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CARLO SINI

ABITARE GLI INTRA MUNDIA
Il mondo è diventato piccolo. Non c'è più luogo in cui sfuggire alla luce dello sguardo che controlla o al fuoco che distrugge. Di questo mondo bisogna oltrepassare la linea, diceva Junger; o almeno sostarvi ribatteva Heidegger. Forse c'è la possibilità di una terza soluzione e la relazione prova a delinearla



Adamo dove sei?
Naturalmente è una espressione sommamente ambigua perché è certo che Jahvè sa benissimo dov’è Adamo. Allora io credo che, come deve accadere per ogni domanda (…) la questione vera non è di rispondere, è di capire la domanda.

(...)

Come allora trattenersi sulla domanda, come fare un esperimento con la verità - diceva Nietszche - anziché rispondere, comprendere da dove viene la domanda, cosa vuole la domanda e come la domanda rimbalza sull’inquisito.

Ma è molto semplice evidentemente

La domanda di Jahvè dice, solo se si fa attenzione, che Adamo non ha più dove,
che Adamo ha perso il radicamento nel paradiso terrestre, l’innocenza, quella che Kant intendeva come stato di natura, l’innocenza della natura, la stupida innocenza della natura,
perché, indubbiamente, l’uomo, sradicato dal paradiso terrestre attraverso il frutto proibito della conoscenza, è però messo in cammino, messo in cammino al di là della stupidità naturale, come diceva Kant.
Ma cosa significa “messo in cammino”?
Ma evidentemente la prima cosa che si può osservare è che, come gli ha fatto intendere Jahvè, Adamo non avrà più dove, dovrà costruire la casa, dovrà costruire la città, ma la dovrà costruire necessariamente sempre in un altrove, sempre in una oscillazione nella quale non si può permanere (…)


“Siamo nomadi anche dove costruiamo le mura”


perché in realtà Adamo non può trovare quiete in nessun dove e non può nemmeno rispondere alla questione del donde e del verso dove - come diceva Heidegger -
il donde e il verso dove gli vengono preclusi proprio dalla sua irrequietezza di essere costitutivamente in cammino sicchè il donde è sempre una questione di nostalgia, qualcosa che si è perduto senza che lo si sia mai avuto davvero /
e il verso dove è un mistero, un enigma, un desiderio che non trova risposta perché l’uomo è la domanda, non la risposta.

(…)

Difronte all’avventura dell’Adamo attuale, l’adamo che non ha un dove perché il suo altrove è un altrove consegnato, come mai prima, alle sue capacità inventive, alle sue capacità creative, ma al quale poi egli è soggetto,
non è soggetto della sua invenzione, non è lui che decide, poi sostanzialmente, se vuole o non vuole la rivoluzione della genetica /
È la cosa che lo travolge, che lo attira, che lo affascina, che lo atterrisce (…)
Di fronte a tutto questo
che senso ha oggi l’appello che ci siamo fatti qua, l’appello dell’abitare,
Come abitare,
come abitare questa moltitudine,
come abitare questa sfida, questa dissoluzione di ogni illusione di un dove e questa necessità di costruire sempre di più, sempre più a fondo l’altrove, di prendersene carico e cura.

(…) quando mi ponevo questa domanda, pensando a questi incontri, mi è venuto in mente un famosissimo aneddoto che parla di Democrito, del vecchio Democrito, il grande atomista greco (…)

si narra che Democrito, pieno di gloria e famoso in tutto il mondo, si è ritirato nella sua Abdera (…) ad un certo punto i suoi concittadini, che lo amavano moltissimo, si preoccupano e vanno dal grande medico Ipoocrate, e gli dicono: «Ippocrate vieni ad abdera perché secondo noi Democrito non sta bene»
«e perché non sta bene ?», chiese Ippocrate
«Non ci sta più con la testa» risposero i concittadini e Ippocrate «Ma perché cosa fa?»

«pensa che tutte le mattine scende al porto e si mette a guardare tutte le operazioni del nostro porto .... e comincia a sbellicarsi dalle risa / evidentemente non sta bene».
Ippocrate va ad Abdera e dopo una lunga conversazione con Democrito va dai cittadini, dai maggiorenti della città che lo avevano chiamato, e dice loro «State tranquilli, Democrito sta benissimo, anzi ce ne fossero di menti come la sua; e vi devo dire che vi sono molto grato di avermi chiamato perché, non io ho fatto qualcosa a lui, ma lui ha regalato qualcosa a me. Perché mi ha spiegato che tutti i giorni va al porto e quando è di fronte allo spettacolo di tutta questa congerie di merci, di quantità di cose che i suoi concittadini comprano dai posti più remoti della terra, rischiando patrimoni, vite, mettendosi per mari perigliosi per avere queste sciocchezze anziché riflettere sulla profondità della vita umana, sul dramma della vita umana,


- ecco -

questo gli genera una sovrana ilarità».

E’ un aneddoto significativo che potrebbe dire, forse, traducendolo ai nostri scopi che
“c’è da sempre nella filosofia, lei che ha messo in moto tutto questo, un nocciolo di saggezza che può aiutarci ad attraversare l’oceano, cioè, che non ci distoglie, non ci toglie certo dalla nostra nobiltà disgrazia di non sapere dove siamo, di essere costantemente diretti altrove, di essere ora nel pericolo di fare naufragio per avere imbarcato troppe merci
(...)

Forse l’ironia di Democrito è una buona chance
/cosa vuol dire l’ironia di Democrito/
beh! Democrito era un atomista e sappiamo tutti cosa pensavano gli atomisti del mondo:
che sono innumerevoli mondi, già allora si pensava così, e che tutti questi innumerevoli mondi sono di per sé privi di significato, privi di senso,

ma fra gli intra mundia, negli intra mundia abitano gli dei.

Noi non siamo dei, avrebbe detto Epicureo, certamente no. Ma possiamo imitare quella beatitudine. Ieri si parlava di qualità dello stile di vita, ecco noi possiamo attraverso una comprensione ironica del nostro mondo, attraverso un passo indietro, che non è uscire dal mondo, non è mettersi altrove, non è negare la quantità delle occasioni, ma, piuttosto, cercare di abitarle senza essere trascinati nel gorgo, nell’abisso, cercare di trattenerci in contrattempo, di vivere nel tempo del cyberspazio consapevoli che esso è una nostra costruzione e come tale non ci darà risposta alla nostalgia o al desiderio, ma sarà un modo di abitare la nostalgia e il desiderio con un attitudine alla saggezza, con una attitudine alla misura, il che vuol dire che non si tratta di salvare niente
/non c’è niente da salvare/

che però si tratta di non distruggere di non distruggere noi stessi.

(...)

 


Carlo Sini, "Abitare gli intra mundia", in "XÁOS. Giornale di confine", speciale spazidelcontemporaneo 2005,
URL: http://www.giornalediconfine.net/spazidelcontemporaneo/
carlo_sini.htm

 
   
 

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