1. Osservazioni
metodologiche preliminari alla lettura delle "Fragen
der Ethik" (1)
Una bibliografia
attenta e ragionata degli studi dedicati a M. Schlick (1882-1936)
deve rilevare l'inesistenza di un tentativo globale di ricostruzione
storico-critica del suo pensiero e della sua opera. Finora
si è preferito adottare la "misura" del
saggio, piuttosto che quella della sintesi storica complessiva,
forse perché, nonostante la vasta "letteratura",
non è stato ancora possibile definire teoreticamente
e storicamente in modo univoco il neoempirismo (2), di cui
l'opera di Schlick costituisce la fase iniziale e, per certi
versi, la più rilevante e articolata. Di fatto, anche
gli studi sull'intero movimento neopositivistico e/o neoempiristico
hanno assunto prevalentemente la forma del saggio sui temi
e problemi particolari o controversi, sulle aporie più
evidenti, relative al criterio di significanza e di verità
delle proposizioni e alla possibilità della filosofia
in generale e dell'etica in particolare. Non è decidibile
- per mancanza di dichiarazioni esplicite - se tale prassi
metodologica sia stata determinata dalla diffidenza per
le visioni storiche generali, soprattutto in assenza di
una prospettiva temporale sufficiente; o se, invece, sia
una scelta di metodo storiografico consapevole in favore
di quella che si potrebbe definire la "microstoria",
cioè la storia appunto per piccoli saggi, ossia su
particolari argomenti o unità storiche, strutturalmente
ricomponibili in un insieme o in un tutto organico.(3) Nell'analisi
esegetica del testo schlickiano, il metodo della "microstoria"
si è rivelato particolarmente utile e rapido, soprattutto
perché ha consentito agli studiosi di rilevarne chiaramente
e criticamente anche passaggi illogici e insufficienze teoretiche
(4), aporie (5), e contraddizioni interne(6). Ma accanto
agli innegabili vantaggi che offre, esso non è (stato)
immune da una tendenza a tradurre in formule fisse e astratte,
quasi categoriali, concetti in se stessi molto ricchi e
differenziati o non ancora definiti e solo storicamente
descritti o descrivibili,prelevandoli da un testo teoreticamente
rilevante e proiettandoli su altri testi o contesti minori.
L'analisi critica del criterio di significanza, ad esempio,
non può essere condotta esclusivamente sulla formulazione
datane da Schlick nel 1936 in Meaning and Verification,
con la motivazione che quella sola è la formulazione
definitiva. Ancora più cauta deve essere l'applicazione
di tale formula all'interpretazione di un testo di sei anni
anteriore, come le Fragen. Il significato e la portata metodologica
e teoretica del criterio di significanza possono essere
valutati solo sulla base di una definizione genetica, in
rapporto cioè al preciso contesto storico di origine
del criterio stesso e alla funzione che esso esercitava
all'interno delle singole scienze. Quando Schlick discute
sulla natura della scienza (7) e delle proposizioni scientifiche,
non lo fa in astratto, riferendosi alla scienza in sé
o alle proposizioni scientifiche in sé, alla maniera
neokantiana, per scoprire cioè le condizioni a priori
della loro validità; ma si muove, invece, all'interno
delle scienze storicamente costituite, cioè della
fisica quantistica di Planck (1901), della teoria della
relatività speciale (1905) e generale (1915) di Einstein,
della meccanica di Heisenberg, caratterizzata dal principio
d'indeterminazione (1927), del sistema assiomatico (8) ipotetico-deduttivo
della matematica e della metamatematica di Hilbert (1928)
, e anche di Gödel, col suo teorema sulle "limitazioni
interne" dei sistemi formali logico- matematici (1931).
Una "lettura" delle Fragen der Ethik che non consideri
l'opera nel suo formarsi e nel suo situarsi all'interno
di tale contesto storico-scientifico rischia di esasperarne
le innegabili "aporie", trasformandole in insolubili
"contraddizioni" strutturali. La ricerca etica
di Schlick, come la scienza del suo tempo, di cui egli fu
un professionista e un "militante - come Geymonat (9)
ha opportunamente rilevato - si muove sul terreno empirico
della probabilità, a cui è costituzionalmente
legata la condizione dell'uomo nell'intero arco del suo
operare. Nel tentativo di definire il significato delle
Fragen in rapporto alle premesse teoretiche da cui l'opera
è partita e agli esisti ottenuti, Schlick riconosce
esplicitamente i limiti oggettivi della propria indagine:
"...nella vita e, particolarmente, nella scienza lavoriamo
sempre sul piano delle probabilità".(10) Le
"contraddizioni interne" - per chi legge l'opera
di Schlick nella prospettiva da lui stesso indicata - assumono
la loro precisa dimensione minimale; permangono invece le
"aporie" e le difficoltà, che lo storico
e il critico hanno il compito di mettere in luce, in rapporto
alla possibilità logica ed epistemologica del neoempirismo
schlickiano di spiegare non esaustivamente il fatto morale
o la dimensione morale del vivere. Ma a questo punto la
sensibilità dello storico della filosofia deve avvertire
l'urgenza di definire preliminarmente qual è l'aspetto
nuovo dell'empirismo (o del positivismo logico) di Schlick,
per evitare il rischio di ridurlo acriticamente a quello
classico humiano. Un'applicazione rigorosa e attenta del
metodo storico, al quale è essenziale la dimensione
"genetica e diacronica",(11) è necessaria,
non solo per definire teoreticamente il neoempirismo nella
complessità dei suoi problemi e nella diversità
e originalità dei suoi protagonisti, ma anche e soprattutto
per valutare criticamente il suo ruolo e la sua funzione
storica nell'ambito della filosofia contemporanea(12). L'acribia
analitica e l'aderenza ai fatti nel loro divenire da parte
della storiografia filosofica, non sono finalizzate esclusivamente
ad una "lettura storica" (e tanto meno storicistica),
ma possono svolgere anche la funzione di atti preliminari
a nuove aperture teoretiche e problematiche.
2. L'aporeticità della filosofia come "sistema
di atti"
Gli sviluppi della geometria nella seconda metà dell'800
e i risultati ottenuti dalla fisica nei primi trent'anni
del '900, determinando la disgregazione" (13) della
sintesi a priori kantiana, hanno operato da secondo coefficiente,
insieme col Tractatus di Wittgenstein,(14) in quella che
Schlick ha denominato "la svolta" (15) storica
definitiva della filosofia, il trapasso cioè dalla
filosofia come "sistema di proposizioni" (16),
quale essa era stata da Socrate in poi, alla filosofia come
"sistema di atti" (17). La scoperta della pluralità,
e dunque della relatività, delle geometrie non-euclidee
(Lobachevski, Gaus, Riemann) ne conteneva implicita un'altra,
ancora più rilevante agli effetti della nuova rivoluzione
copernicana nel neopositivismo, e cioè la scoperta
della natura puramente analitica della geometria e la necessità
di ricorrere all'esperienza per decidere quale fra i vari
sistemi geometrici fosse il più adatto a descrivere
il mondo fisico (18). La distinzione emergente tra geometria
matematica costituita di proposizioni analitiche (a priori)
e geometria fisica, possibile solo con sintesi empiriche
(a posteriori) vanifica immediatamente la sintesi a priori
kantiana. Infatti essa, nella struttura interna della Logica
trascendentale, è funzionale, dal punto di vista
epistemologico, alla giustificazione della universalità
e necessità dei giudizi della scienza, cioè
della geometria fisica (euclidea) e della fisica newtoniana.
Una sintesi scientifica a priori -secondo i neopositivisti-
veniva a rivelarsi, proprio nel dibattito della scienza
militante, una contradictio in adiecto. Anche la sintesi
storica di empirismo e razionalismo, operata da Kant era
giudicata illusoria da tutti neopositivisti. Contro la tripartizione
kantiana dei giudizi, la divisione delle proposizioni per
sic et non dei neopositivisti e di Schlick discende logicamente
dalla natura stessa del sapere: una proposizione è
necessariamente (e disgiuntamente): o analitica a priori,
o sintetica a posteriori. Le proposizioni della logica e
della matematica sono analitiche e tautologiche, prive perciò
di contenuto conoscitivo; le proposizioni delle scienze
sono invece solo e necessariamente empiriche, cioè
piene di contenuti e di informazioni sul mondo. L'alternativa,
dunque, per le proposizioni della filosofia sull'essere,
su Dio, l'anima, il destino dell'uomo, il valore delle azioni
umane, è: o la riduzione distributiva alle asserzioni
delle varie scienze, o l'insignificanza (Sinnlosigkeit).
Esaurita in questo contesto la sua funzione e perduto il
suo modo di essere come disciplina autonoma con contenuti
specifici, la filosofia conserva paradossalmente il suo
ruolo classico di "regina delle scienze" (19),
assumendo, e in un certo senso quasi ritrovando, la sua
funzione nativa e socratica di rendere consapevole l'uomo
del significato di tutto il suo operare, e in particolare
del suo operare scientifico. La teoria dei "quanti"
di Plank, della relatività di Einstein, e soprattutto
il principio di indeterminazione di Heisenberg, erano scoperte
di tale portata epistemologica e umana che hanno indotto
la scienza (e gli scienziati) a problematizzare radicalmente
se stessa, a interrogarsi sulla propria natura e sul proprio
statuto epistemologico, a controllare criticamente i propri
procedimenti metodologici, ad affinare la propria terminologia,
a porre e a riproporre in maniera chiara e univoca i termini,
i fini e i presupposti della propria ricerca. Tutto questo
insieme ordinato di "atti" costituisce -per i
neopositivisti- la "nuova" filosofia. Essa è
un momento interno ad ogni scienza, ed è il momento,
sopratutto finale di riflessione critica (Besinnung), col
quale si conclude il ciclo dell'uso scientifico della ragione.
Lo scienziato, il fisico e il biologo, così come
il politico e il sociologo, nel processo della sua ricerca,
viene a trovarsi davanti a problemi, o si vede arrivare
a conclusioni, che postulano un'analisi rigorosa, non solo
del loro "status" semantico-epistemologico, ma
anche del loro significato globale per l'uomo. La filosofia
non è più dunque una scienza, ma la modalità
di essere e di procedere criticamente di tutte le scienze.
Schlick ha precisato, con formule dense e concise, la nuova
funzione "arcontica" della filosofia e la nuova
dimensione del lavoro dello scienziato-filosofo (20). Esso
consiste non nel contemplare il mondo, e formalmente nemmeno
nel trasformarlo, ma nel dare il senso autentico (Tätigkeit
der Sinngebung) a tutto ciò che, come scienziati
e uomini, diciamo sul mondo, nell'esercizio teoretico di
contemplarlo per capirlo e in quello pratico del trasformarlo.
Nella fase attuale della nostra civiltà, in cui la
parabola della scienza e della tecnologia monodirezionale
è arrivata al punto di saturazione dentro il sistema
finito del mondo, la "Besinnung" critica, in cui
Schlick ha identificato la nuova filosofia, nella sua duplice
funzione: epistemologica sulle proposizioni della scienza;
e analitica globale anche sulle proposizioni della vita
quotidiana (linguaggio comune), ritrova non solo tutta una
sua dimensione neoilluministica concreta, ma assume anche
una superiore dimensione pratico-sapienziale, nel dover
risolvere la dialettica tra scienza e vita. L'aporeticità
della nuova filosofia emerge già a questo punto,
cioè nel momento del suo porsi come analisi anche
del linguaggio comune. In esso l'uomo "dice" la
propria vita; e il "nuovo" filosofo, nelle sue
operazioni di controllo logico sulla forma del "dirsi"
della vita (universo linguistico comune), trova non solo
l'immediato correlato semantico di quella forma, ma ritrova
la vita stessa nella sua realtà storica effettuale,
come oggetto e insieme come soggetto di quel "dirsi".
Forzando, e utilizzando su un piano diverso, la celebre
terminologia della logica del Frege, si potrebbe dire che
c'è una dialettica strutturale interna, che partendo
dalla forma simbolica (Zeichen o Wort) e passando attraverso
il suo oggetto denotato (Bedeutung) e le connotazioni intensionali
di esso (Sinn), termina nella realtà. La quale, con
anteriorità logica rispetto al suo ripartirsi e costitursi
in oggetti particolari distinti delle singole scienze, si
pone fenomenologicamente nella totalità problematica
del suo. divenire. Nella "nuova" filosofia, considerata
proprio nel suo statuto fondamentale di attività
analitica di tipo logico-semantico, è presente una
tensione dialettica che tende ad integrarla in un'analisi
di tipo "realistico" e implicitamente ontologico.
In questo senso, la fase analitica è necessaria,
ma non sufficiente, alla ricerca filosofica; e con questo
non si nega che la filosofia nasca all'interno del processo
scientifico, come esigenza di autochiarificazione razionale,
e all'interno del discorso umano generale, come esigenza
di chiarezza soggettiva e intersoggettiva, ma si vuol affermare
solo che c'è una dinamica interna nel "sistema
di atti" analitici, che dal "dirsi" delle
cose (discorso comune + discorso scientifico) tende a trapassare
e a terminare nel loro "darsi" (das sich Geben).
Un'altra aporia, non rilevata o trascurata come irrilevante
dagli studiosi di Schlick, è quella che nella formula
schlickiana "System von Akten " inerisce al concetto
di "sistema", nel momento in cui esso viene estrapolato
dal contesto teoretico in cui è significante e assunto
come predicato essenziale di un soggetto pratico (Akten).
E' possibile cioè ordinare gli "atti" logico-analitici
in un sistema organico, sia pure ipotetico-deduttivo, in
maniera simile a quella in cui vengono ordinate le proposizioni
conoscitive? Il ricorso ovvio e spontaneo alla predicabilità
metaforico-analogica del termine e del concetto "sistema
", potrebbe essere uno dei modi di togliere l'aporia;
ma in Schlick la formula è fortemente tecnica, perché
è contrapposta alla formula classica "sistema
di proposizioni" come l'unica alternativa possibile
e necessaria, e come tale costitutiva dell'unica vera "
svolta " definitiva (con una punta di polemica contro
la pretesa rivoluzione copernicana di Kant) nella storia
della filosofia. E' certo che, sul piano esecutivo della
prassi, esiste una serie di "atti" che vengono
posti in essere seguendo un progetto razionale e perciò
ordinato e in senso lato anche sistematico; ma non è
chiaro come all'interno della serie possa operare solo il
nesso deduttivo, che è il costitutivo formale del
sistema. L'aporia, in questo senso, si manifesta strutturalmente
inerente al concetto di prassi come tale (non solo di prassi
logico-analitica), perché l'ordine che lega fra loro
gli atti della prassi non è puramente logico, ma
è determinato anche e soprattutto da motivi extralogici.
Nella formula schlickiana, l'aporia potrebbe essere interpretata
come un segno di quella dialettica interna della "nuova"
filosofia che da "sistema di atti", anche nelle
Fragen der Ethik conserva un'intenzionalità oggettiva
verso un "sistema di conoscenze". Questa tensione
dialettica interna attraversa tutto il pensiero di Schlick,
imprimendo ad esso il segno di una originalità propria,
e rivelandone tutta la complessità e la natura compositiva.
In rapporto a un certo monismo tematico di quasi tutti i
membri del Wiener Kreis, la pluralità degli interessi
culturali di Schlick può definirsi rilevante. Ciò
è riconosciuto unanimemente dai critici (21) nelle
valutazioni positive "concesse" al suo progetto,
ma non agli esiti, delle Fragen der Ethik.
3. L'etica "filosofica" come analisi semantica
del "discorso" morale
Nel Vorwort alle Fragen der Ethik, Schlick mette bene in
rilievo come la rivoluzione operata dai sostenitori viennesi
della "Wissenschaftliche Weltauffassung", ripercuotendosi
sul quadro tradizionale delle discipline filosofiche autonome
che facevano capo ai due poli, teoretico e pratico, della
filosofia, dissolva definitivamente la concezione dell'etica,
storicamente prevalsa da Aristotele e Spinoza, a Kant e
a Rosmini (22). All'etica filosofica non rimane altra alternativa
epistemologica se non quella di porsi come la dimensione
o la fase analitica della nuova etica empirica e delle proposizioni
delle morali storico-positive. Ecco, in forma logica abbreviata,
la sua tesi nella prospettiva scientifica di fondo (Grundstimmung),
assunta dalla nuova filosofia: anche l'etica, nella misura
in cui essa è filosofica, non può che costituirsi
come un insieme ordinato e coordinato di atti (Akte, Tätigkeit,
geistige Akte), attraverso i quali, gli enunciati esprimenti
valutazioni morali sull'uomo e sulle sue azioni rivelano,
con chiarezza intersoggettiva, il loro autentico contenuto
semantico (23). Questo passo programmatico del "Vorwort"
segnala la problematicità di fondo della prospettiva
etica schlickiana nel suo versante filosofico e la polisemia
possibile di formule ricorrenti. Ad esempio: come interpretare
i "geistige Akte" sulle proposizioni della morale
storico-positiva, alla cui esecuzione la filosofia etica
ha il compito di stimolare l'uomo comune? La formula è
già stata interpretata (24) come un'implicita o inavvertita
dichiarazione d'impotenza logico-semantica della etica schlickiana,
una sua caduta in un paradosso analogo al "paradosso"
del metalinguaggio del primo Wittgenstein (Tractatus, prop.
5. 64). Senza escludere questa ipotesi, valida soprattutto
quanto al suo significato critico generale, se ne può
avanzare un'altra, non opposta, ma forse parzialmente integrativa,
che sembra suggerita dal testo e dal contesto. Schlick adduce
come proposizioni esemplari della vita quotidiana (linguaggio
comune) , sulle quali il lettore deve essere stimolato dal
filosofo etico ad eseguire l'operazione della "Sinngebung"
(dare ad esse il loro senso genuino e totale), costituita
dai "geistige Akte", due giudizi tipici di valutazione
morale: "questo uomo è di buona coscienza (Gesinnung)
", "quell'altro è pienamente responsabile
delle sue azioni". In che senso l'opera Fragen der
Ethik, in quanto è anche contemporaneamente un'opera
di filosofia etica,(oltre che di scienza etica, come meglio
vedremo ), ha la funzione di fornire al lettore gli stimoli
(Anregungen) a compiere gli atti spirituali o intellettuali
e attribuire tutto il loro significato alle proposizioni
normative e valutative delle azioni morali? Le due proposizioni
valutative, addotte come oggetti esemplari della filosofia
etica, ottengono il loro significato completo ed ultimativo
solo sul piano esecutivo delle azioni morali. Gli "atti"
che il filosofo etico induce ed educa il proprio lettore
a compiere per la semantizzazione totale dei predicati morali
(semantica terministica) e della natura del loro rapporto
col soggetto nella proposizione (semantica proposizionale)
sembrano offrirsi - nel contesto schlickiano - ad una interpretazione
in senso pratico pleniore, quasi vichiano. Infatti essi,
in quanto operazioni formalmente logico-semantiche (versante
logico proprio dell'attività filosofica), tendono
estensivamente ed integrativamente ad inverare il loro contenuto
semantico e a precisarlo nelle forme degli atti morali della
nostra vita. L'affinità che Schlick ha creduto di
dover sottolineare polemicamente (25) fra la sua posizione
filosofica "rivoluzionaria" e quella di Socrate,
trova in questa prospettiva ermeneutica una riconferma autorevole
e puntuale. Nella professione storica socratica, infatti,
la filosofia come tecnica logico-semantica, come arte del
porre i problemi in termini "significanti", non
è esaustiva di se stessa, ma solo preliminare al
suo momento risolutivo dei suddetti problemi, e, indirettamente,
funzionale rispetto alla prassi. Come ricercatore appassionato
dei significati nel labirinto dei simboli etici e politici
dell'Atene del suo tempo, Socrate, dialogando con i suoi
concittadini, non intendeva iniziarli solo all'esercizio
di operazioni logico-semantiche o concettuali, ma si proponeva,
come fine, di "stimolarli" e di educarli a inverare
il significato di termini e di principi morali, così
analizzati, nella sfera esecutiva della prassi e, infine,
nel dare forma all'esistenza. Il significato della "responsabilità",
della "virtù" , del "coraggio"
e degli altri termini che figurano nella tipologia socratica,
è empiricamente dato e verificabile solo nelle azioni
dell'uomo "responsabile", "virtuoso",
"coraggioso". Il rinvio di Schlick alla storia
di Socrate, in difesa della propria filosofia etica, non
è certo immune da ambiguità. Esso non sembra
(solo) il riconoscimento esplicito di un precedente metodologico,
ma, indirettamente almeno, anche di un precedente logico.
Le "contraddizioni" o le aporie delle Fragen,
sono il riflesso, a livello fenomenologico, della "coscienza
infelice" dell'etica empirica schlickiana, di una sorta
di nostalgia teoretica delle proprie origini socratiche,
del conflitto dialettico di fondo tra una dichiarata prospettiva
empiristica radicale e una integrativa istanza razionale.
L'iniziativa del soggetto che, a mio giudizio, è
l'elemento differenziale di una parte del neoempirismo contemporaneo
rispetto all'empirismo storico humiano, trova, nelle Fragen
di Schlick, una significativa riconferma. Il tema va ripreso
e svolto in sede di analisi epistemologica del criterio
di significanza. Torniamo ora a descrivere in generale la
funzione principe o, per così dire, i compiti specifici
dell'etica filosofica o della filosofia etica in rapporto
al piano semantico-fenomenologico dell'esperienza morale,
articolato strutturalmente secondo una tipologia costante
di enunciati: imperativi (devi rispettare gli altri), normativi
(è necessario agire secondo ragione), valutativi
(l'aborto terapeutico è un male?). Tutte le espressioni
del discorso morale e tutte le concezioni morali storiche
sono riducibili sotto una di queste tre forme tipiche. La
filosofia etica compie il suo primo intervento nel campo
fenomenologico della Erlebnis morale per dare ordine sistematico
alla varietà e diversità degli enunciati storico-positivi.
Essi sono riducibili sotto un unico assioma generale, o,
sotto una pluralità di assiomi, in una pluralità
di sistemi paralleli, (26) secondo una gerarchia di norme
e di regole. Alla fase storico-positiva della ricerca etica,
Schlick assegna inoltre il compito di esplorare il significato
dei termini morali primari: immorale e morale (o egoistico
e altruistico). Per denotare questa seconda operazione intellettuale
di ricerca, Schlick usa, sparsamente nelle sue opere, le
seguenti formule: Aufsuchung, Aufdeckung, Aufweisung, Aufstellung,
Feststellung, Begriffsbestimmung, Fragestellung (27). Non
è difficile rintracciare in queste formule, lette
in progressione, una descrizione segmentata dell'itinerario
metodologico della ricerca etica. Il rilievo lo ritengo
essenziale per una esatta valutazione critica delle Fragen.
Il testo, infatti, alla prima lettura, lascia l'impressione
di una scientificità rigorosa, ma senza storia,incapace
cioè di cogliere con analisi, per così dire,
stratigrafiche, le variabili interne di una area semantica
di fondo, derivanti dal tempo e dalla spazio. Non esistono
nel testo schlickiano passi esemplari d'indagine storica
sull'evoluzione semantica dei termini morali in rapporto
alle loro coordinate storico-culturali. E tuttavia Schlick
ne ha formulato esplicitamente il principio e ne ha disegnato
in sinopia il modello teorico. Egli sottolinea che i concetti
morali sono essenzialmente storici. Il bene e il male hanno
un altissimo coefficiente di relazione a " popoli diversi
(verschiedenen) , ad epoche diverse, ai sapienti e ai fondatori
di religioni diverse" (28). La storia dei costumi può
presentare perfino sistemi morali incompatibili fra loro
(Unverträglichkeit) "ad esempio: la poligamia
viene approvata come morale in un certo contesto di cultura,
e considerata come crimine in un altro" (29).
4. I coefficienti di variabilità semantica dei termini
e delle proposizioni morali: storia e società.
Fra i termini e le proposizioni dei sistemi morali e i termini
e le proposizioni delle scienze e soprattutto della matematica
esiste una differenza essenziale. Infatti, mentre nei primi
la relazione semantica ha come punto di arrivo una realtà
storica, e quindi diveniente e variabile in funzione di
precise coordinate storiche, antropologiche e sociologiche,
nei secondi invece essa è un rapporto referenziale,
univoco, immutabile, secondo una "regula significandi"
fissa (30). Schlick è talmente consapevole dell'impossibilità
di impostare i problemi etici (scientifici) senza una previa
(e concomitante) ricerca storico-sociologica dei significati
dei predicati morali, da ritenerla ovvia e presupposta nelle
Fragen. L'Aufsuchung nel labirinto dei simboli morali può
arrivare all'Aufstellung e alla Begriffsbestimmung in ordine
ad una nuova e significante Fragestellung, solo a condizione
che sia svolta secondo un rigoroso metodo storico genetico-diacronico.
Senza il momento genetico di preparazione propedeutica (vorbereitende
Aufgabe) non è possibile il momento propriamente
scientifico dell'etica, cioè il momento "costruttivo"
(incoativamente presente nell'operazione dell'Aufstellung
successiva a quella euristica dell'Aufsuchung dei significati),
ipotetico-deduttivo, già anticipato storicamente
e operante nelle opere socio-logico-politiche di Hobbes
(31). Schlick avverte però con particolare sensibilità
che bisogna evitare l' errore delle etiche razionalistiche,
(tipizzate in quella "geometrica" di Spinoza e
in quella formalistica di Kant) di impostare il problema
morale su termini assunti secondo un loro significato a
priori. Per Schlick non ha senso una semantizzazione razionalistica;
è convinto che a dare un significato ai termini morali
non è la ragione pura pratica, secondo una sintesi
a priori morale, ma è l'uso storico di essi. Una
raccolta sistematica "di tutti i casi del suo uso (Gebrauches)
in epoche, popoli, ambienti e situazioni diversi, porterebbe
ad un sistema di norme (o anche a una pluralità di
sistemi) su cui dovrebbe poi orientarsi la spiegazione causale
(Kausalerklärung) dell'etica" (32). Va rilevato
come questo sia uno dei passi più notevoli delle
Fragen, perché vi si dichiara esplicitamente che
il lavoro del filosofo, come ricercatore dei significati
delle parole, non è da identificare col lavoro del
linguista o del glottologo. L' analisi logico-semantica
è un momento di mediazione nella ricerca scientifica,
il cui punto di partenza è sempre necessariamente
situato sul piano fenomenologico del linguaggio. Ma obliquamente
l'analisi semantica dei termini morali (simbologia e tipologia
della Erlebnis morale) si fa necessariamente etico-sociologica
e, per estensione, anche psicologica (momento formalmente
scientifico dell'etica, secondo Schlick). I termini morali
sono dati e significanti all'interno di un sistema (ad esempio:
quello veterotestamentario dei dieci comandamenti biblici),
il quale appartiene alla storia del costume e, dunque, del
sapere umano, e costituisce -come diceva Brunschwicg -il
"laboratorio" del filosofo, cioè il luogo
dove il filosofo deve semantizzarli e verificarli per definirne
il campo denotativo e connotativo. E' proprio al livello
della connotazione fregeana, cioè del Sinn che si
apre l' area dei riferimenti semantici dei termini e delle
proposizioni morali, storicamente assunti, verso contesti
socio-economici, verso strutture socio-politiche, in cui
i termini sono nati e che su di essi agiscono come coefficienti
di variazione semantica. Il termine "bene" , come
predicato del soggetto umano e delle sue azioni, varia notevolmente,
se non sostanzialmente, di significato in rapporto quasi
funzionale con i mutamenti che intervengono nelle strutture
dei gruppi umani. Dalla stessa prospettiva schlickiana,
Reichenbach rileverà esplicitamente (33) che l'etica
di Kant è la codificazione delle convinzioni morali
della classe piccolo-borghese prussiana cui egli apparteneva.
Con tutte le riserve per la massiccia affermazione reichenbachiana
di parallelismo perfetto e di quasi sovrapponibilità
geometrica tra sistemi morali e strutture sociali, è
tuttavia empiricamente osservabile tra di essi una corrispondenza
semantica, variamente interpretata e descritta, e ancora
interpretabile e descrivibile, soprattutto dopo le acute
indicazioni metodologiche weberiane sul rapporto tra concezioni
etico-religiose e strutture economico-sociali (34). La "storia
e l'etnografia -nota Schlick (35), ma noi dobbiamo aggiungere:
l'antropologia culturale e la biologia (36) - scoprono questa
molteplicità di rapporti che legano le convinzioni
morali alle trame di fondo del tessuto culturale e sociale,
come i mille fili il naufrago dei racconti di Swift alla
spiaggia dell'oceano indiano. Il discorso morale, soprattutto
nelle sue forme tipologiche costanti, è come un archivio
in cui la storia è venuta depositando in stratificazioni
successive, in sintesi sempre più comprensive, l'intuizione
dell'uomo sulla vita, la concezione dei valori e delle responsabilità,
del bene e del male, l'aspirazione alla felicità.
L 'uso storico dei termini non solo registra una variazione,
una differenza o una diversità del significato, per
così dire, istituzionale di essi, ma accoglie in
sé, dialetticamente, perfino concezioni opposte.
Una storia dell'agatologia - per usare il termine rosminiano
- documenterebbe l'uso dialettico del termine bene (nelle
diverse lingue), piegato fino a significare contenuti incompatibili.
Il bene dei Cirenaici e dei Cinici, di Socrate e del naturalismo
greco in genere non è certo semantizzabile sulla
stessa linea del bene cristiano, e tantomeno kantiano e
scheleriano, che sono i termini di riferimento polemico
dell'agatologia schlickiana nel tentativo di proporsi come
un ritorno alla concezione socratica del bene ed ad un'impostazione
greca, stoico-epicurea, del problema morale (37). Del resto,
Pascal dirà: "Ciò che è bene al
di qua dei Pirenei, è male al di là di essi".Già
in Platone e in Aristotele, Schlick sembra intravedere il
crepuscolo della concezione del bene, come bene di tutto
l'uomo e non solo della sua parte razionale. Il dualismo
platonico è dunque all'origine non solo di quella
crisi dell'ontologia parmenidea che Heidegger (38) ha chiamato
l'oscurarsi del senso (Sinn) dell'ente, ma anche della crisi
dell'agatologia monistica e naturalistica. La dissociazione
concettuale della nozione di bene come predicato universale
dell'essere (il trascendentale dei Medievali e la primalità
del Campanella) dalla nozione di bene morale come predicato
esclusivo dell'agire dell'uomo in quanto uomo (e non in
quanto tecnico), si va consumando, nella storia del pensiero
occidentale, fino a culminare in un'opposizione radicale
di contrarietà dei due termini nel formalismo kantiano.
Nella Critica della ragione pratica, il bene morale è
una sintesi a priori pratica, senza cioè alcuna contaminazione
empirica. In un celebre passo della sua opera (39), che
ne costituisce come un intermezzo analitico-semantico di
notevole interesse, Kant rileva come la "conflittualità"
semantica del termine "bonum" trovi una "fortunata"
soluzione nello sdoppiamento del simbolo linguistico della
lingua tedesca: "a bonum corrispondono, cioè,
das Gute e das Wohl; a malum, das Böse e das Übel
(o Weh)". Ma il conflitto semantico, che ha portato
alla dissociazione simbolica, rinasce all'interno del bene
morale (das Gute), perché un popolo approva come
doverosa la medesima azione che un altro popolo condanna
come crimine. Schlick rileva (40) la fluidità delle
nozioni morali dei popoli in guerra, o di popoli a diverso
livello di civiltà tecnologica. La morale dell'europeo
non è quella dell'africano. La ragione pratica non
è a priori, ma essenzialmente storica ed è
un soggetto collettivo. "Nella società umana
si chiama (heisst) bene ciò da cui essa crede (glaubt)
di ricavare la felicità (Glück) massima"
(41). La prospettiva è relativistica, ma non in senso
protagoreo, ma nel senso prospettico e storico della scienza
empirica. E' sulla base dell'osservazione empirica delle
azioni umane e degli effetti di felicità o d'insuccesso
che esse producono, che si attribuisce un coefficiente di
probabilità al "glauben" e si fonda induttivamente
la legittimità dell'"heissen" . Di una
azione umana è predicabile il bene nella misura in
cui essa non è venuta meno all'attesa di felicità
empirica e storica della società. Ma la società
non è un tutto omogeneo e immutabile: essa è
costituita di classi, egemoni e subalterne; è storicamente
e culturalmente individuata e differenziata. Conflitti di
classe, interessi culturali e sviluppi scientifici diversi,
sono le variabili che agiscono sulla costante semantica
dei termini morali, connotanti tutti -secondo Schlick- la
felicità e l'utilità sociali. Alcune analisi,
condotte dal punto di vista marxista dal celebre scienziato
e filosofo tedesco-orientale R. Havemann, hanno dato risultati
convergenti, anche se non identici, con quelli ottenuti
da Schlick. Il significato e l'uso storico dei termini morali
riflette la struttura di classe di una società: "la
morale è [talvolta] la forma più perfetta
di occultamento delle vere condizioni sociali. Essa interviene
più profondamente nella vita dell'anima umana. Gli
imperativi morali derivano dalle necessità che la
società deve imporre per poter sussistere. Prendiamo
i dieci comandamenti di Mosè. Il loro contenuto è
in gran parte storicamente condizionato. (...) Il comandamento
"non rubare" significa naturalmente: io non voglio
essere derubato. Una società in cui esiste la proprietà
privata deve badare che questo comandamento sia rigorosamente
osservato" (42). La coincidenza con Schlick è
significativa nell'interpretazione degli imperativi soprattutto
negativi, ossia dei divieti morali. " Non rubare":
è la forma simbolica in cui si trascrive il desiderio
o la volontà di un soggetto collettivo che pone le
condizioni oggettive della sua conservazione nell'essere.
La morale dei divieti o "della rinuncia" (Entsagung),
contro la quale polemizza Schlick (43) in favore di una
morale positiva (Selbsterfüllung), riflette chiaramente
le sue origini empiriche e storiche di classe. A questo
punto sono chiari gli esiti possibili della ricerca semantica
schlickiana in diverse direzioni scientifiche: dalla sociologia
alla psicologia, alla quale, secondo Schlick, appartiene
l'etica scientifica. Il suo compito essenziale -come s'è
detto- è la risposta a questa domanda che rinvia
a riflessioni di sapore aristotelico e socratico: "
perché l'uomo agisce moralmente?". Il compito
anche psicologico della ricerca filosofica sulle proposizioni
e sui sistemi morali storicamente dati, è, nella
prospettiva schlickiana, logicamente necessario. Dopo aver
scoperto che cosa intendono gli uomini e che cosa "occultano",
spesso, le classi sociali, storicamente e culturalmente
individuate, sotto gli imperativi e i predicati morali,
sorge la "meraviglia" aristotelica del come e
del perché gli uomini orientino ed operino le loro
scelte più profondamente personali in direzione e
in ossequio razionale di quei significati scoperti o inventati
e creati dalla società. Schlick ha dedicato gran
parte della sua opera (44) a chiarire i modi di assunzione
degli interessi sociali nelle scelte individuali. Il processo
di omologazione e di assimilazione è analizzato con
metodo rigorosamente psicologico e con intenzioni pedagogiche.
Bisogna educare gli uomini a identificare i propri interessi
con que1li della comunità e della collettività
internazionale. Nello stesso momento in cui Schlick proponeva
con la ragione la sua etica del bene comune, la storia di
Hitler e della borghesia tedesca andava imponendo con la
forza la morale mitica dell'interesse "esclusivamente"
nazionalistico, sotto il quale dovevano essere ridotti gli
interessi di tutti gli altri popoli.
5. La definizione del bene morale come oggetto della "scienza"
etica
Le Fragen der Ethik progettate da Schlick secondo la prospettiva
teoretica e metodologica della "wissenschaftliche Weltauffassung",
si propongono come un'opera di ricerca etica a due dimensioni:
una filosofica e una scientifica (45). Della dimensione
filosofica, definita da Schlick "sistema di atti",
si è già detto; si è avanzata l'ipotesi
che essa sia pensabile, sulla base di una "lettura
in sviluppo" delle Fragen e di tale formula dell'ambiguità
pregnante e dialettica, come un insieme coordinato di atti
analitico-semantici, tesi a integrarsi nella prassi morale.
La risposta, cioè, alla domanda che cosa significhi
giustizia e democrazia, è data esaustivamente, senza
residuati semantici, a livello dell'empiria storica nelle
azioni dell'uomo che pratica la giustizia distributiva e
gestisce il potere in compartecipazione con tutti. Allo
stesso livello della condotta morale, si apre la dimensione
scientifica dell'etica come problematizzazione e "spiegazione
giustificativa (Erklärung) del valutare e dell'agire
morali" (46).
Per chiarire il rapporto tra l'etica filosofica e l'etica
scientifica, che si presta ad essere interpretato come una
realizzazione non perfettamente univoca del rapporto generale
tra filosofia e scienza (47), il concetto geometrico di
"dimensione" si presenta particolarmente utile.
Infatti, la filosofia neopositivistica e schlickiana della
"svolta" è una funzione distinta, ma non
separata né separabile, dalla funzione formalmente
scientifica della ricerca. La formula interpretativa del
Geymonat: "...l'indagine filosofica non precede, secondo
Schlick, ma segue (o accompagna) quella scientifica"
(48), se è esatta dal punto di vista teoretico, in
via iudicii, deve tuttavia essere precisata in via inventionis,
se la si intende cioè come una formula descrittiva
del procedimento concreto di ricerca. La precisazione è
richiesta da una considerazione filologica più attenta
di alcuni passi del testo schlickiano, ma soprattutto dal
modo in cui Schlick ha esercitato in concreto la professione
del filosofo e ne ha compiuto il lavoro nelle Fragen der
Ethik. Nello scritto teoretico e programmatico Die Wende
der Philosophie, Schlick asserisce: "Dalla filosofia
le proposizioni vengono esplicate, e dalla scienza vengono
verificate. Qui si considera la verità degli enunciati;
là che cosa propriamente quegli enunciati significhino.
Il contenuto, l'anima e lo spirito della scienza hanno ovviamente
la loro base, in ultima analisi, nel senso effettivo delle
sue proposizioni; la specificazione del senso è pertanto
l'attività filosofica, che costituisce l'alfa e l'omega
della conoscenza scientifica. Ciò è stato,
in effetti, rettamente supposto, quando si disse che la
filosofia fornisce tanto il fondamento (Grundlage) quanto
il vertice (Abschluss) dell'edificio delle scienze"
(49).
Nelle Fragen, il già ricordato momento filosofico
della ricerca dei significati (Aufsuchung), della loro scoperta
(Aufdeckung), del loro coglimento dinamico (Aufstellung),
del loro contenuto istituzionale (Feststellung), e il momento
propriamente definitorio (in cui le operazioni precedenti
culminano) della Begriffsbestimmung, precedono il momento
scientifico della problematizzazione (Fragestellung) e della
spiegazione causale (Kausalerklärung) dei fenomeni
morali (50). Le definizioni sono dunque soltanto mezzi al
fine (= scienza); esse stanno "all'inizio (am Anfang)
del compito propriamente conoscitivo (Erkenntnisarbeit);
se l'etica terminasse ad una definizione (del bene), sarebbe
al massimo la parte propedeutica ad una scienza (Vorstufe),
ed il filosofo dovrebbe interessarsi soltanto di ciò
che viene dopo di essa" (51). Il testo è notevolissimo
per due motivi: primo, perché asserisce la priorità
strumentale, sul piano tecnico-esecutivo, della definizione
filosofica sulla giustificazione scientifica di un oggetto
(nella fattispecie: il bene morale o l'azione umana in quanto
moralmente buona); secondo, perché respinge vigorosamente,
nel contesto, l'interpretazione riduttiva e banale, non
poco diffusa, della rilevante e qualificante tesi neopositivistica
che "i problemi filosofici sono problemi linguistici".
La proposizione non asserisce un'equivalenza; la filosofia
è sì, in qualche modo, anche glottologia;
ma solo nel suo esordio esecutivo, poi le sue operazioni
specifiche si svolgono e si sviluppano come funzioni interne
di una scienza specifica, come momenti chiarificatori e
illuministici di essa. Come aveva già rilevato G.
E. Moore nei suoi Principia Ethica del 1903, che sono all'origine
dei contemporanei sviluppi oxoniensi della filosofia analitica,
il compito del- l'etica non è riducibile a quello
semantico della "scienza del linguaggio" (52).
Infatti, l'analisi semantica e definitoria dei termini e
dei principi morali si apre in verticale, sia verso l'esplorazione
del sottosuolo economico e della struttura (o, marxianamente,
sovrastruttura) socio-culturale e politica che in essi si
rispecchiano, sia verso la Erkenntnis dell'oggetto così
definito. Erkenntnis (conoscenza scientifica) è il
termine tecnico con cui Schlick definisce l'operazione concettuale
che il ricercatore etico compie sull'oggetto (bene) della
propria indagine, e la funzione propria dell'etica in quanto
scienza (Wissenschaft). Nella prospettiva epistemologica
schlickiana, già illustrata nell'indagine sul rapporto
tra Erleben (esperire) e Erkennen (conoscere), emerge così
la distinzione dell'etica dalla morale e la irriducibilità
dell'una all'altra. L'etica, in quanto si presenta come
scienza, è puramente teoretica (53), e poiché
il sistema delle proposizioni che la costituiscono "si
riferisce al comportamento (Veralten) degli uomini, il campo
scientifico cui esse appartengono è quello della
psicologia" (54). Schlick sottolinea il rischio storico
dell'etica di trasformarsi in morale, e il grande pericolo
per il ricercatore di "trasformarsi in moralista e
in predicatore" (55). La morale sta all'etica, come
l'Erleben sta all'Erkennen, cioè come l'esperienza
vissuta (individuale e soggettiva) alla conoscenza concettuale
(universale e intersoggettiva).
Nelle Fragen, il rapporto tra i due poli dell'attività
conoscitiva, già oscuro nelle opere schlickiane più
propriamente epistemologiche (56), acquista una nuova tensione
dialettica. Infatti, la definizione del bene morale, che
è il punto d'incontro o di origine delle due dimensioni
dell'etica, e sta ad esse come l'angolo retto sta ai due
lati che lo formano, è l'ultimo atto di un processo
che si articola in una serie di suddefinizioni dal complesso
al semplice; in quanto tale, esso è un atto estensivo,
ossia materialmente indicativo di un oggetto non ulteriormente
definibile per simboli concettuali, e dunque solo esperito
ed esperibile (cioè oggetto residuale di Erlebnis
o di Kenntnis). "Ogni indicazione (Angabe) di un significato
(chiamata "definizione") deve condurre ultimativamente,
attraverso una serie di suddefinizioni, ad una immediata
(unimittelbaren) indicazione (Aufweisung) del significato,
la quale è effettuabile solo mediante un'azione reale,
un agire fisico o spirituale" (57), cioè sul
piano ontico e, per estensione, pratico.
L'esito finale deittico-ostensivo del procedimento definitorio,
mentre preserva il procedimento stesso dalla contraddizione
di un regresso all'infinito, apre un'altra rilevante aporia
nell'etica schlickiana o per lo meno rende problematico
il suo punto di partenza. Che cos'è, infatti, il
bene morale che essa esplora conoscitivamente, come suo
oggetto proprio? Schlick risponde con un'analogia. Come
la biologia e la fisica (l'ottica), rispettivamente scienza
della vita e della natura (della luce), non "costruiscono"
kantianamente il loro oggetto, ma "lo trovano nell'esperienza
(in der Erfahrung des Lebens), come materiale da elaborare"
(58), così l'etica trova il suo oggetto, il bene
morale, già dato e costituito, e quindi osservabile
(come la vita e la luce nella natura), nell'esperienza storica
dei popoli, nelle intuizioni dei predicatori, dei profeti
e dei moralisti, che sono i geni creativi della morale (59).
La nozione del bene morale si offre alla scienza secondo
una duplice caratterizzazione: formale e materiale. Il bene
si presenta " sempre come ciò che viene comandato
(das Gebotene) e il male come il proibito (das Verbotene).
Buone sono le azioni che ci vengono richieste, o pretese.
O, come viene affermato da Kant in poi: buone sono quelle
azioni che noi dovremmo (sollen) compiere" (60). La
ricerca dell'autore del comando e del divieto ha dato storicamente
risultati diversi. "Nell'etica teologica questo autore
è Dio... Nell'etica filosofica tradizionale prevale
l'opinione che l'autore è, per esempio, la società
umana (utilitarismo) o lo stesso soggetto agente (eudemonismo)
o anche nessuno (imperativo categorico). Di qui deriva la
dottrina kantiana del "dovere assoluto" (absoluten
Sollen), cioè di una richiesta senza richiedente"
(61). Nella Critica della ragione pratica di Kant e in ogni
altra impostazione razionalistica del problema morale, ad
essa riconducibile o affine, Schlick vede l'antitesi e la
negazione di ogni etica scientifica, al punto che le Fragen
potrebbero essere "lette" come il più vigoroso
tentativo storico di confutazione dell'opera kantiana, condotto
com'è sul piano stesso della sua possibilità
logico-semantica, prima che epistemologica (62). Per la
caratterizzazione materiale del bene morale, Schlick rinvia
- come s'è visto - alla storia sociale e del costume.
Essa è data storicamente come contenuto delle norme,
e dunque della volontà e del desiderio, create dal
legislatore morale.
Esso è per Schlick, in definitiva, sempre un soggetto
collettivo: la società, la quale identifica il bene
morale con l'utilità e la felicità sociali
(63). Definito così il bene morale, secondo un modello
teorico per così dire ilemorfico ispirato dalla fisica
aristotelica, e giunto, attraverso le sue fortune medievali,
fino a Kant che ne ha generalizzato l'applicazione, resta
da chiarire il come e il perché delle valutazioni,
delle scelte e delle azioni morali di un soggetto, individuale
e personale, secondo norme e principi universali.
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(1)Gli scritti inediti di Schlick, relativi più che
altro alla sua We1tanschauung sono stati conservati nell'archivio
Wiener-Kreis dell'Università di Amsterdam, diretto
dal Prof. H. Mulder. Cfr. in proposito A. IOLY PIUSSI, Introduzione
a M. SCHLICK, Problemi di etica e aforismi,trad. it., Patron,
Bologna, 1969, pp LXII-LXIV. Nelle pagine successive vedi
l'elenco complessivo delle opere di Schlick; infine (pp.
LXX-LXXII) la bibliografia su Schlick, aggiornata fino al
1969; dal 1969 a oggi, cfr., M. CAMBULA, Moritz Schlick
tra verità di ragione e verità di fatto, in
M. SCHLICK, L'essenza della verità secondo la logica
moderna, trad. it., a cura di M.Cambula, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2001.
(2) Un primo tentativo di "Bilancio dell'empirismo
contemporaneo" fu fatto in Italia al XXIV Congresso
Nazionale di Filosofia, tenutosi a L'Aquila dal 28 aprile
al 2 maggio 1973. Schematizzando al massimo, si può
dire grosso modo che dal quel dibattito sono emerse fino
ad oggi due posizioni: una di maggioranza, tendente a identificare
l'empirismo contemporaneo con una riedizione dell'empirismo
classico (Locke-Hume) e a ritenere esaurita la sua funzione
storica; l'altra di di minoranza, sostenitrice di una maggiore
ricchezza e complessità di motivi del neoempirismo
rispetto all'empirismo tradizionale, per una più
rilevante presenza in esso dell'" iniziativa del soggetto
" (M. Dal Pra). Cfr. Atti del XXIV Congresso Nazionale
di Filosofia, 2 voll, 3 tomi, Roma, Società Filosofica
Italiana, 1973-1974; M. Cambula, Moritz Schlick tra verità
di ragione e verità di fatto, op. cit., pp. 12-23.
(3) Il metodo accennato non richiama quello per "monografie"
del Croce, ma piuttosto, e solo per analogia, il celebre
e oggi molto diffuso metodo teorizzato e adottato dagli
storici della rivista Annales d'histoire economique et sociale,
pubblicata a Parigi dal 1929. Protagonisti del rinnovamento
metodologico della ricerca storiografica, promosso dalle
Annales, furono i due primi direttori: M. BLOCH e L. FEBVRE.
(4) Cfr. G. MORRA, Il problema morale nel neopositivismo,
Manduria , Bari-Perugia 1962. Nel cap. su L'edonismo di
M. Schlick (pp. 37-48), muovendosi nella prospettiva critica
di Pietro Chiodi, secondo il quale Schlick ha proposto un
"natura1ismo carico di ipoteche metafisiche e di implicazioni
romantiche" (Riv. di Filos., 45, 1954, p. 34), il Morra
non solo rileva i "limiti" dell'etica dello Schlick
nella sua derivazione "da1l'empirismo inglese e dalla
sociologia positivistica" (p. 44), ma afferma "la
impossibilità di derivare un'etica coerente dalle
premesse speculative del neopositivismo" (p. 47).
(5) Cfr. A. IOLY PIUSSI, Introduzione all'ed. it. delle
Fragen der Ethik, op. cit., pp. XXIX-LX. L'autrice sviluppa
a fondo la critica del principio di significanza fino a
definirlo "contraddittorio" e ad affermare "l'insignificanza
del criterio di significanza" (p. XXIX) e che "l'etica
come scienza autonoma non pare trovar posto all'interno
della prospettiva schlickiana" (p. LX). Tale critica,
abbastanza comune tra gli studiosi, è confutata da
G. PRETI, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino, 1957.
(6) Cfr. F. BARONE, Il neopositivismo logico, nella prima
edizione di "Filosofia", Torino, 1953. A pag.
194: " Nella prospettiva dello Schlick non c'è
la possibilità formale di formulare il problema etico,
di rendere significante l'espressione di norme morali: [...]
Le affermazioni di Schlick: "è naturale per
l'uomo essere buono" ed " egli non può
attirare a sé la felicità, ma può disporre
l'intera sua vita in modo da essere pronto a riceverla se
essa viene", sono contraddittorie tra loro".
(7) I numerosi saggi di epistemologia, sia anteriori, sia
posteriori alle Fragen der Ethik (1930), sono tutti indistintamente
dedicati ad analizzare la struttura e i procedimenti delle
scienze fisiche e il loro significato per la filosofia.
Ricordo i più notevoli prima del 1930: 1) Die philosophische
Bedeutung des Relativitätsprinzip (1915), in "Zeitschrift
für Philosophie und philosophische Kritik ", 159,
pp. 129- 175; 2) Raum und Zeit in der Gegenwärtigen
Physik. Zur Einführung in das Verständnis der
Relativität- und Gravitationstheorie, Berlin 1917,
p.114; 3) Die Relativitätstheorie in der Philosophie,
in " Verhandlungen der Ges. deutscher Nature delle
forscher u. Àrtzte, 87. Vers., 1922; 4) Kritizistiscbe
oder empiristische Deutung der modernen Physik? , in "
Kantstudien ", Berlin, 26, pp. 96-111. Questo saggio
è forse il più " topico " per una
definizione storica dell'empirismo di Schlick e del rapporto
ragione-esperienza nella costituzione del sapere scientifico;
5) Erkenntnistheorie und moderne Physik, in " Scientia
", 45, pp. 307-316.
(8) Proposte e tentativi di utilizzazione del sistema assiomatico
hilbertiano e deI teorema di Godel in campo etico sono chiaramente
rintracciabili in Fragen der Ethik, cit., p. 13. Illustrando
il senso in cui l'etica può essere un sistema di
norme, Schlick ne rileva la " natura " nur relativhypotetisch,
nicht absolut " con la conseguente impossibilità
di giustificarlo logicamente a11'intemo di sè stesso:
" der Ursprung der Normen liegt immer ausserhalb und
vor der Wissenschaft ".
(9) Cf. M. SCHLICK, Tra realismo e neopositivismo, trad.
it, il Mulino, Bologna 1974, Introduzione di L. Geymonat,
p. 15.
(10) M.SCHLICK, Problemi di etica e aforismi, trad. it.,
cit. p. 150.
(11) A. PASQUINELLI, Introduzione a Carnap, Laterza, Bari,
1972, p, 115.
(12) Cfr. P, PARRlNI, Per un bilancio dell'empirismo contemporaneo:
contributo alla storia del positivismo logico, in "Riv.
crit. di storia della filosofia ", A. XXXI, Fasc. II,
aprile- giugno 1976, pp. 193-239. Contro la tesi che identifica
il neoempirismo col riduzionalismo, di cui sembra incontestabile
la crisi definitiva, l' A. dimostra con metodo storico rigoroso
come fin dalle origini abbiano operato in esso due componenti
per così dire dialettiche: quella riduzionista di
derivazione "Mach.-Russell-Wittgenstein"; e quella,
più sotterranea, di tipo ipotetico-deduttivo, "Poincarè
- Duhem", che ha operato poi già dal "secondo"
Carnap nel processo di "liberalizzazione" del
principio di verificazione in direzione di un recupero più
consapevole dell'aspetto teorico o inventivo-creativo della
ricerca scientifica, concedendo maggiore spazio epistemologico
alla "iniziativa del soggetto " sottolineata da
M. Dal Pra al XXIV Congresso Nazionale di Filosofia (L'Aquila
28 aprile-2 maggio 1973) nella sua comunicazione: L'empirismo
contemporaneo e I'iniziativa del soggetto (Atti, cit., vol.
II, t. I, pp. 26-33). Del Parrini è parimenti metodologicamente
(ma non solo) esemplare e ricca di indicazioni e di stimoli
l'opera: Linguaggio e Teoria. Due saggi di analisi filosofica,
Firenze, La Nuova Italia 1976. Per un'analisi comparativa
del neopositivismo di Schlick e del positivismo dell'800,
v. H. RUTTE, Moritz Schlick, der Positivimus und der Neopositivismus,
in " Zeitschr. für Philosophische Forschung ",
Bd. 30, Hft. 2, April- juni 1976, pp. 246-268.
(13) Cfr. H. REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica,
trad. it., Il Mulino, Bologna 1974, pp. 133-149 (cap. 8:
La natura della geometria).
(14) Cfr. A. ]ANIK-S. TOULMIN, Wittgensteins Vienna, trad.
it., Garzanti, Milano 1975. Tesi centrale dell'opera: "L'uso
viennese " del Tractatus, ossia l'interpretazione neoempiristica
datane dagli aderenti al Circolo di Vienna, è stato
determinato da un clamoroso fraintendimento del significato
dell'opera, che secondo la mens dell'autore: doveva essere
la conclusione della fìlosofia trascendentale di
Kant.
(15) M. SCHLICK, Die Wende der Philosophie, in Ges. Aufs.,
cit., pp. 31-40; trad. it., in: M. SCHLICK, Tra realismo
e neopositivismo, Il Mulino , Bologna 1974, pp. 27-34.
(16) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, cit., Vorwort, p. III.
La formula "System von Aussagen", (lett.: sistema
di enunciati), è ricorrente nei testi schlickiani
con la variante "Satz" (= proposizione significante
di un contenuto specifico e capace quindi di essere verificata
o falsificata) o "Erkenntnis " (conoscenza concettuale,
simbolica, sistematica).
(17) M. SCHLICK, Die Wende der Philosophie, op. cit., p.
36. La formula è "System von Akten", con
le varianti: Tätigkeit, Handlung, Tun.
(18) Per la discussione dell'intero problema e per la funzione
risolutiva che in esso hanno le nozioni di "congruenza"
e le definizioni di "corrispondenza", vedi H.
REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica, trad.
it., Il Mulino, Bologna 1974, pp. 136-142.
(19) M. SCHLICK, Die Wende der Philosophie, cit., p. 36:
"die Koenigin der Wissenschaften"; cfr. la trad.
It., Tra realismo e neopositivismo, op. cit., p.56
(20) M. SCHLICK, Die Wende der Pilosophie, cit., pp. 34-37.
Ecco le formuIe ricorrenti nel descrivere in maniera articolata
le funzioni della filosofia: a) den Sinn der Aussagen feststellen
oder aufdecken (p. 36); b) die Sätze klären (p.36);
c) Analyse des Sinnes der Aussagen (p. 37); d) die sinngebende
Akte (p. 38). E' ovvio che la funzione analitica qui dichiarata
include una pars destruens che consiste nell'emarginare
la metafisica, l'etica e la religione dal discorso scientifico
e da tutto l'universo del discorso umano dotato di senso.
(21) Incompleta la valutazione di Schlick in: G. GREWENDORF
und G. MEGGLE, Seminar: Sprache und Ethik, Zur Entwicklung
der Metaethik, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M., 1974. Gli
autori nell'introduzione (Zur Struktur des Metaethischen
Diskurses, pp. 7-31) a questa agile, rapida, essenziale
scelta antologica di filosofi analitici anglo-americani,
riducono la concezione etica di Schlick alla teoria emotiva
di Camap e di Ayer (pp. 14-15).
(22)Il richiamo a Rosmini, a mio avviso, è essenziale
per capire i possibili esiti dell'istanza razionalistica
nell'etica, presente già in Aristotele e negli Stoici,
esasperata ;in direzione ontologica nell'ordine geometrico
spinoziano e in direzione trascendentale nel formalismo
di Kant. Il personalismo cristiano, immesso dal Rosmini
nel razionalismo, sembra aver operato da elemento di equilibrio
teoretico nella correzione del formalismo, come appare dalla
sua ripartizione dell'Etica in: I. Etica pura e II. Etica
applicata. Esemplare, dal punto di vista sistematico, è
la suddivisione dell'Etica pura in: Parte I. Nomologia pura
[...]; Parte II. Antropologia. morale [...]; Parte III..
Logica morale [...]. Cfr A. ROSMINI, Principi della scienza
morale, a cura di M. F. SCIACCA, Sansoni, Firenze 1946,
pp. 43-45. La terza parte può considerarsi un'istanza
genialmente precorritrice dell'attuale logica deontologica
(v. i quattro operatori normativi P ( = è permesso),
F ( = è probito), O ( = è obbligatorio, I
( = è indifferente), di G. H. Von WRIGHT, An Essay
in Deontic Logic and the General Theory of Action, North-Holland,
Amsterdam 1968.
(23) Una " lettura in sviluppo " delle Fragen
der Ethik di Schlick credo sia filologicamente fondabile
sull'uso ricorrente di Sinn (non di Bedeutung). Il termine,
nel contesto etico schlickiano, non è chiuso a una
contaminazione di forme di discorso sociologico e morale,
e anche ideologico; mi pare anzi riflettere quella sana
ambiguità di fondo che solca il pensiero etico di
Schlick, teso a integrare il discorso assiologico nel discorso
scientifico.
(24) Cfr. A. IOLY PIUSSI, Introduzione a1l'edizione italiana
delle Fragen der Ethik, op.cit., pp. XL-XLI.
(25) Cfr. M. SCHLICK, L'ècole de Vienne et la Philosophie
traditionelle, in "Ges. Aufs.". op.cit., pp. 296-398;
vedi anche: The future of Philosophy, ivi, pp. 122-126.(Ora
in trad. It., a cura di M. Cambula, La Scala, Noci-Bari,
1998, pp. 86-89.
(26) Cfr. M. SCHILICK, Fragen der Ethik, pp. 10-12.
(27) Ivi, pp.118-159.
(28) Ivi, p. 9.
(29) Ivi, p. 9.
(30) Sulla semantica referenzialistica, cfr. L. BLOONFIELD,
Il linguaggio, trad. it., Milano 1974; sulla sua crisi nell'epistemologia
contemporanea del Bachelard, cfr. G. BACHELARD, Epistemologia,
antologia a cura di D. LECOURT, trad.it., Laterza,Bari 1975;
notevole l'Introduzione di F. LO PIPARO, p. VII-LXIII; del
quale è da segnalare anche Tre semantiche referenzialistiche,
in "AA.VV., Studi Saussuriani, Bologna 1974.
(31) Nonostante la scarsa utilizzazione esplicita di Hobbes
nelle Fragen (pp. 119-21) sembra che Schlick ne abbia ricevuto
alcune suggestioni metodologiche. Hobbes infatti nel De
Cive (1642) e nel Leviathan (1651) applica un metodo sostanzialmente
costruttivo, partendo da ipotesi o assiomi relativi, e anticipa
storicamente la concezione sintattica della verità,
attorno alla quale si accenderanno le polemiche neopositivistiche
sui "protocolli" negli anni Trenta del Novecento.
Schlick intervenne, con intenzione risolutiva, nel saggio
del 1934 Uber das Fundament der Erkenntis con la teoria
delle proposizioni osservative (Beobachtungsätze) contrapposta
polemicamente alla teoria delle proposizioni protocollari
(Protokollsätze) di Neurath e alle esperienze elementari
(Elementarerlebnisse) di Karnap.
(32)M. SCHLICK, Fragen der Ethik, p.59 La spiegazione causale
è l'operazione specifica dell'etica scientifica.
Il passo è notevolissimo perché disegna l'asse
del raccordo dell'etica fìlosofica (logico-semantico-
storica) con l'etica scientifica (psicologico-esplicativa).
(33) H. REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica,
trad. it., il Mulino Bologna 1974, p. 71.
(34) M. WEBER, Sociologia delle religioni, trad. it., a
cura di C. SEBASTIANI, voll. 2, UTET, Torino 1976, pp. 1310.
L'opera conclude il progetto weberiano iniziato con la celebre
Die protestanticbe Ethik und der Geist des Kapitalismus
del 1905; vedi trad. it. di P. BURRESI, Sansoni, Roma 1945,
1965.
(35) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, c., p. 66.
(36) P. ANGELA, L'uomo e la marionetta (il comportamento
quotidiano visto attraverso i condizionamenti biologici),
Garzanti, Milano 1973, pp. 59-81 ( cap. III: Genetica e
morale). Il carattere divulgativo non nuoce alla precisione
scientifica, sia pure da primi elementi, dell'opera.
(37) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, c., pp. 59-61.
(38) M. HEIDEGGER, Platons Lehre von der Wahrheit, Berna
1947; vedi anche la puntualizzazione su " Parmenide
e la storia della filosofia " in Che cos'è la
metafisica, a cura di A. Carlini, La Nuova Italia, Firenze
1967, pp. 106-107.
(39) I. KANT, Critica della ragione pratica, trad. it. a
cura di V. Mathieu, La Scuola, Brescia 1962, p. I, l. I,
cap. 2, pp. 53-56. Utili indicazioni esegetiche e bibliografiche,
anche in rapporto alla contemporanea filosofia analitica
oxoniense, in: Materialien zur Kantskritik der praktischen
Vernunft , Herausgegeben von R. Bittner u. K. Cramer, Suhrkamp
Verlag, Frankfurt a. Main 1975.
(40) M.SCHLICK, Fragen der Ethik, pp. 66-68.
(41) Ivi p, 64.
(42) R. HAVEMANN, Dialettica senza dogma ,trad.it., Einaudi,
Torino 1965, p. 155. Vedi soprattutto le questioni di morale
(pp.182-184) e questioni di morale socialista (pp.195-205).
(43) M. SCHLICK, Ivi, pp. 58-60. La polemica contro la "
Moral der Entsagung " a favore di una " Sittlichkeit
ohne Entsagung " è presente in tutto il testo
schlickiano; ne è la ratio essendi.
(44) Il cap. VIII,l'ultimo, che da solo costituisce quasi
un terzo di tutta l'opera (pp. l17-152) è dedicato
a rispondere alla domanda principale dell'etica: "perché
l'uomo agisce moralmente", o "perché l'uomo
è morale" attraverso una minuziosa ricerca,
analisi psicologiche e pedagogiche. Ecco, in forma interrogativa,
i passaggi logici del lungo discorso schlickiano:
l. Perché l'uomo agisce moralmente?
2. Perché ciò che è utile alla società
è assunto come piacevole dall'individuo?
3. Come nascono e maturano nell'individuo le disposizioni
o le inclinazioni al comportamento morale?
4. Qual è il processo psicologico attraverso il quale
certe azioni o modelli comportamentali diventano motivanti,
per l'uomo? la prospettiva pedagogica in cui è posta
questa domanda è evidente. Schlick risponde che si
diventa uomini morali attraverso la "suggestione"
e l'educazione ai valori (motivazioni ab extrinseco) e attraverso
la sintesi conciliativa tra sentimento del motivo (Motivgefühle)
e sentimento del successo (Erfolgsgefühle), cioè
l' "Angleichung", assimilativa del piano intenzionale
(teoria) al piano esecutivo (prassi).
(45) M. SCHLICK, Ivi p,. IV
(46) Ivi, p. 19.
(47) Per un'informazione generale e per una chiara proposta
di soluzione del rapporto tra filosofia e scienza, in una
prospettiva metodologica più ampia e lontana da quella
neopositivistica qui esaminata, cfr. G. FREY, Philosophie
und Wissennscbft, Verlag W. Kohlhammer, Stuttgart 1970.
Semplici, ma illuminanti, le analisi dei diversi metodi
scientifici (logico, analitico, empirico, ipotetico-deduttivo,
ermeneutico; pp. 35-65), e del metodo filosofico in rapporto
al futuro della filosofia (pp. 77-121). Più impegnativa
l'ormai classica opera di I. M. BOCHENSKI, Die Zeit- genossischen
Denkmethoden, Francke Verlag, Bern 1954, ora in 6ª
ed. UTB, Francke Verlag, München 1973. I metodi sono
ridotti a quattro principali: fenomenologico, semiotico,
assiomatico, riduttivo.
(48) M. SCHLICK, Tra realismo e positivismo, trad.it. cit.,
il Mulino, Bologna 1974, Introd. di L. Geymonat, p. 9.
(49) In: M. SCHLICK, Tra realismo e positivismo, c., p.
31. Le ultime due sottolineature e i due riferimenti del
testo originale sono nostri.
(50) La segmentazione della linea di ricerca filosofica
schlickiana, da noi proposta, non è mai esplicitamente
teorizzata nei testi, ma è senza dubbio ad mentem
auctoris, il quale dimostra di attenervisi nell'organizzare
e nel condurre l'indagine nelle Fragen.
La linea di procedimento è rintracciabile non solo
nel piano generale dell'opera, articolata problematicamente
(secondo la dichiarazione esplicita del titolo, Fragen)
in otto capitoli, ma anche nelle giunture formali interne
ai capitoli e nei nessi logici di passaggio e di sviluppo
delle parti. Notevole nel I cap. la progressione metodologica
e logica dal par. 3° (Uber die Definition des Guten)
al par. 10 (Die Ethik sucht Kausalerklärung) attraverso
una serie di passaggi, in cui la dimensione filosofica si
va progressivamente integrando nella dimensione scientifica
della ricerca etica.
(51) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, c., p. 4.
(52) G. E. MOORE, Principia Ethica, trad. it. di G. Vattimo,
Bompiani, Milano 1964. Il rinvio all'opera di Moore è
unico nelle Fragen. Non esiste, allo stato attuale delle
ricerche, un giudizio critico sulle affinità e le
differenze delle due opere. È certo però che
Schlick non trova nel lavoro del Moore né un modello
metodologico, nei termini di riferimento polemico esplicito,
nemmeno nella critica dell'intuizionismo etico, che in Moore
però è " corretto ", come sottolinea
N. Abbagnano nella Prefazione all'ed. it. cit. (p. 23).
La famosa fallacia naturalistica mooriana non sembra avere
rilevanza per Schlick.
(53) M. SCHLICK, Fragen der Ethik, c., p. 1.
(54) M. SCHLICK, Ivi, Vorwort, p. IV. La riduzione del problema
etico a problema psicologico è operata anche nel
quadro programmatico dei Neopositivisti per l'unità
delle scienze, proposto dalla rivista Erkenntnis (1930-1937),
diretta da Carnap e Reichenbach, trasformatasi nel 1938,
nell'esilio americano di alcuni Circolisti, in " Enciclopedia
internazionale della scienza unificata ". Nel titolo
sono visibili sia venature illuministiche, sia tracce dell'utopia
epistemologica leibniziana (già lulliana) del principio
o sogno "universalizzabile" del "calculemus"
.
(55) M. SCHLICK, Ivi, c., p. 1.
(56) Riferendosi alle proposizioni osservative sintetiche,
proposte da Schlick in alternativa alle proposizioni protocollari
di Carnap e Neurath, come base della scienza, nel saggio
del 1934 Sul fondamento della conoscenza, il Geymonat scrive:
" Non intendiamo affrontare il problema se questa tesi
di Schlick sia filosoficamente soddisfacente e neanche se
essa rappresenti, o no, una parziale rivalutazione del Kennen
rispetto all'erkennen " (in: M. SCHLICK, Tra realismo
e neopositivismo, c., p. 13 ).
(57) M. SCHLICK, Ivi, p. III.
Sulla definizione ostensiva, cfr. P. M. S. HACKER, Wittgenstein
on Ostensive Definition, in " Inquiry ", vol.
18, N. 3, Autumn 1975, pp. 267-287. Notevole il seguente
rilievo storico-critico dell'A.: la definizione ostensiva
" had been neclected as trivial bei his (di Wittgenstein)
predecessors, and taken for granted by the Vienna Circle
as bein umproblematic " (p. 267).
In Schlick essa è operante come principio pratico,
pur non essendo problematizzata, come non lo è neppure
nell'opera classica di W. DUBISLAV, Die Definition, 3 Aufl.,
Leipzig 1931. Adorno, illustrando la terza delle quattro
teorie sulla definizione proposta dal suo amico Dubislav,
accenna al procedimento deittico (mostrativo o ostensivo)
ad essa contrapposto (cfr. T. W. ADORNO, Philosophiscbe
Terminologie, Surkahmp, Frankfurt a.M. 1973, Bd I, pp. 10
e 221). L'opera di Adorno, postuma, è tradotta in
italiano da Einaudi, Torino 1975.
(58) M. SCHLICK, Ivi, p. 2. Schlick è contro la concezione
neokantiana dell'oggetto della scienza, che sarebbe "aufgegeben",
e non solo "gegeben" come sostiene Schlick aderen
all'epistemologia delle scienze positive. È noto,
ad es., che nel neocriticismo di Cohen, attivamente come
Erzeugung e come Ursprung. Si noti però anche che
il carattere di datità del bene, il suo essere "
vorgefunden " rispetto all'atto scientifico, è
problematico in Schlick, ma non problematizzato. Esso è
dato e presente nell'Erlebnis, nella cui sfera sembrano
gravitare, senza scampo, le proposizioni osservative di
base della scienza etica. Qui sta il punto (o il male?)
oscuro dell'epistemologia schlickiana.
(59) M. SCHLICK, Ivi, c., p. 18.
(60) Ivi, p. 7.
(61) Ivi, p. 8.
(62) Le proposizioni sull'imperativo categorico sono solo
proposizioni apparenti (Scheinsätze) perché
aspirano ad esprimere azioni senza soggetto. Così
pure è contraddittorio il concetto di dovere assoluto;
" senza qualcuno che lo ordini è come uno zio,
tale non in relazione a qualche nipote, ma in assoluto "
(Fragen, p. 83).
(63) L'utilitarismo ed eudemonismo sono proposti da Schlick
come il risultato di attente e minuziose analisi semantiche
e psicologiche. Alla domanda "che cos'è 1a moralità"
(Was heisst moralisch), Schlick risponde prima in negativo,
definendo che cos'è il suo contrario, identificato
nell'egoismo come peccato contro la felicità sociale,
in quanto esso è pensabile solo come "Rüksichtslosigkeit"
(Fragen, cap. III, pp. 41-57); poi in positivo (cap. IV,
pp. 58-73), definendo il bene secondo un duplice principio
neoutilitaristico ed eudemonistico, in cui l'utilità
e la felicità sociale rifluiscono nelle utilità
e felicità individuali.
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