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UMBERTO GALIMBERTI
La danza del corpo
"Tra santi e prostitute,
tra Dio e mondo, la danza". Cosi parla Nietzsche, dopo
aver scosso tutte le figure di stabilita che Platone aveva
ordinato in quell'al di là del cielo nominato "iperuranio".
Ma proprio puntando verso il cielo il suo Cannocchialearistotelico
Emanuele Tesauro nel 1663 scopre che all'origine del mondo
c'è "quell'arte nobilissima che è la
danza di cui si dice ella esser nata da principio col mondo
istesso". In verità, prima che il divino fosse
irrigidito nel concetto di Dio e il sacro separato dal profano,
anche Platone conveniva che "furono proprio quegli
dei che ci sono stati offerti come compagni di danza a farci
dono del ritmo e dell'armonia come espressioni del piacere"
(Leggi, 654 a). Qui l'antica cultura greca consuona con
quella biblica dove il salmista loda il Signore "con
timpani e danze" (Sal.150,4) e dove Davide "danzava
con tutte le sue forze davanti al Signore" (2,Sam.
6,14).
Fu il Cristianesimo a separare
il sacro dalla danza e a irrigidire il corpo in uno spazio
controllato e chiuso. Cosi Giovanni Crisostomo scrive che
"Ubi saltatio, ibi diabolus", mentre Ambrosio
indica nella "saltationem" la via più prossima
all'impudicizia. Se poi la danza dovesse essere il modo
di celebrare la festa, allora Agostino non ha dubbi: anche
nei giorni festivi "Melius est arare quam saltare".
Man mano che il sacro cessa di essere il luogo d'incontro
di puro e impuro, per diventare luogo di mortificazione
e ascesi, man mano che la parola, la scrittura, la mente
diventano i veicoli del sacro, il corpo e i suoi gesti che
la danza anima passano dal regno di Dioniso a quello del
Diavolo, dalle Baccanti alle Streghe del sabba.
Con il Rinascimento e la nascita
della scienza moderna il corpo viene riscattato dall'inferno
in cui era stato relegato dalla religione dell'anima e disposto
sulla tavola anatomica come corpo disciplinato dalla descrizione
del sapere medico. Alle categorie religiose bene/male, anima/corpo,
sacro/profano, subentrano quelle mediche di salute malattia
che consentono di recuperare la danza come "benefico
movimento", purché eviti gli eccessi e accada
secondo disciplina. Atrofizzata nella ritualità delle
buone maniere, la danza riappare come gesto acculturato.
Ma è ormai la danza di un corpo chiuso, definito
dai suoi confini con il mondo, non di un corpo aperto, grottesco,
che entra ed è invaso dal mondo.
La laicizzazione del corpo non
comporta quindi alcuna apertura al mondo e perciò
la danza codificata di corte può essere accolta anche
in ambito religioso purché, nell'esprimersi, i corpi
evitino i contatti, perchè, come scrive Francesco
di Sales: "I corpi umani assomigliano a dei cristalli,
che non possono essere trasportati insieme, perchè
toccandosi l'un con l'altro corrono il rischio di rompersi,
e ai frutti che, sebbene intatti e ben preparati, si guastano,
se si leccano gli uni con gli altri".
I consigli di Francesco di Sales
sembrano presi alla lettera dai giovani delle nostre discoteche
avvolti in una danza solipsistica, dove anche quando si
mimano gli atti del coito non si spezzano le pareti dell'incomunicabilità.
L'eccesso d'energia sprigionata dai corpi, il tentativo
di compensare con i gesti l'afasia del linguaggio, il ritmo
meccanico che affoga l'espressività gestuale in una
cadenza senza tempo, le luci stroboscopiche che, spezzando
la continuità del movimento, ne inchiodano le forme,
sono la parodia della danza, dove ciò che drammaticamente
trapela è l'incapacità di riportare il corpo
al centro della propria esperienza. Infatti l'atmosfera
apocalittica, orgiastica, ipertecnologica delle nostre discoteche
in cui è ricoverata la danza, come la malattia all'ospedale
e la morte al cimitero, dice di corpi che hanno rinunciato
ai propri gesti per regredire a quel gesto autonomo e per
tutti identico che è il ritmo, qui inteso come ritmo
cardiaco, ritmo respiratorio, in cui sono rintracciabili
le prime forme d'esisienza, quelle del ventre buio della
madre, e quella del grido lacerante appena se ne esce. L'intenzione
è di spostare le gabbie del proprio corpo oltre quelle
delle convenzioni, il risultato è di ridurre il proprio
corpo alla cadenza anonima del ritmo.
E così si perde il segreto
della danza che è poi quello di curare una società
che tende a rimuovere ciò che vive come malattia.
La malattia di un'emotività che non sarà mai
sistematica, la malattia di un'umanità irriducibile
alle regole comportamentali che si è data, la malattia
di un corpo che sfugge alla dimensione carnale che gli è
stata imposta, la malattia di un'anima che non sa resistere
nella gabbia dell'intelletto, la malattia di una ragione
che ciclicamente abdica al suo ruolo di dominatrice repressiva
dell'esperienza.
Si perchè c'è
un senso in cui è possibile dire che la ragione ha
costruito se stessa come ragione disincarnata, con conseguente
riduzione del corpo nei confini dell'opacità della
carne. E siccome la danza rifiuta il dualismo conflittuale
tra materiale e immateriale, siccome non vive il corpo come
antagonista dell'anima, la danza, con la semplicità
del suo gesto, dissolve il tratto disgiuntivo con cui la
ragione procede opponendo il vero al falso, il bene al male,
il positivo al negativo, l'alto al basso, per richiamare
quell'ordine simbolico (syn-ballein significa "mettere
assieme") da cui proveniamo e che ancora ci abita come
fondo abissale in cui la coscienza cerca di gettare la sua
pallida luce.
Nella danza, infatti, il corpo
incarna le produzioni del senso simbolico o per confermarle
nella ritmicità rituale, o per dissolverle nella
frenesia orgiastica. Ciò e' possibile perchè
nella danza il corpo abbandona i gesti abituali che hanno
nel mondo il loro campo d'applicazione, per prodursi in
sequenze gestuali senza intenzionalità e senza destinazione
che, nel loro ritmo e nel loro movimento, producono uno
spazio e un tempo assolutamente nuovi, perché senza
limiti e senza costrizioni. Perdendo l'aderenza alle cose
del mondo, nella danza ogni gesto diventa polisemico, ed
è proprio in questa polisemia che il corpo può
riciclare simboli, può confonderli o addirittura
abolirli. Liberandosi nella pura gestualità non intenzionata,
il corpo del danzatore descrive un mondo che è al
di là di tutti i codici e di tutte le relative iscrizioni,
perchè nella danza l'unico segno invisibile è
quello in cui il corpo iscrive se stesso tra la terra e
il cielo. In questo senso la danza costituisce un mezzo
per sfuggire alla serietà dei codici che ci minacciano.
Scivolando l'uno sull'altro,
nella danza i movimenti del corpo non si lasciano individuare,
e quindi neppure analizzare, perchè danzati. Per
la rapidità dei movimenti, la danza cancella di colpo
le figure appena costruite, continua creazione e costruzione
del mondo, composizione dei massimamente distanti, e quindi
abolizione dei sensi costruiti in questa distanza. Parodia
di ogni sistema, la danza dissolve tutti i sensi che vogliono
proporsi come sensi definitivi. Leggerezza del corpo che
ripristina la leggerezza dei simboli, la loro fluttuazione
che gioca con la gravità dei codici e col rigore
delle loro iscrizioni.
Se nel linguaggio sistematico
dei codici il corpo si lascia esprimere dalla razionalità,
nel linguaggio simbolico e nell'eccedenza semantica fluttuante
che lo connota il corpo esprime la sua emotività,
ciò che lo muove. Non essendo sistematica, l'emotività
non potrà mai costituirsi nel linguaggio; debordando
dai segni e slittando sui significati, l'emotività
non ha altra possibilità di espressione se non nell'eccedenza
semantica che scivola ai confini dei codici. per questo
le società più diventano razionali, più
aboliscono il linguaggio simbolico, togliendo sempre più
spazio alle manifestazioni emotive che hanno nel corpo la
loro radice.
Eppure non è la razionalità,
ma è il fenomeno emotivo a far vivere i codici. Non
basta infatti un sistema di segni perchè vi sia senso;
il senso è sempre immesso da un referente emotivo,
che può essere anche la paura per la decodificazione
parziale o totale. Il linguaggio primitivo, che usa metafore
organiche per esprimere le emozioni, parla del cuore, dello
stomaco, del fegato, dei reni e in generale degli organi
corporei come della sede delle reazioni emotive, e poi trasferisce
questi organi fuori di sè per nominare le cose del
mondo, per cui la casa ha una "faccia", il vaso
una "pancia", il villaggio una "fronte".
Con ciò il corpo e le sue parti non diventano il
referente o il codice di tutti i codici, ma ciò che
traduce un codice nell'altro, un sentimento in un organo,
un organo in una cosa del mondo. La danza è il simbolo
vivente di questa continua e ininterrotta traduzione, e
a partire da qui possiamo incominciare a capire quel frammento
gnostico che recita: "Chi non danza non sa cosa succede".
Umberto Galimberti, La danza del corpo, in
"XÁOS. Giornale
di confine", Anno II, N.1 Marzo-Giugno 2003,
URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/4.htm