Erostato
Gli uomini, bisogna
vederli dall'alto. Spegnevo la luce e mi mettevo alla finestra:
essi neppure sospettavano che si potesse osservarli dal
di sopra. Curano la facciata, qualche volta la parte posteriore,
ma tutti i loro effetti sono calcolati per spettatori d'un
metro e settanta. Chi ha mai riflettuto sulla forma di un
cappello duro visto da un sesto piano? Gli uomini dimenticano
di difendere le spalle e crani con colori vivi e stoffe
vistose, non sanno combattere questo grande nemico dell'umanità:
la prospettiva dall'alto. Mi sporgevo e mi mettevo a ridere:
dov'era andato a finire quel famoso "portamento eretto"
di cui andavano così orgogliosi? Erano spiaccicati
sul marciapiede e due gambe mezzo rampicanti uscivano da
sotto le loro spalle.
Sul bancone di un sesto piano: è qui che avrei dovuto
passare la vita. Bisogna puntellare le superiorità
morali mediante simboli materiali, se no quelle si afflosciano.
Ora, di preciso, qual è la mia superiorità
sugli uomini? Nient'altro che una superiorità di
posizione: io mi sono piazzato al di sopra dell'umano che
è in me e lo contemplo.
Jean-Paul Sartre, Il Muro
La necessità
di una prospettiva aerea sulle questioni umane, sentita
da Erostato come naturale difesa dal contatto fisico con
gli uomini, ben presto lo convincerà a entrare in
possesso di una pistola e successivamente, in un delirio
crescente misto di onnipotenza verso gli uomini e di impotenza
nei confronti degli eventi, lo trascinerà al tracollo
psichico. Il passaggio, quasi logico e consequenziale, da
uno stato di lucida presa di coscienza dell'inutilità
e della piccolezza delle vicende umane al distacco da queste
ultime con successivo sprofondamento nella follia risulta
una figura letteraria convincente e spesso abusata, con
una gamma di sfumature che va dal mistico visionario allo
scienziato pazzo .
Le tracce di questi abusi si ritrovano nell'approccio che
il pensiero comune riserva a figure della storia e del pensiero,
delle quali il caso più emblematico risulta sicuramente
quello di Friedrich Nietzsche, per il quale, senza voler
entrare nel merito delle ben note falsificazioni ed interpretazioni
troppo sistematiche dei sui scritti, tutt'oggi risulta plausibile
e diffusa l'idea che il suo percorso di estrema lucidità
e rottura con gli schemi convenzionali lo abbia condotto,
attraverso le fasi del superuomo e della volontà
di potenza, a quel delirio di onnipotenza che dal nichilismo
lo ha condotto direttamente alla follia di Torino, con i
cosiddetti biglietti della follia come prova lampante del
tracollo.
Certo risulterebbe una visione romantica e suadente, e forse
in un certo qual senso coerente con il cammino filosofico
di Nietzsche, per il quale la lucida presa di coscienza
dell'essere lui stesso umano, troppo umano, ha come unica
conseguenza la transvalutazione di tutti i valori. Una volta
preso atto che la logica non è nel mondo ma risulta
una struttura interpretativa di esso tipicamente umana,
l'unico superamento della propria umanità, l'andare
oltre l'uomo che non potendo controllare il proprio destino
in questo mondo lo nega come falso, illusorio, sporcato
dalla carne, rimane il rifiuto di quelle strutture logiche,
il che si traduce, all'interno di una società razionalizzata
in atteggiamenti folli.
Peccato che il tracollo di Nietzsche fosse dovuto più
ai suoi problemi neurologici che alla sua intelligenza.
E' un peccato soprattutto perché, per quanto vi sia
sicuramente un legame tra lo status fisico di Nietzsche
e le sue attitudini di pensiero -e nessuno è immune
da ciò-, una volta rinchiuso e sedato, difficilmente
poteva sostenere con la spavalderia di una natura sana,
usando una sua tipica figura, affermazioni come quella di
essere Napoleone senza che questa venisse interpretata come
il vaneggiamento evidente di un uomo malato.
Infatti a ben vedere un'affermazione del genere non presenta
nessuno scarto teoretico rispetto all'idea di Nietzsche
del mondo come di un processo, all'interno del quale il
mondo mentale si presenta come un processo ad infinitum,
un continuo rimescolamento di forze e volontà, nel
quale nessuno può dire di essere solo ed unicamente
se stesso. Certo, per essere credibili in affermazioni del
genere non bisognerebbe farsi trovare, il giorno dopo averle
scritte, riverso per terra con la bava alla bocca e farfugliante.
E' forse per questo motivo che, per esempio gli uomini politici,
stanno così attenti al look ed alle movenze.
Lo stesso Nietzsche, nel suo Umano, troppo umano, in tempi
non sospetti, ha riflettuto attentamente sui legami tra
stimolazione sempre più accellerata dei cervelli
moderni e conseguenti stress da sovraccarico cognitivo ed
emotivo, quasi presagendo che una volta impossibilitato
a prendersi le sue ragioni, il suo essere postumo si sarebbe
tramutato in un arma a suo sfavore:
"La
somma dei sentimenti, delle conoscenze, delle esperienze,
l'onere complessivo della civiltà, insomma, è
divenuto così grande che c'è un pericolo generalizzato
di sovreccitazione della capacità nervosa e mentale,
anzi, le classi colte dei paesi europei sono ormai completamente
nevrotiche e in quasi tutte le grandi famiglie c'è
qualcuno prossimo alla follia. E' vero che oggi si favorisce
la salute in tutti i modi; ma fondamentalmente rimane la
necessità di una riduzione di quella tensione del
sentimento, di quello schiacciante onere della civiltà
che, anche qualora dovesse venire pagato con gravi perdite,
ci fa tuttavia fortemente sperare in un nuovo Rinascimento"
(Umano, troppo umano I, 1878, 244)
Ed ancora, riguardo al senso
sociale della follia:
"Nei singoli la follia
è una rarità: ma nei gruppi, nei partiti,
nei popoli, nelle epoche è la regola" (Al
di là del bene e del ma le, 1886, 34)
Eppure,
soprattutto nelle società arcaiche, il ruolo divinatorio
era spesso affidato proprio al folle, a colui che proprio
in virtù del distacco dalle vicende terrene aveva
accesso a quelle divine, contatto che avveniva in stati
di trance molto simili ad attacchi epilettici, e di cui
un'altra versione è la mistica legata alle sostanze
in grado di alterare gli stati di coscienza, funghi, cactus
e via dicendo.
In realtà, seppure da punti di vista diversi, questo
riguarda anche le società moderne iper-razionalizzate
dove spesso la follia di pensiero, se non accompagnata da
convulsioni viene spesso ignorata nel nome del democratico
principio del diritto alle proprie opinioni, non dovrebbe
essere difficile per nessuno, facendo mente locale, trovare
esempi di ciò nella vita pubblica, artistica e politica
odierna.
Ma il punto spinoso rimane, dopo millenni di dibattiti in
materia, proprio la definizione di cosa sia malattia mentale,
definizione che non è, e non può essere, solo
un problema semantico. I progressi scientifici e culturali
hanno portato, nel corso della storia del pensiero umano,
a diverse ridefinizioni e classificazioni delle malattie
mentali, evidenziando quanto in una simile tematica giochino
dei ruoli primari questioni culturali e sociali, non ultimo
il problema della sopravvivenza e del controllo dei "malati"
, ed il ruolo che la società civile deve ricoprire
in tutto questo. Le battaglie di Franco Basaglia in Italia
negli anni settanta hanno forse portato alla riconsiderazione
della struttura del manicomio, erano i tempi ricchi di speranze
ed ideali la cui colonna sonora, tra i giovani operatori
dell'igiene mentale, era "la malattia mentale non esiste",
ma sicuramente non hanno influenzato la valenza semantica
e sociale del termine follia, di quali siano i processi
fisiologici e quali quelli psichici, quale sia il reale
limite tra patologia del pensiero e patologia del cervello,
quale sia la sottile linea che separa il delirio dalla preveggenza.
Si potrebbe entrare poi nel merito storico-sociale dell'uso
e dell'abuso della definizione di folle e della sua associazione
con malato-indemoniato, ma questo richiederebbe altri spazi,
tuttavia non è difficile capire il legame tra controllo
sociale, potere e, parafrasando Nietzsche, genealogia della
morale e della ragione sociale.
Ancora, come non considerare l'influenza che nell'approccio
ai disturbi comportamentali hanno avuto, in forme diverse
nella storia, le diverse sostanze quali sedativi, antidepressivi,
neurolettici, per citare quelli moderni, oppiacei ed allucinogeni
risalendo agli albori del pensiero speculativo, per non
parlare delle pratiche mediche quali la lobotomia e l'internamento.
Che una volta in preda alle crisi l'unica necessità
per il paziente e per il medico sia porvi termine è
alquanto ovvio, quanto i metodi usati possano interagire
con la struttura psichica è spesso sconosciuto agli
stessi psichiatri, figuriamoci ai filosofi interpreti di
Nietzsche.
Per tali motivi mi pare arbitrario e, come dire, più
dettato da una cattiva interpretazione dei processi neuropsicologici
che di quelli filosofici, etichettare come legato alla follia
l'ultimo periodo di vita di Nietzsche, e addirittura puerile
definire biglietti della follia gli ultimi scritti indirizzati
ad amici e sovrani, perquanto non si possa negare una certa
insofferenza dialettica tipica dei sofferenti, ma che a
ben vedere non presentano nessuna anomalia teoretica rispetto
a quanto, in materia di eterno ritorno, Nietzsche andava
elaborando.
Fruire della musica di un compositore, ed è ovvio
che la percezione estetica della musica mette in moto tutta
una serie di mutazioni anche strutturali e fisiologiche
all'interno del cervello, collegare tale percezione a vissuti
ed emozioni, tra le quali il funerale del compositore stesso,
e poi affermare di sentirsi proprio il deceduto con il suo
bagaglio di esistenza, acquisita certo attraverso la sua
musica, il prodotto di tale vissuto, non è un'affermazione
da pazzo, ma risulta molto coerente con l'eterno ritorno
estraniato da quell'accezione mistica che sicuramente Nietzsche
non poteva avere per sua intima natura, come da lui stesso
affermato: "Ecco ch'io muoio e scompaio, diresti, e
in un attimo sono un nulla. Ma il nodo di cause, nel quale
io sono intrecciato, torna di nuovo, esso mi creerà
di nuovo! Io torno di nuovo, non a nuova vita o a vita migliore
o a una vita simile: io torno eternamente a questa stessa
identica vita, nelle cose più grandi e anche nelle
più piccole."
Infine, perché quella sinergia di teoresi estrema
e debolezza nervosa non si sono manifestate prima, ai tempi
di Reè e Salomè, soprattutto di Lou Salomè,
quando il coinvolgimento emotivo e cognitivo era tale da
poter innescare una sorta di fuga senza ritorno dal reale?
Certo, probabilmente quasi nessuno degli interpreti di Nietzsche
ha mai avuto a che fare con una signorina come la suddetta
Lou, una prova reale, in quanto coinvolgente il piano fondamentale
e strutturante della personalità, quella sfera oscura
e Dionisiaca legata all'ebrezza dei sensi, del sentimento
e della sessualità, che tanto ha giocato e gioca
nelle dinamiche del pensiero, di quale sia il limite tra
follia e ragione, tra volontà intesa come potere
o come visione.
E proprio il termine follia che non si adatta non solo ad
un pensiero Nietzscheano costituito non da fatti ma da interpretazioni,
ma soprattutto non si adatta all'approccio di problematiche
che richiedono la conoscenza di diversi livelli di funzionamento
di un oggetto dinamico e processuale quale l'Io si presenta.
Che il grado di follia di un uomo o di un atteggiamento
risenta in maniera evidente delle condizioni storico-politico-sociali
dell'ambiente in cui si manifestano non è difficile
da sperimentare, basta guardare uno di quei bei filmati
d'epoca in bianco e nero con bizzarre figure, oggi paragonabili
ai nostri cabarettisti, che arringando le folle con evidenti,
per chi abbia un'idea di pensiero logico e razionale, deliri,
affacciati a dei balconi (tutt'ora uno in camicia da notte
lo fa ogni domenica), convincono le suddette masse alle
imprese più indegne ed improbabili, senza parlare
del fatto che per un inezia quelle sarebbero potute essere
le nostre, intese come occidentali, idee socialmente accettate.
Parafrasando Nietzsche nell'introduzione al suo Al di là
del bene e del male, posto che la follia sia donna, e perchè
no, non è legittimo il sospetto che coloro che vi
si riferiscono, attribuendole un carattere specifico e controaltaresco,
con licenza parlando, alla ragione, si intendano poco di
donne?
Infine, lo Zarathustra, ovvero come lo stare in alto del
saggio somiglia allo stare in alto del folle, ovviamente
Il nostro preferisce tornare in basso, e segnalare due approcci
alla Follia Nietzscheana, un film ed un libro, ma come dire
. . . stiamo parlando della follia in contumacia.
L`"uomo pazzo"
e il suo delirio
"Non avete mai sentito parlare di quell'uomo pazzo
che, in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò
al mercato e incominciò a gridare senza posa: "Cerco
Dio! Cerco Dio!". Trovandosi sulla piazza molti uomini
non credenti in Dio, egli suscitò in loro grande
ilarità. Uno disse: "L'hai forse perduto?",
e altri: "S'è smarrito come un fanciullo? Si
è nascosto in qualche luogo? Ha forse paura di noi?
Si è imbarcato? Ha emigrato?". Così gridavano,
ridendo fra di loro
L'uomo pazzo corse in mezzo a
loro e fulminandoli con lo sguardo gridò: "Che
ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo
ucciso - io e voi! Noi siamo i suoi assassini! Ma come potemmo
farlo? Come potemmo bere il mare? Chi ci diede la spugna
per cancellare l'intero orizzonte? Che facemmo sciogliendo
la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi,
lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro
e dai lati e in avanti? C'è ancora un alto e un basso?
Non andiamo forse errando in un infinito nulla? Non ci culla
forse lo spazio vuoto? Non fa sempre più freddo?
Non è sempre notte, e sempre più notte? Non
occorrono lanterne in pieno giorno? Non sentiamo nulla del
rumore dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo
l'odore della putrefazione di Dio? Eppure gli Dei stanno
decomponendosi! Dio è morto! Dio resta morto! E noi
l'abbiamo ucciso! Come troveremo pace, noi più assassini
di ogni assassino? Ciò che vi era di più sacro
e di più potente, il padrone del mondo, ha perso
tutto il suo sangue sotto i nostri coltelli. Chi ci monderà
di questo sangue? Con quale acqua potremo rendercene puri?
Quale festa sacrificale, quale rito purificatore dovremo
istituire? La grandezza di questa cosa non è forse
troppo grande per noi? Non dovremmo divenire Dei noi stessi
per esserne all'altezza? Mai ci fu fatto più grande,
e chiunque nascerà dopo di noi apparterrà
per ciò stesso a una storia più alta di ogni
altra trascorsa". A questo punto l'uomo pazzo tacque
e fissò nuovamente i suoi ascoltatori; anch'essi
tacevano e lo guardavano stupiti. Quindi gettò a
terra la sua lanterna che andò in pezzi spegnendosi.
"Vengo troppo presto", disse, "non è
ancora il mio tempo. Questo evento mostruoso è tuttora
in corso e non è ancor giunto alle orecchie degli
uomini. Per esser visti e riconosciuti lampo e tuono hanno
bisogno di tempo, la luce delle stelle ha bisogno di tempo,
i fatti hanno bisogno di tempo anche dopo esser stati compiuti.
Questo fatto è per loro ancor più lontano
della più lontana delle stelle e tuttavia sono loro
stessi ad averlo compiuto!". Si racconta anche che
l'uomo pazzo, in quel medesimo giorno, entrò in molte
chiese per recitarvi il suo Requiem aeternam Deo. Condotto
fuori e interrogato non fece che rispondere: "Che sono
ormai più le chiese se non le tombe e i sepolcri
di Dio?" (F. Nietzsche,
Così parlò Zarathustra)
Bibliografia al testo
UN FILM . . .
Dias de Nietzsche em Turin [Giorni di Nietzsche
a Torino / Days of Nietzsche in Turin]
Júlio Bressane
Brasile, 2001
88'
Soggetto e sceneggiatura: Rosa Dias, Júlio Bressane
Interpreti: Fernando Eiras (Friedrich Nietzsche)
UN LIBRO . . .
Gabriele Turati, Io sono un destino. La
follia di Nietzsche a Torino, Agi & Disagi - Aglae
Edizioni 2001
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