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ALESSANDRA PIGLIARU, "IL TEATRO DELL'ASSURDO"

 

A. Pigliaru, Il Teatro dell'Assurdo: Caligula di Albert Camus, "XÁOS. Giornale di confine", Anno I, n.2 luglio-ottobre 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_2/art_12.htm

 

Se per Sartre l'Assurdo è la gratuità dell'esistenza, alla quale si può reagire solo con l'auto-inganno della malafede (A.Pigliaru, "Il Teatro dell'Assurdo. Huis Clos di J. P. Sartre ", XÁOS. Giornale di confine, n.1 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_precedente/art_8.htm), per Camus l'Assurdo è uno stare sempre presenti a se stessi. La presenza dell'uomo a se stesso comporta che il sentimento dell'Assurdo nasca nello spirito umano in tensione perenne con la sua stessa vita: la frattura dell'uomo con la sua vita è l'essenza della rivolta esistenziale dell'uomo assurdo, rappresentato scenicamente nel dramma camusiano Caligula.

Mentre per J.P. Sartre l'Assurdo è un punto d'arrivo e una realtà da cui fuggire, per Albert Camus l'Assurdo si configura come un punto di partenza. Ne Il Mito di Sisifo Camus rimprovera a tutte le filosofie esistenzialiste di proporre l'evasione: "Con un singolare ragionamento, costoro, partiti dall'assurdo sulle rovine della ragione, in un universo chiuso e limitato all'umano, divinizzano ciò che li schiaccia e trovano una ragione di sperare in ciò che li spoglia"[1].
Per Camus di contro, l'Assurdo sorge nel momento in cui "gli si dà vita", nel momento in cui si mantiene la tensione, straziante e necessaria ad un tempo, tra l'uomo e la sua stessa vita; questa tensione che Camus definisce come "divorzio" lo pone decisamente in antitesi con quanto detto da Sartre[2]. Pur tuttavia Camus si radica nello stesso panorama culturale di Sartre ed erige la sua "struttura di pensiero" su sabbie mobili; mentre però l'uomo sartriano[3] si raggomitola su se stesso, sprofondando nell'abisso di una ragione inconsistente, l'uomo camusiano è teso a ri-trovare se stesso. La nostalgia di unità, la brama d'impossibile è ciò che spinge l'uomo assurdo a valicare i limiti del mondo stesso verso qualcosa di cui neanche egli può dare spiegazione: il "bisogno di senso". Il bisogno di senso trascende il quotidiano e non fa dell'uomo camusiano un rinunciatario.
L'uomo assurdo è ben rappresentato da Caligula, protagonista dell'omonimo dramma camusiano del 1944, rappresentato un anno più tardi dal teatro Hèbertot[4]. Il dramma inizia quando Caligula, caduto in disperazione per la morte di Drusilla, la sua amata, torna a Roma dopo tre giorni di assenza.
"Questo mondo così com'è non è sopportabile. Gli uomini muoiono e non sono felici"[5].
E' la "costante eccezione che è la morte" a porre fine all'Assurdo, quando però si tratta della propria morte; quando invece si tratta della morte degli Altri, noi non possiamo che esserne spettatori. La morte per Camus non è una "possibilità esistenziale" e non dà autenticità alla vita. "Alla luce del destino mortale, appare l'inutilità. Nessuna morale, nessuno sforzo sono giustificabili a priori davanti alla sanguinante matematica che regola la nostra condizione"[6]. Pur tuttavia è di fronte all'automatismo di una vita e di un mondo che "perdono di familiarità" che d'improvviso si manifesta il senso dell'Assurdo. La coscienza dell'Assurdo in Caligula è destata proprio dalla morte dell'Altro. Dall'orrore che "viene dal lato matematico dell'avvenimento"[7] si inaugura un nuovo "movimento della coscienza" attraverso il quale Caligula "fonda" quel conflitto perpetuo tra sé e la sua stessa vita.
"…Come si può continuare a vivere con le mani vuote quando prima stringevano l'intera speranza del mondo?…Mettersi d'accordo con la vita. Darsi delle ragioni, scegliersi un'esistenza tranquilla, consolarsi. Non è per Caligola."[8]
L'intera speranza del mondo, rappresentata dall'amore per Drusilla, si sfalda e la riconciliazione col mondo non può più esistere; l'uomo assurdo accetta la lotta fra sé e la propria vita, fra sé e il mondo, accetta "la rivolta della carne"; vivere l'Assurdo non è dare un nuovo significato alle cose del mondo ma badare solo alle conseguenze di ciò che accade; ciò che accade si "scioglie" dalle possibili qualificazioni per "immergersi" nell'equivalenza del tutto. Al punto in cui l'Assurdo "prende corpo", Caligula non può più darsi delle ragioni: darsi delle ragioni significherebbe "comprendere il mondo" ma "comprendere il mondo, per un uomo, significa ridurre quello all'umano, imprimergli il proprio suggello"[9]. Con la coscienza dell'Assurdo, il mondo non è più familiare, l'Assurdo non può risolversi e l'uomo non trova più conciliazione col mondo. Il mondo "è messo in dubbio" continuamente. Come si configura la lotta tra l'uomo e la sua vita? "…Tale lotta suppone la totale assenza di speranza (che non ha nulla a che vedere con la disperazione), il rifiuto continuo (che non deve essere confuso con la rinuncia) e l'insoddisfazione cosciente (che non dev'essere assimilata all'inquietudine giovanile)…L'assurdo ha senso solo nella misura in cui gli venga negato il consenso"[10].
E' nel terzo atto del dramma (Divinità di Caligola) che attraverso la preghiera-consacrata a Caligola-Venere, momento centrale della festa, i "mortali" invocano:
CESONIA. "Insegnaci l'indifferenza che fa rinascere gli amori…"[11]
SENATORI. "Svelaci che la verità di questo mondo è di non possedere alcuna verità…"[12]
CESONIA. "…Dacci le tue passioni senza scopo, i tuoi dolori senza ragione. Le tue gioie senza futuro"[13].
La fedeltà di Caligula all'Assurdo è totale: si trova scampo alla infelicità solo accettandone i termini; "dare vita all'assurdo" allora significa accettare la propria situazione, consapevoli del proprio destino senza speranze. Il destino dell'uomo non è "apertura-verso" ma è "attimalità", un po' come la vita di Dongiovanni o di Meursault in cui tutto si equivale. Ciò che conta non è la "qualità" ma la "quantità": si deve cercare di vivere "il più possibile". Vivere dunque non è ricerca di un senso profondo delle cose (almeno apparentemente) ma "un perpetuo confronto dell'uomo e della sua oscurità"[14]. Caligula però è come se superasse il confronto con la sua oscurità e, proteso verso il tentativo di mediare fra la "brama di assoluto" e la "mancanza di un senso che trascende il mondo", esclama:
CALIGOLA. (con voce seria e stanca) Voglio la luna…(poi dirigendosi verso allospecchio) L'impossibile diventerebbe possibile, e qualsiasi cosa cambierebbe, così, d'un colpo[15].
La brama di assoluto, di quella verità caduta in frantumi, è il desiderio di possedere la luna, simbolo del notturno e dell' "envers". E' importante sottolineare come la luna, rappresentata dalla Dea Iside, discenda dal cielo quando il Lucio apuleiano la invochi come salvatrice[16]. Il culto di Iside, insieme a quello di Osiride, è un culto Egiziano che Caligula (come imperatore storicamente vissuto) aveva, insieme ad altri, promosso nel suo regno[17]; Iside, nel mito, ri-dà vita ad Osiride, il suo sposo, ri-componendo il suo corpo fatto a pezzi. Caligula invocando la luna, invoca quindi il "potere guaritore di Iside", il potere di ri-comporre l'Assoluto frantumatosi (il suo amore, forse?). Ma Caligula non è un dio, e senza essere diventato un dio Caligula "morrà in una notte pesante come il dolore umano"[18]

 


[1] A. Camus, Il Mito di Sisifo, Bompiani, Milano 1996, p. 32
[2] Vedi A.Pigliaru, "Il Teatro dell'Assurdo. Huis Clos di J. P. Sartre ", XÁOS. Giornale di confine, n.1 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_precedente/art_8.htm. E' importante sottolineare la posizione diametralmente opposta di Camus nei confronti di Sartre, ed è Camus stesso che nel 1945 precisa: "No, non sono un esistenzialista. Sartre ed io ci stupiamo sempre nel vedere associati i nostri due nomi…Sartre ed io abbiamo pubblicato tutti i nostri libri prima di incontrarci, tutti senza eccezione...Sartre è esistenzialista, e il solo libro di pensiero che io abbia pubblicato, Il Mito di Sisifo, è diretto contro i filosofi esistenzialisti". In S. Zoppi, Invito alla lettura di Camus, Mursia, Milano 1980, pp. 28,29.
[3] Precisiamo: quando ci si riferisce all'uomo sartriano, lo si fa utilizzando le categorie dell' Essere e il nulla.
[4] Si prenderà in considerazione la seconda stesura del dramma, quella del 1944 appunto; per la storia della stesura di Caligula si rimanda a A. Camus, Théâtre, récits, nouvelles, pref. di J. Grenier, a cura di R. Quillot, Gallimard, Paris.
[5] A. Camus, Caligula in Tutto il teatrto, cit. p. 56.
[6] A. Camus, Il Mito di Sisifo, cit. p. 18.
[7] Ivi
[8] A. Camus, Tutto il teatro, cit. pp. 56, 57.
[9] A. Camus, Il Mito di Sisifo, cit. p. 20.
[10] Ibidem, pp. 31, 32.
[11] Ne Il Mito di Sisifo Camus si domanda se si debba accettare la scommessa straziante e meravigliosa dell'assurdo e risponde: "Il corpo, la tenerezza, la creazione, l'azione, la nobiltà umana riprenderanno allora il proprio posto in questo mondo insensato. L'uomo vi ritroverà infine il vino dell'assurdo e il pane dell'indiffernza, di cui nutre la sua grandezza"; cit. p. 49. E ancora:"Per l'uomo assurdo…tutto comincia dall'indifferenza perspicace"; cit. p. 92.
[12] D'accordo con Nietzsche "…Le verità sono illusioni, di cui si è dimenticato che sono tali"; F. Nietzsche, Su verità e menzogna fuori dal senso morale, ed. Filema, cit., p.45. Per quanto riguarda il rapporto Camus-Nietzsche, si veda R. Siena, Nietzsche, Camus e il problema del superamento del nichilismo, sta in "Sapienza", Vol. XXVIII, 1975.
[13] "Che cos'è ifatti l'uomo assurdo? Colui che, senza negarlo, nulla fa per l'eterno"; A. Camus, Il Mito di Sisifo, cit. p.
[14] A. Camus, il Mito di Sisifo, cit. p. 50.
[15] A. Camus, Tutto il teatro, cit. pp. 91, 93.
[16] Cfr. Apuleio, Le Metamorfosi o L'asino d'oro, Zanichelli, Bologna 1963, Libro XI, pp. 231 e sgg. Sulle fonti antiche del Caligula di Camus si veda M. Seita, le fonti antiche del Caligula di Camus, sta in "Il Castello di Elsinore", anno XI, 31, 1998; si fa riferimento ad uno studioso, A. J. Clayton, che interpreta il tema dell'astro come "simbolo di profondo rinnovamento"; cit. p. 61.
[17] Cfr. Svetonio, Vita di Caligola, a cura di G. Guastalla, Roma, 1992; pp. 48-50.
[18] M. A. Aimo, Assurdo e rivolta nel teatro di Albert Camus, sta in "Memorie del seminario di Storia della filosofia della facoltà di Magistero", Università di Sassari, 1981.