"Dobbiamo ridere in
faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra
impotenza contro le forze della natura se non vogliamo impazzire"
(Charlot)
La presa di coscienza collettiva
del Tragico si eventualizza attraverso un'ironia amara che,
ultimo paladino dopo il Moderno, ringuainate le lame, non
ha che il sorriso cui consegnare il rimando
Dentro una sala cinematografica,
un gruppo eterogeneo di sconosciuti insieme ride (o insieme
piange); certamente in ognuno quel riso risuona un evento
della propria esperienza vissuta singolarmente irripetibile,
tuttavia l'istante di quell'immagine ha sollecitato tasti
comuni: ha un codice universale
La tecnica apre nuove immaginazioni:
la tecnica è in funzione dell'immaginazione
oppure
l'immaginazione è ridotta alla tecnica e oltre la
tecnica non è dato sognare? [1]
"Le care vecchie contraddizioni
fra realtà e immaginazione, vero e falso
.vengono
in certo modo sublimate dentro uno spazio di iper-realtà
che ingloba tutto". Nell'accogliere il Soggetto che
vi si immerge, il virtuale lo minaccia e al contempo sottrae
dal reale il suo fondamento e nega l'ombra ad un essere
che, senza spessore, è solo trasparenza: il virtuale
compie il "delitto perfetto" del reale con le
sue illusioni (vitali) [2]
E anche l'arte rischierebbe il decesso, se alla sua natura
è ritenuto estraneo il virtuale nella complessità
dei suoi risvolti
[3] Ma forse ruolo dell'Armonia
è in-formare una "materia" che è
"realtà" nella misura in cui se ne possa
fronteggiare, secondo la consapevolezza ermeneutica, solamente
l'imago... Non il virtuale nel suo carattere di simulacro,
ma di interpretazione del reale. Il virtuale che è
idea-illusione oltre il reale è arte. Non l'ologramma
che fagocita il reale, ma un virtuale che impedisca alla
res di aderire pienamente a se stessa sino a scavarne il
non senso. Incarico adempiuto, anche se non plasmato con
l'argilla, né gettato col beton, dalla composizione
sonora e che ora ha la responsabilità di un confronto
critico oltre che col cinematografico, col digitale e il
telematico; "l'anoressia dell'arte" [4] è
guaribile solo se l'arte utilizza le nuove tecnologie in
qualità di ancillae e, poiché autentica activitas
humana, non rovesci la dialettica servo-padrone. Che la
tecnica sia per-l'uomo. Deve essere ricostretta a pensare
o perlomeno a costituirsi funzione di pensiero.
E
la tecnica cinematografica pensa
pensa su concetti
.ma oltre i concetti [5], (immagini-movimento e immagini-tempo
[6] attraverso il rimando del simbolo, come il mitos oltre
il logos (che accresce inverato e non amputato), mossa da
un'intenzionalità che soltanto può sottrarla
dall'evento inconsapevole, la cui casualità le negherebbe
la creatività artistica che, contrariamente agli
sperimentalismi fine a se stessi, può forgiare ancora
opere conchiuse avvalendosi di regole. Artista-autore non
è quella macchina che reifica Serafino Gubbio operatore
di Pirandello, ma "il mandante": colui che ha
l'idea e la accompagna durante la attuazione o che, attraverso
la propria, agisce su quella di un altro e nell'interpretarla
necessariamente la modifica (precisazione importante a livello
della produzione cinematografica, che si esplica attraverso
una pluralità di agenti
ma non alla deriva
in una gestione anarchica; il valore artistico, indipendente
dall'autenticità o dalla derivatezza del soggetto
cinematografico [7], inerisce alla sua interpretazione,
che a sua volta si declina in quelle dei fruitori, pur senza
esaurirsi in alcuna (come ci insegna Pareyson). Il tema
è raccontato per immagini: le inquadrature sono più
che fotogrammi sui concetti e la loro sequenza più
che addizione aritmetica: le istantanee in successione,
il cui tempo è interno e non sovrapposto, sono incommensurabili
con le pose di Zenone. Anche se forse, quando si nega ad
una diapositiva il carattere di cinema [8] nella misura
in cui il tempo le è imposto dall'esterno per decisione
dell'oratore
non si tiene conto che anche quello dell'istante
cinematografico è già calcolato dal regista
Poiché la comunicazione è oltre il Begriff,
la valutazione artistica deve trascendere la trama verso
il linguaggio filmico [9]
Seppure al di là del discorsivo, l'estetico ha a
che fare col filosofico da cui trae origine, rispondendo
alle domande di quello con ulteriori aperture: è
una forma di conoscenza che interagisce con la verità
mediante una facoltà altra dalla logica
indaga
ciò che il logos non può dire e che non è
verbalizzabile. Eppure
sul campo
si muove! Come
ci insegna Deleuze, il cinema libera il movimento dei concetti
dalle inibizioni normative-logiche, emancipandoli in una
nuova immagine di pensiero.
Se, epicentro dei sismi sociali, la cinematografia può,
registrandolo, aderire all'oggi e bruciarsi con l'oggi (alcuni
film sono datati e transeunti come le mode
quasi metafora
del Post moderno), però in quanto forma d'arte e
in quanto araldo di una Weltanschauung, non fa solo spettacolo;
il rimando è ad un quid ulteriore (ulteriore forse
anche al fuori campo) che, se da un lato ha il carattere
della universalità, dall'altro può calarsi
nei sistemi delle microrealtà correnti e diventarne
promotore, attraverso anche l'efficacia della suggestione,
epigono della comunicazione, che divulga "tipi"
nei cui modelli si è tentati di riconoscersi. Che
questo être avec o être comme non sia soltanto
frustrazione e compartecipazione ad un simulacro banale
opposto ad una realtà che è ugualmente priva
di perfezioni
Il pubblico non si limita a "spectare"
inattivo, non è soltanto comparsa della pellicola,
ma è mosso alla riflessione, il cui grado di consapevolezza
è direttamente proporzionale alla sua e-ducazione:
non solo vede, ma legge il film!
Il cinema comunica direttamente non contenuti oggettivo-logici,
ma soggettivo-emozionali [10] e l'applicazione a ritroso
sul film di un'analisi filosofico-analitica-psicanalista
ne tradirebbe il kerygma [11]. La filosofia si consegna
al cinema come il logos al mitos. La regia dà Volto
all'oggetto, oltre l'abitudinario, come lo sguardo sull'aratro
in mezzo alla maggese del Pascoli, |differente da quello
sul ferro da stiro di Duschamp che non lo riscatta dal quotidiano,
osando consegnare all'arte la vita nelle sue funzioni meno
elogiate | e dona al soggetto recettore (la folla) il Senso.
Benché necessaria una educazione alla decodificazione
delle più alte profondità dell'immagine, che
tuteli da non-detti che potrebbero fornire escamotage troppo
facili, il cinema ha un livello universale di comprensibilità,
può entusiasmare irrompendo con un impatto emotivo
indistinguibile dallo shock [12];proprio nella facoltà
di comunicazione trova la distinzione da alcune creazioni
contemporanee che rischierebbero di mutilare l'arte del
dialogo che ne è coessenziale.
Poiché Il metalinguistico non è scisso dall'umano,
dall'etico e dallo psicologico-introspettivo: una carica
pedagogico-didattica responsabile deve fuggire in egual
misura e l'assenza di qualsiasi contenuto |che annullerebbe
la comunicazione | e la strumentalizzazione del suo potenziale
espressivo da parte di quelle ideologie che, stimolatrici
di reazioni gregarie, ricevono consenso unanime (che negherebbe
la liceità di aperture ulteriori). Né film-idee,
né film-merce. Anche se non addetto, giacché
diretto interessato, il pubblico stesso dovrebbe stare di
piantone, affinché non un cinema di facile consumo
continui ad accrescere né l'anima né la mente,
ma i numeri del botteghino! Sebbene più attento riguardo
alla più intrusiva produzione televisiva, ci insegna
Popper che la funzione dell'informare [13] non può
essere scissa da quella dell'educare, che inevitabilmente
ne emana
quasi che nel descrivere (che non può
estrinsecarsi in una neutralità dall'atteggiamento
critico)
fosse già un prescrivere. Il cinema
ci forma, ma affinché formi è indispensabile
una formazione (e-ducazione) della folla; è un circolo
virtuoso per il quale non il culturale dovrebbe degradare
se stesso pur di attrarre, ma forse anche l'attraente dovrebbe
farsi più culturale, sgominando il pregiudizio per
il quale la massa sia esente da un'arte d'èlite,
pur senza la limitazione della comunicazione al livello
elementare fisiologico della esperienza emozionale meccanica
(il kitsch non è arte). Il teatro greco o l'architettura
medievale o gli affreschi rinascimentali parlano a tutti
e in tutti i tempi, oltre il patico di uno psichismo inferiore:
violando la legge di Baumol e Bowen [14] per la quale cultura,
morale ed arte
non fanno cassetta.
L'arte è comunicazione, proprio in quanto espressione
il cinema è arte: non ha resettato la storia artistica
che lo ha preceduto, ma ha origine dagli stessi archetipi.
Però non tutto l'aisthesis è arte: non la
coincidenza valore/utenza conformemente alle leggi di mercato,
non che sempre l'atteggiamento critico e quello del piacere
del pubblico coincidano [15]
eppure la grande arte
riempie la sala di "borghesi" e "proletari"[16].
Questa non è profanazione dell'arte: è la
sua universalità (universalità che tuttavia
non concerne le aeree altezze o le abissali profondità
di Senso
). Non tutto il cinema è arte, ma solo
quella parte di esso che non è unicamente merce di
consumo: lo è nei tre sensi di mimesi, forma, espressione;
è super-arte [17]: settima arte, sincretismo di plastico-spaziale
e di movimento ("temporale") in uno spazio...in
movimento che ha abbandonato la staticità per farsi
fluido e aperto. L'immagine - movimento, oltrepassamento
dell'immagine in movimento, è la realizzazione di
una delle più originarie tensioni- illusioni di quell'uomo
che incise ad Altamira. Spazio e tempo hanno fuso finalmente
i loro bordi: posso volgere le spalle e ritornare ad un
prima, che è come un punto tracciato su un foglio
bianco, senza una direzione imposta ab aeterno
ma secondo
un verso fissato antecedentemente al ciack; quel "prima",
che non è un attimo appeso al suo libero arbitrio,
rimane "prima" di un "dopo"; mentre
l'angolazione sul campo dirige, facendosene prolungamento,
il mio bulbo oculare: insomma il caso non è arte
La mobilità della ripresa, le dissolvenze o il montaggio
accelerano e rallentano un viaggiare libero
ma già
pre-orientato, che supera l'hic et nunc secondo il progetto,
intenzionato preliminarmente dall'intelligenza di colui
che è filosofo e artista (è l'uno poiché
è l'altro) e che, mediato dall'interpretazione, pur
personale, di ogni fruitore, trattiene un vettore necessario,
che pur non isola dalla capacità della distanza critica.
Al contrario della successione casuale di certo zapping,
metafora della "dissipazione dell'esistenza" nella
"estasi della contingenza" [18], |e che pure è
un atto di distanza critica importante| il film stravolge
la consecutio temporum, esperendo le ebbrezze della reversibilità
e della assenza dei "tempi morti" [19], ma esplorando
una traccia che non è trascinata da vagabondaggi
che errano nomadi, inebriati da eroici furori aderenti solo
al caos | quali pullulano in alcune contemporanee espressioni
coloristiche e in tentativi post-avanguardia, che inseguono
il nuovo senza più neppure aspirarci e che, serbando
in sé il combustibile della propria deflagrazione,
si trovano a stazionare in un effimero sterile |. Cogliendo
immediatamente e a-concettualmente i rimandi tra un istante
e l'altro (come la musica al di là della singolarità
della nota), la ragione logopatica dinamizza, visualizzandola,
una "esperienza umana in situazione" (similmente
al multiprospettivismo del nostro interiore cinema mentale).
Il tempo cinematografico, quello della simultaneità
(dei contenuti di coscienza) [20], per la quale agli stati
della mia ubiquità non è dato radicamento,
poiché progettato artificialmente, non è quello
reale; né coincide con quello filmico, soggettivo-psicologico
attraverso il quale lo spettatore lo recepisce, ma scorre,
lontano da una misurazione oggettiva, sempre più
intimo ad una durée interiore, come flusso del tempo
vissuto. L'accadere dell'evento è colto senza essere
sostanzializzato, mediante un linguaggio universale aperto
ad assoluti indeducibili. Sono in scena i nomi propri dei
singolari, non le idee eterne dell'iperuranio di una metafisica
oggettivante. Nel passaggio, è filmato ciò
che non passa: il passare stesso (il tempo).
Il "refaire la vie" (interpretazione soggettiva
e non documento oggettivo) garantisce il divenire in quanto
tale, o lo immobilizza in un "già trascorso"
immodificabile? Questo tempo virtuale, che nega la successione
passato-presente-futuro, escluderebbe la memoria o forse
l'immagine-tempo nel flash-back (non lontano da quello puro
o involontario dell'UIisse e di Zeno) è funzione
dell'andenken o
proprio il prodotto cinematografico
accumulerà memoria e sosterrà i nostri futuri?
Può adempiere questo compito una opera monca dell'aura,
all'insuperabilità del dato di fatto della quale
dovrebbe farci rassegnare la sua serialità?
Oppure
"non il film è copia, ma la pellicola.
Il film esiste soltanto nello schermo, ed è copia
come lo sono le varie
copie della Divina Commedia"
[21].
Ripetizione, imitazione omologante è anzi effetto
di certo divismo
sino a quando, parodiato da Warhol,
cadrà anche quell'ultimo mito e allora, "rinsaviti
dalla febbre dell'oro", |sospettosi circa i confini
sugli assoluti dopo il Piccolo grande uomo [22] lasciamo
il west... come colui che "quando le sue speranze,
i suoi sogni, svaniscono, scuote semplicemente le spalle
e cambia strada" [23].
[1] Dopo che la scienza ha constatato
i propri limiti e che la nostra tecnologia è stata
costretta nelle sue ricerche a virate inaspettate, alcune
illusioni dell'era "pre-tecnica" ormai ci fanno
solo sorridere.
[2] J. Baudrillard, Il delitto perfetto, Feltrinelli, 2000
[3] Confronta la definizione dell'arte, data da A. Benito
Oliva, come "processo di formalizzazione di un impulso
creativo a partire da materiali concreti"
[4] L'espressione è utilizzata da A. Benito Oliva
[5] Vedi, I. Kant, Critica del giudizio, Laterza, Bari 1997
[6] G. Deleuze, L'immagine-movimento, Ubilibri, Milano 1987;
L'immagine-tempo, Ubilibri, Milano 1989
[7] Vedi, E.Baragli, Corso elementare di filmologia, Studio
Romano della Comunicazione Sociale, 1971
[8] Come distinguerebbe E. Baragli
[9] In questa sede, è suggerita la presa di coscienza,
al di là dei riduzionismi, della inscindibilità
degli elementi che concorrono alla connotazione del valore
artistico che, benché inoggettivabile e irriducibile
ad una formula definitiva e onnicomprensiva, non può
arenare nella ineffabilità di un enigma che conduca
a confusioni sterili tra arte e non-arte
[10] Vedi, E. Baragli, op. cit.
[11] v.J. Cabrera, Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia
attraverso i film, Mondadori, Milano, 2000
[12] Che ha sostituito il sollecito del narratore al lettore
solitario.
[13] Seppure la cinematografia non potrebbe definirsi arte
conformemente all'intento di mera registrazione: autoreferenzialità
per la quale ciò che è comunicato coincide con
ciò mediante cui è comunicato, rifiutando l'estro
della fantasia creatrice (Vedi, E. Baragli)
[14] Vedi, E. Panofsky
[15] Cfr: W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua
riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1999
[16] Vedi. A.Hauser, Storia sociale dell'arte IV, cap. V,
Nel segno del film, Einaudi, Torino 2001
[17] Vedi la coniazione dell'espressione della "Settima
arte" di Casnudo, contra Ragghianti, Cinema, arte figurativa,
Einaudi, Torino 1094
[18] L'espressione è di Aldo Masullo
[19] Le cui ellissi rimarrebbero forse ancora troppo poco
eccessive in taluna attuale regia italiana
[20] La psicanalisi ha inverato la memoire di H. Bergson
[21] E. Baragli, op.cit., cap. IX: Il cinema come arte, pg.
123
[22] Con Dustin Hoffman, del '71
[23] Charlot. |