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GIUSY NIEDDU, "EPPUR SI MUOVE! "

 

G. Nieddu, Eppur si muove! Cenni introduttivi all'evento cinematografico, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.1 Marzo-Giugno 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/9.htm

 

"Dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra
impotenza contro le forze della natura se non vogliamo impazzire
" (Charlot)

La presa di coscienza collettiva del Tragico si eventualizza attraverso un'ironia amara che, ultimo paladino dopo il Moderno, ringuainate le lame, non ha che il sorriso cui consegnare il rimando…

Dentro una sala cinematografica, un gruppo eterogeneo di sconosciuti insieme ride (o insieme piange); certamente in ognuno quel riso risuona un evento della propria esperienza vissuta singolarmente irripetibile, tuttavia l'istante di quell'immagine ha sollecitato tasti comuni: ha un codice universale…

La tecnica apre nuove immaginazioni: la tecnica è in funzione dell'immaginazione…oppure l'immaginazione è ridotta alla tecnica e oltre la tecnica non è dato sognare? [1]

"Le care vecchie contraddizioni fra realtà e immaginazione, vero e falso….vengono in certo modo sublimate dentro uno spazio di iper-realtà che ingloba tutto". Nell'accogliere il Soggetto che vi si immerge, il virtuale lo minaccia e al contempo sottrae dal reale il suo fondamento e nega l'ombra ad un essere che, senza spessore, è solo trasparenza: il virtuale compie il "delitto perfetto" del reale con le sue illusioni (vitali) [2]
E anche l'arte rischierebbe il decesso, se alla sua natura è ritenuto estraneo il virtuale nella complessità dei suoi risvolti… [3] Ma forse ruolo dell'Armonia è in-formare una "materia" che è "realtà" nella misura in cui se ne possa fronteggiare, secondo la consapevolezza ermeneutica, solamente l'imago... Non il virtuale nel suo carattere di simulacro, ma di interpretazione del reale. Il virtuale che è idea-illusione oltre il reale è arte. Non l'ologramma che fagocita il reale, ma un virtuale che impedisca alla res di aderire pienamente a se stessa sino a scavarne il non senso. Incarico adempiuto, anche se non plasmato con l'argilla, né gettato col beton, dalla composizione sonora e che ora ha la responsabilità di un confronto critico oltre che col cinematografico, col digitale e il telematico; "l'anoressia dell'arte" [4] è guaribile solo se l'arte utilizza le nuove tecnologie in qualità di ancillae e, poiché autentica activitas humana, non rovesci la dialettica servo-padrone. Che la tecnica sia per-l'uomo. Deve essere ricostretta a pensare o perlomeno a costituirsi funzione di pensiero. …E la tecnica cinematografica pensa… pensa su concetti ….ma oltre i concetti [5], (immagini-movimento e immagini-tempo [6] attraverso il rimando del simbolo, come il mitos oltre il logos (che accresce inverato e non amputato), mossa da un'intenzionalità che soltanto può sottrarla dall'evento inconsapevole, la cui casualità le negherebbe la creatività artistica che, contrariamente agli sperimentalismi fine a se stessi, può forgiare ancora opere conchiuse avvalendosi di regole. Artista-autore non è quella macchina che reifica Serafino Gubbio operatore di Pirandello, ma "il mandante": colui che ha l'idea e la accompagna durante la attuazione o che, attraverso la propria, agisce su quella di un altro e nell'interpretarla necessariamente la modifica (precisazione importante a livello della produzione cinematografica, che si esplica attraverso una pluralità di agenti… ma non alla deriva in una gestione anarchica; il valore artistico, indipendente dall'autenticità o dalla derivatezza del soggetto cinematografico [7], inerisce alla sua interpretazione, che a sua volta si declina in quelle dei fruitori, pur senza esaurirsi in alcuna (come ci insegna Pareyson). Il tema è raccontato per immagini: le inquadrature sono più che fotogrammi sui concetti e la loro sequenza più che addizione aritmetica: le istantanee in successione, il cui tempo è interno e non sovrapposto, sono incommensurabili con le pose di Zenone. Anche se forse, quando si nega ad una diapositiva il carattere di cinema [8] nella misura in cui il tempo le è imposto dall'esterno per decisione dell'oratore…non si tiene conto che anche quello dell'istante cinematografico è già calcolato dal regista…
Poiché la comunicazione è oltre il Begriff, la valutazione artistica deve trascendere la trama verso il linguaggio filmico [9]
Seppure al di là del discorsivo, l'estetico ha a che fare col filosofico da cui trae origine, rispondendo alle domande di quello con ulteriori aperture: è una forma di conoscenza che interagisce con la verità mediante una facoltà altra dalla logica… indaga ciò che il logos non può dire e che non è verbalizzabile. Eppure…sul campo… si muove! Come ci insegna Deleuze, il cinema libera il movimento dei concetti dalle inibizioni normative-logiche, emancipandoli in una nuova immagine di pensiero.
Se, epicentro dei sismi sociali, la cinematografia può, registrandolo, aderire all'oggi e bruciarsi con l'oggi (alcuni film sono datati e transeunti come le mode… quasi metafora del Post moderno), però in quanto forma d'arte e in quanto araldo di una Weltanschauung, non fa solo spettacolo; il rimando è ad un quid ulteriore (ulteriore forse anche al fuori campo) che, se da un lato ha il carattere della universalità, dall'altro può calarsi nei sistemi delle microrealtà correnti e diventarne promotore, attraverso anche l'efficacia della suggestione, epigono della comunicazione, che divulga "tipi" nei cui modelli si è tentati di riconoscersi. Che questo être avec o être comme non sia soltanto frustrazione e compartecipazione ad un simulacro banale opposto ad una realtà che è ugualmente priva di perfezioni… Il pubblico non si limita a "spectare" inattivo, non è soltanto comparsa della pellicola, ma è mosso alla riflessione, il cui grado di consapevolezza è direttamente proporzionale alla sua e-ducazione: non solo vede, ma legge il film!
Il cinema comunica direttamente non contenuti oggettivo-logici, ma soggettivo-emozionali [10] e l'applicazione a ritroso sul film di un'analisi filosofico-analitica-psicanalista ne tradirebbe il kerygma [11]. La filosofia si consegna al cinema come il logos al mitos. La regia dà Volto all'oggetto, oltre l'abitudinario, come lo sguardo sull'aratro in mezzo alla maggese del Pascoli, |differente da quello sul ferro da stiro di Duschamp che non lo riscatta dal quotidiano, osando consegnare all'arte la vita nelle sue funzioni meno elogiate | e dona al soggetto recettore (la folla) il Senso.
Benché necessaria una educazione alla decodificazione delle più alte profondità dell'immagine, che tuteli da non-detti che potrebbero fornire escamotage troppo facili, il cinema ha un livello universale di comprensibilità, può entusiasmare irrompendo con un impatto emotivo indistinguibile dallo shock [12];proprio nella facoltà di comunicazione trova la distinzione da alcune creazioni contemporanee che rischierebbero di mutilare l'arte del dialogo che ne è coessenziale.
Poiché Il metalinguistico non è scisso dall'umano, dall'etico e dallo psicologico-introspettivo: una carica pedagogico-didattica responsabile deve fuggire in egual misura e l'assenza di qualsiasi contenuto |che annullerebbe la comunicazione | e la strumentalizzazione del suo potenziale espressivo da parte di quelle ideologie che, stimolatrici di reazioni gregarie, ricevono consenso unanime (che negherebbe la liceità di aperture ulteriori). Né film-idee, né film-merce. Anche se non addetto, giacché diretto interessato, il pubblico stesso dovrebbe stare di piantone, affinché non un cinema di facile consumo continui ad accrescere né l'anima né la mente, ma i numeri del botteghino! Sebbene più attento riguardo alla più intrusiva produzione televisiva, ci insegna Popper che la funzione dell'informare [13] non può essere scissa da quella dell'educare, che inevitabilmente ne emana… quasi che nel descrivere (che non può estrinsecarsi in una neutralità dall'atteggiamento critico)… fosse già un prescrivere. Il cinema ci forma, ma affinché formi è indispensabile una formazione (e-ducazione) della folla; è un circolo virtuoso per il quale non il culturale dovrebbe degradare se stesso pur di attrarre, ma forse anche l'attraente dovrebbe farsi più culturale, sgominando il pregiudizio per il quale la massa sia esente da un'arte d'èlite, pur senza la limitazione della comunicazione al livello elementare fisiologico della esperienza emozionale meccanica (il kitsch non è arte). Il teatro greco o l'architettura medievale o gli affreschi rinascimentali parlano a tutti e in tutti i tempi, oltre il patico di uno psichismo inferiore: violando la legge di Baumol e Bowen [14] per la quale cultura, morale ed arte… non fanno cassetta.
L'arte è comunicazione, proprio in quanto espressione il cinema è arte: non ha resettato la storia artistica che lo ha preceduto, ma ha origine dagli stessi archetipi. Però non tutto l'aisthesis è arte: non la coincidenza valore/utenza conformemente alle leggi di mercato, non che sempre l'atteggiamento critico e quello del piacere del pubblico coincidano [15]… eppure la grande arte riempie la sala di "borghesi" e "proletari"[16]. Questa non è profanazione dell'arte: è la sua universalità (universalità che tuttavia non concerne le aeree altezze o le abissali profondità di Senso…). Non tutto il cinema è arte, ma solo quella parte di esso che non è unicamente merce di consumo: lo è nei tre sensi di mimesi, forma, espressione; è super-arte [17]: settima arte, sincretismo di plastico-spaziale e di movimento ("temporale") in uno spazio...in movimento che ha abbandonato la staticità per farsi fluido e aperto. L'immagine - movimento, oltrepassamento dell'immagine in movimento, è la realizzazione di una delle più originarie tensioni- illusioni di quell'uomo che incise ad Altamira. Spazio e tempo hanno fuso finalmente i loro bordi: posso volgere le spalle e ritornare ad un prima, che è come un punto tracciato su un foglio bianco, senza una direzione imposta ab aeterno…ma secondo un verso fissato antecedentemente al ciack; quel "prima", che non è un attimo appeso al suo libero arbitrio, rimane "prima" di un "dopo"; mentre l'angolazione sul campo dirige, facendosene prolungamento, il mio bulbo oculare: insomma il caso non è arte…
La mobilità della ripresa, le dissolvenze o il montaggio accelerano e rallentano un viaggiare libero…ma già pre-orientato, che supera l'hic et nunc secondo il progetto, intenzionato preliminarmente dall'intelligenza di colui che è filosofo e artista (è l'uno poiché è l'altro) e che, mediato dall'interpretazione, pur personale, di ogni fruitore, trattiene un vettore necessario, che pur non isola dalla capacità della distanza critica. Al contrario della successione casuale di certo zapping, metafora della "dissipazione dell'esistenza" nella "estasi della contingenza" [18], |e che pure è un atto di distanza critica importante| il film stravolge la consecutio temporum, esperendo le ebbrezze della reversibilità e della assenza dei "tempi morti" [19], ma esplorando una traccia che non è trascinata da vagabondaggi che errano nomadi, inebriati da eroici furori aderenti solo al caos | quali pullulano in alcune contemporanee espressioni coloristiche e in tentativi post-avanguardia, che inseguono il nuovo senza più neppure aspirarci e che, serbando in sé il combustibile della propria deflagrazione, si trovano a stazionare in un effimero sterile |. Cogliendo immediatamente e a-concettualmente i rimandi tra un istante e l'altro (come la musica al di là della singolarità della nota), la ragione logopatica dinamizza, visualizzandola, una "esperienza umana in situazione" (similmente al multiprospettivismo del nostro interiore cinema mentale). Il tempo cinematografico, quello della simultaneità (dei contenuti di coscienza) [20], per la quale agli stati della mia ubiquità non è dato radicamento, poiché progettato artificialmente, non è quello reale; né coincide con quello filmico, soggettivo-psicologico attraverso il quale lo spettatore lo recepisce, ma scorre, lontano da una misurazione oggettiva, sempre più intimo ad una durée interiore, come flusso del tempo vissuto. L'accadere dell'evento è colto senza essere sostanzializzato, mediante un linguaggio universale aperto ad assoluti indeducibili. Sono in scena i nomi propri dei singolari, non le idee eterne dell'iperuranio di una metafisica oggettivante. Nel passaggio, è filmato ciò che non passa: il passare stesso (il tempo).
Il "refaire la vie" (interpretazione soggettiva e non documento oggettivo) garantisce il divenire in quanto tale, o lo immobilizza in un "già trascorso" immodificabile? Questo tempo virtuale, che nega la successione passato-presente-futuro, escluderebbe la memoria o forse l'immagine-tempo nel flash-back (non lontano da quello puro o involontario dell'UIisse e di Zeno) è funzione dell'andenken o… proprio il prodotto cinematografico accumulerà memoria e sosterrà i nostri futuri? Può adempiere questo compito una opera monca dell'aura, all'insuperabilità del dato di fatto della quale dovrebbe farci rassegnare la sua serialità?
Oppure…"non il film è copia, ma la pellicola. Il film esiste soltanto nello schermo, ed è copia come lo sono le varie…copie della Divina Commedia" [21].
Ripetizione, imitazione omologante è anzi effetto di certo divismo… sino a quando, parodiato da Warhol, cadrà anche quell'ultimo mito e allora, "rinsaviti dalla febbre dell'oro", |sospettosi circa i confini sugli assoluti dopo il Piccolo grande uomo [22] lasciamo il west... come colui che "quando le sue speranze, i suoi sogni, svaniscono, scuote semplicemente le spalle e cambia strada" [23].


[1] Dopo che la scienza ha constatato i propri limiti e che la nostra tecnologia è stata costretta nelle sue ricerche a virate inaspettate, alcune illusioni dell'era "pre-tecnica" ormai ci fanno solo sorridere.
[2] J. Baudrillard, Il delitto perfetto, Feltrinelli, 2000
[3] Confronta la definizione dell'arte, data da A. Benito Oliva, come "processo di formalizzazione di un impulso creativo a partire da materiali concreti"
[4] L'espressione è utilizzata da A. Benito Oliva
[5] Vedi, I. Kant, Critica del giudizio, Laterza, Bari 1997
[6] G. Deleuze, L'immagine-movimento, Ubilibri, Milano 1987; L'immagine-tempo, Ubilibri, Milano 1989
[7] Vedi, E.Baragli, Corso elementare di filmologia, Studio Romano della Comunicazione Sociale, 1971
[8] Come distinguerebbe E. Baragli
[9] In questa sede, è suggerita la presa di coscienza, al di là dei riduzionismi, della inscindibilità degli elementi che concorrono alla connotazione del valore artistico che, benché inoggettivabile e irriducibile ad una formula definitiva e onnicomprensiva, non può arenare nella ineffabilità di un enigma che conduca a confusioni sterili tra arte e non-arte
[10] Vedi, E. Baragli, op. cit.
[11] v.J. Cabrera, Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film, Mondadori, Milano, 2000
[12] Che ha sostituito il sollecito del narratore al lettore solitario.
[13] Seppure la cinematografia non potrebbe definirsi arte conformemente all'intento di mera registrazione: autoreferenzialità per la quale ciò che è comunicato coincide con ciò mediante cui è comunicato, rifiutando l'estro della fantasia creatrice (Vedi, E. Baragli)
[14] Vedi, E. Panofsky
[15] Cfr: W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1999
[16] Vedi. A.Hauser, Storia sociale dell'arte IV, cap. V, Nel segno del film, Einaudi, Torino 2001
[17] Vedi la coniazione dell'espressione della "Settima arte" di Casnudo, contra Ragghianti, Cinema, arte figurativa, Einaudi, Torino 1094
[18] L'espressione è di Aldo Masullo
[19] Le cui ellissi rimarrebbero forse ancora troppo poco eccessive in taluna attuale regia italiana
[20] La psicanalisi ha inverato la memoire di H. Bergson
[21] E. Baragli, op.cit., cap. IX: Il cinema come arte, pg. 123
[22] Con Dustin Hoffman, del '71
[23] Charlot.