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Sebastiano Ghisu

La Luna e il dito.
Appunti filosofici su comunicazione, immagine, verità


Quel celebre proverbio che recita: "è stolto colui che, quando gli si indica la luna col dito, guarda il dito e non la luna" andrebbe capovolto. In effetti è ben più stolto colui che guarda la luna. In ogni caso, si è cominciato a riflettere sulla conoscenza e non solo a conoscere, ci si è resi conto che si può sbagliare, che l'errore è possibile, quando si è cominciato a guardare il dito, ovvero quando ci si è concentrati sugli strumenti con cui noi percepiamo la realtà. Quando ci si è resi conto che una stessa realtà può essere "indicata" - o rappresentata - in modi differenti, non sempre conciliabili tra loro.
Ogni evento della filosofia - un testo, un dialogo, un incontro - serve a indirizzare lo sguardo su quel dito. Di converso, ogni occasione in cui ciò accade - accada nell'arte, nella letteratura o nel parlare quotidiano - è un'occasione filosofica.
Che significa allora parlare filosoficamente di immagine, comunicazione, verità?
Riflettendo sull'immagine, il pensiero, come lo stolto del proverbio, ha compreso che il suo significato non si riduce all'oggetto cui si riferisce. Dice sempre più di quanto non indichi e non indica necessariamente ciò che dice d'indicare.
La comunicazione, poi, non si presenta al pensiero che la pensa come il semplice collegamento tra mittente e destinatario; non indica semplicemente il messaggio, non comunica soltanto.
Oggi più che mai dovremmo esserne consapevoli. Comunicazione e immagine indicano infatti due fondamentali dimensioni della società contemporanea. La nostra è una società dell'immagine attraversata da sistemi complessi e articolati di comunicazione. Ogni evento viene trasformato in immagine e come tale comunicato. L'evento, attraverso la comunicazione, diviene immagine nel suo stesso accadere (per cui l'immagine di sé è parte integrante dell'evento); la comunicazione tende a divenire sempre più immagine.


Ma che ne è della verità?


Se lo stolto del proverbio riflette sulla verità comincia a non darne per scontato l'esistenza ovvero a non accettarne passivamente l'assolutezza. Ci si chiede: davvero si ha bisogno di questa parola? Ne è inevitabile l'uso?
Certo, una demarcazione netta tra il vero e il falso pare necessaria proprio a causa del potere che l'immagine e la comunicazione esercitano nelle nostre società. Sempre più percepiamo l'evento reale attraverso la sua immagine. Sempre più l'immagine si sostituisce all'evento o si presenta come evento reale (e non solo come immagine). Inoltre la comunicazione, impossessandosi del messaggio, potrebbe arrivare a stravolgerne il contenuto. Quando ciò accade, non dovremmo dire che la comunica- zione tradisce la verità? L'evento comunicato continua a corrispondere all'evento reale?
Per salvarsi dal dominio della comunicazione e dell'immagine si dovrebbe aver bisogno della parola verità. O non è forse meglio cullarsi nei mondi virtuali possibili? Perché poi pretendere che l'immagine svolga una funzione rappresentativa? Non è bene, piuttosto, che rinunci a poter venir definita vera o falsa?
Il pensiero dovrebbe poi forse evitare di pretendere dalla comunicazione la veridicità e favorire la costruzione di linguaggi o teorie che, spezzando i codici comunicativi, promuovano la negazione del mondo reale. La comunicazione, infatti, lo conferma comunque.
Le domande sono tante, come si vede. L'evento che qui presentiamo - una festa del pensiero - le riproporrà e ne formulerà certamente delle altre. Sono loro, infatti, che - più delle risposte - nutrono e rafforzano la capacità critica del pensiero. Guardiamo il dito, allora, vedremo meglio la luna.

 


 

Sebastiano Ghisu, "La Luna e il dito", in "XÁOS. Giornale di confine", speciale spazidelcontemporaneo 2004,
URL: http://www.giornalediconfine.net/spazidelcontemporaneo/
sebastiano_ghisu_comunicazione_immagine_verita.htm

 
   
 

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