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Giusy Nieddu

Pareyson. La dialettica della libertà

 

G. Nieddu , La dialettica della libertà, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno III, N.3 Novembre-Febbraio 2004/2005, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_3/n_3/3.htm

 

La riflessione sul principio è mediata oltre la ragione, dal mito, che pure resta aperto (in virtù della inesauribilità della sua fonte che ne è anche termine) alla ermeneutica della coscienza religiosa. Il legittimo tentativo di risposta al perché è affidato al Cristianesimo, che narra del Dio libero, della caduta dell'uomo libero, di libera creazione e libera redenzione; alla causa prima è sostituita la libera scelta di Dio autogeneratosi.
La Ontologia della libertà si interroga, col rispetto della inesauribilità, sulla libertà del principio che apre al male; la possibilità del negativo, istituita dalla scelta del positiva, può trovare attuazione mediante l'intervento della libertà umana, che può liberarsi anche di se stessa: la replica sarà ancora un atto libero di Dio.
Dall'abisso originario, attraverso la storia della caduta, sino alla apocatastasi escatologica, vige la dialettica della libertà.

L'eternità è "trascendenza radicale e assoluta incommensurabilità". Non è semplicemente tempo indefinito, è oltre ogni tempo, o meglio di là "da ogni opposizione di temporalità e intemporalità": è al di fuori di ogni contrapposizione e vive della "coincidenza di relatività e incommensurabilità". Già la lettura di Esistenza e persona aveva insegnato che:

"un rapporto fra due termini, uno dei quali è incommensurabile e quindi infinitamente preponderante sull'altro, è un rapporto impossibile, che diventa possibile, tuttavia, soltanto se il termine incommensurabile sia la condizione dell'altro termine e del rapporto che ha con lui".[2]

E segnata dalla dialettica della libertà è la storia e quindi anche la storia del male [3]:

"La vittoria della positività sul male non è una vicenda, ma è costitutiva della positività; mentre invece la lotta contro il male nel tempo è una vicenda, e allora di fronte alla vicenda la filosofia si ingarbuglia e ha poco da dire [...] né cause né fondamenti né principi bastano a spiegare un fatto" [4].

Sappiamo che la libertà si dà nella vicenda e fuori dalla spiegazione, ma riposa nella infondatezza e nella gratitudine:

"Senza gratitudine la realtà crollerebbe, non reggerebbe un solo istante."[5]

La dialettica della libertà apre alla libertà della storia, e anche all'intervento della libertà nei confronti del male [6]:

"...La libertà umana da un lato respinge questa affermazione sino all'inizio, dall'altro lato differisce la vittoria alla fine."[7]

La storia è come un "cuneo" che "spacca l'eternità in due", "in modo da far sì che la libertà partecipi, sia anche essa stessa vittoria sul male.".
In Essere libertà ambiguità, si legge:

" ...E' particolarmente urgente la definizione d'una nuova dialettica.
"...Abbandonare il diffuso ma logoro pregiudizio che per dialettica si debba necessariamente intendere la dialettica hegeliana."[8]

Imperativa si fa la constatazione della compresenza di opposti, come "tensione", "contraddittorietà", "ambivalenza", "ambiguità", "inseparabilità", "carattere ancipite", "equivocità", che non può essere negata di fronte allo "smaliziato sguardo odierno".
Ed è stata la stessa dialettica della libertà a farsi dialettica della libertà per la non libertà:

"...Mai come oggi s'è presentato così sfumato, incerto, dubbioso il confine tra il bene e il male, sempre sul punto di trascolorare nell'instabile possibilità di scambiarsi nel modo più confuso le funzioni e le forme."[9]

Così il nostro filosofo chiarifica gli obbiettivi della sua dialettica:

"Il problema è questo: trovare il punto in cui positività e problematicità sono inseparabili, si presentino come inseparabili, in modo che la problematicità non dissolva la positività, ma nemmeno la positività vanifichi la problematicità."[10]

E se c'è una tensione diadica, nella problematicità, non è di tipo necessario:

"La vita, l'esperienza è contrasto, contraddizione, ma non intendo parlare di un processo necessario con cui questa contraddizione si sospende, si nega, si annulla. Quella che intendo affermare è una dialettica della libertà e non una dialettica della necessità..."[11]
"Il problema è di dare un tipo di spiegazione della contraddizione che non la annulli."[12]

La dialettica della libertà è quella che vuole tutelare la persona e il finito, al di qua dell'uno:

"Il concetto di totalità a parer mio non regge..."[13]

La dialettica della libertà non è la dialettica del superamento, ma la dialettica della tensione [14], per la quale la lotta è sempre indecisa; al di fuori delle armonie precostituite:

"La natura attualmente è tutt'altro che quell'ordine perfetto di cui parlò in passato certa scienza e quel mondo idillico e innocente di cui parla certo Rousseauvianismo."[15]

Insomma, il nostro ci vuole insegnare che:

"Quella che oggi la filosofia dovrebbe fornire è una dialettica dell'ambiguità"[16]

Occorre fuoriuscire dalla dialettica della necessità e della teodicea, per la quale "non si può più concepire il bene se non insieme con il male, perché il male è diventato necessario per il trionfo del bene." Il confronto tragico tra male e bene, non li reputa l'uno funzionale all'altro, ma contempla la libertà-rischio dell'altro, e anche libertà-speranza della conversione. Infatti, la libertà non è "la stessa continuità della dialettica", ma un salto: "un atto assoluto, gratuito, privo dei presupposti."
E' all'interno della stessa dialettica della libertà, che si dà liberamente passaggio: dalla dialettica della libertà, alla dialettica diadica della conversione mediante la sofferenza. Tuttavia occorre tener presente che:

"Questa dialettica del superamento noi la possiamo accettare solamente nell'eternità..."[17]

E se Pareyson qui utilizza il termine "superamento", non intende propriamente quello hegeliano; in vari passi si schiera contro la dialettica della necessità e della totalità del tedesco; è egli stesso ad ammonirci esplicitamente:

"Con questo non voglio portare un granello a favore della dialettica hegeliana..."

Il superamento del male non è di tipo dialettico, perché rimane sul piano dell'eternità, che è quello in cui "la positività è vittoria sul male ab aeterno"[18]; in questo senso origine ed escatologia coincidono:

"...C'è già all'inizio quello che Hegel mette al termine..."[19]
"...ma questo non nel senso hegeliano del compimento della storia, bensì nel senso escatologico del compimento dei tempi..."[20]

Ciò che il nostro rimprovera ad Hegel è aver confuso il tempo con l'eterno [21], calando la sintesi già nel tempo; infatti per Pareyson, dalla caduta alla escatologia si snoda la storia della salvezza. Ma questo non è l'unica precisazione (seppure già tale da negare il carattere edificante del pensiero tragico del nostro) a distinguere la dialettica pareysoniana da quella hegeliana [22]:

"Ma la dialettica non può essere quella hegeliana della conciliazione, bensì dovrà essere sul genere di quella pascaliana, delle verità contrarie o di quella qualitativa di Kierkegaard.
La dialettica non deve consistere in un processo di mediazione e superamento dei termini opposti in un terzo termine che dovrebbe conciliarli, ma nella tensione o con possibilità dei contrari"[23].

La dialettica "cuore della realtà"[24], per Pareyson, non è quella della necessità. Hegel sbaglia nel concepire il "negativo come momento interno del positivo" e nel conferire al tempo storico la "necessità logica della razionalità"[25]; (né ha saputo distinguere il male dalla sofferenza).
Dunque: dialettica della libertà, conclusione fuori dal tempo...ma già questa conclusione nella apocatastasi si dimostra essere molto differente dalla sintesi hegeliana!

"Altra insufficienza di Hegel è di credere che nella conclusione finale[26] (ciò che direi l'apocatastasi) tutte le contraddizioni vengano tolte: anzi, è il luogo della antinomicità."[27]

La dialettica della libertà opera in questa particolare intersecazione, lontano dalla necessità logico-metafisica. E la dialettica della tensione nella storia e quella nella proto-esatologia non è della necessità.
Se nella dialettica della libertà si dà conversione attraverso l'espiazione, mediante la sofferenza, la negatività non è un momento necessario, ma la "alternativa offerta alla libera scelta e liberamente respinta per raggiungere liberamente la positività".
Se "la sofferenza [28] è fonte del sapere"[29]; il gravissimo errore è consistito nel trasferire l'elemento religioso della felix culpa sul piano filosofico, trasformandolo in uno strumentale "concetto dialettico per giustificare il male".
Il cristianesimo [30]rimane invece "come un grande ossimoro, imponente e misterioso", che opera non il superamento, la mediazione, la conciliazione, ma la dialettica:

"metodica evidente pascaliana, intesa alla divaricazione e alla tensione e dominata dalla compresenza di termini irriducibili e contrapposti, di carattere dirimente e sferzante e di configurazione contrappuntistica o chiastica"... [31]

Dialettica che è tutelata dalla incommensurabilità, nella ossimorica lontananza e vicinanza in Dio; Dio è tutto, io sono nulla ma sono qualcosa "il mio nulla non è altro in fondo che lo stesso nulla divino".
Dialettica dell'autocontraddittorio che fa del peccato in quanto "via di perdizione", proprio lo "strumento di salvezza" [32]. E' questa consapevolezza, che, insieme a quella per la quale: "Dio fa quel che vuole e non c'è nessuna teodicea possibile" [33], permette di distinguere l'ateo alla Nietzsche o alla Dostoevskij, quale "eroe prometeico", dall'ateo rassicurato dal "Nichilismo confortevole",

"che se ne infischia tanto del male quanto di Dio. In lui domina l'indifferenza, un diffuso empirismo per cui la verità fluisce e si dissolve nella storia e per cui la distinzione fra bene e male non ha un senso angosciante" [34]

Mentre invece, per l'uomo che espia la propria colpa:

"E' con il peccato che l'uomo si rende conto di chi è Dio"[35].

Il dopo-ateismo deve contemplare la libera possibilità che "il Cristo si presenti sotto la figura di anti-Cristo" o viceversa. La dialettica della libertà è anche quella che sostiene, nell'abisso della fede, il dubbio, la rivolta, la disperazione, l'angoscia; con la presa di coscienza che:

"Dubbio e rivolta non escludono la fede [36], anzi non è fede quella che non li conosce e non li contiene in sé."[37]
"Nell'ambito della esperienza religiosa non c'è che una continua contraddizione, l'esperienza religiosa stessa consiste in una contraddizione."[38]

Il cristianesimo tragico [39], che parte dalla consapevolezza che è l'inesistenza di Dio a liberarci dalla angoscia, è la teoria che permette di fuoriuscire dalla crisi, attraverso il ritrovamento del senso, non senza l'offerta di un'etica; in quanto "non c'è altra etica della immagine di Cristo" [40]; mentre quella kantiana formale non ammette il perdono.
L'afflato etico di origine religioso sta nel ritrovamento di senso, attraverso la sofferenza.

"Il negativo estremizzato non porta con necessità dialettica alla positività, mediante capovolgimento: porta invece alla dissoluzione, alla distruzione universale, all'auto-e all'onnidistruzione. Il capovolgimento, l'inversione di marcia, l'avvio alla positività, chi è che lo fa? La sofferenza."[41]

La sofferenza è "il segreto dell'essere"; è "l'unica forza superiore a quella del male" [42] ed è dell'uomo anche la colpa del fatto che la sofferenza venga condivisa con Dio. Il Cristo abbandonato sulla croce è

"una specie di momento ateo della divinità in cui Dio sembra negare se stesso, il punto massimo della negatività, del trionfo della negatività dell'universo -e anche il punto di partenza per la riscossa."[43]
"E' estremamente tragico che solo nella sofferenza si possa instaurare la collaborazione fra Dio e l'uomo, e l'uomo possa elevarsi a Dio".[44]

La dialettica della libertà per la conversione nel dolore è quella per la quale:

"La sofferenza diventa il <<meno x meno = +>>"
"Solo la sofferenza racchiude e svela il segreto dell'essere."
"...Proprio il rifiuto del dolore priva la vita del suo valore e apre la vita allo smarrimento e all'autodistruzione"...[45]

Lo smarrimento sta come opzione per l'uomo libero; Pareyson descrive l'umanità come "quel misto di melma fangosa e di gemme brillanti."[46]
La dialettica della libertà è quella che si ritrova nel cristianesimo e che è discriminante per il cristianesimo ritrovato:

"Heidegger ha scelto i Greci. Fossi costretto a scegliere, opterei per il Cristianesimo. E' con il Cristianesimo che orge il concetto di libertà."[47]

La dialettica della libertà nel cristianesimo tragico è aperta alla redenzione, attraverso la sofferenza del Cristo; e allora ci si domanda se questa sia autentica redenzione, certo è che ha perso tutti i tratti edificanti. Così si svolge una delle ultime interviste a Rapallo, rilasciata a Vitiello:

P -Il male è redento solo perché colui che redime è colui che soffre[...] mi riferisco al Padre, anzitutto al Padre. E' il Padre che soffre-
V -e di una sofferenza che nessuno e niente potrà mai redimere. Tu vai ben oltre me sulla strada del Cristianesimo senza redezione-
-Vitiello commenta-: "Mi guarda pensoso. In silenzio. Un silenzio pensante che non oso interrompere."[48]

Come tale, l'eterno è una risposta al tragico, oltre che costituirne la sua stessa possibilità. Il tragico è "un campo in cui non c'è né ottimismo né pessimismo che valga"[49]:

[Dio]"Non crea l'uomo peccatore impeccabile in quanto libero accoglie questo tormento e ne fa un'espiazione per sé? per l'uomo che ne è incapace".[50]

E così si può dare la rinascita, una via d'uscita, un nuovo inizio:

"Questo movimento non ha niente a che fare con categorie come vecchio e nuovo, antico e moderno, passato e futuro, temporale ed eterno."[51]

Il nostro filosofo vuole affermare una possibilità per tutti nello sperare. La speranza sta nella fede; non si può leggere Ontologia della libertà al di fuori di questa riflessione:

"L'esistenza di Dio significa tre cose: l'uomo è peccatore; il mondo ha un senso; il male finirà"[52].

Insomma, se "la storia è un'avventura orientata", ma non ne si può predeterminare la fine; tuttavia c'è "questo filo di speranza, che è il fatto che nell'eternità il male è vinto."[53] Il postulato del bene è la speranza del senso.

[La storia] "Non ha nessun senso evidente, non è che si presenti di per sé come sensata"[54]

Quindi: io trovo un senso nella forma dell'inventarlo e lo invento nella forma del trovarlo, ne ho la possibilità-libertà, ma anche il compito! E' l'inevidenza del senso ad aprire la libera possibilità della sua ricerca: il senso è libertà e compito...non ci può essere compito senza libertà e senso senza libertà...o capovolgendo forse si può anche dire che la libertà e il senso sono compito... Certo è che non il senso in quanto creato dall'uomo è non senso, (l'uomo di Pareyson non è quello di Sartre e c'è il rapporto ontologico ...c'è Dio!).
Affermare l'esistenza di Dio [55] significa affermare il senso, ossia dire che "il mondo non è piatto su se stesso...": "Dio è la possibilità che il mondo abbia un senso..."

"In questo senso si può magari dire che è l'uomo che crea Dio, nel senso che all'uomo tocca di trovare e inventare un senso, perché Dio non è altro se non il senso del mondo."[56]

Naturalmente quando il filosofo ci parla di creazione da parte dell'uomo di un Dio non intende percorrere la linea di Feuerbach [57]; Il senso cercato dal nostro è quello che fa i conti con la libertà, con l'abisso, con il male...è un senso che convive ossimoricamente nell'assurdo e se ne è perfettamente consapevoli:

"Si tratta di scegliere tra due assurdità, ma, come Kierkegaard avverte, c'è l'assurdità del non senso e l'assurdità del paradosso, e solo quest'ultima contiene la verità."[58]

Così terminano le riflessioni raccolte in Ontologia della libertà, congiungendo libertà, sofferenza e senso:

"E' la sofferenza che mette in crisi ogni metafisica oggettivante e dimostrativa [...] essa sola contiene il senso della libertà e rivela il segreto di quella vicenda universale che coinvolge Dio, l'uomo, il mondo in una tragica storia di male e di dolore, peccato ed espiazione, perdizione e salvezza."[59]

Così Luigi Pareyson si è espresso nei confronti dei suoi allievi, con un monito che vale anche per noi...ancora con la consapevolezza della inesauribilità...

"Io gradirei molto che voi collaboraste alla ricerca, appunto in nome del pensiero al quale tutti siamo chiamati a collaborare, che tutti dobbiamo esercitare nella massima limpidezza e purità originaria, perché il pensiero questo richiede. Non si tratta di aver ragione, non si tratta di arrivare a una trovata, si tratta invece di cercare la verità -questo è il punto- di fronte alla quale siamo tutti nella stessa situazione, siamo tutti nella situazione itinerante, cercante. Siamo tutti dei cercatori d'oro, qui, in filosofia, rispetto alla verità."[60]

E' alla Grundfrage che il nostro tenta di rispondere.
...Dalla inesauribilità, come rispetto della inoggettivabilità, che risiede nel baratro della ragione, verso cui si spinge il mito che si apre alla ermeneutica della coscienza religiosa
...da quest'abisso, che si rivela come principio che muove meraviglia ed orrore, per la coincidenza con Dio e con la libertà
...alla libertà che è gratuità e possibilità del non-essere...
La radicalizzazione della indagine, sulla crisi contemporanea e sull'interrogazione delle possibilità del suo superamento, si spinge a leggerla all'interno della crisi eterna dell'uomo, sino a dirigersi verso l'esperienza della coscienza religiosa, che domandandosi del perché del male, si sprofonda nella domanda sul principio. Pareyson coglie la lezione del contemporaneo sulla morte del fondamento; egli parteggia per la caduta dei dogmi della modernità, ma non sta con chi li vuole sostituire con l'assurdo. Non-fondamento non significa Non-principio: egli va alla ricerca di un altro tipo di principio, al di fuori della causa prima e lo ritrova nella libertà originaria, nella libertà di Dio, in un Dio che è esso stesso libertà. La riflessione sul male, che ci propone, non è quindi quella di tipo teodiceo, che lo dissolverebbe di fronte alla bontà del dio metafisico, ma una concezione tragica, che lo colloca in Dio, nel momento della scelta per l'essere e per il bene e ancora "prima" nell'attimo intemporale dell'autogenesi divina. La possibilità del male, come alternativa è istituita contemporaneamente alla scelta per il bene: Dio non è autore, ma in qualche maniera origine del male.
Nella creazione come autolimitazione divina, l'uomo è lasciato essere libero: egli ha la libertà, che in quanto ancipite può acconsentire o rivoltarsi contro l'essere, il bene, il senso, Dio. La Caduta è stata il libero atto che ha ridestato il male, fornendogli una consistenza ontologica.
Nell'eterno si è incuneato il tempo, oltre il quale si dà il libero intervento redentivo di Dio, ma attraverso la sofferenza nel dolore della croce; è nel tragico che agisce la libera dialettica della libertà della conversione, che dopo la distinzione tra bene e male del giudizio, porta alla apocatastasi, che non è ancora una volta annullamento di libertà.


Note

In, F. Tomatis, Ontologia del male. L'ermeneutica di Pareyson, pres. di P. Coda, Roma, Città Nuova,1995 si legge: "Come conciliare eternità di Dio e vicenda temporale e libera dell'uomo? Come pensare assieme originaria positività di Dio e realtà del male? Come non dissolvere docetisticamente la realtà dell'incarnazione di Dio in Gesù Cristo senza coinvolgere Dio nel divenire temporale, assoggettandolo alla sua caducità." (p.13)

[2] EP= L. Pareyson, Esistenza e persona, Genova, Il melangolo, 1992 (1985) (1950) (p.152)
Non è legittimo scindere un primo e un secondo Pareyson. Se non è corretto leggere il "primo" in funzione del "secondo", la lettura del "secondo" non ci può esimere da quella del "primo", (che può essere letto soltanto alla luce del poi).
[3] Riguardo al tragico, P specifica che: "A differenza della pura comicità, il grottesco è una delle sedi più adeguate del tragico..." OL (p.354)
[4] ELA= L. Pareyson, Essere libertà ambiguità, a cura di F. Tomatis, Milano, Mursia 1998 [raccolta] (p.179)
[5] ELA (p.121)
[6] In ELA, si legge: "Non c'è altro male reale se non quello che è fatto con un atto di libertà dall'uomo.."
Il male vinto ad ab aeterno è il "principio del dolore": "nel cuore della finitezza c'è già il dolore, cioè c'è qualcosa di opaco, di resistente, di non limpido: c'è la possibilità del male."
Non si può dare definizione della positività senza riferirsi alla negatività. ELA (p.78)
[7] ELA (p.75)
[8] ELA Capitolo II : Una nuova dialettica (1982) (p.91)
[9] ELA (p.192)
[10] ELA (p.76)
[11] ELA (p.29)
[12] ELA (p.30) Vi si leggerà anche: "...Tutto è al tempo stesso ancipite e contraddittorio" ELA (p.92)
[13] ELA (p.29)
[14] Ma qui c'è un'altra dialettica, la dialettica della tensione e non del superamento" ELA (p.115)
[15] ELA (p.116) Sappiamo che: "Il mondo si regge sul caos (su un mondo di orrori) il disordine sotto l'ordine" e cita i dati incontestabili dei cataclismi: Pompei, Lisbona, Martinica e poi aggiungerà Auschwitz.
"La minaccia del nulla: non non-essere, ma nulla distruttivo"
"Il caos è la minaccia che grava sulla creazione, il baratro su cui Dio tiene sospeso il mondo", e cita le suggestive immagini dei mostri marini che possono risvegliarsi
La legge di giustizia di cui ci parla la filosofia "in pratica è una legge di morte: c'è una naturalità della morte". ELA(p.115)
[16] ELA (p.162) Vi si legge anche: "La libertà come pura scelta è di per se stessa ambigua" ed è mediante la libertà che l'ambiguità conquista il reale e fa la realtà stessa duplice, verso la quale si ergono orrore e stupore" ELA(p.162)
[17] ELA (p.87)
[18] ELA (p.77)
[19] ELA (p.29)
[20] OL= L. Pareyson, Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, pref. di G. Riconda e G. Vattimo, a cura di A. Magris, G. Riconda e F. Tomatis, Torino, Einaudi, 1995 [raccolta]
(p.63). Hegel "ha confuso la storia eterna e divina con la storia temporale e umana" OL (p.68)
[21]"Secondo le esigenze della libertà non ci dovrebbe essere né totalità, né panteismo, né identificazione, perché tutto ciò non è conciliabile con la libertà, ma appunto per ciò, ciò è possibile solo escatologicamente..." OL (p.75)
[22] "Ma non è giusto questa la dialettica hegeliana? Si, ma c'è una differenza capitale: dialettica della necessità, mentre per me dialettica della libertà."OL (p.334)
[23] OL (p.226)
[24] OL (p.332)
[25] OL (p.334)
[26] Ma anche qui a trionfare è anche qui la libertà è "lo stadio finale, invece d'essere il superamento e la pacificazione della contraddizione, ne è invece l'estremizzazione, l'esasperazione, il culmine."OL (p.76)
[27] OL (p.339)
[28] "La sofferenza c'è già inerente alla stessa esistenza in quanto c'è appunto questa zona d'ombra nella positività originaria che è la presenza del negativo in essa." ELA (p.82)
[29] OL (p.340)
[30] Ed è per il cristianesimo che Giustizia e misericordia, "muovendo dalla separazione non si riuniscono più", nel senso che: "la loro unione[...] è qualcosa di diverso dai due." ELA(p.108)
[31] ELA (p.93)
[32] ELA (p.92)
[33] ELA (p.197)
[34] ELA (p.196)
[35] OL (p.78)
[36] "Voler essere contemporanei del Cristo mentre si è figli del secolo, cioè dell'angoscia e del dubbio".OL(p.343)
"La fede è vittoria sul dubbio, e in tal senso il dubbio è il penultimo gradino"OL (p.344)
[37] OL (p.342)
[38] ELA (p.30)
[39] "Non mi riferisco ad un Cristianesimo eclettico, raggiunto appiccicando una conclusione cristiana al nichilismo, ma ad un cristianesimo conflittuale, che non è quello della abitudine e nemmeno quello della tradizione..."ELA (p.197)
[40] ELA (p.197)
[41] OL (p.69)
[42] OL (p.70)
[43] OL (p.71)
[44] OL (p.72)
[45] OL (p.249)
[46] OL (p.253)
[47] ELA (p.175)
[48] ELA (p.175
[49] ELA (p.106) "Dio stesso è una provocazione alla ribellione e alla bestemmia";
Odiare Dio è "pura decisione, atto di libertà" non si tratta qui di prometeismo ma di "tristezza di satana"
"La libertà è duplice in quanto inizio e alternativa"
"Dio anche ha un suo inferno: il perché dell'uomo"ELA (p.106)
[50] ELA (p.106)
[51] ELA (p.147) "Se il primo inizio è accompagnato da un sentimento di stupore e meraviglia, l'altro inizio implica ritegno e timore, orrore e spavento..." ELA (p.147)
[52] OL (p.80)
[53] ELA (p.69)
[54] ELA (p.71)
[55] "...Questa è già una situazione positiva nel senso in cui in nessun senso è riscattato."
Una situazione che è una "soluzione instabile" aperta alla problematicità e al rischio. ELA (p.72)
[56] ELA (p.71)
[57] E specifica: "..questo è platonismo. Si, ma è buon platonismo." ELA(p.72)
[58] OL (p.207)
[59] OL (p.478)
[60] ELA (p.198)