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Francesco Pala
Deleuze, Nietsche e l'uomo del futuro

 

F. Pala, Deleuze, Nietsche e l'uomo del futuro, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno IV, N.1 Marzo -Giugno 2005/2006 URL:
http://www.giornalediconfine.net/n_4/11.htm

 


L'analisi che segue terrà conto di tutti i riferimenti a Nietzsche presenti nell'opera deleuziana, avendo tuttavia come punto di riferimento principale l'opera Nietzsche e la filosofia (1) del 1962, per più motivi.
In primo luogo, perché da tale scritto emerge un quadro più organico di ciò che Deleuze pensa di Nietzsche, essendo le altre fonti, salvo Nietzsche (2) del 1965, organica ma piuttosto divulgativa, caratterizzate dalla settorialità della trattazione. In secondo luogo l'opera del 1962 offre la possibilità di ammirare il "laboratorio" deleuziano, consente di seguire da vicino il lavoro di smontaggio e rimontaggio che Deleuze fa del pensiero di Nietzsche, fino a giungere alla sostanziale indistinguibilità tra interprete ed interpretato, che è il risultato a cui il filosofo francese approda.
La nostra ricostruzione procederà secondo lo stesso criterio, per cui se Deleuze ha seguito le tracce di Nietzsche, noi seguiremo le sue ripercorrendone i passi e rilevando le sue difficoltà.

1)Medicina e genealogia

Deleuze arriva a Nietzsche dopo essersi brillantemente occupato di Hume e Kant, in un periodo nel quale è ancora forte l'identificazione del pensatore tedesco con il regime nazista e domina la scena l'interpretazione heideggeriana, tutta incentrata sul rapporto tra istituzione e dissoluzione dei valori.
L'obiettivo primario di Nietzsche, secondo Deleuze, è il rinnovamento del nesso tra la filosofia e la vita, rapporto che anni di pratiche ascetico-filosofiche e metafisiche hanno messo in crisi.
Il filosofo deve evitare speculazioni ontologiche e dottrine morali tali da negare la vita, da obliarla, opponendole dei valori che si pretendono superiori, ma che in realtà sono carichi di risentimento nei suoi confronti tanto da renderla esclusivamente oggetto di giudizio e di critica.
La vita ed il filosofo devono tornare ad essere, come accadeva con i presocratici, parti di un'unità complessa, perché la vita deve attivare il pensiero e nel pensiero deve darsi insopprimibile l'affermazione della vita. La storia offre esempi di disarmonia tra vita e pensiero, vite meschine e pensieri notevoli e viceversa, va allora cercata l'unità che renda aneddoto della vita un aforisma del pensiero.
Il filosofo non più metafisico ha da farsi fisiologo, medico e artista. La realtà con cui egli ha a che fare, non è più geometrica, solida, retta sulle vaporose strutture ontologiche della metafisica tradizionale, ma è un insieme sparso di fenomeni contesi da forze che di loro s'impadroniscono, stabilendone la conformazione.
Il filosofo per Nietzsche deve farsi medico, deve cioè considerare i fenomeni come sintomi per capire attraverso l'interpretazione quali forze si celino in essi e quale sia il loro senso, considerato che il manifestarsi di qualcosa è un segno il cui senso è dato da una forza che su esso si applica. Tramonta cosi la concezione della verità come conformità, a favore del metodo interpretativo che sottende un complessivo superamento dell'idea moderna del soggetto conoscente "forte", dotato di un rapporto stabile e certo con la realtà conosciuta.
Il filosofo deve anche valutare la gerarchia delle forze che si impadroniscono dei fenomeni, facendo emergere il valore dei fenomeni stessi laddove il valore altro non è se non <<la gerarchia delle forze che si esprimono nelle cose in quanto fenomeno complesso>> (3). Operando in tal modo si rende in primo luogo genealogista, poiché va all'origine dei valori criticando il valore dei valori esistenti che dominano la scena attraverso due movimenti inseparabili: <<ricondurre ogni cosa e l'origine di qualunque valore a dei valori, ma anche ricondurre questi valori a qualcosa che ne sia l'origine, che decida il loro valore>> (4).
Tale elemento genealogico critico è indissolubilmente legato all'elemento positivo della creazione dei valori, in quanto non può esserci una critica del valore dei valori che non abbia contemporaneamente lo spirito creativo di nuovi valori. Nietzsche è assolutamente distante da qualsiasi tendenza distruttiva fine a se stessa, pensa piuttosto ad un filosofo artista, creatore, e la filosofia critica non è mai reazione ma azione, non è mai vendetta né risentimento.
La realtà con cui il filosofo si deve misurare non è ordinabile attraverso nessun principio coscienziale unificatore e trascendentale, né naturalmente esiste un principio metafisico cogente, ma tutto ha un' origine da portare alla luce, di cui valutare il profilo e a cui conferire un nuovo assetto valoriale.
Esiste una qualche forma organizzativa che preservi il mondo delle forze dal caos?
L'analisi di Deleuze a questo punto si arricchisce della nozione di corpo, che può essere frutto del semplice incontro di due forze e non è soltanto il mero aggregato d'organi fisici, ma è chimico, sociale, politico.
Le forze che vanno a comporre i corpi hanno come causa aggregativa il caso, per cui quest'ultimi possono essere concepiti come prodotti arbitrari. Appare cosi più chiaro il ruolo del filosofo come interprete, laddove la sua attività si dispiega non nel caos delle forze, ma a contatto con una realtà dotata di una minima organizzazione.
Il rapporto tra le forze che vanno a comporre i corpi non è mai neutro, ma in ogni corpo si determina una distinzione tra forze superiori, dominanti o attive e forze inferiori, dominate o reattive.
Le forze attive sono caratterizzate dal fatto che <<tendono alla potenza>>(5), avendo capacità d'impadronirsi, soggiogare, dominare, creare, affermare. Le forze reattive sono quelle prive di capacità affermativa, che hanno la peculiarità di cercare di scomporre la potenza altrui. Tale distinzione apparirà più chiara in seguito, quando emergerà la centralità di essa nell'ambito dell'etica di Nietzsche, per ora, va considerato come si definisca meglio il ruolo del filosofo come valutatore, che ha a che vedere con la qualità attiva o reattiva delle forze tenuto conto del fatto che quest'ultima è frutto della differenza di quantità tra le forze. Il Nietzsche di Deleuze configura una realtà che potrebbe essere descritta bene da un quadro astratto contemporaneo, infatti, non sono in essa facilmente distinguibili delle figure, ma tutto il reale è preda di forze in movimento che non possono essere osservate ma solo colte nei messaggi sintomatici dei fenomeni, e che intessono delle relazioni molteplici dettate da rapporti di forza giocati sulla capacità di ciascuna di imprimersi, un po' come le intensità di colore che si contendono gli spazi sulla tela.
Per concludere, prima di introdurre la nozione di volontà di potenza, è possibile un inciso sul peso politico dell'analisi fin'ora svolta da Deleuze sul pensiero di Nietzsche. Va infatti tenuto in giusta considerazione che pur essendo presenti cenni al filosofo tedesco in tutta l'opera deleuziana, i testi organici che Deleuze dedica a Nietzsche sono entrambi degli anni sessanta, periodo nel quale in Europa era in pieno atto il processo d'industrializzazione con una parallela crescita degli apparati di stato e della loro tendenza ordinatoria e classificatoria. L'idea di sviluppare dei corpi sociali che siano frutto non di una creazione dirigistica dall'alto, non di una tendenza ordinatoria, ma di un <<processo continuo di composizione e decomposizione attraverso gli incontri sociali su un campo di forze immanenti>> (6), quindi attraverso un processo che abbiamo definito organizzativo, doveva apparire molto in linea con le tendenze all'organizzazione in movimenti di quegli anni, nei quali albeggiava una diffusa diffidenza anche nei confronti dello statalismo marxista.
Altrettanto significativo doveva risultare il ruolo assegnato al filosofo, non più depositario di saggezza ma creatore che<<si rifiuta di rispettare la vecchia saggezza e la sostituisce con il comando, influenza i vecchi valori e ne crea di nuovi>> (7).
Tali formulazioni appaiono molto significative, se si considera che delineano un quadro alternativo non solo a quello liberal-conservatore, ma anche alle formulazioni marxiste, incarnando un radicalismo politico che si nutre delle suggestioni di un'epoche trasvalutativa che assume i tratti di una rimessa in discussione complessiva dei rapporti sociali, attribuendo un ruolo d'avanguardia ad intellettuali né organici né accademici.
L'analisi fin'ora compiuta ha sondato il piano ontico, ma con la trattazione della nozione di volontà di potenza, il discorso assumerà aspetti ontologici dai quali trasparirà in pieno la grande capacità deleuziana di parlare attraverso il pensiero degli altri filosofi, rinunciando magari alla completezza della ricognizione di tale pensiero a favore di un metodo selettivo, tratto un po' heideggeriano, che enuclei le mosse più compatibili con il disegno teorico che il filosofo francese ha in mente.


2)Volontà di potenza

In Nietzsche e la filosofia Deleuze inizia ad occuparsi della volontà di potenza operando in un modo non lineare, ma approssimandosi gradualmente alla definizione cercata dopo aver trattato il rapporto tra corpi e forze, sapendo bene che si tratta di un terreno molto scivoloso e controverso, sia per le declinazioni filonaziste che tale concetto nel tempo ha avuto, sia perché ritenuto da molti fonte d'aporie per il pensiero di Nietzsche.
Del primo problema non mette conto di parlare, essendo ormai materia affidata all'agone politico o ad un moralismo che non aiuta certo la comprensione dei fenomeni, soprattutto quando proviene da ortodossi apologeti della modernità non sfiorati dall'idea che quest'ultima possa essere stata la culla del totalitarismo.
Quanto al secondo problema, relativo alle aporie di Nietzsche, un autorevole interprete quale Giorgio Colli pensa che con l'idea di volontà di potenza sì <<avverte in profondità un raccostamento a Schopenauer e addirittura alla metafisica>> (8). Pare a Colli difficoltoso il tentativo di far coesistere l'elaborazione di un sistema della volontà di potenza con<<la condanna, secondo la prospettiva morale dei filosofi metafisici, cui è addossata la colpa di aver favorito il predominio degli ideali ascetici>> (9). La volontà di potenza condividerebbe con la volontà di vivere schopenaueriana i tratti essenziali: l'essere immanente e l'essere irrazionale, l'unica differenza si ridurrebbe al fatto che <<Schopenauer la rifiuta e vuole negarla Nietzsche invece l'accetta e vuole affermarla>> (10). La contraddizione che Colli rileva è d'estrema importanza soprattutto in relazione alle continue prese di distanza di Nietzsche rispetto alla metafisica e a Schopenauer, il cui pensiero considera percorso da un istinto degenerante che si rivolta contro la vita con rancore sotterraneo.
Un altro autorevole esegeta del pensiero di Nietzsche, Eugene Fink, rileva che <<nella mancanza di chiarezza intorno all'essenza della verità della vita, cioè dunque della verità della volontà di potenza, si nasconde, alla fine, la discordante posizione di Nietzsche nei riguardi della metafisica, si nasconde il profondo dubbio se egli ancora le appartenga o se egli si trovi al di là e al di fuori d'essa>> (11)..
Deleuze non mostra mai, esplicitamente, di porsi il problema del rapporto tra Nietzsche e la metafisica, non perché non si renda conto del carattere fondamentale della questione, ma perché è più interessato a condurre il pensatore tedesco in una direzione speculativa che, come vedremo, prevede contatti con una certa tradizione metafisica piuttosto che escludere ogni rapporto con la metafisica. Sostiene quindi che tra Nietzsche e Schopenauer avviene una rottura poiché si tratta di vedere se la volontà sia una o molteplice, e da ciò deriva tutto il resto. Infatti, Schopenauer ha una visione unitaria della volontà, ed è proprio <<l'identità della volontà in tutte le sue manifestazioni a condurre la volontà verso la negazione di se stessa, a sopprimersi nella compassione, nella morale e nell'ascetismo>> (12).
Nietzsche viceversa instaura un particolare rapporto tra le forze e la volontà, per cui le prime avrebbero bisogno di un mondo interno che è rappresentato appunto dalla volontà di potenza che è sempre plastica, in metamorfosi e plurale in relazione al mondo delle forze di cui costituisce il principio.
La nostra analisi si arricchisce cosi di un ulteriore tassello che si aggiunge alle forze e ai corpi. La volontà di potenza è presentata da Deleuze come un principio dal quale <<derivano sia la differenza di quantità delle forze che siano tra loro in rapporto, sia la qualità che in questo rapporto è propria a ciascuna forza, essa è rispetto alle forze inseparabile ma non identica >> (13). Con tale asserto Deleuze mostra di recepire la critica di cui prima parlavamo circa i rapporti tra Nietzsche e la metafisica, infatti, nella sua visione la volontà da un lato non è un'entità che si possa astrarre dalle forze completamente, il che la equiparerebbe alla volontà di Schopenauer, d'altro lato va distinta dalle forze, altrimenti si toglierebbe valore al momento dell'incontro tra le forze stesse che è anche momento genetico in virtù delle reciproche differenze tra loro. Allora la volontà è un principio di cui Deleuze si affretta a sostenere <<che non si estende al di là di ciò che condiziona >> (14) ed è interna alle forze e in grado di determinare la qualità di quest'ultime sempre nell'ambito del rapporto con le altre forze, e tale da far sì che una forza possa prevalere sulle altre possa dominarle e comandarle. La volontà di potenza è elemento differenziale tra le forze, produce la differenza di quantità tra due o più forze in rapporto tra loro, ed è elemento genetico in quanto produce la qualità che spetta a ciascuna forza nell'ambito del rapporto medesimo.
La natura di principio della volontà pone ulteriori problemi a Deleuze, che ci porta al cospetto di un fattore che condiziona il mondo delle forze che fin'ora pensavamo affidate esclusivamente al caso nel loro relazionarsi, infatti, è difficile pensare la compatibilità tra il caso e il principio, essendo quest'ultimo un fattore ordinante. Per sfuggire a questo nuovo problema Deleuze sostiene che per Nietzsche la volontà non sopprime il caso, infatti, esso è <<il porsi delle forze in rapporto tra loro e determina tale rapporto>> ed è <<necessario che la volontà di potenza si unisca alle forze, ma ciò è possibile solo per quelle forze che il caso ha posto in rapporto tra loro >> (15) .
La volontà e il caso si spartiscono il reale, con il secondo che è sovrano al momento dell'incontro tra le forze e la prima che presiede alla fase dopo l'incontro quando il rapporto tra le forze assume connotazioni più precise.
Per Deleuze Nietzsche non può rinunciare al caso senza sopprimere il carattere libertario del suo pensiero, né può rinunciare ad un principio che eviti il caos.
Le forze "prese in consegna" dalla volontà di potenza una volta affidatele dal caso, si distinguono in dominanti e dominate in base alla quantità e attive o reattive in relazione alla qualità che dipende strettamente dalla volontà, fermo restando che c'è volontà di potenza sia nelle forze attive che in quelle reattive.
A questo punto Deleuze introduce una distinzione anche rispetto alla volontà di potenza, definendone le qualità originarie: affermativa e negativa.
Siamo ad un momento di grande rilevanza considerato che tali distinzioni costituiscono il nerbo dell'etica di Nietzsche. La forza attiva per il Nietzsche di Deleuze afferma se stessa, afferma la propria differenza, ne fa oggetto di godimento e di affermazione ed è caratterizzata dal fatto di giungere all'estremo delle proprie possibilità, mentre quella reattiva è caratterizzata dallo scomporre la forze attiva, avendo come ragione d'esistenza il fatto di separare un'altra forza da ciò che è in suo potere, essendo a sua volta separata da ciò che è in suo potere non giungendo al limite delle possibilità.
Nietzsche ci ricorda che debole e schiavo <<non è chi è meno forte, ma chi, qualunque sia la sua forza è separato da ciò che è in suo potere>>(16) , per cui le qualità etiche di una forza sono legate alla sua capacità di affermare la propria differenza, più che a capacità di dominio, come in passato s'è stati propensi a credere.
Resta tuttavia problematico il rapporto in precedenza considerato tra forze e volontà, che è stato definito di interiorità della volontà alle forze, e che continua ad essere fonte di ambiguità nella sostanziale indecisione tra trascendenza e immanenza della volontà. Ambiguità che permane, tanto da portare Deleuze a sostenere:<<sembra quasi che l'affermazione e la negazione siano al tempo stesso immanenti e trascendenti in rapporto all'azione e alla reazione >> (17) .
Il dubbio tuttavia non è destinato a resistere a lungo, tanto che, come abbiamo detto all'inizio, si ha la sensazione che Deleuze voglia proporre il percorso d'approssimazione alla definitezza delle nozioni nella sua interezza, attraverso tutte le tappe che lo compongono, quasi volesse offrire al lettore ogni sfumatura della sua ricerca senza omettere le fasi interlocutorie, nelle quali la nozione che cerca di raggiungere è ancora in divenire.
Deleuze dopo aver chiaramente ammesso di non poter decidere sulla trascendenza e immanenza della volontà, inizia a definire quest'ultima in maniera più puntuale sostenendo che essa per manifestarsi ha bisogno delle forze e lo studio delle sue manifestazioni richiede una cura scrupolosissima, perché da essa dipende totalmente il dinamismo delle forze. La volontà di potenza <<si manifesta in quanto potere di essere affetto >> (18), cioè ogni forza ha una capacità d'essere affetta e di provocare affezioni che le deriva dalla volontà di potenza e che fa sì che le forze abbiano tra loro un rapporto d'affettività, di sensibilità.
Sono attive le affezioni di una forza che è in grado di appropriarsi di ciò che le resiste, mentre sono subite o agite le affezioni tipiche di una forza che obbedisce a forze superiori. Dal rapporto tra le forze deriva un divenire delle forze stesse, infatti ognuna di esse può andare incontro a cicli nei quali diviene, per esempio da attiva a passiva, e i cicli possono essere molteplici.
La volontà di potenza si manifesta quindi in primo luogo come sensibilità delle forze, in secondo luogo come divenire.
Deleuze aggiunge un'asserzione che è chiaramente destinata a sgomberare il campo da ogni possibile equivoco, infatti a proposito dell'unità o della molteplicità della volontà sostiene che essa è <<l'uno, ma l'uno che si afferma del molteplice >> (19) .
Siamo in presenza di una doppia mossa interpretativa: definendo sensibilità la volontà di potenza Deleuze chiarisce la sua immanenza al mondo delle forze, e sostenendo che essa è l'uno che si dice del molteplice afferma l'univocità di questo principio rispetto alle forze.
In questa sede non possiamo andare oltre nel commento perché per arrivare ad una definizione più completa dobbiamo introdurre la nozione di eterno ritorno, però appare evidente anche se non possiamo ancora chiamare essere la volontà di potenza, e dobbiamo limitarci a definirla un principio, che Deleuze opera una chiara scelta ontologica, affiancando Nietzsche alle grandi filosofie di Scoto e Spinoza, entrambe caratterizzate dall'univocità dell'essere.
Per ora, come chiarito più sopra, non possiamo spingerci oltre, possiamo però preannunciare che la volontà non ha ancora raggiunto la sua veste definitiva arriverà l'eterno ritorno a conferirle un profilo nuovo, ma in ossequio al metodo deleuziano di cui abbiamo parlato nell'avvertenza è bene fare un passo per volta.

3)Eterno ritorno ed etica


La nozione d'eterno ritorno è senza dubbio una delle più controverse del pensiero di Nietzsche per il suo carattere a tratti non filosofico ma mistico-visionario, tale a partire dal modo stesso in cui Nietzsche la presenta nell'aforisma 341 della Gaia scienza: <<…questa vita che vivi adesso e che hai vissuto dovrai viverla ancora innumerevoli volte e non ci sarà niente di nuovo in essa ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro e tutto quello che in essa c'è di indicibilmente piccolo e grande deve tornare e tutto nella stessa sequenza e successione …>> (20).
Forte è sempre stato lo scetticismo di fronte ad una nozione poco spendibile speculativamente e difficile da far coesistere con l'assetto generale della visione del pensatore tedesco, che, come abbiamo visto in precedenza, ha aggressivamente criticato il pensiero metafisico rivendicando sempre l'ancoraggio alla terra della sua speculazione. A tal proposito procederemo come nel precedente paragrafo ad una rapida analisi d'alcune interpretazioni della dottrina dell'eterno ritorno, con l'intento non tanto di offrire un quadro esauriente delle innumerevoli trattazioni in materia, quanto di far risaltare attraverso alcune prospettive molto significative l'originalità della visione deleuziana.
Anche nell'analisi di questo concetto vogliamo partire dalla prospettiva di Giorgio Colli, il quale ritiene che l'eterno ritorno abbia a che fare con la speculazione presocratica, che avrebbe indicato << un'istantaneità ritrovabile nel tempo la quale tuttavia conduce al di fuori di esso, annullandone l'unidirezionalità irreversibile>> (21).
Si tratta della concezione circolare del tempo di origine greca, che esclude che quest'ultimo marci in una direzione che non sia quella del ritorno.
K.Lowith è sostanzialmente d'accordo con tale interpretazione, e sostiene che Nietzsche voglia spingersi verso il recupero del mondo antico e della sua ciclicità temporale in armonia con la ciclicità naturale. Solo <<i greci a giudizio di Nietzsche in quanto esempi dell'umana moderazione furono uomini realmente ben riusciti>> (22).
La dottrina dell'eterno ritorno non si capisce bene secondo Lowith se non si tiene conto di quanto fosse centrale nella visione di Nietzsche la vita <<termine che a sua volta si riferisce ad una phisis generatrice e annientatrice che tutto regge e domina>> (23). Lowith non accede ad una visione letterale dell'eterno ritorno da intendersi in senso stretto come riaccadere di vicende che già hanno avuto luogo, ma si orienta su un tornare simile a quello delle stagioni naturali, una ciclicità, per cosi dire, formale, non contenutistica, nella quale l'uomo cessa di volere altro se non il proprio ritorno.
Un altro autorevole interprete quale E.Fink parte dal concetto del momento visto come luogo di incontro tra due sentieri, passato e futuro, che sono tali da urtarsi nell'adesso, essendo entrambi eternità, una passata ed una futura. Il problema sta nel capire se realmente tali sentieri, essendo eterni, procedano all'infinito, perché se si suppone la loro eternità allora sono <<comprensivi di ogni contenuto temporale>> (24).
Per Fink proprio da ciò deriva la dottrina dell'eterno ritorno, infatti, <<tutte le cose, tutto ciò che è immanente, tutto ciò che si svolge nel tempo, devono, se il tempo in quanto passato e il tempo in quanto futuro sono tuttavia il tempo intero, essere sempre già trascorsi e sempre di nuovo ripetersi nel futuro. Il ritorno dell'uguale si basa sull'eternità del corso del tempo. Tutto deve essere stato e tutto deve ritornare>> (25). Per Fink dunque Nietzsche cerca di pensare la perpetuazione di ciò che è transitorio, però, poiché non pone l'eternità dietro il tempo né dopo il tempo pensa il tempo come eterno, il transitorio come costante, e l'unico come ripetuto. Fink cosi tenta sul filo della logica di rispettare il dettato di Nietzsche.
Tutte le interpretazioni prese in considerazione convergono nell'individuare un tratto comune tra Nietzsche e il mondo classico. Non è solo questo tuttavia l'elemento in comune tra le valutazioni degli interpreti considerati. A nessuno, infatti, sfugge il rapporto tra l'eterno ritorno come dottrina cosmologica e la sua declinazione etica in connessione con la concezione del superuomo.
Colli pensa che il filosofo tedesco abbia concepito Zarathustra, l'ultimo uomo, animato <<da qualcosa che Nietzsche ama nascondere, un'avversione contro la vita, un tratto pessimistico in profondità, un istinto contro l'istinto>> salvo poi dar luogo ad <<un superuomo che afferma di nuovo la naturalità>> (26).
Lowith condivide tale impostazione tanto da interpretare il superuomo come colui che altro non deve volere se non il cessare di volere, tipico degli elementi naturali.
Anche Fink si muove lungo tale direttrice valorizzando il tema dell'apertura cosmica dell'uomo, perché <<colui che è aperto cosmicamente è anche veramente indipendente ed autonomo>> (27), in contrapposizione all'uomo che perde il mondo, come l'abitante della grande città, che perde la patria, la solitudine, cioè la vicinanza essenziale a tutte le cose e il confidente amore per la terra>> (28).
Le interpretazioni che abbiamo voluto proporre hanno il pregio di esprimere il modo più consueto di affrontare i capisaldi del pensiero di Nietzsche, consentendoci cosi, come già detto, di mettere ancor più in rilievo la particolarità della via deleuziana.
Anche il filosofo francese considera l'eterno ritorno sotto due aspetti, come dottrina cosmologica e come dottrina etica. Sotto il primo profilo Deleuze si misura con la concezione del ritorno del medesimo come ricomparsa di ciò che è stato, partendo dallo stesso presupposto da cui muove Fink in maniera però più completa. Fink infatti parte dall'infinità di passato e futuro nella concezione di Nietzsche senza offrire una valida spiegazione di supporto, mentre Deleuze si serve della nozione di divenire mostrando come quest'ultimo per mantenersi tale non possa aver iniziato a divenire senza essere qualcosa di divenuto, né possa divenire qualcosa senza finire di divenire.
A partire da tale visione del divenire si pone il problema per cui<<se in generale il mondo fosse capace di persistere ed irrigidirsi e se nel suo scorrere vi fosse solo un attimo d'essere in senso stretto, non potrebbe più darsi un divenire, dunque non si potrebbe neppure pensare, osservare un divenire>> (29) e perciò nasce la contrapposizione tra essere e divenire.
Però se noi pensiamo che <<l'attimo attuale non è un istante dell'essere o del presente in senso stretto ma è un attimo che passa siamo costretti a pensare il divenire come ciò che non ha potuto cominciare e che non può cessare di divenire>> (30). Allora possiamo cominciare a pensare ad un essere non più contrapposto al divenire, ad un essere del divenire, ma quale può essere l'essere di ciò che diviene? di ciò che né finisce né comincia? <<ritornare è l'essere di ciò che diviene>>(31). Tuttavia, ed è questo il punto focale per Deleuze, a tornare non è il medesimo, l'identico, infatti il ritornare non appartiene all'essere, bensì quest'ultimo è costituito dal ritornare che appartiene al divenire, cioè da continuo divenire, e dal continuo affermarsi del molteplice e del divenire, per cui si può dire che <<l'identità non indica la natura di ciò che ritorna, ma al contrario il ritornare del differente>> (32) e l'eterno ritorno deve essere pensato come sintesi di essere e divenire.
Deleuze quindi si discosta in maniera netta dall'interpretazione tradizionale dell'eterno ritorno, rifiutando quella che considera un'ipotesi meccanicista, che opera attraverso l'idea di uno stato finale identico a quello iniziale, senza però spiegare come si esca dallo stato iniziale e si giunga a quello finale, per poi tornare al primo. Per fare ciò Deleuze ha bisogno di quello che definisce un rovesciamento categorico generale, secondo cui l'essere si dice del divenire, l'identità del differente e l'uno del multiplo.
Appare evidente un vero capovolgimento sotto il profilo ontologico, che porta ad un'acquisizione di centralità per nozioni tradizionalmente temute dalla metafisica come il divenire, la molteplicità, la differenza, nozioni che da sempre incarnano altrettanti pericoli da esorcizzare per un pensiero dell'ordine antipluralista.
Deleuze considera l'eterno ritorno diretta espressione del principio che sta alla base del riprodursi del differente, del ripetersi della differenza:la volontà di potenza.
In tal modo è chiarito definitivamente il rapporto tra volontà di potenza ed eterno ritorno, quest'ultimo, infatti, presuppone <<un mondo, quello della volontà di potenza, in cui tutte le identità precedenti sono abolite e dissolte>> (33). La realtà che ci si profila in tal modo è caratterizzata da un principio, la volontà di potenza, che abbiamo visto, presiede, in virtù della sua univocità, al relazionarsi delle forze tra loro, al prodursi quindi di differenze e di nuove identità, in un reale in continuo movimento con l'eterno ritorno a garanzia del riprodursi di tale movimento, il differire continuo della differenza.
Prima di parlare degli aspetti etici del discorso sull'eterno ritorno, connessi all'idea del superuomo, con le conseguenze ontologiche che ne derivano, è importante evidenziare la valenza antihegeliana che Deleuze attribuisce al concetto di differenza.
Il filosofo francese è convinto che il pensiero di Nietzsche <<ha una grande portata polemica è un antidialettica assoluta che ci propone di eliminare tutte le mistificazioni che appunto nella dialettica trovano l'ultimo rifugio>> (34).
La dialettica hegeliana elabora un concetto di differenza che ha il suo elemento cardine nell'opposizione e nella contraddizione, infatti per Hegel ogni identità non matura attraverso l'autoposizione affermativa della differenza, ma in virtù dell'opposizione negativa, per cui qualcuno è solo in relazione a ciò che non è, trae identità dalla contrapposizione con l'altro da sé, per cui la negazione ha un ruolo primario rispetto all'affermazione.
Abbiamo visto che per il Nietzsche di Deleuze è primaria l'affermazione della differenza, e la negazione deriva come logica conseguenza dall'affermazione, ma ha, rispetto a questa, una potenza minore.
Non è difficile cogliere in questa analisi, il contrasto tra una filosofia pluralista e libertaria, ed un pensiero sistematico e classificatore che si serve della dialettica, <<pensiero dell'uomo teoretico, che reagisce contro la vita, che pretende di giudicarla, di limitarla, e di misurarla>> (35).
Sarebbe interessante valutare appieno, possibile materia di un altro lavoro, in che misura Deleuze, accentuando la tendenza antihegeliana di Nietzsche, non cada vittima della legge dialettica caratterizzando il pensiero affermativo più per la sua differenza con quello hegeliano che per le proprie caratteristiche intrinseche.
Anche per Deleuze la dottrina dell'eterno ritorno ha un secondo aspetto oltre quello cosmologico: l'etica. In primo luogo perché tale pensiero fornisce alla volontà una regola pratica in base alla quale ciò che si vuole lo si deve volere a tal punto da volerne anche il ritorno, che per Deleuze non è un invito ad agire in considerazione della possibilità di rivivere tutto ciò che s'è già vissuto, quanto un appello alla radicalità nell'agire, contro il rito maniacale di piccole compensazioni, piccoli piaceri, piccole gioie, del concedersi tutto una volta soltanto e solo ripromettendosi di non farlo più.
In tal modo matura sul piano pratico una prima selezione che l'eterno ritorno opera nei confronti di tutte le azioni che anche se volessero il proprio ritorno non potrebbero cambiare la propria qualità.
Deleuze considera una seconda selezione operata dall'eterno ritorno nei confronti del nichilismo e delle forze reattive. Essa è centrale per la comprensione di tutto il discorso di Nietzsche, ma per essere colta appieno necessita di una preliminare definizione del rapporto tra nichilismo, volontà di potenza e la celebre nozione di superuomo. Il Nietzsche di Deleuze considera nichilistico ogni atteggiamento che contrapponga dei valori superiori alla vita, che sostituisca i valori alla vita stessa, in un universo soggettocentrico, e infine che lascia l'uomo in un mondo deserto in mezzo al nulla in un dominio totale del negativo.
Nel paragrafo precedente abbiamo evidenziato come la volontà di potenza possa essere negativa e affermativa, adesso si deve dire che il nichilismo è frutto della volontà di potenza negativa, per cui intraprendere una lotta contro significa cambiare il segno della volontà da negativo ad affermativo. A questo punto Deleuze introduce una tesi di cui mostreremo in seguito la centralità: la volontà negativa è la ratio cognoscendi della volontà di potenza, cioè ha la funzione di portare l'uomo a contatto con la volontà di potenza, in tal modo si spiega perché il mondo sia preda del nichilismo e delle forze reattive, essendo esse un passaggio obbligato verso la ratio essendi della volontà di potenza: l'affermazione.
Tralasciando il sapore hegeliano della tappa obbligata nel negativo per giungere al positivo, è evidente che il peso della trasvalutazione non può essere retto dall'uomo qualunque, che è sempre caduto nelle mani delle forze reattive, perciò Nietzsche introduce la nozione di superuomo, volendo intendere proprio colui che è in grado di sostenere la forza dell'affermazione in seguito alla trasvalutazione, ed è quindi capace di incarnare l'essenza del reale, il principio del reale attraverso l'affermazione, quindi non sovraccaricando la vita di valori superiori, ma creando nuovi valori di vita che la trasformino in leggerezza, gioia, attività, positività creatrice.
Abbiamo dunque acquisito una nuova definizione, infatti la nozione di volontà di potenza che avevamo visto dirsi univocamente di tutto il reale trova una specificazione ulteriore con il concetto di affermazione, tanto che Deleuze sostiene apertamente che<< l'affermazione è essere>> (36).
Tuttavia c'è un ulteriore passo da compiere, infatti l'affermazione è <<di per sé e originariamente divenire >> però solo in quanto <<oggetto di un'altra affermazione che eleva il divenire ad essere e che produce l'essere del divenire, l'affermazione è essere>> (37).
L'affermazione sarebbe solo divenire se non intervenisse una seconda affermazione, per cui si può dire che l'affermazione è essere in quanto ha per oggetto se stessa. Perciò Deleuze può dire che <<l'essere è divenire, l'uno è molteplice la necessità è caso, solo se divenire, molteplice e caso si riflettono come oggetto della seconda affermazione>> (38). Quindi distinguiamo due affermazioni e proprio qui ci riconduciamo al discorso sull'eterno ritorno, infatti la seconda affermazione fa sì che la prima passi da una potenza, nella quale essa è il divenire, ad una seconda potenza l'eterno ritorno. Perciò, una volta che l'affermazione o divenire è fatta oggetto della seconda affermazione, si giunge a dire che l'essere è divenire, che l'uno è molteplice, ma anche sì da vita all'eterno ritorno, che infatti abbiamo visto essere l'estremo avvicinamento di divenire ed essere.
Quindi il punto di raccordo di tutto questo movimento concettuale è la seconda affermazione, grazie alla quale v'è il passaggio di potenza e si giunge all'eterno ritorno che è per l'appunto l'insieme delle due affermazioni.
Per capire meglio la seconda affermazione dobbiamo avere pazienza e compiere un passo indietro, tornando al momento. prima citato, in cui avviene la trasvalutazione e si passa dalla volontà di potenza come negazione e ratio cognoscendi alla volontà di potenza come affermazione, fase imprescindibile, a cui come abbiamo visto segue la seconda affermazione e l'eterno ritorno. A tal proposito abbiamo già detto che colui che può sostenere il peso dell'affermazione è il superuomo, ma dobbiamo aggiungere che il vero attore della trasvalutazione è Zarathustra, infatti il superuomo gli è figlio.
Zarathustra attraverso la distruzione di tutti i valori stabiliti da luogo al superuomo, è colui che vuole tramontare. Allora Zarathustra è il protagonista del passaggio verso la prima affermazione, passaggio trasvalutativo che avviene grazie al suo tramontare.
Dopo il momento trasvalutativo e il passaggio alla volontà di potenza affermativa abbiamo visto esserci la seconda affermazione che, si badi bene, è indispensabile perché si innesti l'eterno ritorno e perché l'essere si possa considerare un eterno divenire della differenza.
Deleuze affronta questa tematica servendosi delle figure simboliche che Nietzsche utilizza in Cosi parlò Zarathustra, per cui Dioniso è l'affermazione, il divenire, Arianna è la seconda affermazione e con Dioniso costituisce l'eterno ritorno e da vita al superuomo.
Sciogliendo la simbologia possiamo osservare un piano ontologico che è costituito dalla doppia affermazione che genera l'eterno ritorno incarnato dalla coppia Arianna-Dioniso, ed un piano antropologico-etico, incarnato dal loro figlio, il superuomo. Allora è chiaro che la seconda affermazione, se da un lato ha una valenza prettamente ontologica, d'altro lato ha bisogno di colui che la incarni, ed ecco il superuomo, l'uomo leggero, gioioso, affermativo.
Risulta ora più chiaro che il Nietzsche di Deleuze concepisce un peculiare rapporto tra ontologia, etica e antropologia. Infatti si ha un passaggio ontologico da un dominio della volontà negativa ad una scoperta della vera essenza del reale, l'affermazione, il divenire affermativo, che a sua volta affermato è l'essere che eternamente diviene, l'eterno affermarsi, differenziarsi della differenza.
Tutto ciò è dovuto prima alla volontà di perire di Zarathustra per favorire<<una conversione radicale di essenza nell'uomo>>(39), poi al sorgere del superuomo, nuovo esemplare antropologico dotato di un'etica della positiva affermazione, della leggerezza, della gioia. Perciò si può dire che la prassi etica determini la struttura ontologica del reale.
Tutto ciò è affermabile anche in un secondo senso, infatti l'eterno ritorno ha il carattere di consentire il ritorno solo alle forze affermative non a quelle negative, per cui si può dire abbia un carattere selettivo, e la selezione avviene in base ad un criterio etico. Infatti, secondo Deleuze sopportano la prova dell'eterno divenire e differire solo le forze che sono in grado di trascendersi continuamente, di superarsi, di differire. In tal senso il mondo di Nietzsche avendo l'eterno ritorno come <<sola identità di ciò che differisce>> (40) quindi avendo il continuo differire come sola identità, fa sì che non solo vi sia un pluralismo di forze differenti tra loro ma anche che la singola forza differisca e si trasmuti lungo il suo percorso.
Arrivati alla fine del cammino lungo i tornanti del pensiero di Nietzsche secondo Deleuze è venuto il momento di trarre alcune conclusioni.
Partiti da un mondo di fenomeni e forze abbiamo visto emergere il principio ontologico della volontà di potenza e la sua elevazione a potenza nell'eterno ritorno.
E' venuto emergendo il ruolo centrale della pratica, il primato della pratica. Ciò è chiaro già nel passaggio trasvalutativo di Zarathustra, che attraverso un movimento etico-pratico consente che dalla ratio cognoscendi della volontà di potenza si passi alla ratio essendi, consente cioè l'emergere dell'essenza della realtà fino ad allora dominata dalle forze negative.
In seguito è il superuomo che operando la seconda affermazione quindi scegliendo un'etica affermativa e una pratica del "si" al divenire, determina la condizione dell'eterno ritorno. Quest'ultimo opera in maniera selettiva ontologicamente, e tale selezione non consente il ritorno delle forze non affermative, perciò il criterio che vige è sempre etico.
Il mondo cosi consegnatoci dal Nietzsche di Deleuze è caratterizzato dall'affermarsi di una pluralità di differenze e dal continuo differenziarsi delle singolarità. In questa prospettiva non esiste un essere che possa dirsi trascendente, ma l'affermazione è concepita come essere immanente che si dice univocamente di tutte le differenze, e l'eterno differire delle differenze è l'unica identità del molteplice, e l'essere non può considerarsi ontologicamente stabile e definito, ma in continuo divenire. Tuttavia poiché l'essere si dice delle differenze ed è immanente alle differenze stesse, la sua non definitezza ontologica fa sì che lo si possa considerare producibile da parte delle differenze, con i loro rapporti, il loro trasmutare, i loro incontri e quindi da parte del superuomo, attore pratico cui Nietzsche affida il compito di affermare la differenza.
Emerge cosi un ulteriore segno del primato della prassi, si deve parlare di una pratica costitutiva ontologicamente, orientata dai criteri etici dell'affermazione gioiosa e della leggerezza della differenza.
Bisogna evitare di credere di essere in presenza del meccanismo hegeliano dell'incarnazione necessitata da parte dello spirito nell'uomo e nella sua storia, o dell'essere heideggeriano che si serve dell'uomo per la sua apertura. L'essere nella prospettiva deleuziana non è altro dagli attori pratici con i loro incontri, le loro relazioni e il loro divenire, è completamente espresso, univocamente, e da loro prodotto.
L'uomo pur essendo dotato di un ruolo fabbrile non soffre di vertigini antropocentriche, infatti nell'universo di Nietzsche non c'è spazio per la soggettività forte di tipo moderno, travolta dal continuo differire delle identità e dalla perdita di sovranità del principio d'individuazione. Non c'è spazio neppure per il sistema identitario statuale ed economico globale, maglie troppo strette per singolarità che vivono con leggerezza la loro affermatività e la loro pratica degli incontri, rifuggendo da ogni rigida classificazione burocratica e da ogni funzionalità economica passiva.
Diventa centrale la possibilità da parte dell'uomo di trascendersi, di sottrarsi alle impersonali strutture economiche e statali, facendo valere il potere dell'affermazione della creazione, in un contesto nel quale divengono fondamentali gli incontri e le alleanze tra gli uomini, unica via possibile verso la libertà.



Note

1) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992.
2 )G.Deleuze, Nietzsche, SE, Milano 1997.
3) G.DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992, p.38
4) G.DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992, p.32
5) G.DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992, p.73
6) M.HARDT, Gilles Deleuze, un apprendistato in filosofia, a-change, Milano 2000, p.173
7) G.DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992 p.120.
8) G.Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano 1986, p.125.
9) Op.cit., p.126.
10) Op.cit., p.126.
11) E.Fink, La filosofia di Nietzsche, Marsilio, Venezia 1993, p.138.
12) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992, p.37.
13) Op.cit., p.79.
14) Op.cit., p.79.
15) Op.cit., p.80.
16) Op.cit., p.89.
17) Op.cit., p.83.
18) Op.cit., p.90.
19) Op.cit., p.113.
20) F.Nietzsche, La Gaia Scienza, Adelphi, Milano 1993, p.248-249.
21) G.Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano 1986, p.115.
22) K.Lowith, Nietzsche e l'eterno ritorno, Laterza, Roma 1996, p.182.
23) Op.cit., p.195.
24) E.Fink, La filosofia di Nietzsche, Marsilio, Venezia 1993, p.94.
25) Op.cit., p.95.
26) G.Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano, 1986, p.114-115.
27) E.Fink, La filosofia di Nietzsche, Marsilio, Venezia 1993, p.100.
28) Op.cit., p.101.
29) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992, p.76.
30) Op.cit., p.76.
31) Op.cit., p.76.
32) Op.cit., p.77.
33) G.Deleuze, Differenza e ripetizione, Cortina Editore 1997, p.59.
34) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992, p.221.
35) Op.cit., p.222 .
36) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992, p.212.
37) Op.cit., p.213.
38) Op.cit., p.215.
39) G.Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992, p.138.
40) G.Deleuze, Divenire molteplice, Ombre corte, Verona 1996,p.35.