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ANTONELLO NASONE, "NOTE SUL VISIBILE PITTORICO, di Carmelo Meazza "

 

A. Nasone, Note sul visibile pittorico, di Carmelo Meazza, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno I, n.3 2002-2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_3/art_21.htm

 


Alla prudenza invita l'autore del saggio in questione. Alla prudenza e alla sobrietà nell'apprestarsi alla lettura di questa opera; come se già nella premessa abbia voluto scoraggiare il lettore poco attento e mettere in guardia colui che ha un minimo di dimestichezza con la materia. Eppure la fluidità dei primi capitoli, la scrittura semplice ed asciutta (a riprova che si può scrivere di filosofia in Italia evitando certi stili gonfi di tecnicismi e di termini iperdifficili, che sono per lo più inutili e pleonastici, se non per l'autocompiacimento dell'autore stesso) indurrebbe codesto saggio ad una facile assimilazione. In effetti l'autore sviluppa una struttura nella quale le parti armoniche, quelle dove anche argomenti di difficile comprensione acquistano una sorprendente familiarità alla lettura, subiscono improvvise accelerazioni per inerpicarsi in vette che solo a pochi è dato contemplare. Solo a chi riesce di non smarrirsi questo saggio si apre, anche perché esso, curiosamente, vive oscillando tra la meta e il cammino che per essa si intraprende. In questo lavoro non si circumnaviga nel pensiero di un singolo autore per poi farlo interagire nel confronto con altri sistemi di pensiero- come è il caso dei tre lavori precedenti del Nostro- ma bensì si abbracciano una serie di motivi e argomentazioni, che chi ha la fortuna di avere a disposizione gli altri testi dell'autore troverà quest'ultimo non un corpo estraneo, ma l'ampliamento dei percorsi e della tematiche precedenti. La proposta filosofica dell'autore prosegue dunque costeggiando un territorio affascinante e pericoloso come l'estetica moderna. Ma non di non una storia dell'estetica si tratta, non è una vaga ricognizione sui momenti che hanno caratterizzato l'estetica nei secoli successivi al Medioevo; l'intento non è un passare in rassegna, ma bensì un trapassare l'immaginario estetico occidentale alla luce dei motivi su cui esso si fonda, o meglio e scusandomi per il bisticcio di parole : alla luce di ciò che dà luce all'opera d'arte. Già nella premessa si mettono in chiaro le cose : "Il presente studio abusa del lavoro teorico di due metafore : l'Eclair e la Lichtung"; si cerca quindi di delineare il visibile pittorico intorno "a due specie di categoriali filosofici", ovvero "due economie del visibile che hanno alle spalle due mappe genetiche". L'autore penetra con forza nei tessuti storico-temporali cercando di svelare le trame più nascoste in cui si annidano gli ordinamenti del visibile che imperano in una civiltà. Il crollo delle architetture medioevali sotto i colpi della critica all'aristotelismo da parte di Campanella e dei naturalisti, la fine della res publica christiana e l'affermarsi degli stati nazionali porta al prosciugamento della Claritas come culmine dei trascendentali, l'opera d'arte vive una nuova stagione: con la scoperta della prospettiva e l'uso dei mezzi-toni pittorici si ha un ritorno all'opera intesa come mimesis, un ritorno a cui la grecità non è estranea. D'altronde lo stesso Tetrarca, colui che inaugura la modernità, col metodo filologico tende a equiparare i Padri della Fede con i classici del mondo pagano; si diffonde il culto ermeneutico. La modernità vive la stagione del genio, Cartesio gli fornisce un nuovo soggetto.
All'autonomia dei testi rispetto ai loro autori nel Medioevo si contrappone il culto della personalità dell'opera, all'occhio che oscilla senza presa nella visione di un'icona bizantina si sostituisce l'occhio immobile nella calda e seducente contemplazione dell'opera moderna. A tutto ciò si unisce il grande momento della Riforma; il Medioevo che cercava di salvaguardare le delicate vertenze trinitarie con la mediazione ecclesiale tramonta definitivamente sotto le spinte sempre più violente che dal XIV secolo sfoceranno nel luteranesimo: il fedele è solo col testo sacro. Il pulchrum sarà sovrastato dal verosimile, armonica fusione di finito e infinito che si affida a una nuova matrice del visibile, una luce che il Medioevo non conosceva: quella del concetto. La dorsale moderna, che conoscerà un momento di frattura nel barocco, vive nella potenza della Lichtung, quel polo del visibile che l'autore individua nel binomio Hölderlin-Heidegger, nella quale "le cose sono nel bordo-limite che delimita da un fondo", matrici che generano confini, confini che generano nazioni. Dialettica del limite, che intravede la sua fine in Hegel, "la sua filosofia dell'arte è la geniale maturità di un'intera tradizione". Ma non è la fine dell'arte perché "ciò che si conclude nei primi decenni del Novecento è infatti il ciclo dell'Opera che inizia col declino medievale" ed essa "può avere altri ordinamenti di Vero e di Bello". Ordinamenti neo-medioevali e direzioni americane. Essa si apre secondo una luce che segue un'altra tradizione: quella del binomio Baudelaire-Benjamin, quella dell'Eclair; essa è un bagliore, dove " non sembra esserci complicità tra la luce e il buio, tra l'apparizione e il fondo dell'apparire, domina l'astratto. Levinas afferma: "il volto è astratto"; proprio da Levinas l'autore prende le mosse per abbozzare un eventuale conclusione. Nell'ultimo capitolo (il più lungo dell'intero saggio) scioglie i fili che si erano intrecciati lungo tutto il lavoro. Levinas (accompagnato dalla critica di Husserl da parte di Derida e dalla metafora del coniglio-gavavai di Quine) si presenta come una radicale critica allo schematismo kantiano, colpevole di mettere a rischio, con la logica del concetto, la possibile intesa tra comunicanti. La tradizione della differenza, del limite, che nel Novecento ha avuto in Heidegger (che in questo saggio è visto in un'ottica differente rispetto alle più fortunate interpretazioni italiane) l'ultimo grande difensore, escluderebbe ogni alterità, pretenderebbe di porre ulteriori paletti in spazi senza confini sicuramente più attuali. Spazi nomadi in cui l'arte ha una diffusione ben oltre la categoria del ceto degli artisti: è arte di massa, qualcosa che ha assunto una dimensione collettiva, proprio per questo "la forma estetica produce un lavoro etico".