ARCHIVIO. | SPAZIDELCONTEMPORANEO
L'IMMAGINE è sempre fuori tempo massimo
Vediamo in essa epifanie e rivelazioni, ma quando arriviamo a vederla (ovvero: subito) è già ultimatum, biglietto di solo ritorno che non ci dice nulla su chi o cosa mai fosse arrivato al luogo di provenienza. Le mutazioni dell’immagine nel tempo non dicono nulla salvo illuderci malinconicamente e rovinosamente del pur rovinoso consistere di esso.
La malinconia estrema sta infine proprio nel loro dir nulla.
Non si sa se l’immagine sia il sogno della cosa o la cosa il sogno dell’immagine
Che sia la farfalla o il filosofo, a non saperlo, poco importa.
enrico ghezzi, "a p o f a n i e: resistenza dell’immagine ", (spazidelcontemporaneo 2004, Comunicazione Immagine Verità)
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MITO E SCIENZA:
due modi di comunicare l'indicibile
Abitualmente si contrappone il mythos al logos, o si pensa che la razionalità filosofica o scientifica liquidi definitivamente il patrimonio delle antiche mitologie.
Invece, non diversamente dalla Fenice, il mito rinasce sempre dalle proprie ceneri e si trasforma a confronto con le conquiste dell’impresa tecnico-scientifica, come dimostrano il Prometeo di Mary Shelley o l’Ulisse di James Joyce.
Giulio Giorello, "Mito e Scienza: due modi di comunicare l’indicibile", (spazidelcontemporaneo 2004, Comunicazione Immagine Verità)
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LA VERITA'
fra esser e dover-essere
Largamente egemone nella filosofia continentale (ma in via di affermazione crescente anche in quella anglosassone) è la posizione “ermeneutica” che coniuga e modula in vario modo la tesi di Nietzsche secondo cui il mondo è ormai diventato favola e quella di Heidegger secondo cui la filosofia deve risalire al pensiero “originario” di una verità che sempre si dà, contemporaneamente, come velamento e svelamento. Di modo che non avremmo ormai più “verità” in nessuno dei sensi correnti del termine (e meno che mai nel senso della scienza sperimentale o della logica), e gli stessi fatti (compresi e in primo luogo quelli che Hannah Arendt rivendicava come “modeste verità di fatto”) altro non sarebbero che interpretazioni (e interpretazioni di interpretazioni, eventualmente, in una “mise en abime” vertiginoso e senza fine). Ma tale convinzione costituisce “essenzialmente” solo la variante ultra-metafisica del tradizionale rifiuto metafisico di sottrarre il dover-essere (e la sua “logica”) al dominio dell’essere e della verità di questo: e dunque fallisce proprio nella pretesa che più gli sta a cuore, di costituire “oltrepassamento” della metafisica (...)
Paolo Flores D'Arcais, "La verità fra essere e dover-essere", (spazidelcontemporaneo 2004, Comunicazione Immagine Verità)
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