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ENRICO PETRETTO, "Musica: liquidazione totale"

 

E. Petretto, Musica: liquidazione totale. Svogliatezza o inappetenza?, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno I, n.2 luglio-ottobre 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_2/art_8.htm

 

"I migliori artisti, le migliori incisioni e la possibilità di spaziare in un repertorio vastissimo: in sintesi, il miglior rapporto qualità prezzo possibile ". Così titola una recente promozione di CD musicali di musica classica. L'ennesima offerta ad un pubblico molto vasto piuttosto che ben educato, permette (per pochi denari) di avere nel nostro salotto l'alpha e l'omega del pensiero musicale occidentale, tutto genuinamente risuscitato attraverso il nostro impianto stereo. La "riproducibilità tecnica dell'opera d'arte" (… la sua svendita) paventata da Walter Benjamin nella metà degli anni '30 è manifestata ancora nel suo significato sociale attraverso una "liquidazione del valore tradizionale dell'eredità culturale". Nondimeno, il rapporto dialettico con la forma e la tradizione sono sempre stati la linfa vitale della musica e del suo sviluppo storico. La stessa idea di genio (pesante eredità del Romanticismo) tanto fruttuosa anche per l'industria musicale si configura nella rottura degli schemi sociali e nella frattura col passato, con le forme, con la tradizione. Ancora il Benjamin tiene presente che "l'unicità dell'opera d'arte si identifica con la sua integrazione nel contesto della tradizione"; il genio di Bach, ad esempio, sarebbe impensabile al di fuori di questo processo. Oggi, ad un universo saturo di geni costruiti in serie si affianca in un'offerta senza precedenti l'eredità dei grandi musicisti del passato, offrendo ad un vasto pubblico un pietanza abbondante ma …difficile da digerire. Nella misura in cui si ammette questa reificazione della musica, l'accostamento musica-cibo non può destare scalpore. A tale filantropica elargizione di musica classica si accosta infatti una volgarità ben peggiore. Tra sconti e liquidazioni potremmo assaporare un quartetto di Haydn per colazione, una sonata di Rachimaninov a pranzo, serbandoci di consumare la nona di Beethoven dopo cena… Tutto questo in una comodità più interiore che esteriore, quale conforto di una società dei consumi che ci offre beni culturali come alimento per una "generale contemplazione". Dopotutto, perché rinunciare all'agio del nostro salotto, alla intimità della nostra casa invece di scomodarci (spesso a caro prezzo) al teatro più vicino, magari per un piccolo interprete o un'orchestra di provincia?
Glenn Gould nel 1964 ritirandosi dai palcoscenici e dedicandosi "alla ricerca della perfezione" in studio di registrazione, attestava anche Lui (inconsciamente?) una liquidazione della musica ad oggetto di solo ed intimo consumo. Non si vuole certo criticare la scelta di Gould che in cuor suo agognava un "…nuovo tipo di ascoltatore - un ascoltatore più partecipe dell'esperienza musicale…". Ci troviamo veramente di fronte ad un nuovo ascoltatore più partecipe o soltanto più abbiente? Di fatto, è un ascoltatore che può suonare ad libitum tutte le interpretazioni delle variazioni Goldberg, magari scegliendo e assemblando in un unicum le 10 battute perfette o più intense da questo o quell'altro interprete. Scelta partecipe o intimo imballaggio della musica? Le "compilation" sui vari Bach, Vivaldi, Mozart, Beethoven, etc., moderni "greatest hits" della musica classica tanto in voga negli ultimi tempi, non sono altro che una realizzazione commerciale di tale imballaggio. I musicisti, quando non sono complici di tale delitto, assecondano le leggi del mercato promuovendo una semina di osceni listini musicali. Signori, "…il catalogo è questo…!", potrebbe sbeffeggiarci Leporello!

Suonare il rancio?
Attraverso una malinconica distribuzione la musica oggi viene per lo più vissuta - servita - come un pasto grati [1] piuttosto che come l'espressione dell'artista, della cultura e della società in cui è nata. Un pasto gratis, il più delle volte imposizione, distribuito nella musica di sottofondo dei centri commerciali o come silenzi dei telefoni in attesa o peggio nella de-costruzione delle melodie celebri nei telefoni cellulari. I mass media (non senza un certo compiacimento di un certo pubblico pigro) sono i veri propri "direttori artistici" moderni che ci offrono/impongono il nostro quotidiano pasto musicale, pre-confezionato sulla base di precise indagini di mercato. Con lucida sintesi riassume Simon Frith: "il significato spirituale, trascendente, della musica classica è sempre stato sfruttato e ridicolizzato nell'uso che ne fanno il cinema, la radio, le case discografiche e televisive, come sottofondo nella pubblicità, negli ascensori e negli aeroplani".
I musicisti da sempre hanno sopravissuto grazie a generosi mecenati, pubbliche accademie e concerti, lezioni di musica e, più di recente, diritti d'autore. Il "vile denaro" non è una scoperta recente. D'altra parte, fino alla fine del '700, creatore d'opera, direttore artistico e quello che oggi potremmo definire come manager risiedevano nella stessa persona permettendo cosi ad un Mozart di realizzare con il suo Don Giovanni un clamoroso successo da botteghino e, ad un tempo, un capolavoro assoluto. Tuttavia, stiamo attenti a non cedere ad una facile associazione antico-incontaminato. Della annosa questione sulla diffusione della "musica-come-arte" e del rapporto coi suoi interlocutori non era esente neanche l'epoca di Mozart. Proprio in una critica alle rappresentazioni praghesi del Don Giovanni si dice: "Come è interessante per chi comprende; come è grandiosa, soggiogante, incantevole l'armonia! Ma va bene per il pubblico comune? Questa è tutt'altra faccenda."
Oggi, come allora, la musica si compra (questo è il male minore) ma si consuma come un qualsiasi altro bene materiale. Evidentemente, la bellezza e la autenticità dell'opera non sono un pasto gratis perché non sono commerciabili allo stesso modo di una registrazione su CD, nemmeno quando l'etichetta live lo vorrebbe certificare. Il cambiamento a cui abbiamo assistito riguarda tanto il sistema di diffusione musicale quanto il suo principale fruitore: il pubblico. Adorno nella sua Introduzione alla sociologia della musica compie una attenta autopsia dei "tipi di comportamento musicale" di un pubblico ancora non completamente anestetizzato dai mass media (a quel tempo non ancora totalitari mistificatori della musica e della sua diffusione) e in particolare di un certo "ascolto passivo" che maggiormente si presta al livellamento, alla massificazione, e quindi alla standardizzazione del prodotto musicale. Di fatto, interessi mercantili che riducono la musica alla produzione e alla promozione di opere da sfruttare economicamente non presuppongono un ascoltatore consapevole ma al contrario si basano su un ascoltatore indifferente. Seguendo Adorno: "i prodotti d'arte alienati vengono messi a punto con un procedimento falsificatore e destinati a chi non è più capace - o forse non ha la volontà - di intenderli rettamente: il fine è che costoro dimentichino cosa li divide dalle opere…". Per contro, sentirsi parte di un'elite di intenditori solo per aver acquistato l'ultima interpretazione - filologicamente accettabile - delle Passioni di Bach ricorda un collezionismo da falsari ben lontano dalla ricerca di un unicum. Quest'unicum (l'aura di Benjamin), gia ucciso dalla sua riproducibilità tecnica, tuttavia può sopravvivere nelle sale da concerto e nei teatri, laddove al rapporto spontaneo e diretto con la musica non si sostituisca un colto snobismo (consumatore di cultura).
In tempi scanditi dalla tecnica, dove il moderno "homo habilis" acquisisce ingenuamente una tecnologia di cui non ha coscienza o quantomeno controllo, potremmo pure delineare la figura di un moderno "consumatore di suoni" appiattito dal bisogno - sempre e in ogni dove - di una musica intesa unicamente come un comfort che aiuti a distrarsi. Il torbido confine tra consumistica inappetenza o semplice - ma più pericolosa - svogliatezza dell'ascoltatore medio, si rivela nelle contraddizioni quotidiane che sorgono di fronte all'opera d'arte. Resta da valutare come queste contraddizioni stiano nella realtà stessa e non soltanto nella coscienza assopita del pubblico. Beethoven nella sua grandezza trascrive nel suo Tagebuch (una sorta di diario) un monito per le nostre coscienze:
"Le debolezze della natura sono date dalla natura stessa e la Ragione sovrana dovrà cercare di guidarle e sminuirle ricorrendo alla sua forza"

[1] pasto gratis: nella discussione cosmologica sull'origine dell'universo Paul Davies propone lo scenario del pasto gratuito: "l'universo al resto può provvedere da sé, la sua propria creazione compresa." Nel nostro contesto il pasto gratis richiama non tanto l'auto-consistenza quanto piuttosto il darsi gratuitamente, in un rapporto che non presuppone una controparte, ovvero senza sforzo e impegno da parte dell'ascoltatore. Non si vuole così necessariamente presumere o far riferimento ad un ascoltatore per forza qualificato o musicalmente educato.



Bibliografia al testo

- Theodor W. Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi (www.einaudi.it) 1971
- Theodor W. Adorno, Il fido maestro sostituito - studi sulla comunicazione della musica, Einaudi 1969
- Theodor W. Adorno, Beethoven - filosofia della musica, Einaudi 2001
- Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi 1966
- Simon Frith (a cura di), L'industrializzazione della musica e il problema dei valori, in Enciclopedia della musica I, Einaudi 2001
- Glenn Gould (a cura di), Riflessioni sul processo creativo, in ibidem
- Massimo Mila, L'esperienza musicale e l'estetica, Einaudi 1956
- Mario Perniola, L'arte e la sua ombra, Einaudi 2000
- Maynard Solomon, Mozart, Mondadori 1996
- Maynard Solomon, Su Beethoven, Einaudi 1998