La nostra epoca ha, per così
dire, il tratto della rarefazione! Respiriamo e sostiamo
in questo "vapore" che ci sostiene, che ci alimenta
e ci traghetta. Quanto mai frontale deve essere il monito
di Hegel a muoversi con avvedutezza e circospezione nella
trama della Storia per non cadere nella trappola del giudizio
ingenuo. Tuttavia, il pericolo è l'autentica vocazione
dell'uomo e in qualche modo il rischio segna il nostro stare
dentro questo rarefarsi del tutto. Ormai il passo è
fatto: anche questo breve contributo ha già in parte
mostrato le proprie carte, consegnandosi così ad
una tradizione in cui vive e da cui rampolla bevendo la
sua nichilistica linfa. Le filosofie che hanno ereditato
il tema heideggeriano dell'oltrepassamento della metafisica
sono dentro lo scorrere di questo fiume in piena, non giacciono
nel fondo del suo letto sedimentando su se stesse, tutt'
altro: proprio in alcune di queste il nostro tempo è
il segno di questo oltrepassamento, e noi siamo immersi
in questa corrente. Piegando questa immagine fino a farla
curvare in direzione dell'esistenza si apre la via a comprendere
il nostro stesso stare in rapporto con la tradizione che
ci costituisce: l'esser-annidati in un esser-presi fin dal
principio in un radicamento, un dimorare! Noi siamo presenti
nella continuità di questa corrente, nel segno di
una provenienza che ci sovrasta, che respira di noi, ma
che in qualche modo ci consegna alle nostre possibilità
più proprie. Ma sedendo e mirando alcune altezze
di una certa tradizione continentale, la storia dell'Occidente
si rivela epifania della storia dell'essere come costitutiva
erosione di strutture stabili; la razionalità occidentale
(l'Occidente è la terra dell'occaso, ovvero del tramonto)
nell'acquisire coscienza di sè scopre la vocazione
nichilistica come suo tratto fondamentale.
In questa impalcatura concettuale
il principio che ne regge le fondamenta sembra esser questo:
l'impossibilità di pensare "l'essere" in
una forma stabile, da un lato conduce ad un terreno in cui
regna una logica di tipo apofatico, modalità in cui
l'alba del concetto della "cosa" è vibrante
nella sua negazione (l'essere non è questo, non è
quello, ma è oltre
), dall'altro si profila
un pensiero che guarda "all'essere" - e quindi
alla sua storia - come ad una pienezza che pian piano si
svuota; "l'essere" è qui inteso come qualcosa
che non si identifica mai con il suo darsi, è quindi
un evento: un accadimento. Il quadro è chiaro, visibile;
ma, la tela è lacerata: il destino "dell'essere"
grava sull'uomo poiché egli è il suo pastore,
egli è costretto ad errare, apparentemente
, senza fissa dimora. Riaffiora qui un detto di Nietzsche
che recita: " Io non vivo se non tramontando
"
. E' altresì prezioso, a questo punto, l'ascolto
di Heidegger che cede la parola a Vincent Van Gogh : "
Io sento con tutte le mie forze che la storia dell'uomo
è come quella del grano; anche se non saremo piantati
nella terra per germogliare, non importa: saremo macinati
lo stesso per diventare pane. Guai a chi non passa per questa
macina". E' in queste vicende che il Novecento ha costruito
il suo dramma! Questa corrente bagna i lidi dell'umana condizione,
ed è nel secolo appena trascorso che, per un'improvvisa
accelerazione, si è sfiorato il limite dell'inondazione.
Per questo l'esperienza della post-modernità ha quel
tratto della rarefazione da cui abbiamo preso le mosse.
La mancanza di densità genera assenza di appigli
stabili per il soggetto che si trova ad errare nell'epoca
"della debolezza". Il soggetto non ha gravità!
Niente (o poco) sembra avere capacità di presa, ogni
cosa passa senza lasciare traccia, esperienze sottratte
al dominio della nostra continuità, momenti che non
si sedimentano nella nostra memoria, che non si fanno storia:
eventi che sorgono e che si eclissano. L'epoca della fine
dei meta-racconti si agita come un mare in tempesta; noi
siamo al centro di questo vortice e in qualche modo rappresentiamo
il suo momento riflesso: siamo ciò che fa ruotare
questo magma secolare. L'ingresso nel divenire storico ci
plasma con le fattezze di un tramandamento che in noi si
mantiene in vita, che ci segna, e tuttavia noi mutiamo in
e con essa nella misura in cui la ereditiamo: noi siamo
in cammino, noi siamo un colloquio! Averci consegnato questa
modalità dello sguardo come ascolto è merito
dell'ermeneutica, un sapere che ha nel suo midollo un'essenza:
il dialogo. Dialogare è allora un raccogliere, un
fondere gli orizzonti ascoltando il passato nell'esser-tesi
in direzione del possibile; è un'affacciarsi sull'indeterminato
a partire da un appiglio. Il "tempo post-moderno",
che ha nell'ermeneutica uno dei suoi fuochi interiori, apre
così alla "pluralizzazione". La pluralizzazione
è l'esperienza della consumazione degli immutabili,
l'esperienza della visione di una frammentazione. Questo
costitutivo sgretolarsi e disperdersi nel plurale sembra
non possedere un punto di fuga, una prospettiva; l'esistenza
è uno star-sempre-nei-pressi-di questo limite. Ma,
lo star-presso un limite ha un momento fecondo: l'incontro.
Il limite è il luogo di una distinzione e di una
relazione; è in questo 'topos' teoretico che gli
orizzonti possono incontrarsi nel distinguersi e così
dis-velarsi per ciò che sono : aperture.
E' in
questo scenario che tale contributo ha la pretesa di star
dentro un progetto quale è la rivista XÁOS.
In linea con quanto si è accennato precedentemente,
l'idea di "caos" come ciò-che-è-lontano-dall'ordine
volge verso un modo più ampio di raccogliere il significato
della parola, dove "caos" indica una spazio immenso,
un'immensa distesa. Confluire in questa apertura vuol dire
entrare in un luogo che come punto di intersezione di orizzonti
differenti è propriamente un non-luogo, poiché
non vive di una stabilità ma vibra come circolarità.
A partire dallo scheletro che si è delineato, questo
intervento tra le tante pretese avanzate (implicite e non)
non ha quella di aver esaurito i suoi argomenti; poiché
se da un lato la "cosa" stessa in questione non
ha un approdo definitivo, dall'altro il presente contributo
è solo una possibile introduzione ad altri, che da
questo trarranno ispirazione. Il lettore che "navigando"
tocca queste sponde, comprenderà (si spera) che lo
stesso autore si sente un po' come il timoniere di una barca
che è in allestimento, forse non ancora pronta a
salpare. Pertanto di volta in volta gli articoli proposti
saranno tracce di un paesaggio (non unitario) configurantesi
in un cammino, che sarà a disposizione di chi avrà
la pazienza di farsi trasportare da questa corrente. |