"I migliori artisti, le
migliori incisioni e la possibilità di spaziare in
un repertorio vastissimo: in sintesi, il miglior rapporto
qualità prezzo possibile ". Così titola
una recente promozione di CD musicali di musica classica.
L'ennesima offerta ad un pubblico molto vasto piuttosto
che ben educato, permette (per pochi denari) di avere nel
nostro salotto l'alpha e l'omega del pensiero musicale occidentale,
tutto genuinamente risuscitato attraverso il nostro impianto
stereo. La "riproducibilità tecnica dell'opera
d'arte" (
la sua svendita) paventata da Walter
Benjamin nella metà degli anni '30 è manifestata
ancora nel suo significato sociale attraverso una "liquidazione
del valore tradizionale dell'eredità culturale".
Nondimeno, il rapporto dialettico con la forma e la tradizione
sono sempre stati la linfa vitale della musica e del suo
sviluppo storico. La stessa idea di genio (pesante eredità
del Romanticismo) tanto fruttuosa anche per l'industria
musicale si configura nella rottura degli schemi sociali
e nella frattura col passato, con le forme, con la tradizione.
Ancora il Benjamin tiene presente che "l'unicità
dell'opera d'arte si identifica con la sua integrazione
nel contesto della tradizione"; il genio di Bach, ad
esempio, sarebbe impensabile al di fuori di questo processo.
Oggi, ad un universo saturo di geni costruiti in serie si
affianca in un'offerta senza precedenti l'eredità
dei grandi musicisti del passato, offrendo ad un vasto pubblico
un pietanza abbondante ma
difficile da digerire. Nella
misura in cui si ammette questa reificazione della musica,
l'accostamento musica-cibo non può destare scalpore.
A tale filantropica elargizione di musica classica si accosta
infatti una volgarità ben peggiore. Tra sconti e
liquidazioni potremmo assaporare un quartetto di Haydn per
colazione, una sonata di Rachimaninov a pranzo, serbandoci
di consumare la nona di Beethoven dopo cena
Tutto
questo in una comodità più interiore che esteriore,
quale conforto di una società dei consumi che ci
offre beni culturali come alimento per una "generale
contemplazione". Dopotutto, perché rinunciare
all'agio del nostro salotto, alla intimità della
nostra casa invece di scomodarci (spesso a caro prezzo)
al teatro più vicino, magari per un piccolo interprete
o un'orchestra di provincia?
Glenn Gould nel 1964 ritirandosi dai palcoscenici e dedicandosi
"alla ricerca della perfezione" in studio di registrazione,
attestava anche Lui (inconsciamente?) una liquidazione della
musica ad oggetto di solo ed intimo consumo. Non si vuole
certo criticare la scelta di Gould che in cuor suo agognava
un "
nuovo tipo di ascoltatore - un ascoltatore
più partecipe dell'esperienza musicale
".
Ci troviamo veramente di fronte ad un nuovo ascoltatore
più partecipe o soltanto più abbiente? Di
fatto, è un ascoltatore che può suonare ad
libitum tutte le interpretazioni delle variazioni Goldberg,
magari scegliendo e assemblando in un unicum le 10 battute
perfette o più intense da questo o quell'altro interprete.
Scelta partecipe o intimo imballaggio della musica? Le "compilation"
sui vari Bach, Vivaldi, Mozart, Beethoven, etc., moderni
"greatest hits" della musica classica tanto in
voga negli ultimi tempi, non sono altro che una realizzazione
commerciale di tale imballaggio. I musicisti, quando non
sono complici di tale delitto, assecondano le leggi del
mercato promuovendo una semina di osceni listini musicali.
Signori, "
il catalogo è questo
!",
potrebbe sbeffeggiarci Leporello!
Suonare il rancio?
Attraverso una malinconica distribuzione la musica oggi
viene per lo più vissuta - servita - come un pasto
grati [1]
piuttosto che come l'espressione dell'artista, della cultura
e della società in cui è nata. Un pasto gratis,
il più delle volte imposizione, distribuito nella
musica di sottofondo dei centri commerciali o come silenzi
dei telefoni in attesa o peggio nella de-costruzione delle
melodie celebri nei telefoni cellulari. I mass media (non
senza un certo compiacimento di un certo pubblico pigro)
sono i veri propri "direttori artistici" moderni
che ci offrono/impongono il nostro quotidiano pasto musicale,
pre-confezionato sulla base di precise indagini di mercato.
Con lucida sintesi riassume Simon Frith: "il significato
spirituale, trascendente, della musica classica è
sempre stato sfruttato e ridicolizzato nell'uso che ne fanno
il cinema, la radio, le case discografiche e televisive,
come sottofondo nella pubblicità, negli ascensori
e negli aeroplani".
I musicisti da sempre hanno sopravissuto grazie a generosi
mecenati, pubbliche accademie e concerti, lezioni di musica
e, più di recente, diritti d'autore. Il "vile
denaro" non è una scoperta recente. D'altra
parte, fino alla fine del '700, creatore d'opera, direttore
artistico e quello che oggi potremmo definire come manager
risiedevano nella stessa persona permettendo cosi ad un
Mozart di realizzare con il suo Don Giovanni un clamoroso
successo da botteghino e, ad un tempo, un capolavoro assoluto.
Tuttavia, stiamo attenti a non cedere ad una facile associazione
antico-incontaminato. Della annosa questione sulla diffusione
della "musica-come-arte" e del rapporto coi suoi
interlocutori non era esente neanche l'epoca di Mozart.
Proprio in una critica alle rappresentazioni praghesi del
Don Giovanni si dice: "Come è interessante per
chi comprende; come è grandiosa, soggiogante, incantevole
l'armonia! Ma va bene per il pubblico comune? Questa è
tutt'altra faccenda."
Oggi, come allora, la musica si compra (questo è
il male minore) ma si consuma come un qualsiasi altro bene
materiale. Evidentemente, la bellezza e la autenticità
dell'opera non sono un pasto gratis perché non sono
commerciabili allo stesso modo di una registrazione su CD,
nemmeno quando l'etichetta live lo vorrebbe certificare.
Il cambiamento a cui abbiamo assistito riguarda tanto il
sistema di diffusione musicale quanto il suo principale
fruitore: il pubblico. Adorno nella sua Introduzione alla
sociologia della musica compie una attenta autopsia dei
"tipi di comportamento musicale" di un pubblico
ancora non completamente anestetizzato dai mass media (a
quel tempo non ancora totalitari mistificatori della musica
e della sua diffusione) e in particolare di un certo "ascolto
passivo" che maggiormente si presta al livellamento,
alla massificazione, e quindi alla standardizzazione del
prodotto musicale. Di fatto, interessi mercantili che riducono
la musica alla produzione e alla promozione di opere da
sfruttare economicamente non presuppongono un ascoltatore
consapevole ma al contrario si basano su un ascoltatore
indifferente. Seguendo Adorno: "i prodotti d'arte alienati
vengono messi a punto con un procedimento falsificatore
e destinati a chi non è più capace - o forse
non ha la volontà - di intenderli rettamente: il
fine è che costoro dimentichino cosa li divide dalle
opere
". Per contro, sentirsi parte di un'elite
di intenditori solo per aver acquistato l'ultima interpretazione
- filologicamente accettabile - delle Passioni di Bach ricorda
un collezionismo da falsari ben lontano dalla ricerca di
un unicum. Quest'unicum (l'aura di Benjamin), gia ucciso
dalla sua riproducibilità tecnica, tuttavia può
sopravvivere nelle sale da concerto e nei teatri, laddove
al rapporto spontaneo e diretto con la musica non si sostituisca
un colto snobismo (consumatore di cultura).
In tempi scanditi dalla tecnica, dove il moderno "homo
habilis" acquisisce ingenuamente una tecnologia di
cui non ha coscienza o quantomeno controllo, potremmo pure
delineare la figura di un moderno "consumatore di suoni"
appiattito dal bisogno - sempre e in ogni dove - di una
musica intesa unicamente come un comfort che aiuti a distrarsi.
Il torbido confine tra consumistica inappetenza o semplice
- ma più pericolosa - svogliatezza dell'ascoltatore
medio, si rivela nelle contraddizioni quotidiane che sorgono
di fronte all'opera d'arte. Resta da valutare come queste
contraddizioni stiano nella realtà stessa e non soltanto
nella coscienza assopita del pubblico. Beethoven nella sua
grandezza trascrive nel suo Tagebuch (una sorta di diario)
un monito per le nostre coscienze:
"Le debolezze della natura sono date dalla natura stessa
e la Ragione sovrana dovrà cercare di guidarle e
sminuirle ricorrendo alla sua forza"
[1]
pasto gratis: nella discussione
cosmologica sull'origine dell'universo Paul Davies propone
lo scenario del pasto gratuito: "l'universo al resto
può provvedere da sé, la sua propria creazione
compresa." Nel nostro contesto il pasto gratis richiama
non tanto l'auto-consistenza quanto piuttosto il darsi gratuitamente,
in un rapporto che non presuppone una controparte, ovvero
senza sforzo e impegno da parte dell'ascoltatore. Non si
vuole così necessariamente presumere o far riferimento
ad un ascoltatore per forza qualificato o musicalmente educato.
Bibliografia al testo
- Theodor W. Adorno, Introduzione alla
sociologia della musica, Einaudi (www.einaudi.it) 1971
- Theodor W. Adorno, Il fido maestro sostituito - studi
sulla comunicazione della musica, Einaudi 1969
- Theodor W. Adorno, Beethoven - filosofia della musica,
Einaudi 2001
- Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua
riproducibilità tecnica, Einaudi 1966
- Simon Frith (a cura di), L'industrializzazione della
musica e il problema dei valori, in Enciclopedia
della musica I, Einaudi 2001
- Glenn Gould (a cura di), Riflessioni sul processo creativo,
in ibidem
- Massimo Mila, L'esperienza musicale e l'estetica,
Einaudi 1956
- Mario Perniola, L'arte e la sua ombra, Einaudi
2000
- Maynard Solomon, Mozart, Mondadori 1996
- Maynard Solomon, Su Beethoven, Einaudi 1998
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