L'analisi che segue terrà conto
di tutti i riferimenti a Nietzsche presenti nell'opera deleuziana,
avendo tuttavia come punto di riferimento principale l'opera
Nietzsche e la filosofia (1) del 1962, per più motivi.
In primo luogo, perché da tale scritto emerge un
quadro più organico di ciò che Deleuze pensa
di Nietzsche, essendo le altre fonti, salvo Nietzsche (2)
del 1965, organica ma piuttosto divulgativa, caratterizzate
dalla settorialità della trattazione. In secondo
luogo l'opera del 1962 offre la possibilità di ammirare
il "laboratorio" deleuziano, consente di seguire
da vicino il lavoro di smontaggio e rimontaggio che Deleuze
fa del pensiero di Nietzsche, fino a giungere alla sostanziale
indistinguibilità tra interprete ed interpretato,
che è il risultato a cui il filosofo francese approda.
La nostra ricostruzione procederà secondo lo stesso
criterio, per cui se Deleuze ha seguito le tracce di Nietzsche,
noi seguiremo le sue ripercorrendone i passi e rilevando
le sue difficoltà.
1)Medicina e genealogia
Deleuze arriva a Nietzsche dopo essersi brillantemente
occupato di Hume e Kant, in un periodo nel quale è
ancora forte l'identificazione del pensatore tedesco con
il regime nazista e domina la scena l'interpretazione heideggeriana,
tutta incentrata sul rapporto tra istituzione e dissoluzione
dei valori.
L'obiettivo primario di Nietzsche, secondo Deleuze, è
il rinnovamento del nesso tra la filosofia e la vita, rapporto
che anni di pratiche ascetico-filosofiche e metafisiche
hanno messo in crisi.
Il filosofo deve evitare speculazioni ontologiche e dottrine
morali tali da negare la vita, da obliarla, opponendole
dei valori che si pretendono superiori, ma che in realtà
sono carichi di risentimento nei suoi confronti tanto da
renderla esclusivamente oggetto di giudizio e di critica.
La vita ed il filosofo devono tornare ad essere, come accadeva
con i presocratici, parti di un'unità complessa,
perché la vita deve attivare il pensiero e nel pensiero
deve darsi insopprimibile l'affermazione della vita. La
storia offre esempi di disarmonia tra vita e pensiero, vite
meschine e pensieri notevoli e viceversa, va allora cercata
l'unità che renda aneddoto della vita un aforisma
del pensiero.
Il filosofo non più metafisico ha da farsi fisiologo,
medico e artista. La realtà con cui egli ha a che
fare, non è più geometrica, solida, retta
sulle vaporose strutture ontologiche della metafisica tradizionale,
ma è un insieme sparso di fenomeni contesi da forze
che di loro s'impadroniscono, stabilendone la conformazione.
Il filosofo per Nietzsche deve farsi medico, deve cioè
considerare i fenomeni come sintomi per capire attraverso
l'interpretazione quali forze si celino in essi e quale
sia il loro senso, considerato che il manifestarsi di qualcosa
è un segno il cui senso è dato da una forza
che su esso si applica. Tramonta cosi la concezione della
verità come conformità, a favore del metodo
interpretativo che sottende un complessivo superamento dell'idea
moderna del soggetto conoscente "forte", dotato
di un rapporto stabile e certo con la realtà conosciuta.
Il filosofo deve anche valutare la gerarchia delle forze
che si impadroniscono dei fenomeni, facendo emergere il
valore dei fenomeni stessi laddove il valore altro non è
se non <<la gerarchia delle forze che si esprimono
nelle cose in quanto fenomeno complesso>> (3). Operando
in tal modo si rende in primo luogo genealogista, poiché
va all'origine dei valori criticando il valore dei valori
esistenti che dominano la scena attraverso due movimenti
inseparabili: <<ricondurre ogni cosa e l'origine di
qualunque valore a dei valori, ma anche ricondurre questi
valori a qualcosa che ne sia l'origine, che decida il loro
valore>> (4).
Tale elemento genealogico critico è indissolubilmente
legato all'elemento positivo della creazione dei valori,
in quanto non può esserci una critica del valore
dei valori che non abbia contemporaneamente lo spirito creativo
di nuovi valori. Nietzsche è assolutamente distante
da qualsiasi tendenza distruttiva fine a se stessa, pensa
piuttosto ad un filosofo artista, creatore, e la filosofia
critica non è mai reazione ma azione, non è
mai vendetta né risentimento.
La realtà con cui il filosofo si deve misurare non
è ordinabile attraverso nessun principio coscienziale
unificatore e trascendentale, né naturalmente esiste
un principio metafisico cogente, ma tutto ha un' origine
da portare alla luce, di cui valutare il profilo e a cui
conferire un nuovo assetto valoriale.
Esiste una qualche forma organizzativa che preservi il mondo
delle forze dal caos?
L'analisi di Deleuze a questo punto si arricchisce della
nozione di corpo, che può essere frutto del semplice
incontro di due forze e non è soltanto il mero aggregato
d'organi fisici, ma è chimico, sociale, politico.
Le forze che vanno a comporre i corpi hanno come causa aggregativa
il caso, per cui quest'ultimi possono essere concepiti come
prodotti arbitrari. Appare cosi più chiaro il ruolo
del filosofo come interprete, laddove la sua attività
si dispiega non nel caos delle forze, ma a contatto con
una realtà dotata di una minima organizzazione.
Il rapporto tra le forze che vanno a comporre i corpi non
è mai neutro, ma in ogni corpo si determina una distinzione
tra forze superiori, dominanti o attive e forze inferiori,
dominate o reattive.
Le forze attive sono caratterizzate dal fatto che <<tendono
alla potenza>>(5), avendo capacità d'impadronirsi,
soggiogare, dominare, creare, affermare. Le forze reattive
sono quelle prive di capacità affermativa, che hanno
la peculiarità di cercare di scomporre la potenza
altrui. Tale distinzione apparirà più chiara
in seguito, quando emergerà la centralità
di essa nell'ambito dell'etica di Nietzsche, per ora, va
considerato come si definisca meglio il ruolo del filosofo
come valutatore, che ha a che vedere con la qualità
attiva o reattiva delle forze tenuto conto del fatto che
quest'ultima è frutto della differenza di quantità
tra le forze. Il Nietzsche di Deleuze configura una realtà
che potrebbe essere descritta bene da un quadro astratto
contemporaneo, infatti, non sono in essa facilmente distinguibili
delle figure, ma tutto il reale è preda di forze
in movimento che non possono essere osservate ma solo colte
nei messaggi sintomatici dei fenomeni, e che intessono delle
relazioni molteplici dettate da rapporti di forza giocati
sulla capacità di ciascuna di imprimersi, un po'
come le intensità di colore che si contendono gli
spazi sulla tela.
Per concludere, prima di introdurre la nozione di volontà
di potenza, è possibile un inciso sul peso politico
dell'analisi fin'ora svolta da Deleuze sul pensiero di Nietzsche.
Va infatti tenuto in giusta considerazione che pur essendo
presenti cenni al filosofo tedesco in tutta l'opera deleuziana,
i testi organici che Deleuze dedica a Nietzsche sono entrambi
degli anni sessanta, periodo nel quale in Europa era in
pieno atto il processo d'industrializzazione con una parallela
crescita degli apparati di stato e della loro tendenza ordinatoria
e classificatoria. L'idea di sviluppare dei corpi sociali
che siano frutto non di una creazione dirigistica dall'alto,
non di una tendenza ordinatoria, ma di un <<processo
continuo di composizione e decomposizione attraverso gli
incontri sociali su un campo di forze immanenti>>
(6), quindi attraverso un processo che abbiamo definito
organizzativo, doveva apparire molto in linea con le tendenze
all'organizzazione in movimenti di quegli anni, nei quali
albeggiava una diffusa diffidenza anche nei confronti dello
statalismo marxista.
Altrettanto significativo doveva risultare il ruolo assegnato
al filosofo, non più depositario di saggezza ma creatore
che<<si rifiuta di rispettare la vecchia saggezza
e la sostituisce con il comando, influenza i vecchi valori
e ne crea di nuovi>> (7).
Tali formulazioni appaiono molto significative, se si considera
che delineano un quadro alternativo non solo a quello liberal-conservatore,
ma anche alle formulazioni marxiste, incarnando un radicalismo
politico che si nutre delle suggestioni di un'epoche trasvalutativa
che assume i tratti di una rimessa in discussione complessiva
dei rapporti sociali, attribuendo un ruolo d'avanguardia
ad intellettuali né organici né accademici.
L'analisi fin'ora compiuta ha sondato il piano ontico, ma
con la trattazione della nozione di volontà di potenza,
il discorso assumerà aspetti ontologici dai quali
trasparirà in pieno la grande capacità deleuziana
di parlare attraverso il pensiero degli altri filosofi,
rinunciando magari alla completezza della ricognizione di
tale pensiero a favore di un metodo selettivo, tratto un
po' heideggeriano, che enuclei le mosse più compatibili
con il disegno teorico che il filosofo francese ha in mente.
2)Volontà di potenza
In Nietzsche e la filosofia Deleuze inizia ad occuparsi
della volontà di potenza operando in un modo non
lineare, ma approssimandosi gradualmente alla definizione
cercata dopo aver trattato il rapporto tra corpi e forze,
sapendo bene che si tratta di un terreno molto scivoloso
e controverso, sia per le declinazioni filonaziste che tale
concetto nel tempo ha avuto, sia perché ritenuto
da molti fonte d'aporie per il pensiero di Nietzsche.
Del primo problema non mette conto di parlare, essendo ormai
materia affidata all'agone politico o ad un moralismo che
non aiuta certo la comprensione dei fenomeni, soprattutto
quando proviene da ortodossi apologeti della modernità
non sfiorati dall'idea che quest'ultima possa essere stata
la culla del totalitarismo.
Quanto al secondo problema, relativo alle aporie di Nietzsche,
un autorevole interprete quale Giorgio Colli pensa che con
l'idea di volontà di potenza sì <<avverte
in profondità un raccostamento a Schopenauer e addirittura
alla metafisica>> (8). Pare a Colli difficoltoso il
tentativo di far coesistere l'elaborazione di un sistema
della volontà di potenza con<<la condanna,
secondo la prospettiva morale dei filosofi metafisici, cui
è addossata la colpa di aver favorito il predominio
degli ideali ascetici>> (9). La volontà di
potenza condividerebbe con la volontà di vivere schopenaueriana
i tratti essenziali: l'essere immanente e l'essere irrazionale,
l'unica differenza si ridurrebbe al fatto che <<Schopenauer
la rifiuta e vuole negarla Nietzsche invece l'accetta e
vuole affermarla>> (10). La contraddizione che Colli
rileva è d'estrema importanza soprattutto in relazione
alle continue prese di distanza di Nietzsche rispetto alla
metafisica e a Schopenauer, il cui pensiero considera percorso
da un istinto degenerante che si rivolta contro la vita
con rancore sotterraneo.
Un altro autorevole esegeta del pensiero di Nietzsche, Eugene
Fink, rileva che <<nella mancanza di chiarezza intorno
all'essenza della verità della vita, cioè
dunque della verità della volontà di potenza,
si nasconde, alla fine, la discordante posizione di Nietzsche
nei riguardi della metafisica, si nasconde il profondo dubbio
se egli ancora le appartenga o se egli si trovi al di là
e al di fuori d'essa>> (11)..
Deleuze non mostra mai, esplicitamente, di porsi il problema
del rapporto tra Nietzsche e la metafisica, non perché
non si renda conto del carattere fondamentale della questione,
ma perché è più interessato a condurre
il pensatore tedesco in una direzione speculativa che, come
vedremo, prevede contatti con una certa tradizione metafisica
piuttosto che escludere ogni rapporto con la metafisica.
Sostiene quindi che tra Nietzsche e Schopenauer avviene
una rottura poiché si tratta di vedere se la volontà
sia una o molteplice, e da ciò deriva tutto il resto.
Infatti, Schopenauer ha una visione unitaria della volontà,
ed è proprio <<l'identità della volontà
in tutte le sue manifestazioni a condurre la volontà
verso la negazione di se stessa, a sopprimersi nella compassione,
nella morale e nell'ascetismo>> (12).
Nietzsche viceversa instaura un particolare rapporto tra
le forze e la volontà, per cui le prime avrebbero
bisogno di un mondo interno che è rappresentato appunto
dalla volontà di potenza che è sempre plastica,
in metamorfosi e plurale in relazione al mondo delle forze
di cui costituisce il principio.
La nostra analisi si arricchisce cosi di un ulteriore tassello
che si aggiunge alle forze e ai corpi. La volontà
di potenza è presentata da Deleuze come un principio
dal quale <<derivano sia la differenza di quantità
delle forze che siano tra loro in rapporto, sia la qualità
che in questo rapporto è propria a ciascuna forza,
essa è rispetto alle forze inseparabile ma non identica
>> (13). Con tale asserto Deleuze mostra di recepire
la critica di cui prima parlavamo circa i rapporti tra Nietzsche
e la metafisica, infatti, nella sua visione la volontà
da un lato non è un'entità che si possa astrarre
dalle forze completamente, il che la equiparerebbe alla
volontà di Schopenauer, d'altro lato va distinta
dalle forze, altrimenti si toglierebbe valore al momento
dell'incontro tra le forze stesse che è anche momento
genetico in virtù delle reciproche differenze tra
loro. Allora la volontà è un principio di
cui Deleuze si affretta a sostenere <<che non si estende
al di là di ciò che condiziona >> (14)
ed è interna alle forze e in grado di determinare
la qualità di quest'ultime sempre nell'ambito del
rapporto con le altre forze, e tale da far sì che
una forza possa prevalere sulle altre possa dominarle e
comandarle. La volontà di potenza è elemento
differenziale tra le forze, produce la differenza di quantità
tra due o più forze in rapporto tra loro, ed è
elemento genetico in quanto produce la qualità che
spetta a ciascuna forza nell'ambito del rapporto medesimo.
La natura di principio della volontà pone ulteriori
problemi a Deleuze, che ci porta al cospetto di un fattore
che condiziona il mondo delle forze che fin'ora pensavamo
affidate esclusivamente al caso nel loro relazionarsi, infatti,
è difficile pensare la compatibilità tra il
caso e il principio, essendo quest'ultimo un fattore ordinante.
Per sfuggire a questo nuovo problema Deleuze sostiene che
per Nietzsche la volontà non sopprime il caso, infatti,
esso è <<il porsi delle forze in rapporto tra
loro e determina tale rapporto>> ed è <<necessario
che la volontà di potenza si unisca alle forze, ma
ciò è possibile solo per quelle forze che
il caso ha posto in rapporto tra loro >> (15) .
La volontà e il caso si spartiscono il reale, con
il secondo che è sovrano al momento dell'incontro
tra le forze e la prima che presiede alla fase dopo l'incontro
quando il rapporto tra le forze assume connotazioni più
precise.
Per Deleuze Nietzsche non può rinunciare al caso
senza sopprimere il carattere libertario del suo pensiero,
né può rinunciare ad un principio che eviti
il caos.
Le forze "prese in consegna" dalla volontà
di potenza una volta affidatele dal caso, si distinguono
in dominanti e dominate in base alla quantità e attive
o reattive in relazione alla qualità che dipende
strettamente dalla volontà, fermo restando che c'è
volontà di potenza sia nelle forze attive che in
quelle reattive.
A questo punto Deleuze introduce una distinzione anche rispetto
alla volontà di potenza, definendone le qualità
originarie: affermativa e negativa.
Siamo ad un momento di grande rilevanza considerato che
tali distinzioni costituiscono il nerbo dell'etica di Nietzsche.
La forza attiva per il Nietzsche di Deleuze afferma se stessa,
afferma la propria differenza, ne fa oggetto di godimento
e di affermazione ed è caratterizzata dal fatto di
giungere all'estremo delle proprie possibilità, mentre
quella reattiva è caratterizzata dallo scomporre
la forze attiva, avendo come ragione d'esistenza il fatto
di separare un'altra forza da ciò che è in
suo potere, essendo a sua volta separata da ciò che
è in suo potere non giungendo al limite delle possibilità.
Nietzsche ci ricorda che debole e schiavo <<non è
chi è meno forte, ma chi, qualunque sia la sua forza
è separato da ciò che è in suo potere>>(16)
, per cui le qualità etiche di una forza sono legate
alla sua capacità di affermare la propria differenza,
più che a capacità di dominio, come in passato
s'è stati propensi a credere.
Resta tuttavia problematico il rapporto in precedenza considerato
tra forze e volontà, che è stato definito
di interiorità della volontà alle forze, e
che continua ad essere fonte di ambiguità nella sostanziale
indecisione tra trascendenza e immanenza della volontà.
Ambiguità che permane, tanto da portare Deleuze a
sostenere:<<sembra quasi che l'affermazione e la negazione
siano al tempo stesso immanenti e trascendenti in rapporto
all'azione e alla reazione >> (17) .
Il dubbio tuttavia non è destinato a resistere a
lungo, tanto che, come abbiamo detto all'inizio, si ha la
sensazione che Deleuze voglia proporre il percorso d'approssimazione
alla definitezza delle nozioni nella sua interezza, attraverso
tutte le tappe che lo compongono, quasi volesse offrire
al lettore ogni sfumatura della sua ricerca senza omettere
le fasi interlocutorie, nelle quali la nozione che cerca
di raggiungere è ancora in divenire.
Deleuze dopo aver chiaramente ammesso di non poter decidere
sulla trascendenza e immanenza della volontà, inizia
a definire quest'ultima in maniera più puntuale sostenendo
che essa per manifestarsi ha bisogno delle forze e lo studio
delle sue manifestazioni richiede una cura scrupolosissima,
perché da essa dipende totalmente il dinamismo delle
forze. La volontà di potenza <<si manifesta
in quanto potere di essere affetto >> (18), cioè
ogni forza ha una capacità d'essere affetta e di
provocare affezioni che le deriva dalla volontà di
potenza e che fa sì che le forze abbiano tra loro
un rapporto d'affettività, di sensibilità.
Sono attive le affezioni di una forza che è in grado
di appropriarsi di ciò che le resiste, mentre sono
subite o agite le affezioni tipiche di una forza che obbedisce
a forze superiori. Dal rapporto tra le forze deriva un divenire
delle forze stesse, infatti ognuna di esse può andare
incontro a cicli nei quali diviene, per esempio da attiva
a passiva, e i cicli possono essere molteplici.
La volontà di potenza si manifesta quindi in primo
luogo come sensibilità delle forze, in secondo luogo
come divenire.
Deleuze aggiunge un'asserzione che è chiaramente
destinata a sgomberare il campo da ogni possibile equivoco,
infatti a proposito dell'unità o della molteplicità
della volontà sostiene che essa è <<l'uno,
ma l'uno che si afferma del molteplice >> (19) .
Siamo in presenza di una doppia mossa interpretativa: definendo
sensibilità la volontà di potenza Deleuze
chiarisce la sua immanenza al mondo delle forze, e sostenendo
che essa è l'uno che si dice del molteplice afferma
l'univocità di questo principio rispetto alle forze.
In questa sede non possiamo andare oltre nel commento perché
per arrivare ad una definizione più completa dobbiamo
introdurre la nozione di eterno ritorno, però appare
evidente anche se non possiamo ancora chiamare essere la
volontà di potenza, e dobbiamo limitarci a definirla
un principio, che Deleuze opera una chiara scelta ontologica,
affiancando Nietzsche alle grandi filosofie di Scoto e Spinoza,
entrambe caratterizzate dall'univocità dell'essere.
Per ora, come chiarito più sopra, non possiamo spingerci
oltre, possiamo però preannunciare che la volontà
non ha ancora raggiunto la sua veste definitiva arriverà
l'eterno ritorno a conferirle un profilo nuovo, ma in ossequio
al metodo deleuziano di cui abbiamo parlato nell'avvertenza
è bene fare un passo per volta.
3)Eterno ritorno ed etica
La nozione d'eterno ritorno è senza dubbio una delle
più controverse del pensiero di Nietzsche per il
suo carattere a tratti non filosofico ma mistico-visionario,
tale a partire dal modo stesso in cui Nietzsche la presenta
nell'aforisma 341 della Gaia scienza: <<
questa
vita che vivi adesso e che hai vissuto dovrai viverla ancora
innumerevoli volte e non ci sarà niente di nuovo
in essa ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e
sospiro e tutto quello che in essa c'è di indicibilmente
piccolo e grande deve tornare e tutto nella stessa sequenza
e successione
>> (20).
Forte è sempre stato lo scetticismo di fronte ad
una nozione poco spendibile speculativamente e difficile
da far coesistere con l'assetto generale della visione del
pensatore tedesco, che, come abbiamo visto in precedenza,
ha aggressivamente criticato il pensiero metafisico rivendicando
sempre l'ancoraggio alla terra della sua speculazione. A
tal proposito procederemo come nel precedente paragrafo
ad una rapida analisi d'alcune interpretazioni della dottrina
dell'eterno ritorno, con l'intento non tanto di offrire
un quadro esauriente delle innumerevoli trattazioni in materia,
quanto di far risaltare attraverso alcune prospettive molto
significative l'originalità della visione deleuziana.
Anche nell'analisi di questo concetto vogliamo partire dalla
prospettiva di Giorgio Colli, il quale ritiene che l'eterno
ritorno abbia a che fare con la speculazione presocratica,
che avrebbe indicato << un'istantaneità ritrovabile
nel tempo la quale tuttavia conduce al di fuori di esso,
annullandone l'unidirezionalità irreversibile>>
(21).
Si tratta della concezione circolare del tempo di origine
greca, che esclude che quest'ultimo marci in una direzione
che non sia quella del ritorno.
K.Lowith è sostanzialmente d'accordo con tale interpretazione,
e sostiene che Nietzsche voglia spingersi verso il recupero
del mondo antico e della sua ciclicità temporale
in armonia con la ciclicità naturale. Solo <<i
greci a giudizio di Nietzsche in quanto esempi dell'umana
moderazione furono uomini realmente ben riusciti>>
(22).
La dottrina dell'eterno ritorno non si capisce bene secondo
Lowith se non si tiene conto di quanto fosse centrale nella
visione di Nietzsche la vita <<termine che a sua volta
si riferisce ad una phisis generatrice e annientatrice che
tutto regge e domina>> (23). Lowith non accede ad
una visione letterale dell'eterno ritorno da intendersi
in senso stretto come riaccadere di vicende che già
hanno avuto luogo, ma si orienta su un tornare simile a
quello delle stagioni naturali, una ciclicità, per
cosi dire, formale, non contenutistica, nella quale l'uomo
cessa di volere altro se non il proprio ritorno.
Un altro autorevole interprete quale E.Fink parte dal concetto
del momento visto come luogo di incontro tra due sentieri,
passato e futuro, che sono tali da urtarsi nell'adesso,
essendo entrambi eternità, una passata ed una futura.
Il problema sta nel capire se realmente tali sentieri, essendo
eterni, procedano all'infinito, perché se si suppone
la loro eternità allora sono <<comprensivi
di ogni contenuto temporale>> (24).
Per Fink proprio da ciò deriva la dottrina dell'eterno
ritorno, infatti, <<tutte le cose, tutto ciò
che è immanente, tutto ciò che si svolge nel
tempo, devono, se il tempo in quanto passato e il tempo
in quanto futuro sono tuttavia il tempo intero, essere sempre
già trascorsi e sempre di nuovo ripetersi nel futuro.
Il ritorno dell'uguale si basa sull'eternità del
corso del tempo. Tutto deve essere stato e tutto deve ritornare>>
(25). Per Fink dunque Nietzsche cerca di pensare la perpetuazione
di ciò che è transitorio, però, poiché
non pone l'eternità dietro il tempo né dopo
il tempo pensa il tempo come eterno, il transitorio come
costante, e l'unico come ripetuto. Fink cosi tenta sul filo
della logica di rispettare il dettato di Nietzsche.
Tutte le interpretazioni prese in considerazione convergono
nell'individuare un tratto comune tra Nietzsche e il mondo
classico. Non è solo questo tuttavia l'elemento in
comune tra le valutazioni degli interpreti considerati.
A nessuno, infatti, sfugge il rapporto tra l'eterno ritorno
come dottrina cosmologica e la sua declinazione etica in
connessione con la concezione del superuomo.
Colli pensa che il filosofo tedesco abbia concepito Zarathustra,
l'ultimo uomo, animato <<da qualcosa che Nietzsche
ama nascondere, un'avversione contro la vita, un tratto
pessimistico in profondità, un istinto contro l'istinto>>
salvo poi dar luogo ad <<un superuomo che afferma
di nuovo la naturalità>> (26).
Lowith condivide tale impostazione tanto da interpretare
il superuomo come colui che altro non deve volere se non
il cessare di volere, tipico degli elementi naturali.
Anche Fink si muove lungo tale direttrice valorizzando il
tema dell'apertura cosmica dell'uomo, perché <<colui
che è aperto cosmicamente è anche veramente
indipendente ed autonomo>> (27), in contrapposizione
all'uomo che perde il mondo, come l'abitante della grande
città, che perde la patria, la solitudine, cioè
la vicinanza essenziale a tutte le cose e il confidente
amore per la terra>> (28).
Le interpretazioni che abbiamo voluto proporre hanno il
pregio di esprimere il modo più consueto di affrontare
i capisaldi del pensiero di Nietzsche, consentendoci cosi,
come già detto, di mettere ancor più in rilievo
la particolarità della via deleuziana.
Anche il filosofo francese considera l'eterno ritorno sotto
due aspetti, come dottrina cosmologica e come dottrina etica.
Sotto il primo profilo Deleuze si misura con la concezione
del ritorno del medesimo come ricomparsa di ciò che
è stato, partendo dallo stesso presupposto da cui
muove Fink in maniera però più completa. Fink
infatti parte dall'infinità di passato e futuro nella
concezione di Nietzsche senza offrire una valida spiegazione
di supporto, mentre Deleuze si serve della nozione di divenire
mostrando come quest'ultimo per mantenersi tale non possa
aver iniziato a divenire senza essere qualcosa di divenuto,
né possa divenire qualcosa senza finire di divenire.
A partire da tale visione del divenire si pone il problema
per cui<<se in generale il mondo fosse capace di persistere
ed irrigidirsi e se nel suo scorrere vi fosse solo un attimo
d'essere in senso stretto, non potrebbe più darsi
un divenire, dunque non si potrebbe neppure pensare, osservare
un divenire>> (29) e perciò nasce la contrapposizione
tra essere e divenire.
Però se noi pensiamo che <<l'attimo attuale
non è un istante dell'essere o del presente in senso
stretto ma è un attimo che passa siamo costretti
a pensare il divenire come ciò che non ha potuto
cominciare e che non può cessare di divenire>>
(30). Allora possiamo cominciare a pensare ad un essere
non più contrapposto al divenire, ad un essere del
divenire, ma quale può essere l'essere di ciò
che diviene? di ciò che né finisce né
comincia? <<ritornare è l'essere di ciò
che diviene>>(31). Tuttavia, ed è questo il
punto focale per Deleuze, a tornare non è il medesimo,
l'identico, infatti il ritornare non appartiene all'essere,
bensì quest'ultimo è costituito dal ritornare
che appartiene al divenire, cioè da continuo divenire,
e dal continuo affermarsi del molteplice e del divenire,
per cui si può dire che <<l'identità
non indica la natura di ciò che ritorna, ma al contrario
il ritornare del differente>> (32) e l'eterno ritorno
deve essere pensato come sintesi di essere e divenire.
Deleuze quindi si discosta in maniera netta dall'interpretazione
tradizionale dell'eterno ritorno, rifiutando quella che
considera un'ipotesi meccanicista, che opera attraverso
l'idea di uno stato finale identico a quello iniziale, senza
però spiegare come si esca dallo stato iniziale e
si giunga a quello finale, per poi tornare al primo. Per
fare ciò Deleuze ha bisogno di quello che definisce
un rovesciamento categorico generale, secondo cui l'essere
si dice del divenire, l'identità del differente e
l'uno del multiplo.
Appare evidente un vero capovolgimento sotto il profilo
ontologico, che porta ad un'acquisizione di centralità
per nozioni tradizionalmente temute dalla metafisica come
il divenire, la molteplicità, la differenza, nozioni
che da sempre incarnano altrettanti pericoli da esorcizzare
per un pensiero dell'ordine antipluralista.
Deleuze considera l'eterno ritorno diretta espressione del
principio che sta alla base del riprodursi del differente,
del ripetersi della differenza:la volontà di potenza.
In tal modo è chiarito definitivamente il rapporto
tra volontà di potenza ed eterno ritorno, quest'ultimo,
infatti, presuppone <<un mondo, quello della volontà
di potenza, in cui tutte le identità precedenti sono
abolite e dissolte>> (33). La realtà che ci
si profila in tal modo è caratterizzata da un principio,
la volontà di potenza, che abbiamo visto, presiede,
in virtù della sua univocità, al relazionarsi
delle forze tra loro, al prodursi quindi di differenze e
di nuove identità, in un reale in continuo movimento
con l'eterno ritorno a garanzia del riprodursi di tale movimento,
il differire continuo della differenza.
Prima di parlare degli aspetti etici del discorso sull'eterno
ritorno, connessi all'idea del superuomo, con le conseguenze
ontologiche che ne derivano, è importante evidenziare
la valenza antihegeliana che Deleuze attribuisce al concetto
di differenza.
Il filosofo francese è convinto che il pensiero di
Nietzsche <<ha una grande portata polemica è
un antidialettica assoluta che ci propone di eliminare tutte
le mistificazioni che appunto nella dialettica trovano l'ultimo
rifugio>> (34).
La dialettica hegeliana elabora un concetto di differenza
che ha il suo elemento cardine nell'opposizione e nella
contraddizione, infatti per Hegel ogni identità non
matura attraverso l'autoposizione affermativa della differenza,
ma in virtù dell'opposizione negativa, per cui qualcuno
è solo in relazione a ciò che non è,
trae identità dalla contrapposizione con l'altro
da sé, per cui la negazione ha un ruolo primario
rispetto all'affermazione.
Abbiamo visto che per il Nietzsche di Deleuze è primaria
l'affermazione della differenza, e la negazione deriva come
logica conseguenza dall'affermazione, ma ha, rispetto a
questa, una potenza minore.
Non è difficile cogliere in questa analisi, il contrasto
tra una filosofia pluralista e libertaria, ed un pensiero
sistematico e classificatore che si serve della dialettica,
<<pensiero dell'uomo teoretico, che reagisce contro
la vita, che pretende di giudicarla, di limitarla, e di
misurarla>> (35).
Sarebbe interessante valutare appieno, possibile materia
di un altro lavoro, in che misura Deleuze, accentuando la
tendenza antihegeliana di Nietzsche, non cada vittima della
legge dialettica caratterizzando il pensiero affermativo
più per la sua differenza con quello hegeliano che
per le proprie caratteristiche intrinseche.
Anche per Deleuze la dottrina dell'eterno ritorno ha un
secondo aspetto oltre quello cosmologico: l'etica. In primo
luogo perché tale pensiero fornisce alla volontà
una regola pratica in base alla quale ciò che si
vuole lo si deve volere a tal punto da volerne anche il
ritorno, che per Deleuze non è un invito ad agire
in considerazione della possibilità di rivivere tutto
ciò che s'è già vissuto, quanto un
appello alla radicalità nell'agire, contro il rito
maniacale di piccole compensazioni, piccoli piaceri, piccole
gioie, del concedersi tutto una volta soltanto e solo ripromettendosi
di non farlo più.
In tal modo matura sul piano pratico una prima selezione
che l'eterno ritorno opera nei confronti di tutte le azioni
che anche se volessero il proprio ritorno non potrebbero
cambiare la propria qualità.
Deleuze considera una seconda selezione operata dall'eterno
ritorno nei confronti del nichilismo e delle forze reattive.
Essa è centrale per la comprensione di tutto il discorso
di Nietzsche, ma per essere colta appieno necessita di una
preliminare definizione del rapporto tra nichilismo, volontà
di potenza e la celebre nozione di superuomo. Il Nietzsche
di Deleuze considera nichilistico ogni atteggiamento che
contrapponga dei valori superiori alla vita, che sostituisca
i valori alla vita stessa, in un universo soggettocentrico,
e infine che lascia l'uomo in un mondo deserto in mezzo
al nulla in un dominio totale del negativo.
Nel paragrafo precedente abbiamo evidenziato come la volontà
di potenza possa essere negativa e affermativa, adesso si
deve dire che il nichilismo è frutto della volontà
di potenza negativa, per cui intraprendere una lotta contro
significa cambiare il segno della volontà da negativo
ad affermativo. A questo punto Deleuze introduce una tesi
di cui mostreremo in seguito la centralità: la volontà
negativa è la ratio cognoscendi della volontà
di potenza, cioè ha la funzione di portare l'uomo
a contatto con la volontà di potenza, in tal modo
si spiega perché il mondo sia preda del nichilismo
e delle forze reattive, essendo esse un passaggio obbligato
verso la ratio essendi della volontà di potenza:
l'affermazione.
Tralasciando il sapore hegeliano della tappa obbligata nel
negativo per giungere al positivo, è evidente che
il peso della trasvalutazione non può essere retto
dall'uomo qualunque, che è sempre caduto nelle mani
delle forze reattive, perciò Nietzsche introduce
la nozione di superuomo, volendo intendere proprio colui
che è in grado di sostenere la forza dell'affermazione
in seguito alla trasvalutazione, ed è quindi capace
di incarnare l'essenza del reale, il principio del reale
attraverso l'affermazione, quindi non sovraccaricando la
vita di valori superiori, ma creando nuovi valori di vita
che la trasformino in leggerezza, gioia, attività,
positività creatrice.
Abbiamo dunque acquisito una nuova definizione, infatti
la nozione di volontà di potenza che avevamo visto
dirsi univocamente di tutto il reale trova una specificazione
ulteriore con il concetto di affermazione, tanto che Deleuze
sostiene apertamente che<< l'affermazione è
essere>> (36).
Tuttavia c'è un ulteriore passo da compiere, infatti
l'affermazione è <<di per sé e originariamente
divenire >> però solo in quanto <<oggetto
di un'altra affermazione che eleva il divenire ad essere
e che produce l'essere del divenire, l'affermazione è
essere>> (37).
L'affermazione sarebbe solo divenire se non intervenisse
una seconda affermazione, per cui si può dire che
l'affermazione è essere in quanto ha per oggetto
se stessa. Perciò Deleuze può dire che <<l'essere
è divenire, l'uno è molteplice la necessità
è caso, solo se divenire, molteplice e caso si riflettono
come oggetto della seconda affermazione>> (38). Quindi
distinguiamo due affermazioni e proprio qui ci riconduciamo
al discorso sull'eterno ritorno, infatti la seconda affermazione
fa sì che la prima passi da una potenza, nella quale
essa è il divenire, ad una seconda potenza l'eterno
ritorno. Perciò, una volta che l'affermazione o divenire
è fatta oggetto della seconda affermazione, si giunge
a dire che l'essere è divenire, che l'uno è
molteplice, ma anche sì da vita all'eterno ritorno,
che infatti abbiamo visto essere l'estremo avvicinamento
di divenire ed essere.
Quindi il punto di raccordo di tutto questo movimento concettuale
è la seconda affermazione, grazie alla quale v'è
il passaggio di potenza e si giunge all'eterno ritorno che
è per l'appunto l'insieme delle due affermazioni.
Per capire meglio la seconda affermazione dobbiamo avere
pazienza e compiere un passo indietro, tornando al momento.
prima citato, in cui avviene la trasvalutazione e si passa
dalla volontà di potenza come negazione e ratio cognoscendi
alla volontà di potenza come affermazione, fase imprescindibile,
a cui come abbiamo visto segue la seconda affermazione e
l'eterno ritorno. A tal proposito abbiamo già detto
che colui che può sostenere il peso dell'affermazione
è il superuomo, ma dobbiamo aggiungere che il vero
attore della trasvalutazione è Zarathustra, infatti
il superuomo gli è figlio.
Zarathustra attraverso la distruzione di tutti i valori
stabiliti da luogo al superuomo, è colui che vuole
tramontare. Allora Zarathustra è il protagonista
del passaggio verso la prima affermazione, passaggio trasvalutativo
che avviene grazie al suo tramontare.
Dopo il momento trasvalutativo e il passaggio alla volontà
di potenza affermativa abbiamo visto esserci la seconda
affermazione che, si badi bene, è indispensabile
perché si innesti l'eterno ritorno e perché
l'essere si possa considerare un eterno divenire della differenza.
Deleuze affronta questa tematica servendosi delle figure
simboliche che Nietzsche utilizza in Cosi parlò Zarathustra,
per cui Dioniso è l'affermazione, il divenire, Arianna
è la seconda affermazione e con Dioniso costituisce
l'eterno ritorno e da vita al superuomo.
Sciogliendo la simbologia possiamo osservare un piano ontologico
che è costituito dalla doppia affermazione che genera
l'eterno ritorno incarnato dalla coppia Arianna-Dioniso,
ed un piano antropologico-etico, incarnato dal loro figlio,
il superuomo. Allora è chiaro che la seconda affermazione,
se da un lato ha una valenza prettamente ontologica, d'altro
lato ha bisogno di colui che la incarni, ed ecco il superuomo,
l'uomo leggero, gioioso, affermativo.
Risulta ora più chiaro che il Nietzsche di Deleuze
concepisce un peculiare rapporto tra ontologia, etica e
antropologia. Infatti si ha un passaggio ontologico da un
dominio della volontà negativa ad una scoperta della
vera essenza del reale, l'affermazione, il divenire affermativo,
che a sua volta affermato è l'essere che eternamente
diviene, l'eterno affermarsi, differenziarsi della differenza.
Tutto ciò è dovuto prima alla volontà
di perire di Zarathustra per favorire<<una conversione
radicale di essenza nell'uomo>>(39), poi al sorgere
del superuomo, nuovo esemplare antropologico dotato di un'etica
della positiva affermazione, della leggerezza, della gioia.
Perciò si può dire che la prassi etica determini
la struttura ontologica del reale.
Tutto ciò è affermabile anche in un secondo
senso, infatti l'eterno ritorno ha il carattere di consentire
il ritorno solo alle forze affermative non a quelle negative,
per cui si può dire abbia un carattere selettivo,
e la selezione avviene in base ad un criterio etico. Infatti,
secondo Deleuze sopportano la prova dell'eterno divenire
e differire solo le forze che sono in grado di trascendersi
continuamente, di superarsi, di differire. In tal senso
il mondo di Nietzsche avendo l'eterno ritorno come <<sola
identità di ciò che differisce>> (40)
quindi avendo il continuo differire come sola identità,
fa sì che non solo vi sia un pluralismo di forze
differenti tra loro ma anche che la singola forza differisca
e si trasmuti lungo il suo percorso.
Arrivati alla fine del cammino lungo i tornanti del pensiero
di Nietzsche secondo Deleuze è venuto il momento
di trarre alcune conclusioni.
Partiti da un mondo di fenomeni e forze abbiamo visto emergere
il principio ontologico della volontà di potenza
e la sua elevazione a potenza nell'eterno ritorno.
E' venuto emergendo il ruolo centrale della pratica, il
primato della pratica. Ciò è chiaro già
nel passaggio trasvalutativo di Zarathustra, che attraverso
un movimento etico-pratico consente che dalla ratio cognoscendi
della volontà di potenza si passi alla ratio essendi,
consente cioè l'emergere dell'essenza della realtà
fino ad allora dominata dalle forze negative.
In seguito è il superuomo che operando la seconda
affermazione quindi scegliendo un'etica affermativa e una
pratica del "si" al divenire, determina la condizione
dell'eterno ritorno. Quest'ultimo opera in maniera selettiva
ontologicamente, e tale selezione non consente il ritorno
delle forze non affermative, perciò il criterio che
vige è sempre etico.
Il mondo cosi consegnatoci dal Nietzsche di Deleuze è
caratterizzato dall'affermarsi di una pluralità di
differenze e dal continuo differenziarsi delle singolarità.
In questa prospettiva non esiste un essere che possa dirsi
trascendente, ma l'affermazione è concepita come
essere immanente che si dice univocamente di tutte le differenze,
e l'eterno differire delle differenze è l'unica identità
del molteplice, e l'essere non può considerarsi ontologicamente
stabile e definito, ma in continuo divenire. Tuttavia poiché
l'essere si dice delle differenze ed è immanente
alle differenze stesse, la sua non definitezza ontologica
fa sì che lo si possa considerare producibile da
parte delle differenze, con i loro rapporti, il loro trasmutare,
i loro incontri e quindi da parte del superuomo, attore
pratico cui Nietzsche affida il compito di affermare la
differenza.
Emerge cosi un ulteriore segno del primato della prassi,
si deve parlare di una pratica costitutiva ontologicamente,
orientata dai criteri etici dell'affermazione gioiosa e
della leggerezza della differenza.
Bisogna evitare di credere di essere in presenza del meccanismo
hegeliano dell'incarnazione necessitata da parte dello spirito
nell'uomo e nella sua storia, o dell'essere heideggeriano
che si serve dell'uomo per la sua apertura. L'essere nella
prospettiva deleuziana non è altro dagli attori pratici
con i loro incontri, le loro relazioni e il loro divenire,
è completamente espresso, univocamente, e da loro
prodotto.
L'uomo pur essendo dotato di un ruolo fabbrile non soffre
di vertigini antropocentriche, infatti nell'universo di
Nietzsche non c'è spazio per la soggettività
forte di tipo moderno, travolta dal continuo differire delle
identità e dalla perdita di sovranità del
principio d'individuazione. Non c'è spazio neppure
per il sistema identitario statuale ed economico globale,
maglie troppo strette per singolarità che vivono
con leggerezza la loro affermatività e la loro pratica
degli incontri, rifuggendo da ogni rigida classificazione
burocratica e da ogni funzionalità economica passiva.
Diventa centrale la possibilità da parte dell'uomo
di trascendersi, di sottrarsi alle impersonali strutture
economiche e statali, facendo valere il potere dell'affermazione
della creazione, in un contesto nel quale divengono fondamentali
gli incontri e le alleanze tra gli uomini, unica via possibile
verso la libertà.
Note
1) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli,
Milano 1992.
2 )G.Deleuze, Nietzsche, SE, Milano 1997.
3) G.DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano
1992, p.38
4) G.DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano
1992, p.32
5) G.DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano
1992, p.73
6) M.HARDT, Gilles Deleuze, un apprendistato in filosofia,
a-change, Milano 2000, p.173
7) G.DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano
1992 p.120.
8) G.Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano 1986,
p.125.
9) Op.cit., p.126.
10) Op.cit., p.126.
11) E.Fink, La filosofia di Nietzsche, Marsilio, Venezia
1993, p.138.
12) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano
1992, p.37.
13) Op.cit., p.79.
14) Op.cit., p.79.
15) Op.cit., p.80.
16) Op.cit., p.89.
17) Op.cit., p.83.
18) Op.cit., p.90.
19) Op.cit., p.113.
20) F.Nietzsche, La Gaia Scienza, Adelphi, Milano 1993,
p.248-249.
21) G.Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano 1986,
p.115.
22) K.Lowith, Nietzsche e l'eterno ritorno, Laterza, Roma
1996, p.182.
23) Op.cit., p.195.
24) E.Fink, La filosofia di Nietzsche, Marsilio, Venezia
1993, p.94.
25) Op.cit., p.95.
26) G.Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano, 1986,
p.114-115.
27) E.Fink, La filosofia di Nietzsche, Marsilio, Venezia
1993, p.100.
28) Op.cit., p.101.
29) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano
1992, p.76.
30) Op.cit., p.76.
31) Op.cit., p.76.
32) Op.cit., p.77.
33) G.Deleuze, Differenza e ripetizione, Cortina Editore
1997, p.59.
34) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano
1992, p.221.
35) Op.cit., p.222 .
36) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano
1992, p.212.
37) Op.cit., p.213.
38) Op.cit., p.215.
39) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano
1992, p.138.
40) G.Deleuze, Divenire molteplice, Ombre corte, Verona
1996,p.35.
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