Nel primo
intervento (G. Mascia, "Genealogia di un sentiero -
Nota preliminare", XÁOS. Giornale di confine,
n.1 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_precedente/art_7.htm)
si è voluto cercar approdo nei lidi dell'ermeneutica,
'koinè' filosofica che ben può descrivere
alcuni tratti della contemporaneità; ora, all'interno
di essa, abbiam volto lo sguardo soprattutto verso il 'pensiero
debole', sospettando - non senza qualche abuso - che questo
non possa presentarsi come un definitivo congedo dal 'Grund'.
Nella Nota Preliminare
siamo partiti da un'affermazione tanto forte quanto generica,
la ripetiamo: la nostra epoca ha, per così dire,
il tratto della rarefazione. Ogni inizio è oscuro
(diceva Gadamer) e chi scrive ne è consapevole, così
si è scelto di iniziare con una tale sentenza poiché
sembra render conto di ciò che diverse famiglie filosofiche
hanno, nel corso della contemporaneità, assunto -
chi nel senso di una progressiva erosione di strutture stabili,
chi nel senso di un cambiamento radicale - come paradigma
che meglio di altri ha potuto tradurre e riassumere l'esperienza
del tempo tardo-moderno (o postmoderno se si vuole); paradigma
che nel "costruire un ponte" fra tradizioni di
pensiero apparentemente lontane ne ha così determinato
un punto di contatto. Fin qui, pertanto, si è cercato
di tracciare una mappa che indicasse all'interno di questa
vasta 'area geografica' un'isola d'approdo da cui poter
ripartire. Si è voluto trovar ancoraggio in quelle
proposte filosofiche che hanno pensato il XX secolo come
l'epoca dell'oltrepassamento della metafisica, o meglio
(e in linea più generale) come l'epoca del tramonto
delle pretese ad una razionalità unica e universale.
Filosofie della Krisis, filosofie del crepuscolo della civiltà
"dell'ousia". Filosofie che segnano il nostro
tempo e che per contrappasso sono a loro volta segnate da
esso; così, non essendosi dileguato il vecchio tentativo
che fa della filosofia un 'voler essere il proprio tempo
appreso con il pensiero' e poiché il nostro occhio
'si radica' a partire da ciò che gli è più
prossimo, all'interno della curva che ha solcato il 900'
abbiamo guardato al pensiero debole, la cui vicinanza a
noi è attestata (almeno
.) da una 'geofilosofia'
dell'Oggi. Qui Heidegger e Nietzsche si guardano l'un l'altro,
e il pensiero vi passa attraverso trovando la via che porta
dal primo al secondo e viceversa; qui si sente il frastuono
di uno dei Frammenti del filosofo dell'eterno ritorno che
annuncia:"La novità della nostra attuale posizione
verso la filosofia è una convinzione che finora non
fu propria di nessuna epoca: cioè che non possediamo
la verità!" Ecco, questo pensiero (il debolismo)
vuole essere una finestra sulla Storia, uno sguardo che
procedendo a ritroso scopre l'età della debolezza
come il 'mezzogiorno dell'umanità', l'epoca in cui
le 'ombre' sono scomparse, così da poter procedere
ad esplorare ciò che ne consegue, sia nel senso del
loro superamento, sia nel senso della loro continuazione
indebolita. Il nichilismo è pertanto la vicenda dell'ontologia
occidentale, regione dell'essere in cui 'dell'essere non
ne è più nulla'. 'Forma formante' del pensiero
debole, almeno così affermano i suoi teorici, è
il non rivendicare nessuna sovranità, il non lasciarsi
niente alle spalle, il conservare tutto -ovvero: nulla viene
scartato- assumendo il passato nel senso del 'Gewesenes'
heideggeriano, un passato che ha a che fare con l'invio
e con il destino, dove destino non rinvia alla cieca fatalità,
ma vuol dire qualche cosa che non è puro arbitrio:
testimonianza di una radice che nel costituire il nostro
Oggi scorre nel letto del tempo - storia, e qui rispecchia
di se stessa; impossibile non abusare di un'immagine di
Hegel che esprime perfettamente il fulcro di questa vicenda
concettuale:"(noi..) siamo il fiore più splendente
del tempo, nel nostro occhio brilla ciò che ci alimenta".
La chiave d'accesso al 'palazzo dei flebili' (così
li ha chiamati C.A.Viano nel suo pamphlet "Va' pensiero")
assume allora una forma precisa: accogliere questo destino
nel senso dell'invio. L'ontologia ermeneutica dell'Oggi
può perciò dichiararsi debole proprio perché
l'Oggi come effettività è animato dalla Storia
come cammino di una costante consumazione. A volte (in ciò
sta la nostra arditezza) si ha come l'impressione che il
pensiero debole assomigli ad una sorta di sala d'attesa
che, ospitando elementi heideggeriani e nietzscheani, ci
prepara a ricevere qualcosa, o meglio: avverte che noi accediamo
all'essere solo tramite delle condizioni di possibilità
che abbiamo ereditato dalla nostra tradizione storica, condizioni
che hanno una provenienza e che costituiscono il nostro
tempo; noi siamo dentro questa 'Ueberlieferung' (sussurrano
i flebili), articolazione del compreso dove conoscente e
conosciuto si appartengono già: questa è ermeneutica.
Parafrasando Hegel dentro queste premesse si potrebbe dire
che nel darsi delle "cose" a noi e nello stare
dentro il circolo di questa provenienza restituiamo al sole
il calore e la luce con cui illumina e riscalda quest'orizzonte
di apertura: animazione di un radicamento in cui vi è
un ricevere e un restituire. Qui si riconosce il potente
vibrare della dialettica, queste sono le arcinote avventure
della differenza: il dire nel detto, il dire dopo il detto;
ecco, 'nessuna cosa è dove la parola manca', solo
così l'essere ha la sua dimora. Hegel sosteneva che
non è il puro caso a determinare il sorgere di nuove
filosofie, soprattutto in tempi segnati da una certa 'leggerezza'
come i nostri queste sono il segno che alcune "forze"
si sono affievolite e che altre si stanno annunciando con
vigore: proprio quest'ultime hanno il compito di traghettarci
verso nuove epoche di stabilità. La Krisis è
un crepuscolo in cui qualcosa perde consistenza e qualcos'altro
invece ne acquista. Tutto questo è l'ossigeno di
una filosofia che vuole essere un'ontologia del declino,
che per dirsi tale - ed è ciò che qui molto
brevemente si sostiene - deve, per un verso, radicarsi (individuare,
indicare, etc
) con degli appigli che, se osservati
da vicino, non hanno dei punti d'appoggio propriamente 'deboli'.
Qui la logica (e il buon senso
) di Aristotele ci indica
una possibile via: si potrebbe dire infatti, rimescolando
il suo linguaggio e rapportandolo al nostro, che nel momento
in cui si indica un qualcosa che è soggetto a 'indebolimento'
si sta rilevando anche (implicitamente) un punto di forza;
di contro, il corretto ragionar debolista non si opporrebbe
più di tanto ad una simile logica, poiché
nel suo spettro concettuale è proprio questo il 'punctum
dolens', ovvero: qualcosa che "governava con monolitica
solidità" ora si è dissolto nelle sue
stesse "province"; e così si è passati
dall'essere di Parmenide alla volontà di potenza
di Nietzsche, dall'essere come struttura stabile all'essere
come 'Erignis'. Il pensiero della Storia dell'essere come
declino è allora pensiero di questo 'continuum',
pensiero di una tradizione, pensiero di qualcosa che giunge
a noi come tramandamento. Tuttavia, accettare una relazione
con una simile intimità tra essere, storia e linguaggio
vuol dire disporsi nella condizione per cui tutto è
rimesso al 'continuum' del tempo-storia, significa trovarsi
in una situazione in cui accediamo alle "cose"
solo nell'obbedienza ad esso: nemmeno per un istante possiamo
liberarci dal suo "governo", in ogni momento non
possiamo che essere in un rapporto di dipendenza , in un
rapporto di filialità! In questo scenario l'immagine,
e il senso ... del tempo-storia assomiglia più alla
'cometa' di Husserl che all' 'Angelo della Storia' di Klee
di cui parla Benjamin: faccenda heideggeriana in uno scheletro
hegeliano. Ben si comprende allora che l'ermeneutica dell'effettività
di cui parla il filosofo dell''Erignis' lavora e plasma
le fondamenta del pensiero debole: l'occhio, per Heideggger,
necessita di un radicamento, deve essere annidato in una
continuità, per questo sin dal principio siamo presi
dall'alterità di qualcosa che ci è preliminare.
Quanto delineato finora è , per alcuni versi, rintracciabile
seguendo alcune tappe decisive di una certa tradizione continentale
che ha segnato interi schieramenti filosofici del 900',
per esempio: nel laboratorio teoretico che prepara Essere
e Tempo - ci riferiamo allo scritto giovanile intitolato
Ontologia ermeneutica dell'effettività - Heidegger
delinea (a scapito di qualche lettore
) cosa significhi
essere immersi in un'apertura, scrive infatti: "Il
concetto non è uno schema ma una possibilità
dell'essere, dell'attimo, ovvero costitutivo dell'attimo,
un significato attinto
(
) nostra precognizione".
Ecco: nell'attimo il concetto è presente, familiare;
non c'è attimo senza familiarità col concetto,
l'attimo si offre nella possibilità del concetto,
possibilità concettuale: il concetto è ciò
che è comune agli attimi, nostra precognizione
..,
un significato attinto
.! Qui si rileva il tratto essenziale
della nostra fatticità: la nostra vita, i nostri
attimi, il nostro tempo sono resi possibili a partire da
ciò in cui siamo inscritti, è l'unità
di questa continuità che genera la nostre possibilità.
Ermeneutica significa perciò esser-già dentro
un "grembo", ricevere un punto di vista: nell'attimo
in cui diciamo una parola noi la stiamo raccogliendo. Il
'Dasein' heideggeriano, uno dei perni vitali dell'impalcatura
debolista, si alimenta di questa stoffa di tempo-storia,
vive di una tradizione; volendone fare una sorta di archeologia
dovremmo dire che il concetto di 'Dasein' vive di molte
stratificazioni in cui l'influenza di Dilthey è tanto
presente quanto decisiva, nei Nuovi studi sulle scienze
dello spirito si legge: "Da questo mondo dello
spirito oggettivo il nostro io trae il suo nutrimento (
)
la navicella della nostra vita è trascinata da una
continua corrente che la spinge, e il presente è
sempre ovunque là dove noi siamo su queste onde".
Se il nutrimento dell'io
, la navicella
, la continua
corrente
di cui parla Dilthey vengono letti nella
direzione di quello che Hegel nell'Enciclopedia indica
come il 'principio dell'esperienza dello spirito vivente',
principio secondo il quale 'l'uomo, per accettare e tener
per vero un contenuto, deve esserci dentro esso stesso',
risulterà palmare che l'hegelismo affonda le sue
radici ben in profondità nel terreno su cui son germogliate
le filosofie post-heideggeriane; lo stesso Heidegger d'altronde,
nella piena maturità, ritenne necessario un ripensamento
del rapporto della sua filosofia con quella di Hegel. E'
chiaro che secondo queste premesse il tempo - storia (cellula
del pensiero debole) risuona di una memoria troppo forte
per non avere i tratti del 'Grund' che trattiene tutto a
sé nella corrente del suo dispiegarsi: proprio per
questo certe filosofie dovrebbero guardare ad altre avventure
del pensiero, volgersi verso forme di razionalità
per cui l'idea di continuità ha il destino di schiacciare
e di livellare tutto al suo passaggio. Forse nel cuore del
debolismo, più che la possente 'armonia' della differenza
ontologica, si dovrebbe poter ascoltare la voce di Benjamin
che bisbiglia: l'immagine dialettica è un immagine
folgorante
..il ricordo è la reliquia secolarizzata
..la
reliquia proviene da un cadavere
.ecco il ricordo di
un'esperienza defunta.
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