giornalediconfine.net

 

 

 

ALESSANDRA PIGLIARU, "MIRIAM ORE, L'ARTISTA E L'ASSURDO"

 

 

 

Ne Il mito di Sisifo Albert Camus scrive: "Anche gli uomini secernono l'inumano. In certe ore di lucidità, l'aspetto meccanico dei loro gesti, la loro pantomima priva di senso rendono stupido tutto ciò che li circonda. Un uomo parla al telefono, dietro un tramezzo a vetri; non lo si ode, ma si vede la sua mimica senza senso: e ci si chiede perché mai egli viva. Questo malessere di fronte all'inumanità dell'uomo, questa incalcolabile degradazione dell'immagine di ciò che siamo (…) sono pure l'assurdo".La meccanicità dell'esistere dunque è l'assurdo, tutto ciò che di sterilmente ripetitivo scandisce la nostra esistenza. Consideriamo questo peculiare aspetto dell'assurdo e guardiamolo dal punto in cui noi stiamo: la realtà; si perché dando una tale definizione dell'assurdo non si può prescindere dalla realtà intesa come mondo. E' noto come ne Il mito di Sisifo Camus definisca l'assurdo come il "divorzio tra l'uomo e la sua vita", sottolineando l'importanza fondamentale dei due termini uomo e vita, i quali devono sopravvivere affinché possa sorgere l'assurdo; partendo da ciò si potrebbe dire dunque che perché l'assurdo sia, è necessaria la presenza dell'uomo, dell'uomo che vive e si muove nella realtà, nel mondo circostante. Proseguendo in tal senso si potrebbe altresì notare che appunto perché l'uomo è inestricabilmente rapportato alla realtà, egli ci-è-immerso; la realtà dunque nella quale, pur agitandosi, l'uomo è ancorato, non riguarda un dato esterno, o meglio non solo. Sicuramente non è su di un piano irreale o metaempirico che l'assurdo si riconosce, si badi bene si riconosce: per poter parlare di assurdo, per poterlo riconoscere infatti dobbiamo stare-nella-realtà, perché è la realtà che lo produce, è l'uomo che lo produce, è a mezza via tra l'uomo e il mondo che si produce l'assurdo: qualcosa che ci fagocita e allo stesso tempo ci sospinge Altrove. Se l'assurdo fosse prodotto solo dalla realtà si potrebbe guardare solo da un punto di vista esteriore, in autentico; se, di contro, fosse prodotto unicamente dall'uomo non gli si potrebbe dare una definizione valida per "l'uomo" ma solo per "un uomo", il tal tizio per esempio. Allora che cosa c'è che sfugge? C'è forse una ingenuità di fondo in quanto asseriva Camus? Se si domandasse all'autore di un'opera d'arte in che modo e in che senso dai propri lavori si intraveda l'assurdo, l'artista risponderebbe sicuramente in linea con quanto detto sopra: l'assurdo è l'automatismo di un mondo che non appartiene più all'uomo, l'assurdo è l'alienazione sociale, probabilmente, dalla quale l'artista si sente soffocato: l'artista che parla dell'assurdo come di una categoria (definita e definibile quindi) rigetterà dunque l'intera realtà o meglio tenterà di schivarla abitando solo le proprie opere: un atteggiamento davvero contro-corrente, peccato che chi ne parla in tal modo faccia parte in maniera totale della corrente; per alcuni può essere una posizione priva di contraddizioni, non lo mettiamo in dubbio.

Poniamo, per ipotesi, che alla domanda: - In che modo nella tua opera si può rilevare l'assurdo? -

l'artista risponda: - Per me l'assurdo non esiste. - E' possibile rinnegare l'assurdo come facente parte delle proprie opere d'arte ma è possibile negare l'esistenza dell'assurdo come categoria? Crediamo di si, proprio per il fatto che riconoscere l'assurdo, sopra definito, presupponga un sentirsi nella realtà. E se un'artista non dipingesse che il suo immaginario? Se un'artista lavorasse esclusivamente sul proprio inconscio? Sarebbe coerente che definisse l'assurdo? Dal punto di vista dell'immaginario, assolutamente no. L'assurdo, direbbe tale artista, è una convenzione, è una etichetta che si appiccica a tutti quegli artisti contro-tendenza (che sovente coincide con la tendenza) i quali "fanno gli artisti" e spesso non lo sono. Aggiungere che le opere di Miriam Ore qui proposte rientrano nel tema dell'assurdo sarebbe quindi forzato seguendo il ragionamento fin ora fatto, cioè dando al termine assurdo il significato di mera convenzione. Non sarebbe forzato tuttavia parlare di anelito verso la totalità, ricerca interiore sul sentiero dell'immaginario, bisogno inconscio di senso. I dipinti di Miriam Ore sfuggono, come l'autore stesso, a dei canoni precisi di interpretazione: e forse nel momento in cui si tenta di analizzare e descrivere un'opera d'arte la si inaridisce…nel caso dell'autore in questione, non esiste proprio spiegazione di sorta per i suoi lavori, il senso dell'arte dunque riesce a risultare "evidente" solo nell'istante della sua produzione per poi "rientrare in se stesso", celarsi e lasciare fuori l'enigma irrisolto di un corpo visibile solo a metà.  Se l'autenticità consiste non nel sentirsi parte di qualcosa, ma, come diceva Goethe, nel vivere ciò che spontaneamente fuoriesce da se stessi, Miriam Ore è perlomeno autentico, non definirlo assurdo è solo un problema linguistico.

*Ringrazio Miriam Ore per la discussione intrattenuta sul tema

A. Pigliaru, Miriam Ore, l'artista e l'assurdo in XÁOS. Giornale di confine,
Anno I, n.1 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_precedente/art_6.htm



Xaos Giornale di confine
Rivista on line di filosofia arte e letteratura


Reg. Tribunale di Sassari n. 381/2001 - 08/05/2001 - ISSN 1594-669X | info@giornalediconfine.net