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Martino Cambula, Lo statuto dell'etica tra scienza e filosofia in M. Schlick

 

M. Cambula, Martino Cambula, Lo statuto dell'etica tra scienza e filosofia in M. Schlick, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.3 Novembre-Febbraio 2003/2004, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_3/17.htm

 

1. Osservazioni metodologiche preliminari alla lettura delle "Fragen der Ethik" (1)

Una bibliografia attenta e ragionata degli studi dedicati a M. Schlick (1882-1936) deve rilevare l'inesistenza di un tentativo globale di ricostruzione storico-critica del suo pensiero e della sua opera. Finora si è preferito adottare la "misura" del saggio, piuttosto che quella della sintesi storica complessiva, forse perché, nonostante la vasta "letteratura", non è stato ancora possibile definire teoreticamente e storicamente in modo univoco il neoempirismo (2), di cui l'opera di Schlick costituisce la fase iniziale e, per certi versi, la più rilevante e articolata. Di fatto, anche gli studi sull'intero movimento neopositivistico e/o neoempiristico hanno assunto prevalentemente la forma del saggio sui temi e problemi particolari o controversi, sulle aporie più evidenti, relative al criterio di significanza e di verità delle proposizioni e alla possibilità della filosofia in generale e dell'etica in particolare. Non è decidibile - per mancanza di dichiarazioni esplicite - se tale prassi metodologica sia stata determinata dalla diffidenza per le visioni storiche generali, soprattutto in assenza di una prospettiva temporale sufficiente; o se, invece, sia una scelta di metodo storiografico consapevole in favore di quella che si potrebbe definire la "microstoria", cioè la storia appunto per piccoli saggi, ossia su particolari argomenti o unità storiche, strutturalmente ricomponibili in un insieme o in un tutto organico.(3) Nell'analisi esegetica del testo schlickiano, il metodo della "microstoria" si è rivelato particolarmente utile e rapido, soprattutto perché ha consentito agli studiosi di rilevarne chiaramente e criticamente anche passaggi illogici e insufficienze teoretiche (4), aporie (5), e contraddizioni interne(6). Ma accanto agli innegabili vantaggi che offre, esso non è (stato) immune da una tendenza a tradurre in formule fisse e astratte, quasi categoriali, concetti in se stessi molto ricchi e differenziati o non ancora definiti e solo storicamente descritti o descrivibili,prelevandoli da un testo teoreticamente rilevante e proiettandoli su altri testi o contesti minori. L'analisi critica del criterio di significanza, ad esempio, non può essere condotta esclusivamente sulla formulazione datane da Schlick nel 1936 in Meaning and Verification, con la motivazione che quella sola è la formulazione definitiva. Ancora più cauta deve essere l'applicazione di tale formula all'interpretazione di un testo di sei anni anteriore, come le Fragen. Il significato e la portata metodologica e teoretica del criterio di significanza possono essere valutati solo sulla base di una definizione genetica, in rapporto cioè al preciso contesto storico di origine del criterio stesso e alla funzione che esso esercitava all'interno delle singole scienze. Quando Schlick discute sulla natura della scienza (7) e delle proposizioni scientifiche, non lo fa in astratto, riferendosi alla scienza in sé o alle proposizioni scientifiche in sé, alla maniera neokantiana, per scoprire cioè le condizioni a priori della loro validità; ma si muove, invece, all'interno delle scienze storicamente costituite, cioè della fisica quantistica di Planck (1901), della teoria della relatività speciale (1905) e generale (1915) di Einstein, della meccanica di Heisenberg, caratterizzata dal principio d'indeterminazione (1927), del sistema assiomatico (8) ipotetico-deduttivo della matematica e della metamatematica di Hilbert (1928) , e anche di Gödel, col suo teorema sulle "limitazioni interne" dei sistemi formali logico- matematici (1931). Una "lettura" delle Fragen der Ethik che non consideri l'opera nel suo formarsi e nel suo situarsi all'interno di tale contesto storico-scientifico rischia di esasperarne le innegabili "aporie", trasformandole in insolubili "contraddizioni" strutturali. La ricerca etica di Schlick, come la scienza del suo tempo, di cui egli fu un professionista e un "militante - come Geymonat (9) ha opportunamente rilevato - si muove sul terreno empirico della probabilità, a cui è costituzionalmente legata la condizione dell'uomo nell'intero arco del suo operare. Nel tentativo di definire il significato delle Fragen in rapporto alle premesse teoretiche da cui l'opera è partita e agli esisti ottenuti, Schlick riconosce esplicitamente i limiti oggettivi della propria indagine: "...nella vita e, particolarmente, nella scienza lavoriamo sempre sul piano delle probabilità".(10) Le "contraddizioni interne" - per chi legge l'opera di Schlick nella prospettiva da lui stesso indicata - assumono la loro precisa dimensione minimale; permangono invece le "aporie" e le difficoltà, che lo storico e il critico hanno il compito di mettere in luce, in rapporto alla possibilità logica ed epistemologica del neoempirismo schlickiano di spiegare non esaustivamente il fatto morale o la dimensione morale del vivere. Ma a questo punto la sensibilità dello storico della filosofia deve avvertire l'urgenza di definire preliminarmente qual è l'aspetto nuovo dell'empirismo (o del positivismo logico) di Schlick, per evitare il rischio di ridurlo acriticamente a quello classico humiano. Un'applicazione rigorosa e attenta del metodo storico, al quale è essenziale la dimensione "genetica e diacronica",(11) è necessaria, non solo per definire teoreticamente il neoempirismo nella complessità dei suoi problemi e nella diversità e originalità dei suoi protagonisti, ma anche e soprattutto per valutare criticamente il suo ruolo e la sua funzione storica nell'ambito della filosofia contemporanea(12). L'acribia analitica e l'aderenza ai fatti nel loro divenire da parte della storiografia filosofica, non sono finalizzate esclusivamente ad una "lettura storica" (e tanto meno storicistica), ma possono svolgere anche la funzione di atti preliminari a nuove aperture teoretiche e problematiche.
2. L'aporeticità della filosofia come "sistema di atti"
Gli sviluppi della geometria nella seconda metà dell'800 e i risultati ottenuti dalla fisica nei primi trent'anni del '900, determinando la disgregazione" (13) della sintesi a priori kantiana, hanno operato da secondo coefficiente, insieme col Tractatus di Wittgenstein,(14) in quella che Schlick ha denominato "la svolta" (15) storica definitiva della filosofia, il trapasso cioè dalla filosofia come "sistema di proposizioni" (16), quale essa era stata da Socrate in poi, alla filosofia come "sistema di atti" (17). La scoperta della pluralità, e dunque della relatività, delle geometrie non-euclidee (Lobachevski, Gaus, Riemann) ne conteneva implicita un'altra, ancora più rilevante agli effetti della nuova rivoluzione copernicana nel neopositivismo, e cioè la scoperta della natura puramente analitica della geometria e la necessità di ricorrere all'esperienza per decidere quale fra i vari sistemi geometrici fosse il più adatto a descrivere il mondo fisico (18). La distinzione emergente tra geometria matematica costituita di proposizioni analitiche (a priori) e geometria fisica, possibile solo con sintesi empiriche (a posteriori) vanifica immediatamente la sintesi a priori kantiana. Infatti essa, nella struttura interna della Logica trascendentale, è funzionale, dal punto di vista epistemologico, alla giustificazione della universalità e necessità dei giudizi della scienza, cioè della geometria fisica (euclidea) e della fisica newtoniana. Una sintesi scientifica a priori -secondo i neopositivisti- veniva a rivelarsi, proprio nel dibattito della scienza militante, una contradictio in adiecto. Anche la sintesi storica di empirismo e razionalismo, operata da Kant era giudicata illusoria da tutti neopositivisti. Contro la tripartizione kantiana dei giudizi, la divisione delle proposizioni per sic et non dei neopositivisti e di Schlick discende logicamente dalla natura stessa del sapere: una proposizione è necessariamente (e disgiuntamente): o analitica a priori, o sintetica a posteriori. Le proposizioni della logica e della matematica sono analitiche e tautologiche, prive perciò di contenuto conoscitivo; le proposizioni delle scienze sono invece solo e necessariamente empiriche, cioè piene di contenuti e di informazioni sul mondo. L'alternativa, dunque, per le proposizioni della filosofia sull'essere, su Dio, l'anima, il destino dell'uomo, il valore delle azioni umane, è: o la riduzione distributiva alle asserzioni delle varie scienze, o l'insignificanza (Sinnlosigkeit). Esaurita in questo contesto la sua funzione e perduto il suo modo di essere come disciplina autonoma con contenuti specifici, la filosofia conserva paradossalmente il suo ruolo classico di "regina delle scienze" (19), assumendo, e in un certo senso quasi ritrovando, la sua funzione nativa e socratica di rendere consapevole l'uomo del significato di tutto il suo operare, e in particolare del suo operare scientifico. La teoria dei "quanti" di Plank, della relatività di Einstein, e soprattutto il principio di indeterminazione di Heisenberg, erano scoperte di tale portata epistemologica e umana che hanno indotto la scienza (e gli scienziati) a problematizzare radicalmente se stessa, a interrogarsi sulla propria natura e sul proprio statuto epistemologico, a controllare criticamente i propri procedimenti metodologici, ad affinare la propria terminologia, a porre e a riproporre in maniera chiara e univoca i termini, i fini e i presupposti della propria ricerca. Tutto questo insieme ordinato di "atti" costituisce -per i neopositivisti- la "nuova" filosofia. Essa è un momento interno ad ogni scienza, ed è il momento, sopratutto finale di riflessione critica (Besinnung), col quale si conclude il ciclo dell'uso scientifico della ragione. Lo scienziato, il fisico e il biologo, così come il politico e il sociologo, nel processo della sua ricerca, viene a trovarsi davanti a problemi, o si vede arrivare a conclusioni, che postulano un'analisi rigorosa, non solo del loro "status" semantico-epistemologico, ma anche del loro significato globale per l'uomo. La filosofia non è più dunque una scienza, ma la modalità di essere e di procedere criticamente di tutte le scienze. Schlick ha precisato, con formule dense e concise, la nuova funzione "arcontica" della filosofia e la nuova dimensione del lavoro dello scienziato-filosofo (20). Esso consiste non nel contemplare il mondo, e formalmente nemmeno nel trasformarlo, ma nel dare il senso autentico (Tätigkeit der Sinngebung) a tutto ciò che, come scienziati e uomini, diciamo sul mondo, nell'esercizio teoretico di contemplarlo per capirlo e in quello pratico del trasformarlo. Nella fase attuale della nostra civiltà, in cui la parabola della scienza e della tecnologia monodirezionale è arrivata al punto di saturazione dentro il sistema finito del mondo, la "Besinnung" critica, in cui Schlick ha identificato la nuova filosofia, nella sua duplice funzione: epistemologica sulle proposizioni della scienza; e analitica globale anche sulle proposizioni della vita quotidiana (linguaggio comune), ritrova non solo tutta una sua dimensione neoilluministica concreta, ma assume anche una superiore dimensione pratico-sapienziale, nel dover risolvere la dialettica tra scienza e vita. L'aporeticità della nuova filosofia emerge già a questo punto, cioè nel momento del suo porsi come analisi anche del linguaggio comune. In esso l'uomo "dice" la propria vita; e il "nuovo" filosofo, nelle sue operazioni di controllo logico sulla forma del "dirsi" della vita (universo linguistico comune), trova non solo l'immediato correlato semantico di quella forma, ma ritrova la vita stessa nella sua realtà storica effettuale, come oggetto e insieme come soggetto di quel "dirsi". Forzando, e utilizzando su un piano diverso, la celebre terminologia della logica del Frege, si potrebbe dire che c'è una dialettica strutturale interna, che partendo dalla forma simbolica (Zeichen o Wort) e passando attraverso il suo oggetto denotato (Bedeutung) e le connotazioni intensionali di esso (Sinn), termina nella realtà. La quale, con anteriorità logica rispetto al suo ripartirsi e costitursi in oggetti particolari distinti delle singole scienze, si pone fenomenologicamente nella totalità problematica del suo. divenire. Nella "nuova" filosofia, considerata proprio nel suo statuto fondamentale di attività analitica di tipo logico-semantico, è presente una tensione dialettica che tende ad integrarla in un'analisi di tipo "realistico" e implicitamente ontologico. In questo senso, la fase analitica è necessaria, ma non sufficiente, alla ricerca filosofica; e con questo non si nega che la filosofia nasca all'interno del processo scientifico, come esigenza di autochiarificazione razionale, e all'interno del discorso umano generale, come esigenza di chiarezza soggettiva e intersoggettiva, ma si vuol affermare solo che c'è una dinamica interna nel "sistema di atti" analitici, che dal "dirsi" delle cose (discorso comune + discorso scientifico) tende a trapassare e a terminare nel loro "darsi" (das sich Geben). Un'altra aporia, non rilevata o trascurata come irrilevante dagli studiosi di Schlick, è quella che nella formula schlickiana "System von Akten " inerisce al concetto di "sistema", nel momento in cui esso viene estrapolato dal contesto teoretico in cui è significante e assunto come predicato essenziale di un soggetto pratico (Akten). E' possibile cioè ordinare gli "atti" logico-analitici in un sistema organico, sia pure ipotetico-deduttivo, in maniera simile a quella in cui vengono ordinate le proposizioni conoscitive? Il ricorso ovvio e spontaneo alla predicabilità metaforico-analogica del termine e del concetto "sistema ", potrebbe essere uno dei modi di togliere l'aporia; ma in Schlick la formula è fortemente tecnica, perché è contrapposta alla formula classica "sistema di proposizioni" come l'unica alternativa possibile e necessaria, e come tale costitutiva dell'unica vera " svolta " definitiva (con una punta di polemica contro la pretesa rivoluzione copernicana di Kant) nella storia della filosofia. E' certo che, sul piano esecutivo della prassi, esiste una serie di "atti" che vengono posti in essere seguendo un progetto razionale e perciò ordinato e in senso lato anche sistematico; ma non è chiaro come all'interno della serie possa operare solo il nesso deduttivo, che è il costitutivo formale del sistema. L'aporia, in questo senso, si manifesta strutturalmente inerente al concetto di prassi come tale (non solo di prassi logico-analitica), perché l'ordine che lega fra loro gli atti della prassi non è puramente logico, ma è determinato anche e soprattutto da motivi extralogici. Nella formula schlickiana, l'aporia potrebbe essere interpretata come un segno di quella dialettica interna della "nuova" filosofia che da "sistema di atti", anche nelle Fragen der Ethik conserva un'intenzionalità oggettiva verso un "sistema di conoscenze". Questa tensione dialettica interna attraversa tutto il pensiero di Schlick, imprimendo ad esso il segno di una originalità propria, e rivelandone tutta la complessità e la natura compositiva. In rapporto a un certo monismo tematico di quasi tutti i membri del Wiener Kreis, la pluralità degli interessi culturali di Schlick può definirsi rilevante. Ciò è riconosciuto unanimemente dai critici (21) nelle valutazioni positive "concesse" al suo progetto, ma non agli esiti, delle Fragen der Ethik.
3. L'etica "filosofica" come analisi semantica del "discorso" morale
Nel Vorwort alle Fragen der Ethik, Schlick mette bene in rilievo come la rivoluzione operata dai sostenitori viennesi della "Wissenschaftliche Weltauffassung", ripercuotendosi sul quadro tradizionale delle discipline filosofiche autonome che facevano capo ai due poli, teoretico e pratico, della filosofia, dissolva definitivamente la concezione dell'etica, storicamente prevalsa da Aristotele e Spinoza, a Kant e a Rosmini (22). All'etica filosofica non rimane altra alternativa epistemologica se non quella di porsi come la dimensione o la fase analitica della nuova etica empirica e delle proposizioni delle morali storico-positive. Ecco, in forma logica abbreviata, la sua tesi nella prospettiva scientifica di fondo (Grundstimmung), assunta dalla nuova filosofia: anche l'etica, nella misura in cui essa è filosofica, non può che costituirsi come un insieme ordinato e coordinato di atti (Akte, Tätigkeit, geistige Akte), attraverso i quali, gli enunciati esprimenti valutazioni morali sull'uomo e sulle sue azioni rivelano, con chiarezza intersoggettiva, il loro autentico contenuto semantico (23). Questo passo programmatico del "Vorwort" segnala la problematicità di fondo della prospettiva etica schlickiana nel suo versante filosofico e la polisemia possibile di formule ricorrenti. Ad esempio: come interpretare i "geistige Akte" sulle proposizioni della morale storico-positiva, alla cui esecuzione la filosofia etica ha il compito di stimolare l'uomo comune? La formula è già stata interpretata (24) come un'implicita o inavvertita dichiarazione d'impotenza logico-semantica della etica schlickiana, una sua caduta in un paradosso analogo al "paradosso" del metalinguaggio del primo Wittgenstein (Tractatus, prop. 5. 64). Senza escludere questa ipotesi, valida soprattutto quanto al suo significato critico generale, se ne può avanzare un'altra, non opposta, ma forse parzialmente integrativa, che sembra suggerita dal testo e dal contesto. Schlick adduce come proposizioni esemplari della vita quotidiana (linguaggio comune) , sulle quali il lettore deve essere stimolato dal filosofo etico ad eseguire l'operazione della "Sinngebung" (dare ad esse il loro senso genuino e totale), costituita dai "geistige Akte", due giudizi tipici di valutazione morale: "questo uomo è di buona coscienza (Gesinnung) ", "quell'altro è pienamente responsabile delle sue azioni". In che senso l'opera Fragen der Ethik, in quanto è anche contemporaneamente un'opera di filosofia etica,(oltre che di scienza etica, come meglio vedremo ), ha la funzione di fornire al lettore gli stimoli (Anregungen) a compiere gli atti spirituali o intellettuali e attribuire tutto il loro significato alle proposizioni normative e valutative delle azioni morali? Le due proposizioni valutative, addotte come oggetti esemplari della filosofia etica, ottengono il loro significato completo ed ultimativo solo sul piano esecutivo delle azioni morali. Gli "atti" che il filosofo etico induce ed educa il proprio lettore a compiere per la semantizzazione totale dei predicati morali (semantica terministica) e della natura del loro rapporto col soggetto nella proposizione (semantica proposizionale) sembrano offrirsi - nel contesto schlickiano - ad una interpretazione in senso pratico pleniore, quasi vichiano. Infatti essi, in quanto operazioni formalmente logico-semantiche (versante logico proprio dell'attività filosofica), tendono estensivamente ed integrativamente ad inverare il loro contenuto semantico e a precisarlo nelle forme degli atti morali della nostra vita. L'affinità che Schlick ha creduto di dover sottolineare polemicamente (25) fra la sua posizione filosofica "rivoluzionaria" e quella di Socrate, trova in questa prospettiva ermeneutica una riconferma autorevole e puntuale. Nella professione storica socratica, infatti, la filosofia come tecnica logico-semantica, come arte del porre i problemi in termini "significanti", non è esaustiva di se stessa, ma solo preliminare al suo momento risolutivo dei suddetti problemi, e, indirettamente, funzionale rispetto alla prassi. Come ricercatore appassionato dei significati nel labirinto dei simboli etici e politici dell'Atene del suo tempo, Socrate, dialogando con i suoi concittadini, non intendeva iniziarli solo all'esercizio di operazioni logico-semantiche o concettuali, ma si proponeva, come fine, di "stimolarli" e di educarli a inverare il significato di termini e di principi morali, così analizzati, nella sfera esecutiva della prassi e, infine, nel dare forma all'esistenza. Il significato della "responsabilità", della "virtù" , del "coraggio" e degli altri termini che figurano nella tipologia socratica, è empiricamente dato e verificabile solo nelle azioni dell'uomo "responsabile", "virtuoso", "coraggioso". Il rinvio di Schlick alla storia di Socrate, in difesa della propria filosofia etica, non è certo immune da ambiguità. Esso non sembra (solo) il riconoscimento esplicito di un precedente metodologico, ma, indirettamente almeno, anche di un precedente logico. Le "contraddizioni" o le aporie delle Fragen, sono il riflesso, a livello fenomenologico, della "coscienza infelice" dell'etica empirica schlickiana, di una sorta di nostalgia teoretica delle proprie origini socratiche, del conflitto dialettico di fondo tra una dichiarata prospettiva empiristica radicale e una integrativa istanza razionale. L'iniziativa del soggetto che, a mio giudizio, è l'elemento differenziale di una parte del neoempirismo contemporaneo rispetto all'empirismo storico humiano, trova, nelle Fragen di Schlick, una significativa riconferma. Il tema va ripreso e svolto in sede di analisi epistemologica del criterio di significanza. Torniamo ora a descrivere in generale la funzione principe o, per così dire, i compiti specifici dell'etica filosofica o della filosofia etica in rapporto al piano semantico-fenomenologico dell'esperienza morale, articolato strutturalmente secondo una tipologia costante di enunciati: imperativi (devi rispettare gli altri), normativi (è necessario agire secondo ragione), valutativi (l'aborto terapeutico è un male?). Tutte le espressioni del discorso morale e tutte le concezioni morali storiche sono riducibili sotto una di queste tre forme tipiche. La filosofia etica compie il suo primo intervento nel campo fenomenologico della Erlebnis morale per dare ordine sistematico alla varietà e diversità degli enunciati storico-positivi. Essi sono riducibili sotto un unico assioma generale, o, sotto una pluralità di assiomi, in una pluralità di sistemi paralleli, (26) secondo una gerarchia di norme e di regole. Alla fase storico-positiva della ricerca etica, Schlick assegna inoltre il compito di esplorare il significato dei termini morali primari: immorale e morale (o egoistico e altruistico). Per denotare questa seconda operazione intellettuale di ricerca, Schlick usa, sparsamente nelle sue opere, le seguenti formule: Aufsuchung, Aufdeckung, Aufweisung, Aufstellung, Feststellung, Begriffsbestimmung, Fragestellung (27). Non è difficile rintracciare in queste formule, lette in progressione, una descrizione segmentata dell'itinerario metodologico della ricerca etica. Il rilievo lo ritengo essenziale per una esatta valutazione critica delle Fragen. Il testo, infatti, alla prima lettura, lascia l'impressione di una scientificità rigorosa, ma senza storia,incapace cioè di cogliere con analisi, per così dire, stratigrafiche, le variabili interne di una area semantica di fondo, derivanti dal tempo e dalla spazio. Non esistono nel testo schlickiano passi esemplari d'indagine storica sull'evoluzione semantica dei termini morali in rapporto alle loro coordinate storico-culturali. E tuttavia Schlick ne ha formulato esplicitamente il principio e ne ha disegnato in sinopia il modello teorico. Egli sottolinea che i concetti morali sono essenzialmente storici. Il bene e il male hanno un altissimo coefficiente di relazione a " popoli diversi (verschiedenen) , ad epoche diverse, ai sapienti e ai fondatori di religioni diverse" (28). La storia dei costumi può presentare perfino sistemi morali incompatibili fra loro (Unverträglichkeit) "ad esempio: la poligamia viene approvata come morale in un certo contesto di cultura, e considerata come crimine in un altro" (29).
4. I coefficienti di variabilità semantica dei termini e delle proposizioni morali: storia e società.
Fra i termini e le proposizioni dei sistemi morali e i termini e le proposizioni delle scienze e soprattutto della matematica esiste una differenza essenziale. Infatti, mentre nei primi la relazione semantica ha come punto di arrivo una realtà storica, e quindi diveniente e variabile in funzione di precise coordinate storiche, antropologiche e sociologiche, nei secondi invece essa è un rapporto referenziale, univoco, immutabile, secondo una "regula significandi" fissa (30). Schlick è talmente consapevole dell'impossibilità di impostare i problemi etici (scientifici) senza una previa (e concomitante) ricerca storico-sociologica dei significati dei predicati morali, da ritenerla ovvia e presupposta nelle Fragen. L'Aufsuchung nel labirinto dei simboli morali può arrivare all'Aufstellung e alla Begriffsbestimmung in ordine ad una nuova e significante Fragestellung, solo a condizione che sia svolta secondo un rigoroso metodo storico genetico-diacronico. Senza il momento genetico di preparazione propedeutica (vorbereitende Aufgabe) non è possibile il momento propriamente scientifico dell'etica, cioè il momento "costruttivo" (incoativamente presente nell'operazione dell'Aufstellung successiva a quella euristica dell'Aufsuchung dei significati), ipotetico-deduttivo, già anticipato storicamente e operante nelle opere socio-logico-politiche di Hobbes (31). Schlick avverte però con particolare sensibilità che bisogna evitare l' errore delle etiche razionalistiche, (tipizzate in quella "geometrica" di Spinoza e in quella formalistica di Kant) di impostare il problema morale su termini assunti secondo un loro significato a priori. Per Schlick non ha senso una semantizzazione razionalistica; è convinto che a dare un significato ai termini morali non è la ragione pura pratica, secondo una sintesi a priori morale, ma è l'uso storico di essi. Una raccolta sistematica "di tutti i casi del suo uso (Gebrauches) in epoche, popoli, ambienti e situazioni diversi, porterebbe ad un sistema di norme (o anche a una pluralità di sistemi) su cui dovrebbe poi orientarsi la spiegazione causale (Kausalerklärung) dell'etica" (32). Va rilevato come questo sia uno dei passi più notevoli delle Fragen, perché vi si dichiara esplicitamente che il lavoro del filosofo, come ricercatore dei significati delle parole, non è da identificare col lavoro del linguista o del glottologo. L' analisi logico-semantica è un momento di mediazione nella ricerca scientifica, il cui punto di partenza è sempre necessariamente situato sul piano fenomenologico del linguaggio. Ma obliquamente l'analisi semantica dei termini morali (simbologia e tipologia della Erlebnis morale) si fa necessariamente etico-sociologica e, per estensione, anche psicologica (momento formalmente scientifico dell'etica, secondo Schlick). I termini morali sono dati e significanti all'interno di un sistema (ad esempio: quello veterotestamentario dei dieci comandamenti biblici), il quale appartiene alla storia del costume e, dunque, del sapere umano, e costituisce -come diceva Brunschwicg -il "laboratorio" del filosofo, cioè il luogo dove il filosofo deve semantizzarli e verificarli per definirne il campo denotativo e connotativo. E' proprio al livello della connotazione fregeana, cioè del Sinn che si apre l' area dei riferimenti semantici dei termini e delle proposizioni morali, storicamente assunti, verso contesti socio-economici, verso strutture socio-politiche, in cui i termini sono nati e che su di essi agiscono come coefficienti di variazione semantica. Il termine "bene" , come predicato del soggetto umano e delle sue azioni, varia notevolmente, se non sostanzialmente, di significato in rapporto quasi funzionale con i mutamenti che intervengono nelle strutture dei gruppi umani. Dalla stessa prospettiva schlickiana, Reichenbach rileverà esplicitamente (33) che l'etica di Kant è la codificazione delle convinzioni morali della classe piccolo-borghese prussiana cui egli apparteneva. Con tutte le riserve per la massiccia affermazione reichenbachiana di parallelismo perfetto e di quasi sovrapponibilità geometrica tra sistemi morali e strutture sociali, è tuttavia empiricamente osservabile tra di essi una corrispondenza semantica, variamente interpretata e descritta, e ancora interpretabile e descrivibile, soprattutto dopo le acute indicazioni metodologiche weberiane sul rapporto tra concezioni etico-religiose e strutture economico-sociali (34). La "storia e l'etnografia -nota Schlick (35), ma noi dobbiamo aggiungere: l'antropologia culturale e la biologia (36) - scoprono questa molteplicità di rapporti che legano le convinzioni morali alle trame di fondo del tessuto culturale e sociale, come i mille fili il naufrago dei racconti di Swift alla spiaggia dell'oceano indiano. Il discorso morale, soprattutto nelle sue forme tipologiche costanti, è come un archivio in cui la storia è venuta depositando in stratificazioni successive, in sintesi sempre più comprensive, l'intuizione dell'uomo sulla vita, la concezione dei valori e delle responsabilità, del bene e del male, l'aspirazione alla felicità. L 'uso storico dei termini non solo registra una variazione, una differenza o una diversità del significato, per così dire, istituzionale di essi, ma accoglie in sé, dialetticamente, perfino concezioni opposte. Una storia dell'agatologia - per usare il termine rosminiano - documenterebbe l'uso dialettico del termine bene (nelle diverse lingue), piegato fino a significare contenuti incompatibili. Il bene dei Cirenaici e dei Cinici, di Socrate e del naturalismo greco in genere non è certo semantizzabile sulla stessa linea del bene cristiano, e tantomeno kantiano e scheleriano, che sono i termini di riferimento polemico dell'agatologia schlickiana nel tentativo di proporsi come un ritorno alla concezione socratica del bene ed ad un'impostazione greca, stoico-epicurea, del problema morale (37). Del resto, Pascal dirà: "Ciò che è bene al di qua dei Pirenei, è male al di là di essi".Già in Platone e in Aristotele, Schlick sembra intravedere il crepuscolo della concezione del bene, come bene di tutto l'uomo e non solo della sua parte razionale. Il dualismo platonico è dunque all'origine non solo di quella crisi dell'ontologia parmenidea che Heidegger (38) ha chiamato l'oscurarsi del senso (Sinn) dell'ente, ma anche della crisi dell'agatologia monistica e naturalistica. La dissociazione concettuale della nozione di bene come predicato universale dell'essere (il trascendentale dei Medievali e la primalità del Campanella) dalla nozione di bene morale come predicato esclusivo dell'agire dell'uomo in quanto uomo (e non in quanto tecnico), si va consumando, nella storia del pensiero occidentale, fino a culminare in un'opposizione radicale di contrarietà dei due termini nel formalismo kantiano. Nella Critica della ragione pratica, il bene morale è una sintesi a priori pratica, senza cioè alcuna contaminazione empirica. In un celebre passo della sua opera (39), che ne costituisce come un intermezzo analitico-semantico di notevole interesse, Kant rileva come la "conflittualità" semantica del termine "bonum" trovi una "fortunata" soluzione nello sdoppiamento del simbolo linguistico della lingua tedesca: "a bonum corrispondono, cioè, das Gute e das Wohl; a malum, das Böse e das Übel (o Weh)". Ma il conflitto semantico, che ha portato alla dissociazione simbolica, rinasce all'interno del bene morale (das Gute), perché un popolo approva come doverosa la medesima azione che un altro popolo condanna come crimine. Schlick rileva (40) la fluidità delle nozioni morali dei popoli in guerra, o di popoli a diverso livello di civiltà tecnologica. La morale dell'europeo non è quella dell'africano. La ragione pratica non è a priori, ma essenzialmente storica ed è un soggetto collettivo. "Nella società umana si chiama (heisst) bene ciò da cui essa crede (glaubt) di ricavare la felicità (Glück) massima" (41). La prospettiva è relativistica, ma non in senso protagoreo, ma nel senso prospettico e storico della scienza empirica. E' sulla base dell'osservazione empirica delle azioni umane e degli effetti di felicità o d'insuccesso che esse producono, che si attribuisce un coefficiente di probabilità al "glauben" e si fonda induttivamente la legittimità dell'"heissen" . Di una azione umana è predicabile il bene nella misura in cui essa non è venuta meno all'attesa di felicità empirica e storica della società. Ma la società non è un tutto omogeneo e immutabile: essa è costituita di classi, egemoni e subalterne; è storicamente e culturalmente individuata e differenziata. Conflitti di classe, interessi culturali e sviluppi scientifici diversi, sono le variabili che agiscono sulla costante semantica dei termini morali, connotanti tutti -secondo Schlick- la felicità e l'utilità sociali. Alcune analisi, condotte dal punto di vista marxista dal celebre scienziato e filosofo tedesco-orientale R. Havemann, hanno dato risultati convergenti, anche se non identici, con quelli ottenuti da Schlick. Il significato e l'uso storico dei termini morali riflette la struttura di classe di una società: "la morale è [talvolta] la forma più perfetta di occultamento delle vere condizioni sociali. Essa interviene più profondamente nella vita dell'anima umana. Gli imperativi morali derivano dalle necessità che la società deve imporre per poter sussistere. Prendiamo i dieci comandamenti di Mosè. Il loro contenuto è in gran parte storicamente condizionato. (...) Il comandamento "non rubare" significa naturalmente: io non voglio essere derubato. Una società in cui esiste la proprietà privata deve badare che questo comandamento sia rigorosamente osservato" (42). La coincidenza con Schlick è significativa nell'interpretazione degli imperativi soprattutto negativi, ossia dei divieti morali. " Non rubare": è la forma simbolica in cui si trascrive il desiderio o la volontà di un soggetto collettivo che pone le condizioni oggettive della sua conservazione nell'essere. La morale dei divieti o "della rinuncia" (Entsagung), contro la quale polemizza Schlick (43) in favore di una morale positiva (Selbsterfüllung), riflette chiaramente le sue origini empiriche e storiche di classe. A questo punto sono chiari gli esiti possibili della ricerca semantica schlickiana in diverse direzioni scientifiche: dalla sociologia alla psicologia, alla quale, secondo Schlick, appartiene l'etica scientifica. Il suo compito essenziale -come s'è detto- è la risposta a questa domanda che rinvia a riflessioni di sapore aristotelico e socratico: " perché l'uomo agisce moralmente?". Il compito anche psicologico della ricerca filosofica sulle proposizioni e sui sistemi morali storicamente dati, è, nella prospettiva schlickiana, logicamente necessario. Dopo aver scoperto che cosa intendono gli uomini e che cosa "occultano", spesso, le classi sociali, storicamente e culturalmente individuate, sotto gli imperativi e i predicati morali, sorge la "meraviglia" aristotelica del come e del perché gli uomini orientino ed operino le loro scelte più profondamente personali in direzione e in ossequio razionale di quei significati scoperti o inventati e creati dalla società. Schlick ha dedicato gran parte della sua opera (44) a chiarire i modi di assunzione degli interessi sociali nelle scelte individuali. Il processo di omologazione e di assimilazione è analizzato con metodo rigorosamente psicologico e con intenzioni pedagogiche. Bisogna educare gli uomini a identificare i propri interessi con que1li della comunità e della collettività internazionale. Nello stesso momento in cui Schlick proponeva con la ragione la sua etica del bene comune, la storia di Hitler e della borghesia tedesca andava imponendo con la forza la morale mitica dell'interesse "esclusivamente" nazionalistico, sotto il quale dovevano essere ridotti gli interessi di tutti gli altri popoli.
5. La definizione del bene morale come oggetto della "scienza" etica
Le Fragen der Ethik progettate da Schlick secondo la prospettiva teoretica e metodologica della "wissenschaftliche Weltauffassung", si propongono come un'opera di ricerca etica a due dimensioni: una filosofica e una scientifica (45). Della dimensione filosofica, definita da Schlick "sistema di atti", si è già detto; si è avanzata l'ipotesi che essa sia pensabile, sulla base di una "lettura in sviluppo" delle Fragen e di tale formula dell'ambiguità pregnante e dialettica, come un insieme coordinato di atti analitico-semantici, tesi a integrarsi nella prassi morale. La risposta, cioè, alla domanda che cosa significhi giustizia e democrazia, è data esaustivamente, senza residuati semantici, a livello dell'empiria storica nelle azioni dell'uomo che pratica la giustizia distributiva e gestisce il potere in compartecipazione con tutti. Allo stesso livello della condotta morale, si apre la dimensione scientifica dell'etica come problematizzazione e "spiegazione giustificativa (Erklärung) del valutare e dell'agire morali" (46).
Per chiarire il rapporto tra l'etica filosofica e l'etica scientifica, che si presta ad essere interpretato come una realizzazione non perfettamente univoca del rapporto generale tra filosofia e scienza (47), il concetto geometrico di "dimensione" si presenta particolarmente utile. Infatti, la filosofia neopositivistica e schlickiana della "svolta" è una funzione distinta, ma non separata né separabile, dalla funzione formalmente scientifica della ricerca. La formula interpretativa del Geymonat: "...l'indagine filosofica non precede, secondo Schlick, ma segue (o accompagna) quella scientifica" (48), se è esatta dal punto di vista teoretico, in via iudicii, deve tuttavia essere precisata in via inventionis, se la si intende cioè come una formula descrittiva del procedimento concreto di ricerca. La precisazione è richiesta da una considerazione filologica più attenta di alcuni passi del testo schlickiano, ma soprattutto dal modo in cui Schlick ha esercitato in concreto la professione del filosofo e ne ha compiuto il lavoro nelle Fragen der Ethik. Nello scritto teoretico e programmatico Die Wende der Philosophie, Schlick asserisce: "Dalla filosofia le proposizioni vengono esplicate, e dalla scienza vengono verificate. Qui si considera la verità degli enunciati; là che cosa propriamente quegli enunciati significhino. Il contenuto, l'anima e lo spirito della scienza hanno ovviamente la loro base, in ultima analisi, nel senso effettivo delle sue proposizioni; la specificazione del senso è pertanto l'attività filosofica, che costituisce l'alfa e l'omega della conoscenza scientifica. Ciò è stato, in effetti, rettamente supposto, quando si disse che la filosofia fornisce tanto il fondamento (Grundlage) quanto il vertice (Abschluss) dell'edificio delle scienze" (49).
Nelle Fragen, il già ricordato momento filosofico della ricerca dei significati (Aufsuchung), della loro scoperta (Aufdeckung), del loro coglimento dinamico (Aufstellung), del loro contenuto istituzionale (Feststellung), e il momento propriamente definitorio (in cui le operazioni precedenti culminano) della Begriffsbestimmung, precedono il momento scientifico della problematizzazione (Fragestellung) e della spiegazione causale (Kausalerklärung) dei fenomeni morali (50). Le definizioni sono dunque soltanto mezzi al fine (= scienza); esse stanno "all'inizio (am Anfang) del compito propriamente conoscitivo (Erkenntnisarbeit); se l'etica terminasse ad una definizione (del bene), sarebbe al massimo la parte propedeutica ad una scienza (Vorstufe), ed il filosofo dovrebbe interessarsi soltanto di ciò che viene dopo di essa" (51). Il testo è notevolissimo per due motivi: primo, perché asserisce la priorità strumentale, sul piano tecnico-esecutivo, della definizione filosofica sulla giustificazione scientifica di un oggetto (nella fattispecie: il bene morale o l'azione umana in quanto moralmente buona); secondo, perché respinge vigorosamente, nel contesto, l'interpretazione riduttiva e banale, non poco diffusa, della rilevante e qualificante tesi neopositivistica che "i problemi filosofici sono problemi linguistici". La proposizione non asserisce un'equivalenza; la filosofia è sì, in qualche modo, anche glottologia; ma solo nel suo esordio esecutivo, poi le sue operazioni specifiche si svolgono e si sviluppano come funzioni interne di una scienza specifica, come momenti chiarificatori e illuministici di essa. Come aveva già rilevato G. E. Moore nei suoi Principia Ethica del 1903, che sono all'origine dei contemporanei sviluppi oxoniensi della filosofia analitica, il compito del- l'etica non è riducibile a quello semantico della "scienza del linguaggio" (52). Infatti, l'analisi semantica e definitoria dei termini e dei principi morali si apre in verticale, sia verso l'esplorazione del sottosuolo economico e della struttura (o, marxianamente, sovrastruttura) socio-culturale e politica che in essi si rispecchiano, sia verso la Erkenntnis dell'oggetto così definito. Erkenntnis (conoscenza scientifica) è il termine tecnico con cui Schlick definisce l'operazione concettuale che il ricercatore etico compie sull'oggetto (bene) della propria indagine, e la funzione propria dell'etica in quanto scienza (Wissenschaft). Nella prospettiva epistemologica schlickiana, già illustrata nell'indagine sul rapporto tra Erleben (esperire) e Erkennen (conoscere), emerge così la distinzione dell'etica dalla morale e la irriducibilità dell'una all'altra. L'etica, in quanto si presenta come scienza, è puramente teoretica (53), e poiché il sistema delle proposizioni che la costituiscono "si riferisce al comportamento (Veralten) degli uomini, il campo scientifico cui esse appartengono è quello della psicologia" (54). Schlick sottolinea il rischio storico dell'etica di trasformarsi in morale, e il grande pericolo per il ricercatore di "trasformarsi in moralista e in predicatore" (55). La morale sta all'etica, come l'Erleben sta all'Erkennen, cioè come l'esperienza vissuta (individuale e soggettiva) alla conoscenza concettuale (universale e intersoggettiva).
Nelle Fragen, il rapporto tra i due poli dell'attività conoscitiva, già oscuro nelle opere schlickiane più propriamente epistemologiche (56), acquista una nuova tensione dialettica. Infatti, la definizione del bene morale, che è il punto d'incontro o di origine delle due dimensioni dell'etica, e sta ad esse come l'angolo retto sta ai due lati che lo formano, è l'ultimo atto di un processo che si articola in una serie di suddefinizioni dal complesso al semplice; in quanto tale, esso è un atto estensivo, ossia materialmente indicativo di un oggetto non ulteriormente definibile per simboli concettuali, e dunque solo esperito ed esperibile (cioè oggetto residuale di Erlebnis o di Kenntnis). "Ogni indicazione (Angabe) di un significato (chiamata "definizione") deve condurre ultimativamente, attraverso una serie di suddefinizioni, ad una immediata (unimittelbaren) indicazione (Aufweisung) del significato, la quale è effettuabile solo mediante un'azione reale, un agire fisico o spirituale" (57), cioè sul piano ontico e, per estensione, pratico.
L'esito finale deittico-ostensivo del procedimento definitorio, mentre preserva il procedimento stesso dalla contraddizione di un regresso all'infinito, apre un'altra rilevante aporia nell'etica schlickiana o per lo meno rende problematico il suo punto di partenza. Che cos'è, infatti, il bene morale che essa esplora conoscitivamente, come suo oggetto proprio? Schlick risponde con un'analogia. Come la biologia e la fisica (l'ottica), rispettivamente scienza della vita e della natura (della luce), non "costruiscono" kantianamente il loro oggetto, ma "lo trovano nell'esperienza (in der Erfahrung des Lebens), come materiale da elaborare" (58), così l'etica trova il suo oggetto, il bene morale, già dato e costituito, e quindi osservabile (come la vita e la luce nella natura), nell'esperienza storica dei popoli, nelle intuizioni dei predicatori, dei profeti e dei moralisti, che sono i geni creativi della morale (59). La nozione del bene morale si offre alla scienza secondo una duplice caratterizzazione: formale e materiale. Il bene si presenta " sempre come ciò che viene comandato (das Gebotene) e il male come il proibito (das Verbotene). Buone sono le azioni che ci vengono richieste, o pretese. O, come viene affermato da Kant in poi: buone sono quelle azioni che noi dovremmo (sollen) compiere" (60). La ricerca dell'autore del comando e del divieto ha dato storicamente risultati diversi. "Nell'etica teologica questo autore è Dio... Nell'etica filosofica tradizionale prevale l'opinione che l'autore è, per esempio, la società umana (utilitarismo) o lo stesso soggetto agente (eudemonismo) o anche nessuno (imperativo categorico). Di qui deriva la dottrina kantiana del "dovere assoluto" (absoluten Sollen), cioè di una richiesta senza richiedente" (61). Nella Critica della ragione pratica di Kant e in ogni altra impostazione razionalistica del problema morale, ad essa riconducibile o affine, Schlick vede l'antitesi e la negazione di ogni etica scientifica, al punto che le Fragen potrebbero essere "lette" come il più vigoroso tentativo storico di confutazione dell'opera kantiana, condotto com'è sul piano stesso della sua possibilità logico-semantica, prima che epistemologica (62). Per la caratterizzazione materiale del bene morale, Schlick rinvia - come s'è visto - alla storia sociale e del costume. Essa è data storicamente come contenuto delle norme, e dunque della volontà e del desiderio, create dal legislatore morale.
Esso è per Schlick, in definitiva, sempre un soggetto collettivo: la società, la quale identifica il bene morale con l'utilità e la felicità sociali (63). Definito così il bene morale, secondo un modello teorico per così dire ilemorfico ispirato dalla fisica aristotelica, e giunto, attraverso le sue fortune medievali, fino a Kant che ne ha generalizzato l'applicazione, resta da chiarire il come e il perché delle valutazioni, delle scelte e delle azioni morali di un soggetto, individuale e personale, secondo norme e principi universali.

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(1)Gli scritti inediti di Schlick, relativi più che altro alla sua We1tanschauung sono stati conservati nell'archivio Wiener-Kreis dell'Università di Amsterdam, diretto dal Prof. H. Mulder. Cfr. in proposito A. IOLY PIUSSI, Introduzione a M. SCHLICK, Problemi di etica e aforismi,trad. it., Patron, Bologna, 1969, pp LXII-LXIV. Nelle pagine successive vedi l'elenco complessivo delle opere di Schlick; infine (pp. LXX-LXXII) la bibliografia su Schlick, aggiornata fino al 1969; dal 1969 a oggi, cfr., M. CAMBULA, Moritz Schlick tra verità di ragione e verità di fatto, in M. SCHLICK, L'essenza della verità secondo la logica moderna, trad. it., a cura di M.Cambula, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001.
(2) Un primo tentativo di "Bilancio dell'empirismo contemporaneo" fu fatto in Italia al XXIV Congresso Nazionale di Filosofia, tenutosi a L'Aquila dal 28 aprile al 2 maggio 1973. Schematizzando al massimo, si può dire grosso modo che dal quel dibattito sono emerse fino ad oggi due posizioni: una di maggioranza, tendente a identificare l'empirismo contemporaneo con una riedizione dell'empirismo classico (Locke-Hume) e a ritenere esaurita la sua funzione storica; l'altra di di minoranza, sostenitrice di una maggiore ricchezza e complessità di motivi del neoempirismo rispetto all'empirismo tradizionale, per una più rilevante presenza in esso dell'" iniziativa del soggetto " (M. Dal Pra). Cfr. Atti del XXIV Congresso Nazionale di Filosofia, 2 voll, 3 tomi, Roma, Società Filosofica Italiana, 1973-1974; M. Cambula, Moritz Schlick tra verità di ragione e verità di fatto, op. cit., pp. 12-23.
(3) Il metodo accennato non richiama quello per "monografie" del Croce, ma piuttosto, e solo per analogia, il celebre e oggi molto diffuso metodo teorizzato e adottato dagli storici della rivista Annales d'histoire economique et sociale, pubblicata a Parigi dal 1929. Protagonisti del rinnovamento metodologico della ricerca storiografica, promosso dalle Annales, furono i due primi direttori: M. BLOCH e L. FEBVRE.
(4) Cfr. G. MORRA, Il problema morale nel neopositivismo, Manduria , Bari-Perugia 1962. Nel cap. su L'edonismo di M. Schlick (pp. 37-48), muovendosi nella prospettiva critica di Pietro Chiodi, secondo il quale Schlick ha proposto un "natura1ismo carico di ipoteche metafisiche e di implicazioni romantiche" (Riv. di Filos., 45, 1954, p. 34), il Morra non solo rileva i "limiti" dell'etica dello Schlick nella sua derivazione "da1l'empirismo inglese e dalla sociologia positivistica" (p. 44), ma afferma "la impossibilità di derivare un'etica coerente dalle premesse speculative del neopositivismo" (p. 47).
(5) Cfr. A. IOLY PIUSSI, Introduzione all'ed. it. delle Fragen der Ethik, op. cit., pp. XXIX-LX. L'autrice sviluppa a fondo la critica del principio di significanza fino a definirlo "contraddittorio" e ad affermare "l'insignificanza del criterio di significanza" (p. XXIX) e che "l'etica come scienza autonoma non pare trovar posto all'interno della prospettiva schlickiana" (p. LX). Tale critica, abbastanza comune tra gli studiosi, è confutata da G. PRETI, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino, 1957.
(6) Cfr. F. BARONE, Il neopositivismo logico, nella prima edizione di "Filosofia", Torino, 1953. A pag. 194: " Nella prospettiva dello Schlick non c'è la possibilità formale di formulare il problema etico, di rendere significante l'espressione di norme morali: [...] Le affermazioni di Schlick: "è naturale per l'uomo essere buono" ed " egli non può attirare a sé la felicità, ma può disporre l'intera sua vita in modo da essere pronto a riceverla se essa viene", sono contraddittorie tra loro".
(7) I numerosi saggi di epistemologia, sia anteriori, sia posteriori alle Fragen der Ethik (1930), sono tutti indistintamente dedicati ad analizzare la struttura e i procedimenti delle scienze fisiche e il loro significato per la filosofia. Ricordo i più notevoli prima del 1930: 1) Die philosophische Bedeutung des Relativitätsprinzip (1915), in "Zeitschrift für Philosophie und philosophische Kritik ", 159, pp. 129- 175; 2) Raum und Zeit in der Gegenwärtigen Physik. Zur Einführung in das Verständnis der Relativität- und Gravitationstheorie, Berlin 1917, p.114; 3) Die Relativitätstheorie in der Philosophie, in " Verhandlungen der Ges. deutscher Nature delle forscher u. Àrtzte, 87. Vers., 1922; 4) Kritizistiscbe oder empiristische Deutung der modernen Physik? , in " Kantstudien ", Berlin, 26, pp. 96-111. Questo saggio è forse il più " topico " per una definizione storica dell'empirismo di Schlick e del rapporto ragione-esperienza nella costituzione del sapere scientifico; 5) Erkenntnistheorie und moderne Physik, in " Scientia ", 45, pp. 307-316.
(8) Proposte e tentativi di utilizzazione del sistema assiomatico hilbertiano e deI teorema di Godel in campo etico sono chiaramente rintracciabili in Fragen der Ethik, cit., p. 13. Illustrando il senso in cui l'etica può essere un sistema di norme, Schlick ne rileva la " natura " nur relativhypotetisch, nicht absolut " con la conseguente impossibilità di giustificarlo logicamente a11'intemo di sè stesso: " der Ursprung der Normen liegt immer ausserhalb und vor der Wissenschaft ".
(9) Cf. M. SCHLICK, Tra realismo e neopositivismo, trad. it, il Mulino, Bologna 1974, Introduzione di L. Geymonat, p. 15.
(10) M.SCHLICK, Problemi di etica e aforismi, trad. it., cit. p. 150.
(11) A. PASQUINELLI, Introduzione a Carnap, Laterza, Bari, 1972, p, 115.
(12) Cfr. P, PARRlNI, Per un bilancio dell'empirismo contemporaneo: contributo alla storia del positivismo logico, in "Riv. crit. di storia della filosofia ", A. XXXI, Fasc. II, aprile- giugno 1976, pp. 193-239. Contro la tesi che identifica il neoempirismo col riduzionalismo, di cui sembra incontestabile la crisi definitiva, l' A. dimostra con metodo storico rigoroso come fin dalle origini abbiano operato in esso due componenti per così dire dialettiche: quella riduzionista di derivazione "Mach.-Russell-Wittgenstein"; e quella, più sotterranea, di tipo ipotetico-deduttivo, "Poincarè - Duhem", che ha operato poi già dal "secondo" Carnap nel processo di "liberalizzazione" del principio di verificazione in direzione di un recupero più consapevole dell'aspetto teorico o inventivo-creativo della ricerca scientifica, concedendo maggiore spazio epistemologico alla "iniziativa del soggetto " sottolineata da M. Dal Pra al XXIV Congresso Nazionale di Filosofia (L'Aquila 28 aprile-2 maggio 1973) nella sua comunicazione: L'empirismo contemporaneo e I'iniziativa del soggetto (Atti, cit., vol. II, t. I, pp. 26-33). Del Parrini è parimenti metodologicamente (ma non solo) esemplare e ricca di indicazioni e di stimoli l'opera: Linguaggio e Teoria. Due saggi di analisi filosofica, Firenze, La Nuova Italia 1976. Per un'analisi comparativa del neopositivismo di Schlick e del positivismo dell'800, v. H. RUTTE, Moritz Schlick, der Positivimus und der Neopositivismus, in " Zeitschr. für Philosophische Forschung ", Bd. 30, Hft. 2, April- juni 1976, pp. 246-268.
(13) Cfr. H. REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica, trad. it., Il Mulino, Bologna 1974, pp. 133-149 (cap. 8: La natura della geometria).
(14) Cfr. A. ]ANIK-S. TOULMIN, Wittgensteins Vienna, trad. it., Garzanti, Milano 1975. Tesi centrale dell'opera: "L'uso viennese " del Tractatus, ossia l'interpretazione neoempiristica datane dagli aderenti al Circolo di Vienna, è stato determinato da un clamoroso fraintendimento del significato dell'opera, che secondo la mens dell'autore: doveva essere la conclusione della fìlosofia trascendentale di Kant.
(15) M. SCHLICK, Die Wende der Philosophie, in Ges. Aufs., cit., pp. 31-40; trad. it., in: M. SCHLICK, Tra realismo e neopositivismo, Il Mulino , Bologna 1974, pp. 27-34.
(16) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, cit., Vorwort, p. III. La formula "System von Aussagen", (lett.: sistema di enunciati), è ricorrente nei testi schlickiani con la variante "Satz" (= proposizione significante di un contenuto specifico e capace quindi di essere verificata o falsificata) o "Erkenntnis " (conoscenza concettuale, simbolica, sistematica).
(17) M. SCHLICK, Die Wende der Philosophie, op. cit., p. 36. La formula è "System von Akten", con le varianti: Tätigkeit, Handlung, Tun.
(18) Per la discussione dell'intero problema e per la funzione risolutiva che in esso hanno le nozioni di "congruenza" e le definizioni di "corrispondenza", vedi H. REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica, trad. it., Il Mulino, Bologna 1974, pp. 136-142.
(19) M. SCHLICK, Die Wende der Philosophie, cit., p. 36: "die Koenigin der Wissenschaften"; cfr. la trad. It., Tra realismo e neopositivismo, op. cit., p.56
(20) M. SCHLICK, Die Wende der Pilosophie, cit., pp. 34-37. Ecco le formuIe ricorrenti nel descrivere in maniera articolata le funzioni della filosofia: a) den Sinn der Aussagen feststellen oder aufdecken (p. 36); b) die Sätze klären (p.36); c) Analyse des Sinnes der Aussagen (p. 37); d) die sinngebende Akte (p. 38). E' ovvio che la funzione analitica qui dichiarata include una pars destruens che consiste nell'emarginare la metafisica, l'etica e la religione dal discorso scientifico e da tutto l'universo del discorso umano dotato di senso.
(21) Incompleta la valutazione di Schlick in: G. GREWENDORF und G. MEGGLE, Seminar: Sprache und Ethik, Zur Entwicklung der Metaethik, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M., 1974. Gli autori nell'introduzione (Zur Struktur des Metaethischen Diskurses, pp. 7-31) a questa agile, rapida, essenziale scelta antologica di filosofi analitici anglo-americani, riducono la concezione etica di Schlick alla teoria emotiva di Camap e di Ayer (pp. 14-15).
(22)Il richiamo a Rosmini, a mio avviso, è essenziale per capire i possibili esiti dell'istanza razionalistica nell'etica, presente già in Aristotele e negli Stoici, esasperata ;in direzione ontologica nell'ordine geometrico spinoziano e in direzione trascendentale nel formalismo di Kant. Il personalismo cristiano, immesso dal Rosmini nel razionalismo, sembra aver operato da elemento di equilibrio teoretico nella correzione del formalismo, come appare dalla sua ripartizione dell'Etica in: I. Etica pura e II. Etica applicata. Esemplare, dal punto di vista sistematico, è la suddivisione dell'Etica pura in: Parte I. Nomologia pura [...]; Parte II. Antropologia. morale [...]; Parte III.. Logica morale [...]. Cfr A. ROSMINI, Principi della scienza morale, a cura di M. F. SCIACCA, Sansoni, Firenze 1946, pp. 43-45. La terza parte può considerarsi un'istanza genialmente precorritrice dell'attuale logica deontologica (v. i quattro operatori normativi P ( = è permesso), F ( = è probito), O ( = è obbligatorio, I ( = è indifferente), di G. H. Von WRIGHT, An Essay in Deontic Logic and the General Theory of Action, North-Holland, Amsterdam 1968.
(23) Una " lettura in sviluppo " delle Fragen der Ethik di Schlick credo sia filologicamente fondabile sull'uso ricorrente di Sinn (non di Bedeutung). Il termine, nel contesto etico schlickiano, non è chiuso a una contaminazione di forme di discorso sociologico e morale, e anche ideologico; mi pare anzi riflettere quella sana ambiguità di fondo che solca il pensiero etico di Schlick, teso a integrare il discorso assiologico nel discorso scientifico.
(24) Cfr. A. IOLY PIUSSI, Introduzione a1l'edizione italiana delle Fragen der Ethik, op.cit., pp. XL-XLI.
(25) Cfr. M. SCHLICK, L'ècole de Vienne et la Philosophie traditionelle, in "Ges. Aufs.". op.cit., pp. 296-398; vedi anche: The future of Philosophy, ivi, pp. 122-126.(Ora in trad. It., a cura di M. Cambula, La Scala, Noci-Bari, 1998, pp. 86-89.
(26) Cfr. M. SCHILICK, Fragen der Ethik, pp. 10-12.
(27) Ivi, pp.118-159.
(28) Ivi, p. 9.
(29) Ivi, p. 9.
(30) Sulla semantica referenzialistica, cfr. L. BLOONFIELD, Il linguaggio, trad. it., Milano 1974; sulla sua crisi nell'epistemologia contemporanea del Bachelard, cfr. G. BACHELARD, Epistemologia, antologia a cura di D. LECOURT, trad.it., Laterza,Bari 1975; notevole l'Introduzione di F. LO PIPARO, p. VII-LXIII; del quale è da segnalare anche Tre semantiche referenzialistiche, in "AA.VV., Studi Saussuriani, Bologna 1974.
(31) Nonostante la scarsa utilizzazione esplicita di Hobbes nelle Fragen (pp. 119-21) sembra che Schlick ne abbia ricevuto alcune suggestioni metodologiche. Hobbes infatti nel De Cive (1642) e nel Leviathan (1651) applica un metodo sostanzialmente costruttivo, partendo da ipotesi o assiomi relativi, e anticipa storicamente la concezione sintattica della verità, attorno alla quale si accenderanno le polemiche neopositivistiche sui "protocolli" negli anni Trenta del Novecento. Schlick intervenne, con intenzione risolutiva, nel saggio del 1934 Uber das Fundament der Erkenntis con la teoria delle proposizioni osservative (Beobachtungsätze) contrapposta polemicamente alla teoria delle proposizioni protocollari (Protokollsätze) di Neurath e alle esperienze elementari (Elementarerlebnisse) di Karnap.
(32)M. SCHLICK, Fragen der Ethik, p.59 La spiegazione causale è l'operazione specifica dell'etica scientifica. Il passo è notevolissimo perché disegna l'asse del raccordo dell'etica fìlosofica (logico-semantico- storica) con l'etica scientifica (psicologico-esplicativa).
(33) H. REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica, trad. it., il Mulino Bologna 1974, p. 71.
(34) M. WEBER, Sociologia delle religioni, trad. it., a cura di C. SEBASTIANI, voll. 2, UTET, Torino 1976, pp. 1310. L'opera conclude il progetto weberiano iniziato con la celebre Die protestanticbe Ethik und der Geist des Kapitalismus del 1905; vedi trad. it. di P. BURRESI, Sansoni, Roma 1945, 1965.
(35) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, c., p. 66.
(36) P. ANGELA, L'uomo e la marionetta (il comportamento quotidiano visto attraverso i condizionamenti biologici), Garzanti, Milano 1973, pp. 59-81 ( cap. III: Genetica e morale). Il carattere divulgativo non nuoce alla precisione scientifica, sia pure da primi elementi, dell'opera.
(37) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, c., pp. 59-61.
(38) M. HEIDEGGER, Platons Lehre von der Wahrheit, Berna 1947; vedi anche la puntualizzazione su " Parmenide e la storia della filosofia " in Che cos'è la metafisica, a cura di A. Carlini, La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 106-107.
(39) I. KANT, Critica della ragione pratica, trad. it. a cura di V. Mathieu, La Scuola, Brescia 1962, p. I, l. I, cap. 2, pp. 53-56. Utili indicazioni esegetiche e bibliografiche, anche in rapporto alla contemporanea filosofia analitica oxoniense, in: Materialien zur Kantskritik der praktischen Vernunft , Herausgegeben von R. Bittner u. K. Cramer, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. Main 1975.
(40) M.SCHLICK, Fragen der Ethik, pp. 66-68.
(41) Ivi p, 64.
(42) R. HAVEMANN, Dialettica senza dogma ,trad.it., Einaudi, Torino 1965, p. 155. Vedi soprattutto le questioni di morale (pp.182-184) e questioni di morale socialista (pp.195-205).
(43) M. SCHLICK, Ivi, pp. 58-60. La polemica contro la " Moral der Entsagung " a favore di una " Sittlichkeit ohne Entsagung " è presente in tutto il testo schlickiano; ne è la ratio essendi.
(44) Il cap. VIII,l'ultimo, che da solo costituisce quasi un terzo di tutta l'opera (pp. l17-152) è dedicato a rispondere alla domanda principale dell'etica: "perché l'uomo agisce moralmente", o "perché l'uomo è morale" attraverso una minuziosa ricerca, analisi psicologiche e pedagogiche. Ecco, in forma interrogativa, i passaggi logici del lungo discorso schlickiano:
l. Perché l'uomo agisce moralmente?
2. Perché ciò che è utile alla società è assunto come piacevole dall'individuo?
3. Come nascono e maturano nell'individuo le disposizioni o le inclinazioni al comportamento morale?
4. Qual è il processo psicologico attraverso il quale certe azioni o modelli comportamentali diventano motivanti, per l'uomo? la prospettiva pedagogica in cui è posta questa domanda è evidente. Schlick risponde che si diventa uomini morali attraverso la "suggestione" e l'educazione ai valori (motivazioni ab extrinseco) e attraverso la sintesi conciliativa tra sentimento del motivo (Motivgefühle) e sentimento del successo (Erfolgsgefühle), cioè l' "Angleichung", assimilativa del piano intenzionale (teoria) al piano esecutivo (prassi).
(45) M. SCHLICK, Ivi p,. IV
(46) Ivi, p. 19.
(47) Per un'informazione generale e per una chiara proposta di soluzione del rapporto tra filosofia e scienza, in una prospettiva metodologica più ampia e lontana da quella neopositivistica qui esaminata, cfr. G. FREY, Philosophie und Wissennscbft, Verlag W. Kohlhammer, Stuttgart 1970. Semplici, ma illuminanti, le analisi dei diversi metodi scientifici (logico, analitico, empirico, ipotetico-deduttivo, ermeneutico; pp. 35-65), e del metodo filosofico in rapporto al futuro della filosofia (pp. 77-121). Più impegnativa l'ormai classica opera di I. M. BOCHENSKI, Die Zeit- genossischen Denkmethoden, Francke Verlag, Bern 1954, ora in 6ª ed. UTB, Francke Verlag, München 1973. I metodi sono ridotti a quattro principali: fenomenologico, semiotico, assiomatico, riduttivo.
(48) M. SCHLICK, Tra realismo e positivismo, trad.it. cit., il Mulino, Bologna 1974, Introd. di L. Geymonat, p. 9.
(49) In: M. SCHLICK, Tra realismo e positivismo, c., p. 31. Le ultime due sottolineature e i due riferimenti del testo originale sono nostri.
(50) La segmentazione della linea di ricerca filosofica schlickiana, da noi proposta, non è mai esplicitamente teorizzata nei testi, ma è senza dubbio ad mentem auctoris, il quale dimostra di attenervisi nell'organizzare e nel condurre l'indagine nelle Fragen.
La linea di procedimento è rintracciabile non solo nel piano generale dell'opera, articolata problematicamente (secondo la dichiarazione esplicita del titolo, Fragen) in otto capitoli, ma anche nelle giunture formali interne ai capitoli e nei nessi logici di passaggio e di sviluppo delle parti. Notevole nel I cap. la progressione metodologica e logica dal par. 3° (Uber die Definition des Guten) al par. 10 (Die Ethik sucht Kausalerklärung) attraverso una serie di passaggi, in cui la dimensione filosofica si va progressivamente integrando nella dimensione scientifica della ricerca etica.
(51) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, c., p. 4.
(52) G. E. MOORE, Principia Ethica, trad. it. di G. Vattimo, Bompiani, Milano 1964. Il rinvio all'opera di Moore è unico nelle Fragen. Non esiste, allo stato attuale delle ricerche, un giudizio critico sulle affinità e le differenze delle due opere. È certo però che Schlick non trova nel lavoro del Moore né un modello metodologico, nei termini di riferimento polemico esplicito, nemmeno nella critica dell'intuizionismo etico, che in Moore però è " corretto ", come sottolinea N. Abbagnano nella Prefazione all'ed. it. cit. (p. 23). La famosa fallacia naturalistica mooriana non sembra avere rilevanza per Schlick.
(53) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, c., p. 1.
(54) M. SCHLICK, Ivi, Vorwort, p. IV. La riduzione del problema etico a problema psicologico è operata anche nel quadro programmatico dei Neopositivisti per l'unità delle scienze, proposto dalla rivista Erkenntnis (1930-1937), diretta da Carnap e Reichenbach, trasformatasi nel 1938, nell'esilio americano di alcuni Circolisti, in " Enciclopedia internazionale della scienza unificata ". Nel titolo sono visibili sia venature illuministiche, sia tracce dell'utopia epistemologica leibniziana (già lulliana) del principio o sogno "universalizzabile" del "calculemus" .
(55) M. SCHLICK, Ivi, c., p. 1.
(56) Riferendosi alle proposizioni osservative sintetiche, proposte da Schlick in alternativa alle proposizioni protocollari di Carnap e Neurath, come base della scienza, nel saggio del 1934 Sul fondamento della conoscenza, il Geymonat scrive: " Non intendiamo affrontare il problema se questa tesi di Schlick sia filosoficamente soddisfacente e neanche se essa rappresenti, o no, una parziale rivalutazione del Kennen rispetto all'erkennen " (in: M. SCHLICK, Tra realismo e neopositivismo, c., p. 13 ).
(57) M. SCHLICK, Ivi, p. III.
Sulla definizione ostensiva, cfr. P. M. S. HACKER, Wittgenstein on Ostensive Definition, in " Inquiry ", vol. 18, N. 3, Autumn 1975, pp. 267-287. Notevole il seguente rilievo storico-critico dell'A.: la definizione ostensiva " had been neclected as trivial bei his (di Wittgenstein) predecessors, and taken for granted by the Vienna Circle as bein umproblematic " (p. 267).
In Schlick essa è operante come principio pratico, pur non essendo problematizzata, come non lo è neppure nell'opera classica di W. DUBISLAV, Die Definition, 3 Aufl., Leipzig 1931. Adorno, illustrando la terza delle quattro teorie sulla definizione proposta dal suo amico Dubislav, accenna al procedimento deittico (mostrativo o ostensivo) ad essa contrapposto (cfr. T. W. ADORNO, Philosophiscbe Terminologie, Surkahmp, Frankfurt a.M. 1973, Bd I, pp. 10 e 221). L'opera di Adorno, postuma, è tradotta in italiano da Einaudi, Torino 1975.
(58) M. SCHLICK, Ivi, p. 2. Schlick è contro la concezione neokantiana dell'oggetto della scienza, che sarebbe "aufgegeben", e non solo "gegeben" come sostiene Schlick aderen all'epistemologia delle scienze positive. È noto, ad es., che nel neocriticismo di Cohen, attivamente come Erzeugung e come Ursprung. Si noti però anche che il carattere di datità del bene, il suo essere " vorgefunden " rispetto all'atto scientifico, è problematico in Schlick, ma non problematizzato. Esso è dato e presente nell'Erlebnis, nella cui sfera sembrano gravitare, senza scampo, le proposizioni osservative di base della scienza etica. Qui sta il punto (o il male?) oscuro dell'epistemologia schlickiana.
(59) M. SCHLICK, Ivi, c., p. 18.
(60) Ivi, p. 7.
(61) Ivi, p. 8.
(62) Le proposizioni sull'imperativo categorico sono solo proposizioni apparenti (Scheinsätze) perché aspirano ad esprimere azioni senza soggetto. Così pure è contraddittorio il concetto di dovere assoluto; " senza qualcuno che lo ordini è come uno zio, tale non in relazione a qualche nipote, ma in assoluto " (Fragen, p. 83).
(63) L'utilitarismo ed eudemonismo sono proposti da Schlick come il risultato di attente e minuziose analisi semantiche e psicologiche. Alla domanda "che cos'è 1a moralità" (Was heisst moralisch), Schlick risponde prima in negativo, definendo che cos'è il suo contrario, identificato nell'egoismo come peccato contro la felicità sociale, in quanto esso è pensabile solo come "Rüksichtslosigkeit" (Fragen, cap. III, pp. 41-57); poi in positivo (cap. IV, pp. 58-73), definendo il bene secondo un duplice principio neoutilitaristico ed eudemonistico, in cui l'utilità e la felicità sociale rifluiscono nelle utilità e felicità individuali.