giornalediconfine.net

 

 

 

G. MASCIA, "GENEALOGIA DI UN SENTIERO"

 

G. Mascia, Genealogia di un sentiero. Esiti dal Pensiero Debole. Variazioni sul tema, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno I, n.3 2002-2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_3/art_18.htm

Nel primo intervento si è voluto cercar approdo nei lidi dell'ermeneutica, 'koinè' filosofica che ben può descrivere alcuni tratti della contemporaneità (G. Mascia, "Genealogia di un sentiero - Nota preliminare", XÁOS. Giornale di confine, n.1 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_precedente/art_7.htm). All'interno di essa, nel secondo intervento, abbiam volto lo sguardo soprattutto verso il 'pensiero debole', sospettando - non senza qualche abuso - che questo non possa presentarsi come un definitivo congedo dal 'Grund' (G. Mascia, "Genealogia di un sentiero. Tempo-Storia ed Effettività: appigli forti del Pensiero Debole", XÁOS. Giornale di confine, n.2 luglio-ottobre 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_2/art_11.htm). Il presente intervento, nel chiudere il percorso, apporta alcune variazioni al tema di fondo, tentando da un lato di chiarire come l'ordito concettuale del pensiero debole si formi in realtà su alcune eredità vincolanto che tradiscono i suoi originari intenti speculativi; e indicando dall'altro una possibile via d'uscita dall'impasse teoretico che costringe il debolismo a cercare, come propria fonte, nuovi ancoraggi filosofici.

 

Esiti dal Pensiero Debole. Variazioni sul tema

Derrida in un recente seminario avvertiva come a volte i titoli che comunemente diamo ai nostri interventi (siano essi libri, saggi, etc...) segnalino la presenza di una certa anarchia rispetto a ciò che si vuol porre sotto tema, come se questa fosse il segno di una eccedenza; e questo perché il titolo nel nominare qualcosa la annuncia in una presentazione che, lungi dall'esaurirsi in sé stessa, rinvia sempre a possibili esiti e nuovi approdi della 'cosa': i titoli avranno sempre possibili e incerte stazioni….! In questo senso credo debba essere inteso il titolo -non meno altisonante dei precedenti- di questo terzo e ultimo intervento, il cui scopo non è tanto quello di condurre a estreme conseguenze le tesi sostenute in precedenza, ma più semplicemente apportare alcune variazioni al tema di fondo, cercando di arricchirlo con altri ma non nuovi motivi. Fin qui si è voluto volgere lo sguardo ad una certa tradizione continentale, indicando il pensiero debole come quella proposta che, almeno nei suoi intenti programmatici, sembra aver fatto propri la frantumazione e lo smascheramento della totalità, il cui verbo è reo del consumarsi dell'idea di essere occultata nel dispiegarsi della metafisica. Si è detto -è bene ricordarlo- che il pensiero debole, protagonista del nesso tra 'Verwindung' della metafisica e nichilismo, indica nell'indebolimento la caratteristica strutturale dell'essere, e che scoprendo nella vocazione nichilistica il tratto essenziale della razionalità occidentale diventa esso stesso una filosofia della secolarizzazione: filosofia del costitutivo declino ontologico delle strutture forti, la quale tenta di essere un pensiero nuovo capace di cercare tra i silenzi delle macerie della modernità, della secolarizzazione, del disincanto. In precedenza si è cercato di evidenziare il fatto -tutt'altro che accidentale e secondario secondo il nostro punto di vista- che l'impalcatura debolista debba il suo equilibrio e il suo sostentamento teoretici a dei categoriali nei quali, se ascoltati nella giusta armonia concettuale, risuona l'eco della forza di quelle strutture della cui liquidazione questa proposta filosofica pretende di esser figlia. Senza abusare troppo dell'artificio della ripetizione ricordiamo che una delle cellule dell'ontologia del declino è il 'Dasein' heideggeriano, inteso proprio come il sorgere di un occhio che accede all'essere solo all'interno di una 'Ueberlieferung'; le possibilità dell'esser-ci sono inscritte nella corrente del tempo-storia pensato come radice e fonte di nutrimento dell'io: qui abbiamo riconosciuto i tratti forti del 'Grund' che mostrano la fragilità di un pensiero che più che essere votato alla debolezza sembra ancorato ad alcune insormontabili resistenze. In questo impianto l'esser-ci si dà, per così dire, come 'Geworfenheit': effettività in cui si riceve qualcosa sempre nel senso del 'Gewesenes', dimensione in cui il ricevente e il ricevuto si co-appartengono. Tuttavia l'ermeneutica, se letta con le lenti di altre vicende concettuali, rivela i rischi e i fardelli che il suo ordito tematico mette in gioco: in questa vuota 'esistenza-gettata' -afferma Levinas- siamo incatenati. Vi è la possibilità di uscire da questa oscura anarchia del sottosuolo? Ha ancora senso parlare di un soggetto? di un io che vive nella possibilità del suo avvento? (Benjamin) A ben guardare il debolismo sembra privilegiare l'unità sulla separazione, il suo ordinamento interno risplende così di un'analitica 'dell'esistenza-gettata' più che del desiderio di evasione, facendo del tempo-storia una stoffa che nell'annidare l'esser-ci non consente vie d'uscita, non permette un respiro interiore; per questo non vi è azzardo nel dire che le possibilità del soggetto situato sono rimesse totalmente alla sua storicità: l'alba del continuum è la notte dell'Altro. Levinas ha riconosciuto in questa vicenda (non ci riferiamo specificamente al pensiero debole ma alla tradizione da cui trae nutrimento) l'avventura di Ulisse, avventura che 'nel mondo non è stata che un ritorno alla sua isola natale, una compiacenza del medesimo, un misconoscimento dell'Altro'; al mito di Ulisse Levinas contrappone 'la storia di Abramo che lascia per sempre la sua patria per una terra ancora sconosciuta'. D'altronde è lo stesso Vattimo che non disdegna di ricordare che la filosofia della secolarizzazione nasce nel cuore di orizzonti decisamente forti: < l'oltrepassamento della metafisica non può accadere che come nichilismo. Il senso del nichilismo, però, se non deve a sua volta risolversi in una metafisica del nulla […] non può che pensarsi come un indefinito processo di riduzione, assottigliamento, indebolimento. Sarebbe possibile un tale pensiero fuori dall'orizzonte dell'incarnazione? E' forse questa la domanda decisiva a cui l'ermeneutica di oggi […] deve cercar di rispondere >. La nostra idea è che il pensiero debole di Vattimo trattenga nel suo nucleo elementi che, se opportunamente individuati, palesano uno iato tra i suoi propositi teoretici e ciò che la sua forma formante nasconde, comportando quella violenza (figlia della metafisica) che con lessico levinasiano potremmo definire come l'assorbimento della soggettività nell'essere quale modalità dell'essenza. Per questo si è posto l'accento sul concetto di tempo-storia inteso come grembo pre-tematico che apre all'esser-ci l'orizzonte di ogni possibile esperienza: qui l'esistenza e i suoi vissuti hanno una falda comune che li trattiene in una fatticità che è storicità; questa 'stoffa' è come i vasi sanguigni, tutto ciò che circola in essi proviene dal tempo che viviamo, dal tempo che siamo, partecipiamo a ciò che è esistente mediante il tempo vissuto, come se ci fosse una corrente di correnti, noi siamo alimentati da questa sorgente. Questo tempo-fiume è ciò che siamo, matrice di ogni esperire; l'esistenza è 'gettata' proprio perché si trova a sorgere e ad essere sostenuta da una continuità di passato-presente-futuro che è la sua apertura e il suo limite: guai a chi non passa per questa macina ricordava Heidegger. Il pensiero debole rientra perciò -a nostro avviso- in quella grande famiglia di filosofie che nel pensare il tempo come 'continuum', cioè come totalità unificatrice, rischia di prosciugare la linfa vitale della soggettività soggiogandola nelle trame del tempo-storia. Secondo Levinas questa è la tradizione dominante in Occidente, una tradizione che da un lato ritiene l'istante temporale nient'altro che una interfaccia, qualcosa che sta nel mezzo, un fra-tempo nei momenti del tempo, dall'altro lo sacrifica a favore della continuità temporale, di cui l'istante risulta un'astrazione: l'imprendibile. L'obbiezione avanzata da alcune filosofie, che rispetto all'asse hegelo-heideggeriano potremmo definire di 'trincea', si concentra sul fatto che se l'istante appartiene incondizionatamente alla continuità del tempo in ogni istante non possiamo non essere che tempo; se l'istante ha la propria anima nella trama della dialettica temporale, interfaccia di passato e futuro, architrave del tempo, il 'Dasein' non può non essere storia, è condannato ad esserne il fiore più splendente; per poter non essere tempo -avverte ancora Levinas- occorre che l'istante abbia una certa consistenza, occorre che abbia un'avventura. Tutte le filosofie della storia presuppongono questo sacrificio dell'istante; ora, il debolismo non rientra propriamente in questa categoria, tuttavia privilegia una concezione del tempo-storico come rettilineo e progressivo, per questo nella sua ossatura ontologica scorre potente un famoso detto di Cioran: siamo tutti inseguiti dalle nostre origini! Il pensiero debole nel declinare una pesante eredità quale l'intima relazione tra essere e storicità fallisce il suo tentativo di non stringere tra le maglie del tempo-storico quella soggettività a cui dovrebbe invece aprire le porte di un tempo più leggero, privo di monolitici fondamenti, libero dall'ingannevole memoria metafisica: il tempo post-moderno per l'appunto. La conclusione di questo breve percorso sta pertanto nel rilevare che se si vuole pensare l'esser-ci come un esistenza libera dall'oppressione di certi vincoli teoretici (eredità di tradizioni che non sono morte, ma che agiscono 'nebbiosamente' in altre) è necessario volgersi ad altre vicende, altre linee di pensiero, posizioni che sono -per così dire- di reazione alla concezione della storia come 'continuum'. Walter Benjamin rappresenta sia un apice di questa spinta reazionaria sia l'intreccio di due tradizioni filosofico-culturali: quella ebraica da un lato, e quella cristiana dall'altro. Benjamin era un pensatore eccentrico, e come tale ha provato a far convergere la tensione rivoluzionaria del materialismo storico con la vertenza ebraica del tempo-ora: per lui essere all'altezza di una tradizione vuol dire stare all'altezza di alcune discontinuità, disporsi verso possibili rotture, distruggere la continuità poiché solo così il soggetto è più intensamente ciò che è. In questo impianto (il termine è un po' improprio se rivolto a Benjamin) si ha a che fare con una concezione del tempo inteso nella sua radicale verticalità; qui l'istante è sempre propizio ad una frattura, è sempre a rischio: Aporia fondamentale -afferma Benjamin- : la tradizione come il discontinuo di ciò che è stato in contrapposizione alla storia come continuum degli avvenimenti. Le continuità e le tradizioni sono allora in realtà l'emergere di tutto ciò che non ha garantito i possibili (dell'esser-ci…) e li ha lasciati incisi in attesa di sviluppi; la catastrofe del 'continuum' apre un tempo-ora, un istante verticale, una luce messianica: è nella rottura della tradizione che 'l'adesso' è una porta. L'angelo della storia ha per tanto l'aspetto dell'angelo del quadro di Klee: lo sguardo rivolto al passato mentre una tempesta lo spinge verso il futuro, questa bufera è ciò che noi chiamiamo progresso, ma egli vede un'unica catastrofe che ammassa macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Ogni tradizione ha così una freccia che ordina il tempo, ordinamento che accade a partire da coloro che hanno vinto e che per questo costruiscono una tradizione (Ueberlieferung…); in questa vittoria vi è sempre il segno di una catastrofe: è il passato irrisolto (non-continuo) che preme verso la redenzione. Per il filosofo di Berlino è proprio nei tempi di crisi (tempi crepuscolari, tempi della post-modernità diremmo noi) che è possibile avvertire certe rotture, discontinuità propizie, conversioni che annunciano nuove possibilità non a partire da ciò che si sta perdendo ma bensì dai suoi possibili sviluppi; è come se Benjamin sostenesse che ci sono eventi che accadono nel tempo-ora, nella modalità dell'adesso, e che qui, in questo luogo del tempo verticale, dell'istante in bilico, il soggetto corre il suo rischio più grande perché è lontano dal grembo dialettico del 'continuum', ma allo stesso modo può cogliere l'evento più fecondo: l'istante messianico in cui il passato riaccade, momento in cui qualcosa che è stato si ripresenta nell'attualità che lo compie; dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva diceva Hölderlin. La tradizione ebraica è un'altra vicenda rispetto a quella da cui il pensiero debole prende le mosse, tuttavia è verso queste 'sponde' che dovrebbe dirigersi se vuole 'salvare l'esistenza dalla morsa metafisica'; approdando così in 'lidi' che sono al limite dell'anarchia, costellazioni concettuali in cui le stelle sono in contrasto con il sole della rivelazione … poichè esse non brillano nel giorno della Storia, ma operano invisibilmente in esso.


Bibliografia essenziale

- G.Vattimo, Il soggetto e la maschera, Bompiani, Milano 1975
- AA.VV., (a cura di G.Vattimo e P.A.Rovatti), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983
- G.Vattimo, La fine della modernità, Garzanti, Milano 1985
- G.Vattimo, Le avventure della differenza, Garzanti, Milano 1988
- G.Vattimo, La società trasparente, Garzanti, Milano 1989
- G.Vattimo, Etica dell'interpretazione, Rosenberg & Sellier, Torino 1989
- G.Vattimo, Filosofia al presente, Garzanti, Milano 1990
- G.Vattimo, Oltre l'interpretazione, Laterza, Bari 1994
- G.Vattimo, Credere di credere, Garzanti, Milano 1998
- G.Vattimo, Dialogo con Nietzsche, Garzanti, Milano 2000
- P.A.Rovatti, Trasformazioni del soggetto, Il Poligrafo, Padova 1992
- G.W.F.Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Bari 1983
- W.Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1974
- M.Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano 1970
- M.Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1973
- M.Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1997
- M.Heidegger, Ontologia. Ermeneutica dell'effettività, Guida, Napoli 1992
- E.Levinas, Dell'evasione, Elitropia, Reggio Emilia 1983
- E.Levinas, Il tempo e l'Altro, Il Melangolo, Genova 1993
- E.Levinas, La Traccia dell'Altro, Marietti, Casale Monferrato 1984
- W.Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino 1962
- W.Benjamin, Sul concetto di storia, Einaudi, Torino 1997
- G.Agamben, Infanzia e storia, Einaudi, Torino 2001
- F.D'Agostini, Analitici e continentali, Raffaello Cortina, Milano 1997
- D.Antiseri, Le ragioni del pensiero debole, Borla, Roma 1995
- G.Bontadini, Metafisica e deellinazzazione, Vita e Pensiero, Milano 1975
- C.Meazza, Tra passi di Heidegger e gli antichi scolastici, ETS, Pisa 2000
- C.Meazza, Note sul visibile pittorico, Kairos, Sassari 2001
- AA.VV., (a cura di F.P.Firrao) La filosofia italiana in discussione, Bruno Mondatori, Milano 2001
- AA.VV., Metafisica anti-metafisica post-metafisica, Augustinus, Palermo 1990