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MASSIMO DASARA, "ECCE HOMO, COME SI DIVENTA CIò CHE SI E', VALE A DIRE FOLLI PER ECCESSO DI LUCIDITÀ"

 

M. Dasara, Ecce homo, come si diventa ciò che si è, vale a dire folli per eccesso di lucidità, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno I, n.3 2002-2003, URL:http://www.giornalediconfine.net/n_3/art_5.htm

 

Erostato

Gli uomini, bisogna vederli dall'alto. Spegnevo la luce e mi mettevo alla finestra: essi neppure sospettavano che si potesse osservarli dal di sopra. Curano la facciata, qualche volta la parte posteriore, ma tutti i loro effetti sono calcolati per spettatori d'un metro e settanta. Chi ha mai riflettuto sulla forma di un cappello duro visto da un sesto piano? Gli uomini dimenticano di difendere le spalle e crani con colori vivi e stoffe vistose, non sanno combattere questo grande nemico dell'umanità: la prospettiva dall'alto. Mi sporgevo e mi mettevo a ridere: dov'era andato a finire quel famoso "portamento eretto" di cui andavano così orgogliosi? Erano spiaccicati sul marciapiede e due gambe mezzo rampicanti uscivano da sotto le loro spalle.
Sul bancone di un sesto piano: è qui che avrei dovuto passare la vita. Bisogna puntellare le superiorità morali mediante simboli materiali, se no quelle si afflosciano. Ora, di preciso, qual è la mia superiorità sugli uomini? Nient'altro che una superiorità di posizione: io mi sono piazzato al di sopra dell'umano che è in me e lo contemplo.

Jean-Paul Sartre, Il Muro

La necessità di una prospettiva aerea sulle questioni umane, sentita da Erostato come naturale difesa dal contatto fisico con gli uomini, ben presto lo convincerà a entrare in possesso di una pistola e successivamente, in un delirio crescente misto di onnipotenza verso gli uomini e di impotenza nei confronti degli eventi, lo trascinerà al tracollo psichico. Il passaggio, quasi logico e consequenziale, da uno stato di lucida presa di coscienza dell'inutilità e della piccolezza delle vicende umane al distacco da queste ultime con successivo sprofondamento nella follia risulta una figura letteraria convincente e spesso abusata, con una gamma di sfumature che va dal mistico visionario allo scienziato pazzo .
Le tracce di questi abusi si ritrovano nell'approccio che il pensiero comune riserva a figure della storia e del pensiero, delle quali il caso più emblematico risulta sicuramente quello di Friedrich Nietzsche, per il quale, senza voler entrare nel merito delle ben note falsificazioni ed interpretazioni troppo sistematiche dei sui scritti, tutt'oggi risulta plausibile e diffusa l'idea che il suo percorso di estrema lucidità e rottura con gli schemi convenzionali lo abbia condotto, attraverso le fasi del superuomo e della volontà di potenza, a quel delirio di onnipotenza che dal nichilismo lo ha condotto direttamente alla follia di Torino, con i cosiddetti biglietti della follia come prova lampante del tracollo.

Certo risulterebbe una visione romantica e suadente, e forse in un certo qual senso coerente con il cammino filosofico di Nietzsche, per il quale la lucida presa di coscienza dell'essere lui stesso umano, troppo umano, ha come unica conseguenza la transvalutazione di tutti i valori. Una volta preso atto che la logica non è nel mondo ma risulta una struttura interpretativa di esso tipicamente umana, l'unico superamento della propria umanità, l'andare oltre l'uomo che non potendo controllare il proprio destino in questo mondo lo nega come falso, illusorio, sporcato dalla carne, rimane il rifiuto di quelle strutture logiche, il che si traduce, all'interno di una società razionalizzata in atteggiamenti folli.
Peccato che il tracollo di Nietzsche fosse dovuto più ai suoi problemi neurologici che alla sua intelligenza. E' un peccato soprattutto perché, per quanto vi sia sicuramente un legame tra lo status fisico di Nietzsche e le sue attitudini di pensiero -e nessuno è immune da ciò-, una volta rinchiuso e sedato, difficilmente poteva sostenere con la spavalderia di una natura sana, usando una sua tipica figura, affermazioni come quella di essere Napoleone senza che questa venisse interpretata come il vaneggiamento evidente di un uomo malato.
Infatti a ben vedere un'affermazione del genere non presenta nessuno scarto teoretico rispetto all'idea di Nietzsche del mondo come di un processo, all'interno del quale il mondo mentale si presenta come un processo ad infinitum, un continuo rimescolamento di forze e volontà, nel quale nessuno può dire di essere solo ed unicamente se stesso. Certo, per essere credibili in affermazioni del genere non bisognerebbe farsi trovare, il giorno dopo averle scritte, riverso per terra con la bava alla bocca e farfugliante. E' forse per questo motivo che, per esempio gli uomini politici, stanno così attenti al look ed alle movenze.
Lo stesso Nietzsche, nel suo Umano, troppo umano, in tempi non sospetti, ha riflettuto attentamente sui legami tra stimolazione sempre più accellerata dei cervelli moderni e conseguenti stress da sovraccarico cognitivo ed emotivo, quasi presagendo che una volta impossibilitato a prendersi le sue ragioni, il suo essere postumo si sarebbe tramutato in un arma a suo sfavore:

"La somma dei sentimenti, delle conoscenze, delle esperienze, l'onere complessivo della civiltà, insomma, è divenuto così grande che c'è un pericolo generalizzato di sovreccitazione della capacità nervosa e mentale, anzi, le classi colte dei paesi europei sono ormai completamente nevrotiche e in quasi tutte le grandi famiglie c'è qualcuno prossimo alla follia. E' vero che oggi si favorisce la salute in tutti i modi; ma fondamentalmente rimane la necessità di una riduzione di quella tensione del sentimento, di quello schiacciante onere della civiltà che, anche qualora dovesse venire pagato con gravi perdite, ci fa tuttavia fortemente sperare in un nuovo Rinascimento" (Umano, troppo umano I, 1878, 244)

Ed ancora, riguardo al senso sociale della follia:

"Nei singoli la follia è una rarità: ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola" (Al di là del bene e del ma le, 1886, 34)

Eppure, soprattutto nelle società arcaiche, il ruolo divinatorio era spesso affidato proprio al folle, a colui che proprio in virtù del distacco dalle vicende terrene aveva accesso a quelle divine, contatto che avveniva in stati di trance molto simili ad attacchi epilettici, e di cui un'altra versione è la mistica legata alle sostanze in grado di alterare gli stati di coscienza, funghi, cactus e via dicendo.
In realtà, seppure da punti di vista diversi, questo riguarda anche le società moderne iper-razionalizzate dove spesso la follia di pensiero, se non accompagnata da convulsioni viene spesso ignorata nel nome del democratico principio del diritto alle proprie opinioni, non dovrebbe essere difficile per nessuno, facendo mente locale, trovare esempi di ciò nella vita pubblica, artistica e politica odierna.
Ma il punto spinoso rimane, dopo millenni di dibattiti in materia, proprio la definizione di cosa sia malattia mentale, definizione che non è, e non può essere, solo un problema semantico. I progressi scientifici e culturali hanno portato, nel corso della storia del pensiero umano, a diverse ridefinizioni e classificazioni delle malattie mentali, evidenziando quanto in una simile tematica giochino dei ruoli primari questioni culturali e sociali, non ultimo il problema della sopravvivenza e del controllo dei "malati" , ed il ruolo che la società civile deve ricoprire in tutto questo. Le battaglie di Franco Basaglia in Italia negli anni settanta hanno forse portato alla riconsiderazione della struttura del manicomio, erano i tempi ricchi di speranze ed ideali la cui colonna sonora, tra i giovani operatori dell'igiene mentale, era "la malattia mentale non esiste", ma sicuramente non hanno influenzato la valenza semantica e sociale del termine follia, di quali siano i processi fisiologici e quali quelli psichici, quale sia il reale limite tra patologia del pensiero e patologia del cervello, quale sia la sottile linea che separa il delirio dalla preveggenza.
Si potrebbe entrare poi nel merito storico-sociale dell'uso e dell'abuso della definizione di folle e della sua associazione con malato-indemoniato, ma questo richiederebbe altri spazi, tuttavia non è difficile capire il legame tra controllo sociale, potere e, parafrasando Nietzsche, genealogia della morale e della ragione sociale.
Ancora, come non considerare l'influenza che nell'approccio ai disturbi comportamentali hanno avuto, in forme diverse nella storia, le diverse sostanze quali sedativi, antidepressivi, neurolettici, per citare quelli moderni, oppiacei ed allucinogeni risalendo agli albori del pensiero speculativo, per non parlare delle pratiche mediche quali la lobotomia e l'internamento.
Che una volta in preda alle crisi l'unica necessità per il paziente e per il medico sia porvi termine è alquanto ovvio, quanto i metodi usati possano interagire con la struttura psichica è spesso sconosciuto agli stessi psichiatri, figuriamoci ai filosofi interpreti di Nietzsche.
Per tali motivi mi pare arbitrario e, come dire, più dettato da una cattiva interpretazione dei processi neuropsicologici che di quelli filosofici, etichettare come legato alla follia l'ultimo periodo di vita di Nietzsche, e addirittura puerile definire biglietti della follia gli ultimi scritti indirizzati ad amici e sovrani, perquanto non si possa negare una certa insofferenza dialettica tipica dei sofferenti, ma che a ben vedere non presentano nessuna anomalia teoretica rispetto a quanto, in materia di eterno ritorno, Nietzsche andava elaborando.
Fruire della musica di un compositore, ed è ovvio che la percezione estetica della musica mette in moto tutta una serie di mutazioni anche strutturali e fisiologiche all'interno del cervello, collegare tale percezione a vissuti ed emozioni, tra le quali il funerale del compositore stesso, e poi affermare di sentirsi proprio il deceduto con il suo bagaglio di esistenza, acquisita certo attraverso la sua musica, il prodotto di tale vissuto, non è un'affermazione da pazzo, ma risulta molto coerente con l'eterno ritorno estraniato da quell'accezione mistica che sicuramente Nietzsche non poteva avere per sua intima natura, come da lui stesso affermato: "Ecco ch'io muoio e scompaio, diresti, e in un attimo sono un nulla. Ma il nodo di cause, nel quale io sono intrecciato, torna di nuovo, esso mi creerà di nuovo! Io torno di nuovo, non a nuova vita o a vita migliore o a una vita simile: io torno eternamente a questa stessa identica vita, nelle cose più grandi e anche nelle più piccole."
Infine, perché quella sinergia di teoresi estrema e debolezza nervosa non si sono manifestate prima, ai tempi di Reè e Salomè, soprattutto di Lou Salomè, quando il coinvolgimento emotivo e cognitivo era tale da poter innescare una sorta di fuga senza ritorno dal reale?
Certo, probabilmente quasi nessuno degli interpreti di Nietzsche ha mai avuto a che fare con una signorina come la suddetta Lou, una prova reale, in quanto coinvolgente il piano fondamentale e strutturante della personalità, quella sfera oscura e Dionisiaca legata all'ebrezza dei sensi, del sentimento e della sessualità, che tanto ha giocato e gioca nelle dinamiche del pensiero, di quale sia il limite tra follia e ragione, tra volontà intesa come potere o come visione.
E proprio il termine follia che non si adatta non solo ad un pensiero Nietzscheano costituito non da fatti ma da interpretazioni, ma soprattutto non si adatta all'approccio di problematiche che richiedono la conoscenza di diversi livelli di funzionamento di un oggetto dinamico e processuale quale l'Io si presenta. Che il grado di follia di un uomo o di un atteggiamento risenta in maniera evidente delle condizioni storico-politico-sociali dell'ambiente in cui si manifestano non è difficile da sperimentare, basta guardare uno di quei bei filmati d'epoca in bianco e nero con bizzarre figure, oggi paragonabili ai nostri cabarettisti, che arringando le folle con evidenti, per chi abbia un'idea di pensiero logico e razionale, deliri, affacciati a dei balconi (tutt'ora uno in camicia da notte lo fa ogni domenica), convincono le suddette masse alle imprese più indegne ed improbabili, senza parlare del fatto che per un inezia quelle sarebbero potute essere le nostre, intese come occidentali, idee socialmente accettate.
Parafrasando Nietzsche nell'introduzione al suo Al di là del bene e del male, posto che la follia sia donna, e perchè no, non è legittimo il sospetto che coloro che vi si riferiscono, attribuendole un carattere specifico e controaltaresco, con licenza parlando, alla ragione, si intendano poco di donne?
Infine, lo Zarathustra, ovvero come lo stare in alto del saggio somiglia allo stare in alto del folle, ovviamente Il nostro preferisce tornare in basso, e segnalare due approcci alla Follia Nietzscheana, un film ed un libro, ma come dire . . . stiamo parlando della follia in contumacia.

L`"uomo pazzo" e il suo delirio
"Non avete mai sentito parlare di quell'uomo pazzo che, in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò al mercato e incominciò a gridare senza posa: "Cerco Dio! Cerco Dio!". Trovandosi sulla piazza molti uomini non credenti in Dio, egli suscitò in loro grande ilarità. Uno disse: "L'hai forse perduto?", e altri: "S'è smarrito come un fanciullo? Si è nascosto in qualche luogo? Ha forse paura di noi? Si è imbarcato? Ha emigrato?". Così gridavano, ridendo fra di loro… L'uomo pazzo corse in mezzo a loro e fulminandoli con lo sguardo gridò: "Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo ucciso - io e voi! Noi siamo i suoi assassini! Ma come potemmo farlo? Come potemmo bere il mare? Chi ci diede la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro e dai lati e in avanti? C'è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? Non ci culla forse lo spazio vuoto? Non fa sempre più freddo? Non è sempre notte, e sempre più notte? Non occorrono lanterne in pieno giorno? Non sentiamo nulla del rumore dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo l'odore della putrefazione di Dio? Eppure gli Dei stanno decomponendosi! Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso! Come troveremo pace, noi più assassini di ogni assassino? Ciò che vi era di più sacro e di più potente, il padrone del mondo, ha perso tutto il suo sangue sotto i nostri coltelli. Chi ci monderà di questo sangue? Con quale acqua potremo rendercene puri? Quale festa sacrificale, quale rito purificatore dovremo istituire? La grandezza di questa cosa non è forse troppo grande per noi? Non dovremmo divenire Dei noi stessi per esserne all'altezza? Mai ci fu fatto più grande, e chiunque nascerà dopo di noi apparterrà per ciò stesso a una storia più alta di ogni altra trascorsa". A questo punto l'uomo pazzo tacque e fissò nuovamente i suoi ascoltatori; anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Quindi gettò a terra la sua lanterna che andò in pezzi spegnendosi. "Vengo troppo presto", disse, "non è ancora il mio tempo. Questo evento mostruoso è tuttora in corso e non è ancor giunto alle orecchie degli uomini. Per esser visti e riconosciuti lampo e tuono hanno bisogno di tempo, la luce delle stelle ha bisogno di tempo, i fatti hanno bisogno di tempo anche dopo esser stati compiuti. Questo fatto è per loro ancor più lontano della più lontana delle stelle e tuttavia sono loro stessi ad averlo compiuto!". Si racconta anche che l'uomo pazzo, in quel medesimo giorno, entrò in molte chiese per recitarvi il suo Requiem aeternam Deo. Condotto fuori e interrogato non fece che rispondere: "Che sono ormai più le chiese se non le tombe e i sepolcri di Dio?"
(F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra)


Bibliografia al testo

UN FILM . . .

Dias de Nietzsche em Turin [Giorni di Nietzsche a Torino / Days of Nietzsche in Turin]
Júlio Bressane
Brasile, 2001
88'
Soggetto e sceneggiatura: Rosa Dias, Júlio Bressane
Interpreti: Fernando Eiras (Friedrich Nietzsche)


UN LIBRO . . .

Gabriele Turati, Io sono un destino. La follia di Nietzsche a Torino, Agi & Disagi - Aglae Edizioni 2001