicativo delle aziende ed immettervi i propri contromessaggi. L'attacco si sviluppa quindi su diversi livelli, cioè agisce sia a livello finanziario in quanto è la ditta che ha pagato per il cartellone o messaggio pubblicitario, sia a livello del simbolo veicolato, dato che questi "hacker" (pirati) agiscono sul marchio dell'azienda modificandone il significato e distruggendo o indebolendo quindi tutti gli sforzi da questa intrapresi per attribuirgli un significato. Il concetto di base del détournement come deviazione intesa quale estrapolazione di immagini, messaggi, oggetti dal loro contesto originario per creare un nuovo significato, ha radici oltre che nel Dadaismo anche nel Situazionismo e nel Concettualismo dove mire degli attivisti erano all'epoca, il mondo dell'arte e la passività del pubblico di fronte ad esso oltre che la società capitalista con la sua rigidità ed il suo conformismo; all'epoca le aziende non si rivelavano ancora granché interessanti quali obbiettivi da destabilizzare. Nell'opuscolo intitolato Jamming Culture: Hacking, Slashing and Sniping in the Empire of the Sign, l'autore Mark Dery definisce l'interferenza culturale come una combinazione eclettica di teatro e attivismo, tutto ciò che combina arte, media, parodia ed atteggiamento da osservatore esterno. Le azioni di pirateria si attivano attraverso la modificazione di alcuni cartelloni pubblicitari che va dal ritocco tramite tecniche di computergrafica, cioè le stesse utilizzate dai creatori dei cartelli, in modo da far sembrare l'annuncio realmente uscito con quella composizione utilizzandone quindi la stessa estetica adottata dall'agenzia pubblicitaria che lo produce, alla modificazione di esso attraverso l'uso di colori e vernici applicati con bombolette spray al fine di apporre messaggi didascalici che ne distruggano il senso e che rivelino cosa succede in profondità, dietro la facciata di queste megaditte. I graffiti fatti con vernici spray, sono considerati messaggi contradditori rispetto a quello che è espresso nel cartellone, mentre i manifesti manipolati graficamente, si integrano nel proprio bersaglio e sono legittimati dall'annuncio stesso. Esempi di queste attività ci vengono riportati da Naomi Klein (2001) la quale cita fra gli altri la campagna pubblicitaria di cartelloni della Apple Computers, i quali raffiguravano diversi personaggi famosi del presente e del passato accanto allo slogan "Think Different", che è stata modificata dagli attivisti interferentisti (in inglese culture jammers) in maniera piuttosto semplice con la sostituzione delle fotografie con quelle di altri personaggi tra cui ad esempio quella di Stalin affiancata dallo slogan alterato che recita "Think Really Different", oppure la stessa col Dalai Lama e lo slogan "Think Disillusioned". Ciò che spinge ulteriormente il diffondersi di questi culture jammers in tutto il mondo, è senz'altro la tecnologia oltre che i tradizionali mezzi di comunicazione, ad esempio, comunicano fra di loro tramite riviste "underground" e siti internet, come quello forse più famoso che è Adbusters attivo già da diversi anni, sia su supporti cartacei che appunto in rete; qui si possono trovare diversi esempi di opere già compiute e spiegazioni della filosofia dei gruppi attivisti, nonché la possibilità di scaricare immagini modificate di loghi e pubblicità direttamente sul proprio computer, in modo da poter diffondere così l'ideologia attraverso anche dei simboli come possono essere appunto le immagini modificate. Adbusters, come accennato, lavora sulla scena dell'interferenza culturale già dal 1989 dove ha esordito con la rivista omonima; successivamente ha esteso la propria attività a quello che forse è oggi il mezzo più potente per colpire chirurgicamente i bersagli attraverso strategie fra le quali vi è addirittura la possibilità di entrare nelle banche dati e nei siti aziendali di queste multinazionali e modificarne l'interfaccia ed i contenuti, rivoltandone l'immagine e portando a galla ciò che di negativo vi sta dietro. A di là di questi movimenti antipubblicitari, che si basano perlopiù su ragioni politiche e sociali, ci sono e ci sono stati artisti che della pubblicità hanno colto il lato positivo; nel periodo pop la tendenza è stata quella di evitare di opporsi al sistema pubblicitario, ma, proprio per la sua qualità "pop" quindi popolare, ne ha copiato i metodi ed è entrata in competizione con essa. In alcuni casi vi è una semplice operazione di appropriazione di soggetti di campagne pubblicitarie, come in Roy Lichtenstein che nel suo Ragazza con la palla del 1961, si appropria della figurazione che era apparsa in una pubblicità per una stazione sciistica nel New York Times in quel periodo; semplice furto d'immagine in questo caso, dove successivamente l'artista appone i propri metodi di lavoro e ne modifica così la stesura dei colori, che rende piatti come quelli dei fumetti (altro campo dal quale è solito prendere spunti) e la linea del disegno che rende più semplificata. L'opera di Lichtenstein pone più risalto alla tecnica, che come nella maggior parte dei suoi elaborati si basa sulla ripetizione del puntinato tipico della stampa tipografica, ma elaborato manualmente dipingendolo, rendendo in tal modo una figura prelevata da materiale d'uso e consumo piuttosto veloci come un giornale, unica ed irripetibile come tutte le creazioni eseguite a mano. Vi è quindi una poetica che si discosta dall'aggressività di interventi più drastici come quelli che abbiamo osservato in precedenza, Lichtenstein pone solo in evidenza ciò che ci circonda, e quindi vi è un rapporto di "uno a uno" (E. Grazioli, 2001) dove l'oggetto rappresentato non assume altre valenze oltre la propria tanto è vero che le opere portano lo stesso nome dell'oggetto in esse raffigurato. Altro artista del quale è impossibile non citare neppure un'opera parlando di pubblicità, è Andy Warhol, del quale a proposito di tale rapporto tra le due discipline vi è talmente tanto da analizzare che è impossibile in questo caso; mi limiterò quindi ad osservare un aspetto di una delle sue opere che ne sottolinea la particolarità proprio a proposito di arte pura ed arte applicata. L'opera in questione è l'installazione con le Scatole di Brillo alla Stable Gallery di New York nell'aprile 1964; qui Warhol aveva disposto un'enorme quantità confezioni del detersivo Brillo, da lui riprodotte in serigrafia su scatole di compensato impilate l'una sull'altra e disposte in modo che fosse difficile passarvi attraverso. Questa "indiscernibilità" dei prodotti di Warhol dagli originali delle scatole di sapone, fa emergere la questione di quale sia allora la vera opera, dove stia il motivo ultimo per cui possa essere considerata tale. La risposta è, come sempre, in ogni opinione anche in quelle contrarie a considerarla un'opera d'arte, vi è quindi un processo di interrogazione dell'osservatore il quale è l'unico a darsi una risposta. Importante è quindi il tema della ripetizione che qui è duplice nel senso di riproduzione della scatola da parte dell'artista e riproduzione in serie di tanti pezzi, critica questa che Warhol rivolge verso il sistema americano in cui i prodotti sono spesso tutti uguali e sempre uguali grazie al processo industriale. Ma il filosofo Arthur Danto vede in quest'operazione anche un altro tipo di rapporto fra pubblicità ed arte, quello del "trasbordo" fra arte applicata ed arte pura, dove Warhol opera questo attraversamento di frontiera fra arte alta (high) e triviale (low) utilizzando un'immagine (la grafica della scatola Brillo) che era stata progettata da un designer "artista espressionista mancato" che si era lanciato nell'arte commerciale e dove veniva pagato a ore per quello che produceva. "Warhol fece l'arte a partire da una scatola che il suo designer aveva separato dall'arte" [A. Danto in E. Grazioli 2001], con questa definizione il filosofo americano chiarisce perfettamente il concetto di trasbordo che gli artisti del passato, tra cui Lautrec, Bonnard e Manet, avevano effettuato in senso inverso, cioè dall'arte alla pubblicità. E' proprio in questo senso che si muovono i creativi pubblicitari del gruppo "Over Ad'Art" che significa "Arte sulla pubblicità" e di cui fanno parte personaggi del mondo artistico e pubblicitario. Partendo dai due concetti di che cos'è l'arte e cos'è la comunicazione e passando quindi dalle similitudini fra le due e gli sconfinamenti di una nell'altra e viceversa, il gruppo O.A.A. ha posto interrogativi a chi fa ed a chi subisce la pubblicità nel senso che la situazione contemporanea della pubblicità è piuttosto scadente, o meglio comunica attraverso metodi impacchettati e stereotipi che subiamo in continuazione ed accettiamo come facenti parte del nostro universo immaginario. "C'è un punto debole nel sistema di comunicazioni dominante di cui l'artista produttore di immagini pubblicitarie può approfittare, è questo un meccanismo tanto evoluto e complesso quanto precario e vulnerabile per una sua fondamentale natura poiché fa leva sull'acquisizione acritica del messaggio e sulla ricerca del consenso attraverso l'impiego di simboli, sigle e forme espressive già acquisiti dal ricevente" (Over Ad' Art, Milano, 1996). Con queste parole i creativi dell'O.A.A., sporgono una sorta di denuncia a quel modo di fare pubblicità in modo antiartistico; vi è una cattiva informazione alla base veicolata da cattivi strumenti quali sono i messaggi ingannevoli, ciò che il gruppo si propone è di sovrapporsi quali creativi e scombinare il sistema di riferimenti noti, del senso dell'iconografia dominante modificando il significato dei significati in modo da costringere i fruitori a riacquistare il proprio senso critico e obbligarli a leggere i messaggi pubblicitari senza adagiarsi sul giudizio precostituito. La sperimentazione in materia è il principio della loro poetica che riallacciano al lavoro dei Concettualisti i quali hanno lavorato principalmente appunto sulle idee. Il fatto che oggi si siano moltiplicati "gli strumenti del comunicare" significa che il creativo ha più "arnesi" per lavorare, e lo deve fare a tale scopo. In un'epoca do ve l'arte si scopre come commistione di scienze, antropologia, sociologia ed altre innumerevoli discipline non si può più parlare di "limite disciplinare"; in un'epoca dove si continua a dire che l'arte è morta ma la si sente ancora parlare siamo più che mai calati in un humus che ne può modificare in meglio lo sviluppo e la proliferazione, facendosi "comunicazione creativa" indifferentemente in arte o in pubblicità. Non è un caso che uno degli ideatori del gruppo O.A.A. abbia avuto l'illuminazione ad agire in tal senso dopo un incontro con Warhol negli anni Ottanta, quel limite già accennato, scavalcato da lui in un senso e da altri in quello inverso, è oggi inesistente; il creativo è artisticamente libero, l'artista è libero creativamente, entrambi comunicano. Come affermano i teorici di O.A.A., prima dell'avvento dell'uomo occidentale, l'arte non è mai stata autonoma; si è sempre sviluppata al servizio di qualcosa, sia esso stato una religione, o un'istituzione governativa. L'arte aveva il compito di mostrare l'invisibile (Dio) di "sanare le ferite e i conflitti, elevare l'umano al divino, invocare la discesa del divino.." insomma comunicava. Dopo il periodo medievale impregnato di religiosità, essa cambia direzione presentandosi più libera e gratuita, senza scopo determinato volta al sacro culto della bellezza; questo in sostanza il percorso che secondo i teorici di O.A.A. ci ha portato alla dimensione attuale dell'arte dove non vi è estetica nella comunicazione e dove non vi è comunicazione nell'arte e a differenza del decennio a cavallo tre il 1960 e 1970 non si riscontra attualmente nessuna inquietudine sociale di qualche livello che smuova dalla situazione di immobilismo culturale (tesi discutibile forse per il fatto che l'incontro qui trattato è avvenuto cinque anni fa in cui forse qualcosa è cambiato e proprio nella comunicazione). F.Scepi relatore del convegno Over Ad' Art e teorico del movimento, cita l'esempio di creatività artistica propria di un personaggio poliedrico come Armando Testa che ha fatto della sua pubblicità un'arte la cui particolarità è rifluita negli eredi che hanno preso le redini della sua agenzia continuandone lo stile e la filosofia creativa; esempio, questo che vuole essere un emblema di quello che dovrebbero porsi come obbiettivo i creativi contemporanei. Parlando di contemporaneità, Scepi accenna all'ottimo lavoro svolto in questo senso dai creativi della campagna pubblicitaria per "Absolut Vodka", la quale occupa un posto di rilievo tra i case-history meglio riusciti del contemporaneo; in questa campagna i pubblicitari sono arrivati a creare un culto Artistico Pubblicitario carico di estetica, attraverso la forma della bottiglia che viene richiamata da vari elementi presenti in soggetti fotografati dove la bottiglia in quanto oggetto è totalmente assente ma lasua presenza e particolarità sono richiamate da altre forme.
Il prodotto pubblicitario in questione è sicuramente di elevata qualità artistica, e se pure da un lato i cartelloni su cui è raffigurata possano essere stati attaccati da organizzazioni quali Adbusters per i motivi di cui abbiamo già discusso, ciò non toglie che vi sia dietro un concetto creativo piuttosto raffinato e di tutto rispetto anche se ciò che veicola è puramente "l'immagine" della famosa vodka e nient'altro che quello. Si rivolge quindi ad un pubblico che tiene conto di significati prettamente estetici e ne fa il proprio motivo di scelta che riguarda quindi più una scelta di essere (concetto: sono ciò che compro, cool, ecc.) che una scelta attuate attraverso le caratteristiche qualitative. Sullo stesso filone della campagna Absolut, troviamo la vincitrice del settore "pubblicità stampata" della scorsa edizione 2000 del Festival Internazionale della Pubblicità di Cannes; si tratta della campagna dedicata alla birra Stella Artois, che con un'idea semplice dai toni di una trasgressione soft, ha creato una serie di immagini altamente comunicative (e direi in questo caso più di quelle relative alla summenzionata vodka), che si avvalgono del concetto base dell'irresistibilità di tale bevanda che chi la vuol bere è disposto anche a rovinare oggetti di design, oppure oggetti storici, per servirsene come cavatappi. Il premio aggiudicatole lo scorso anno, è, a mio avviso, meritatissimo in quanto la pulizia di certe immagini che comunicano in modo semplice e diretto il concetto che si vuole veicolare, senza bisogno di esagerazioni o di elementi che richiamino l'attenzione in maniera banale (come ad esempio dei corpi femminili nudi). A conclusione di questo veloce excursus nel particolare del rapporto fra arte e pubblicità, vorrei riportare delle pagine tratte da un sito internet che tratta il tema in un'altra dimensione e cioè quella degli archetipi figurativi della nostra cultura, i quali a detta dei teorici che sostengono questo tipo di studi, si ritrovano nella pubblicità con grande frequenza, e sono un modo "alternativo" per darne una lettura in più.

Conclusioni

Questo viaggio da me intrapreso nel mondo della pubblicità e nelle relazioni, oserei dire di odio e amore, che questa ha con l'arte, si è posto dapprima come un'analisi dei processi che hanno creato nella storia la necessità di affidarsi a talune attività atte a rendere pubblico un qualcosa e in seguito come si è sviluppata nel tempo questa disciplina (la pubblicità) che sin dai suoi esordi ha avuto contatti con l'arte. Successivamente, ha assunto una valenza di reportage di quelli che sono i pensieri e le considerazioni che illustri personaggi del mondo dell'arte e della letteratura hanno fatto riguardo ai vari tipi di relazione che si sono instaurati tra arte e pubblicità durante il loro sviluppo nella storia; molto spesso mi sono soffermata su argomenti, come la persuasione occulta, le agenzie e committenze, perché ho ritenuto opportuno svelare certi aspetti del fare pubblicità al di là del lato artistico e cioè quell'alveo, all'interno di questa disciplina, dove risiedono tutte le pratiche tecniche e sperimentative volte alla ricerca del consenso. In generale, ho fornito vedute e teorie riguardo alla pubblicità, dove la maggior preoccupazione che ho avuto è stata l'informarmi ed informare il lettore dell'esistenza di certe attività che gravitano attorno a questa materia comprese le più recenti, forse per questo più interessanti, correnti di pensiero di quella fazione che si schiera in opposizione a ciò che è la pubblicità oggi, ma soprattutto a quello che ci vuole proporre.
Si è parlato di generazioni di artisti che hanno lavorato con e/o contro la pubblicità e devo dire che chi a maggior torto o ragione, tutti hanno avuto dei validi motivi che li hanno portati allo sviluppo di opere nelle quali si possono riscontrare le tendenze di pensiero di ciascuno di loro; per ciò che riguarda gli artisti contemporanei ed il loro rapporto con la pubblicità, mi sono attenuta alle fonti più certe dalle quali ho potuto trarre quella che è la tendenza generale, in quanto la piuttosto variegata e repentinamente variata, scena dell'arte contemporanea, propone diverse soluzioni di rapporto fra le due materie. In genere si nota comunque, che dalla Pop-generation in avanti, abbiamo assistito ad uno stretto rapporto tra arte e pubblicità, in cui vi è una commistione di stili ed iconemi tale che spesso è difficile cogliere il sottile filo separatore tra le due. In effetti, il rapporto arte-pubblicità era stato finora caratterizzato da uno scambio produttivo fondato sulla capacità dell'arte di produrre "tradizione" anche sperimentando il nuovo e sulla capacità della pubblicità di appropriarsi dell'invenzione e di tradurla in immaginario, di estenderla sul territorio (di pari passo con gli altri strumenti dell'industria culturale), di moltiplicare i punti di contatto e contaminazione con il vissuto, a sua volta reinventando i linguaggi. Nella situazione attuale, il rapporto fra le due va ribaltato in pubblicità-arte, nel senso che l'arte "colta" non può più prescindere dall'estetizzazione che i media e la cultura di massa in generale hanno capillarmente diffuso nella società, intervenendo sulla qualità dei consumi personali - e sul loro valore in immagine - e ponendo in primo piano il "piacere corporeo della fruizione". Secondo Franco Speroni (in Il dizionario della Pubblicità, 1994) questo fattore produce anche una necessità della definizione di nuovi criteri museografici che, specialmente per l'arte contemporanea, privilegino la sua esplicita finalità comunicativa rispetto a quella classica di stampo più contemplativo. In effetti l'arte, come i nuovi media, va ricercando il contatto col pubblico e l'interazione con lo spettatore il quale viene reso così partecipe alla creazione del significato e quindi alla realizzazione estetica della stessa per mezzo del suo valore comunicativo. Da questi presupposti si può asserire che il legame più immediato fra i due fenomeni sta nella constatazione che entrambi funzionano in presenza di tre componenti: opera-autorefruitore tra i quali avviene una relazione che si differenzia a dipendenza del dispositivo considerato. Generalmente nell'arte prevale il ruolo di regista proprio dell'autore e quindi la centralità dell'opera; nella pubblicità prevale invece il ruolo attivo del fruitore e la funzione mediale dell'opera. Il modo in cui arte e pubblicità si sono miscelate o hanno scavalcato i propri confini vicendevolmente, lo si trova nella storia dei loro rapporti dove, per comprenderne le relazioni, bisogna assumere un punto di vista che colga i momenti più evidenti di tangenza o confluenza dell'una nell'altra - come abbiamo osservato nei casi in cui artisti hanno lavorato in pubblicità e la pubblicità è entrata nelle opere di artisti -. Nel momento in cui arte e pubblicità deviano dagli scopi "istituzionali" che la tradizione storico critica ha loro attribuito, ci troviamo di fronte ai casi in cui da un lato, il prodotto dell'arte non è più comprensibile privilegiando solo l'espressività dell'autore, dall'altro la pubblicità non è più comprensibile privilegiando solo l'aspetto informativo del messaggio. Ne deriva che i confini fra le due discipline si stemperano nel momento comune che le unisce nella storia della creatività, dove la definizione del ruolo sociale di chi fa arte e/o pubblicità assume sempre nuovi parametri fino a fondersi in alcuni casi. Il punto di dove stiano la pura creatività e l'artisticità di un'opera e di una campagna pubblicitaria è senz'altro indefinibile a priori, nel senso che non esistono parametri ufficiali - e lo abbiamo visto bene in alcuni casi - per poter analizzare e giudicare un'opera, sia essa pubblicità o arte; quello che si può dire in tal caso, e sempre a grandi linee, è che in quest'analisi è d'obbligo, in primo luogo, tener conto dei processi culturali e sociali che hanno generato i presupposti su cui l'opera si basa, secondariamente sopraggiunge la necessità di farsi realmente critici di fronte agli elaborati. Il problema della criticità oggettiva è un argomento secolare, ma al giorno d'oggi è forse più di matrice economica che filosofica; con questo voglio dire che, come si vede benissimo leggendo recensioni su artisti o campagne pubblicitarie, vi è la tendenza, dove è possibile, a giudicare secondo un proprio tornaconto. Si tratta comunque solo di una parte della sfera dei critici, ma è bene sempre tenerne conto. Tornando al problema del giudizio su un'opera e la sua validità sul piano artistico, in ultima analisi ma non per questo meno importante, è necessario valutare appieno le possibilità espressive offerteci dalla società in cui viviamo. Nel periodo Bauhaus è stato definito un concetto poliforme di arte e tutt'oggi è ancora valido, ma spesso ci troviamo a considerare alcuni mezzi espressivi troppo obsoleti e quindi non adatti ai nostri tempi; la mia presa di posizione al riguardo è semplicemente quella di una persona che accetta ogni forma d'arte in cui attraverso linguaggi e stili diversi si sia riusciti ad esporre, a "comunicare" con l'osservatore, che può sentire di aver "appreso" qualcosa, sia essa un'emozione o un concetto. Questa mia visione non vuole essere dogmatica, ma semplicemente penso che solo in tal modo si possa dire che anche la pubblicità è una forma d'arte, e lo è appieno quando creatività, concetto e scopo si incontrano e dove soprattutto vi sia un uso ponderato di certi elementi, dato che il suo compito rimane comunque legato ad una sfera più materiale e meno astratta come può essere quella dell'arte, se vogliamo, "pura". Trovo comunque che la situazione ammetta critiche in ambo le direzioni; il fatto che vi sia una realtà odierna in cui si noti una scarsa attenzione ai valori estetici in una campagna pubblicitaria in fase di produzione, è sicuramente dettato come sostengono alcuni creativi, alla maggiore o minore elasticità mentale del committente ed alla sua sensibilità in termini di innovazione linguistica. Vi è da puntualizzare, però, che spesso costoro (i pubblicitari) dovrebbero anche ammettere che certi loro prodotti non sono frutto del massimo della loro potenzialità creatività anche se il campo d'azione è totalmente libero da qualsiasi vincolo esterno. Lo stesso si dica per l'arte: assistiamo, come osservato nel capitolo dedicato ad arte e società, ad eventi o manifestazioni artistiche in cui è spesso difficile decifrare il significato di certe opere ed è vero che oggi siamo tutti più colti, ma è anche vero che la cultura artistica riguardo al contemporaneo è poco presente se non poco diffusa. Le riviste d'arte parlano un linguaggio a tratti comprensibile solo a coloro che operano nel settore e spesso nelle altre riviste di carattere culturale più generico, ne accennano blandamente; diciamo che esiste cripticità nell'arte e scarsa creatività nella pubblicità - questo non è inteso in maniera totalitaria bensì riguarda una buona parte dei casi - dove, dopo anni e anni di lavoro e sperimentazione si fa fatica a trovare qualcosa che sia veramente speciale e se vogliamo innovativo. Per quanto riguarda il lato positivo che possiamo osservare in qualità di minoranza rispetto alla media, ma piuttosto particolare per l'importanza che assume a livello di cambiamento, osserviamo finalmente in questi giorni, un ritorno all'ordine, alla sottigliezza di linguaggi siano essi artistici o puramente creativo-pubblicitari - ricordiamo che ormai spesso non vi è differenza - . Abbiamo esempi di messaggi pubblicitari che utilizzano un linguaggio sobrio, pulito e diretto che comunica direttamente con l'osservatore senza sopraffare i suoi sen si ma invitandolo in un insieme di segni che producono con grande estetica il significato ultimo; allo stesso modo osserviamo nell'arte il lavoro di alcuni artisti che, a guisa di ciò che è appena stato detto dei creativi, producono delle opere di una bellezza e poetica così semplici da riscattare, nel loro piccolo, quella che pare essere la tendenza generalmente riconosciuta riguardo all'arte contemporanea. A conclusione di queste considerazioni, mi piace pensare che si possa sempre contare sull'opinione del fruitore finale, il quale può considerarsi il più libero da certi condizionamenti e quindi forse anche più capace di godere appieno della creatività sia essa artistica o pubblicitaria.

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Bibliografia al testo

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- AA.VV. Carosello, non è vero che tutto fa brodo. Catalogo della retrospettiva Sipra-Rai 1957-1977, Silvana Editoriale, Torino, 1996
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